1. Nel quadro
dell’articolazione dei generi letterari che è
propria
dell’età moderna, il trattato architettonico
riveste sicuramente
un’importanza non trascurabile, ed è rilevabile un
crescente
interesse verso di esso da parte della pubblicistica europea tra XVII e
XVIII
secolo. Sulla base di una consolidata tradizione, il Seicento vede
infatti la
pubblicazione di un gran numero di opere volte all’indagine
sull’arte architettonica e sugli strumenti a disposizione dei
suoi
professionisti[1].
Tale produzione letteraria risulta particolarmente consistente in
Francia, dove
l’accentramento istituzionale delle attività
artistiche in epoca
colbertiana e la conseguente fondazione delle Accademie contribuiscono
allo
sviluppo di una sensibilità pedagogica che si risolve nella
stesura di
opere teoriche. Tuttavia, l’argomentazione di quei trattati
rimaneva su un
piano prevalentemente tecnico, lasciando in secondo piano il versante
della
riflessione sui princìpi fondamentali
dell’architettura, che
restava ancorata all’autorità dei grandi maestri
del passato (da
Vitruvio ad Alberti). Ripiegandosi su un linguaggio talvolta
faticosamente
specifico, la teoria architettonica si manteneva pertanto in una
posizione
marginale rispetto ad una dimensione culturale sicuramente
più complessa
e
problematica[2].
La
produzione di opere
teoriche registra indubbiamente un considerevole aumento nel corso del
Settecento, quando la strutturazione del discorso architettonico
comincia
lentamente ad abbandonare l’approccio fortemente tecnico, per
abbracciare
tematiche di più ampio respiro, finalmente riconducibili
entro il quadro
di discussioni estetiche di grande attualità. Eppure, il
crescente
interesse verso i princìpi costitutivi
dell’architettura e il ruolo
dell’architetto all’interno della
società non riusciva ancora
a liberare quelle opere dalla rigidità in cui la tradizione
le aveva
relegate. Sebbene gli architetti settecenteschi riuscissero
senz’altro a
dimostrare una consapevolezza dei dibattiti contemporanei talvolta
anche
decisamente raffinata, soprattutto nella crescente convinzione che
l’arte
fosse un importante strumento per il benessere
sociale[3],
con tutte le implicazioni che ne conseguivano, essi non riuscirono a
trarre
dalle istanze illuministe uno stimolo per l’approfondimento
di questioni
di universale interesse intellettuale e proseguirono una tradizione che
aveva
già orientato la ricerca verso la codificazione degli
strumenti
predisposti alla costruzione vera e propria.
Da
questo punto di vista,
l’opera di Étienne-Louis Boullée
(1728-1799) presenta un
approccio significativamente diverso in quanto abbandona
l’orientamento
specialistico e tenta il recupero di una prospettiva teorica che
sembrava aver
esaurito vitalità.
2. Boullée nacque a Parigi il 12 febbraio 1728 da padre architecte expert jure des Bâtiments du Roi e da madre imparentata con il celebre pittore François Boucher. La sua formazione fu alquanto movimentata, caratterizzata da una versatilità di interessi nel campo delle arti, passando dalla pittura all’architettura, ma soprattutto da uno spostamento continuo all’interno delle scuole, più o meno istituzionalizzate, presenti nella capitale. A seguito di un breve apprendistato presso l’atelier del pittore ed incisore Jean-Baptiste Marie Pierre, nel 1744 entrò nell’École des arts di Jacques-François Blondel, per poi comparire nell’ottobre 1745 tra i nomi degli allievi di Jean-Laurent Legeay, da cui si allontanò già l’anno successivo; egli fu probabilmente allievo anche di Germain Boffrand, presumibilmente nel corso del 1746. Nel 1749 Boullée fondò una propria scuola, inaugurando quello che sarebbe stato l’impegno più appagante, quello educativo, che lo ricompensò delle difficoltà incontrate nell’ambito concretamente progettuale, e che si riflesse in parte nelle pagine del suo trattato Architecture. Essai sur l’art. La sua attività costruttiva, piuttosto limitata tra il 1747 e il 1763, quando si dedicò soltanto alla ristrutturazione di alcune dimore private per importanti famiglie parigine, ottenne una rimarcabile possibilità di decollo nel 1778, quando venne nominato Contrôleur général des Bâtiments de l’Hôtel des Invalides, prima vera committenza