Abstract
L’articolo riflette sul ‘legame con la terra’ che, reciso dall’industrializzazione fordista della produzione e della vita, sempre più va ricomparendo in nuove forme, di recente nelle vesti del fenomeno dell’agricoltura part-time. Quest’ultima, ben lontana da essere la passiva conseguenza di povertà o mancanza di alternative, rappresenta invece una scelta consapevole verso una vita maggiormente polivalente. La riflessione si struttura a partire da un’indagine in cui sono stati intervistati contadini part-time e a tempo pieno circa molteplici aspetti legati al lavoro che svolgono; da essa è emerso che non esiste un confine netto fra queste due pratiche e le differenze empiriche risultano abbastanza modeste: il primo rilevante elemento di continuità è che la grande maggioranza dei coltivatori a tempo pieno, proprio come gli agricoltori part-time, per produrre un reddito adeguato al nucleo familiare ha necessità di un guadagno esterno all’azienda agricola. Oltre a ciò esistono numerosi vantaggi non-economici dell’agricoltura, riconosciuti sia dagli agricoltori a tempo pieno che da quelli part-time, ma assai più pronunciati per i secondi, strettamente legati al rapporto diretto con la terra e con la migliore qualità di vita che essa garantisce. Lo studio mette in luce come l’agricoltura part-time sia un fenomeno continuativo e resiliente, piuttosto che marginale, che merita dunque l’attenzione di società e istituzioni, che dovrebbero mettere a disposizione di coloro che desiderano ‘tornare alla terra’ servizi e strumenti conoscitivi.