pubblica, e successivamente Contrôleur général des Bâtiments de l’École royale militaire; per ragioni ancora difficili da chiarire, Boullée diede le dimissioni da entrambe le funzioni il 21 dicembre 1782. Egli lavorò inoltre alla riorganizzazione di un edificio che avrebbe dovuto accogliere la nuova Prison de la Force e alla sistemazione della facciata della Bourse, in seguito distrutta. Nel 1786 gli venne affidato il controllo della demolizione della case sui ponti della città e dell’eventuale riparazione dei Quais. I programmi di embellissements che coinvolsero la capitale a partire dagli anni ’70, con particolare accelerazione nel decennio successivo, interessarono anche Boullée, che avanzò una serie di proposte che tuttavia non riuscirono a guadagnare l’approvazione delle autorità edili, rimanendo quindi allo stato di progetto; è questo il caso dell’Opéra, della Madeleine o della Bibliothèque royale. A seguito di tali sconfitte professionali, Boullée rielaborò le creazioni immaginate in disegni che oggi sono da considerarsi non tanto come effettive progettazioni di strutture specifiche all’interno del quadro urbano in questione, quanto piuttosto come modelli di edifici, talvolta nati da stimoli contingenti ma comunque sviluppati verso una sfera ideale, verso la resa architettonica del tipo perfetto di teatro, di chiesa o di biblioteca. A questi si aggiungono infatti le concezioni dei Monuments funèbres, dei Palais national, de justice e municipal, del Cirque, dei numerosi Arcs des triomphe, dei Ponts, delle varie Entrées de ville, del Musée, o ancora del Palais du Souverain, tutte scisse da una effettiva domanda pubblica. La tendenza ad un progressivo allontanamento dal contesto reale di rinnovamento edilizio si sviluppò in parallelo al costante coinvolgimento nell’attività pedagogica, al crescente interessamento per la teorizzazione architettonica pura, ma soprattutto in risposta alla maturazione di una visione urbana più ampia, insoddisfatta della limitatezza degli interventi contemporanei. La redazione dell’Architecture deve quindi essere considerata in quest’ottica, come risultato di una riflessione sull’architettura e sulla città che rimanesse per molti aspetti su un piano utopico, attraverso l’esposizione dei principi fondamentali dell’arte e la proposizione di modelli di edifici in uno spazio ideale. Il periodo rivoluzionario non arrestò l’attività dell’architetto che proseguì la sua autonoma elaborazione teorica e la strada dell’insegnamento, a partire dalla nomina a professore all’École centrale du Panthéon nel 1795. Morì il 4 febbraio 1799, lasciando alla Bibliothèque Nationale un centinaio di disegni, il manoscritto dell’Essai e altri scritti come il Projet d’architecture privé e le Considérations sur l’importance de l’architecture[4].
3. Coerentemente
inscritto
all’interno della tradizione trattatistica,
l’Architecture.
Essai sur
l’art[5]
rinnova le fondamenta della riflessione architettonica dietro la spinta
di
istanze intellettuali delle quali i
philosophes
si facevano portatori. Il
panorama filosofico settecentesco trova una diretta corrispondenza
nell’elaborazione di Boullée sotto molteplici
aspetti: non soltanto
per l’inscindibile legame che si instaura tra
l’estetica illuminista
e le forme architettoniche che vengono progettate, ma anche per la
strutturazione stessa del discorso, che si riallaccia ad
un’interpretazione dei meccanismi conoscitivi di stampo
empirico-materialista che giustifica l’intera impalcatura.
Pur non
elaborando idee di carattere radicalmente innovativo, pur non
partecipando alla
definizione di categorie estetiche di complessa
problematicità,
Boullée riuscì a compiere una straordinaria
sintesi dei contributi
che gli venivano offerti dalla speculazione contemporanea e che
acquistavano
nuova luce una volta applicati alla trattazione architettonica.
L’originalità di Boullée non risiede
quindi nella
peculiarità delle teorie, quanto piuttosto nella profonda
comprensione
del momento culturale tardo settecentesco e nella capacità
di innescare
l’evoluzione di categorie e sistemi filosofici dominanti
all’interno
di un settore disciplinare rimasto a lungo al di fuori dei progressi
philosophiques
del secolo.
Lumières
e teoria
architettonica partecipano così ad un medesimo progetto
intellettuale,
volto all’esposizione di nuovi paradigmi costruttivi non
più
inseriti in una trattazione tecnicistica, ma in un discorso culturale
più
ampio e interessante.
Sebbene
Boullée sia
rimasto pressoché sconosciuto per oltre un secolo, dal
momento della sua
riscoperta diversi storici dell’arte si sono interessati alla
sua
architettura, dedicandogli anche monografie specifiche volte
all’inserimento del personaggio all’interno di un
contesto artistico
problematico. I maestosi edifici di Boullée, progettati a
cavallo tra
ancien régime
e
Révolution,
sono stati oggetto
di analisi da parte di quanti ne hanno individuato i legami con lo
stile
architettonico delle
Lumières e
da quanti ne hanno ricercato i caratteri di
un’originalità che
sembra traghettare l’architettura settecentesca verso quella
propriamente
rivoluzionaria.
Nel settembre 1939 veniva pubblicato in
The Art Bulletin
un breve articolo di
Emil Kaufmann dedicato a Étienne-Louis
Boullée[6].
Il saggio seguiva di sei anni il primo interessamento dello storico
dell’arte austriaco per l’architettura francese
tardo-settecentesca
che si era risolto nello studio su Claude-Nicolas
Ledoux[7],
che aveva già attirato l’attenzione degli studiosi
ma su cui
Kaufmann intendeva gettare nuova luce. Ledoux veniva infatti posto
all’origine di un’evoluzione delle forme e dei
sistemi
architettonici che dalla fine del Settecento sarebbe giunta fino al XX
secolo,
quando tra gli anni ’20 e ’30, il Movimento Moderno
avrebbe opposto
alle decorazioni tipiche dell’Art Nouveau una semplice
nudità e una
purezza geometrica che interpretassero il principio di
utilità per un
uomo considerato in tutte le sue esigenze sociali e
culturali[8].
Ledoux finiva quindi per svolgere un ruolo di importanza fondamentale
non
soltanto ai fini di una ricerca propriamente storico-artistica, ma
anche per la
comprensione di uno stile architettonico che nel XX secolo avrebbe
ispirato gran
parte dell’architettura tra le due guerre. Tuttavia Ledoux
non pareva il
solo a costituire un plausibile punto di partenza di un percorso
lineare verso
la contemporaneità, e Kaufmann si trovò presto di
fronte alla
figura di Boullée di cui, per primo dopo oltre un secolo di
oblio,
riscoprì il valore architettonico. Le sue ricerche si
concentrarono
così sulla personalità di Boullée, di
cui niente rimaneva
se non qualche sporadica testimonianza e il testo
Architecture. Essai sur
l’art.
Nell’articolo
del
1939 Kaufmann riportava all’attenzione degli studiosi un
artista di
difficile decifrazione, di cui non si conservavano monumenti
concretamente
edificati, ma che aveva prodotto un testo di teoria architettonica di
particolare fascino. Quel testo veniva indagato in diretta connessione
con le
tavole dei disegni di Boullée che acquistarono un valore
documentario
formidabile. Al di là delle conclusioni specifiche alle
quali giunse
Kaufmann, preme qui sottolineare come l’interesse per
entrambi gli
architetti fosse orientato verso la ricerca di un percorso
architettonico che
sembrava compiere una decisiva svolta alla fine del Settecento,
convergendo in
quella che viene chiamata ‘architettura
rivoluzionaria’, e che si
ipotizzava avesse trovato in Ledoux e Boullée i diretti
anticipatori[9].
La
storiografia
sull’arte e l’architettura settecentesche hanno
successivamente
messo in discussione parte delle conclusioni di Kaufmann, insistendo
sull’esistenza di caratteri tradizionalmente associati
all’architettura rivoluzionaria già nelle
espressioni illuministe.
In questo modo, veniva privilegiato un
continuum
temporale che rifiutava la
possibilità di ‘salti’ stilistici a
vantaggio di
un’evoluzione che prevedeva eventuali accelerazioni, affidate
al genio di
artisti originali, ma che in generale procedeva lentamente e
gradualmente. In
quest’ottica Ledoux e Boullée avrebbero dovuto
quindi essere
collocati in modo più organico nel quadro culturale del loro
tempo,
rilevandone sicuramente le intuizioni innovative, ma definendo comunque
la loro
posizione all’interno del panorama architettonico e
intellettuale del
XVIII secolo e della cultura illuminista, per quanto le idee dei
due
architetti presentino una straordinaria vicinanza con quelle degli
artisti
propriamente
rivoluzionari[10],
la loro opera sembra perfettamente coerente con il momento
architettonico
settecentesco, almeno nella sua dimensione
‘anti-barocca’ e
nell’esaltazione dell’approfondimento della
riduzione
geometrica.
Sebbene
Kaufmann avesse
lavorato sul testo di Boullée, esso, come abbiamo ricordato,
rimaneva
ancora in forma manoscritta. Per l’edizione di
quest’opera
bisognerà attendere il 1953, quando il testo fu pubblicato a
Londra a
cura di Helen
Rosenau[11];
edizione a cui fece seguito la traduzione italiana, con prefazione di
Aldo
Rossi[12]
e l’edizione francese curata da Jean Marie Pérouse
de
Montclos[13]
dove l’Essai era
accompagnato da
altri testi trovati tra le carte della
Bibliothèque
Nationale de
France; quest’ultimo tipo di materiale era
confluito solo in parte
nelle pagine del trattato vero e proprio e forniva un valido contributo
alla
conoscenza di un architetto che aveva trovato maggiore fortuna nello
sforzo
letterario piuttosto che in quello costruttivo.
4. L’attenzione
degli
studiosi verso questo straordinario personaggio è andata
successivamente
aumentando[14];
tuttavia, tale interesse è stato espresso prevalentemente da
storici
dell’arte, che hanno indagano il testo ed i disegni di
Boullée con
gli strumenti propri del loro processo d’indagine a
svantaggio di
un’analisi del suo pensiero operata attraverso le metodologie
della storia
intellettuale e volta all’inserimento di Boullée
all’interno
di un contesto culturale più ampio ed alla scoperta di
peculiari
originalità che ne fanno una figura ragguardevole nel
panorama francese
tardo-settecentesco.
Se
i trattati
architettonici del XVII e XVIII secolo, come abbiamo precedentemente
rilevato,
avevano privilegiato l’aspetto tecnico, a danno di una
riflessione
intellettualmente più estesa, tale propensione non era
soltanto il
prodotto dei progressi nelle conoscenze scientifiche sulle operazioni
progettuali, delle quali quelle teorizzazioni offrivano
un’apprezzabile
testimonianza, ma anche della diffusa adesione ad una visione
dell’architettura che trovava la propria
peculiarità nel momento
edificatorio. La tradizionale concezione, che recuperava come massima
autorità le opere di Vitruvio, definiva
l’architettura come
l’‘arte di costruire’, individuando il
fulcro
dell’attività dell’architetto nel
processo di realizzazione
effettiva del progetto. Lo sforzo di teorizzazione non poteva quindi
che
focalizzarsi sull’aspetto normativo, orientandosi verso
l’analisi
delle regole e degli strumenti che supportano l’artista nella
concretizzazione delle proprie
opere[15].
Al
contrario,
l’opera di Boullée rinnova il discorso
architettonico inserendolo
all’interno di un sistema filosofico problematico, che funge
da ponderata
impalcatura ad una riflessione sull’arte architettonica di
più
ampio respiro; rifuggendo ogni rigidità normativa egli
predilige
l’essenza intellettuale di un’attività
che considera ormai
affidata a strumenti tecnici insufficientemente vicini agli stimoli
culturali
allora in movimento.
Pur senza rifiutare integralmente la tradizionale
definizione, Boullée ne propone un accrescimento
significativo nel
diverso riconoscimento del punto di partenza del lavoro
dell’architetto,
che non risiede nella realizzazione, contingenza ultima del percorso
operativo,
quanto piuttosto nella concezione del progetto; spostando i termini del
discorso
e distinguendo la causa dall’effetto, l’origine del
processo
architettonico dal suo scopo ultimo, Boullée scrive:
Qu’est-ce que l’architecture ? Là définirai-je avec Vitruve l’art de bâtir ? Non. Il y a dans cette définition une erreur grossière. Vitruve prend l’effet pour la cause.
Il faut concevoir pour effectuer. Nos premiers pères n’ont bâti leurs cabanes qu’après en avoir conçu l’image. C’est cette production de l’esprit, c’est cette création qui constitue l’architecture, que nous pouvons, en conséquence, définir l’art de produire et de porter à la perfection tout édifice quelconque. L’art de bâtir n’est donc qu’un art secondaire, qu’il nous paraît convenable de nommer la partie scientifique de l’architecture.
L’art proprement dit et la science, voilà ce que nous croyons devoir distinguer dans l’architecture.[16]
Sebbene l’aspetto tecnico-scientifico in cui Vitruvio aveva sintetizzato l’essenza più profonda dell’architettura mantenga la sua inevitabile importanza, esso viene collocato in una posizione subordinata rispetto a quella del concepimento del progetto; l’architettura è al tempo stesso scienza ed arte, dove la prima serve il procedimento costruttivo, divenendo funzionale alla realizzazione dell’idea di partenza, concezione unica, personale ed originale, prodotto dell’immaginazione di ogni genio artistico. L’architettura cessa di essere art de bâtir per divenire ispirazione dell’esprit. Punto essenziale della visione di Boullée è la distinzione tra concezione ed esecuzione[17], essendo quest’ultima prodotto sensibile della prima; scopo ultimo, ma non per questo determinante dell’architettura. L’estro creativo dell’artista non deve sentirsi oppresso da regole di gusto e stile, né tanto meno dalle possibilità concrete di realizzazione dell’idea architettonica; del resto, lo stesso Boullée aveva concepito numerosi modelli di edifici, affidandone il ricordo alle pagine dell’Essai e alle tavole che lo affiancavano, senza mai portarne a compimento l’edificazione, che se da una parte venne contrastata da fattori storico-istituzionali che si legarono alle vicende travagliate della sua attività, dall’altra parte, anche in mancanza di tali ostacoli, almeno in alcuni casi, non avrebbero potuto vedere la luce per difficoltà prettamente tecniche: ad esempio, la celebre sfera progettata per il Cénotaphe à Isaac Newton, vuota al suo interno e persino aperta nella parte superiore, avrebbe avuto scarse possibilità di realizzazione con i materiali e i procedimenti di costruzione del tempo. Sebbene non furono soltanto questi impedimenti materiali a precludere la concretizzazione delle straordinarie idee di Boullée, ma piuttosto il contesto politico con cui dovette necessariamente relazionarsi, pare interessante evidenziare come al momento stesso della progettazione egli non permise mai alle regole tecniche e alla consapevolezza, che pure aveva, delle possibilità effettive di materializzazione, di frenare quel percorso immaginativo che corrispondeva al fulcro dell’attività architettonica.
5. Per Boullée troppi teorici avevano insistito sulla definizione degli strumenti con cui adeguare un edificio ai gusti e ai dettami estetici del tempo; troppi architetti avevano preferito imboccare la confortante strada indicata dalla tradizione, che sembrava proteggere l’artista dal perdersi in progettazioni fantasiose o destinate a scontrarsi con il giudizio negativo del pubblico. Troppo spesso il momento creativo era stato messo in ombra dall'aspetto scientifico, che era stato scambiato da molti teorici per l'oggetto più profondo delle loro riflessioni:
La plupart des auteurs qui ont écrit sur cette matière se sont attachés à traiter la partie scientifique. Cela paraîtra naturel pour peu que l’on y réfléchisse. Il fallait étudier les moyens de bâtir solidement avant de chercher à bâtir agréablement. La partie scientifique étant de première nécessité, et par conséquent la plus essentielle, les hommes ont été naturellement déterminés à s’en occuper d’abord d’une matière particulière.[18]
Senza
negare l'importanza
della conoscenza dei principi geometrici, idraulici, meccanici, ecc.,
senza i
quali l’«effet» delle progettazioni, la
realizzazione delle idee
architettoniche, sarebbe altrimenti impensabile, nella composizione
dell'Essai
Boullée rinuncia ad
occuparsi del momento pragmatico privilegiando quello
intellettuale-teorico,
ovvero le dinamiche di creazione del ‘concetto’.
Fulcro della
trattazione diviene perciò il percorso che l'artista deve
compiere per
riuscire a visualizzare l'immagine della propria opera.
Dal momento in cui
l'architettura abbandona la tradizionale veste principalmente
operativa, la
progettazione di Boullée, proprio perché ispirata
alla concezione
di un'idea originale, presuppone una dimensione intellettuale
più
profonda; dopo aver negato la possibilità che lo spazio di
azione
dell'architetto si esaurisca nell'attività costruttiva, egli
focalizza il
discorso sulla fase creativa, il cui valore è
intrinsecamente legato alla
sensibilità culturale dell'artista. L'originalità
della sua
architettura rimane nei suoi progetti, ma soprattutto nel sistema
intellettuale
di riferimento; e sebbene nessuna delle proposte descritte
nell'Essai
fu mai realizzata, esse
posseggono una straordinaria forza, che scaturisce dalla base su cui si
ergono e
senza la cui spiegazione apparirebbero fantasiose e irrazionalmente
visionarie.
Se Boullée sceglie di non occuparsi della fase
costruttiva, ciò non implica che il momento di ideazione, di
progettazione nel senso ‘creativo’ che gli viene
attribuito, sia
privo di regole, ma queste ultime non intendono codificare tediosamente
il
percorso immaginativo quanto piuttosto supportarlo ed accompagnarlo.
Tali linee
guida si fondavano innanzi tutto sulla definizione stessa di idea
architettonica
che, similmente a tutte le idee, poteva radicarsi soltanto nella
natura.
Dove nasce, infatti, quella «production de
l’esprit» che distingue l'arte dalla scienza
architettonica? Da dove
proviene l'idea che sta alla base più profonda della
produzione
costruttiva? E la risposta a simili interrogativi viene trovata
nell'epistemologia empirico-materialista:
Écoutons un philosophe moderne: «Toutes nos idées, tous nos perception, nous dit-il, ne viennent que par les objets extérieurs. Les objets extérieurs font sur nous différentes impressions par le plus ou le moins d’analogie qu’ils ont avec notre organisation.» J’ajoute que nous qualifions de beaux les objets qui ont le plus avec notre organisation et que nous rejetons ceux qui, dépourvus de cette analogie, ne conviennent pas à notre manière d’être.[19]
Pur non potendo stabilire con certezza chi fosse il «philosophe moderne» cui si riferisce,[20] è immediatamente riconoscibile la condivisione di quelle teorie che, a partire dall'originale formulazione di John Locke, si erano diffuse anche sul continente, dove i philosophes francesi le sottoposero ad ulteriore approfondimento per poi estenderle a molti campi della conoscenza umana. Partendo dal presupposto che esistesse una connessione diretta tra realtà esterna, empiricamente perscrutabile, e la formazione delle idee, Locke aveva affermato la possibilità di un itinere verso la conoscenza in senso progressivo e finalmente non condizionato dall'esistenza di idee innate che non sembravano affatto fungere come aiuto alla crescita umana, quanto piuttosto come freno di indugio nell'ignoranza, limite auto-imposto all'evoluzione della comprensione del mondo. Rifiutando la tradizionale concezione dell'esistenza di un patrimonio di conoscenza che l'uomo aveva ricevuto originariamente e che per questo era tenuto a rispettare con religiosa obbedienza, Locke, com’è noto, postulava una mente umana come una tabula rasa, un «white paper», che attendeva solo di essere riempita, lentamente, progressivamente e mediante uno sforzo costante. La conoscenza si sarebbe quindi sviluppata per gradi: partendo dalla suggestione innescata dalla consapevolezza sensibile di oggetti esterni, della natura, l'uomo formula idee e le classifica in base al loro grado di complessità (o meglio della loro ‘distanza’ dall'impressione prima, scaturita dai sensi)[21].
6. Sensibile
alle suggestioni
che Locke aveva proposto nel 1690, la filosofia francese
rielaborò quelle
teorie facendone strumenti di conoscenza indispensabili alla
comprensione dei
propri sistemi intellettuali: Morelly riprese la dottrina di Locke per
condurre
l’ennesimo attacco alle idee innate; D’Alembert la
rese il punto di
partenza del suo Discours
préliminaire
a l’Encyclopédie;
D’Holbach ne accentuò la dimensione scientifica
ponendola alla base
della comprensione dei meccanismi dell’uomo come essere
naturale;
Condorcet, nel solco delle riflessioni di Helvétius, ne mise
in evidenza
le conseguenze sociali, affermando la diretta connessione tra
percezione
sensibile, ricerca del piacere e fuga dal dolore, aggregazione umana e
progresso
dell’esprit;
Condillac
sintetizzò gran parte delle suggestioni contemporanee,
offrendo un
contributo che sembra portare la corrente sensualistica francese ad un
punto
culminante. In particolare, proprio quest’ultimo,
poiché le sue
opere facevano parte della biblioteca di
Boullée[22],
ebbe un’influenza certamente determinante sul pensiero
dell’architetto.
Non
volendo entrare nello
specifico delle interpretazioni ed evoluzioni della teoria sensista
della
conoscenza nell’ambito della cultura francese del XVIII
secolo,
basterà porre in evidenza l’esplicita adesione da
parte di
Boullée a quel sistema; adesione che si riflette
nell’impostazione
dell’intero discorso, elevato su un sistema filosofico
complesso, su cui
egli sembra aver lungamente meditato. Inoltre, inserendosi in questa
tradizione,
egli non soltanto partecipa alla sua ulteriore diffusione, ma
soprattutto
apporta un contributo che, sebbene limitato, fu ad ogni modo originale.
Più che nella formulazione di una teoria della conoscenza
che elaborasse
gli elementi della recente riflessione dei
philosophes,
Boullée
riuscì a trovare uno spazio di innovazione
nell’isolamento di un
nucleo filosofico e nella sua successiva utilizzazione
all’interno di un
discorso solo apparentemente specialistico, insistendo sulla
comprensione della
realtà sensibile come origine della formulazione
dell’idea
architettonica, cuore del processo artistico. La teoria della
conoscenza di
matrice lockiana costituiva così il punto di partenza della
sua intera
argomentazione: similmente a tutti gli altri tipi di idee, la
concezione
architettonica poteva prendere forma solo in seguito ad una meditazione
sulla
realtà che iniziava nella sua immediata percezione, impressa
nell’artista attraverso i sensi, consentendo una conoscenza
del mondo
esterno i cui oggetti sono, in primo luogo, quelli offerti dalla
natura. In
questo modo, anche le creazioni artistiche più fantasiose,
non sono altro
che il risultato dell’imitazione della natura, più
o meno distorta
dall’interpretazione operata dall’immaginazione
dell’autore:
Je ne saurais pas me figurer des productions d’un art fantastique sans me représenter des idées jetées ça et là, sans suite, sans liaisons, sans but, des désordres d’esprit, en un mot des rêves. Piranesi, architecte, graveur, a mis à jour quelques folies semblables. Les caricatures nous viennent des peintres italiens. Callot, graveur célèbre a fait beaucoup de figures grotesques. Les Anciens ont fait des chimères, etc., etc., etc.
Tous ces jeux de l’imagination en montrent les écarts. Qu’aperçoit-on dans ces sortes de productions ? Les objets de la nature outrés ou défigurés, mais toujours les objets de la nature. Cela peut-il autoriser à établir la possibilité d’un art de pure invention ? Pour être en droit d’avancer cette prétendue possibilité, il faudrait prouver que les hommes peuvent concevoir des images qui n’aient aucun rapport avec les objets de la nature. Mais il est incontestable qu’il n’y a pas idée qui n’émane de la nature.[23]
Diventata il primo termine di riferimento del meccanismo conoscitivo, la natura è anche il modello a cui l’artista deve ispirarsi per l’ideazione delle proprie opere, con l’intento di trasmettere le medesime impressioni e sensazioni ricevute dall’universo circostante.
7. Il principio di imitazione della natura da parte delle beaux arts aveva trovato in Charles Batteux un tentativo di definizione all’interno di una rinnovata esigenza di riorganizzazione teorica delle arti, dei loro strumenti e principi fondanti. L’immaginazione propria del genio artistico viene quindi ricondotta entro i parametri del reale, poiché lo scopo principale non era la visualizzazione di ciò che non è, ma la sua scoperta e la sua resa artistica:
L’esprit humain ne peut créer qu’improprement ; toutes ses productions portent l’empreinte d’un modèle. Les monstres mêmes, qu’une imagination déréglée se figure dans ses délires, ne peuvent être composés que de partis prises dans la Nature. Et si le Génie, par caprice, fait de ces parties un assemblage contraire aux loix naturelles, en dégradant la Nature, il se dégrade lui-même, & se change en une espèce de folie. Les limites sont marquées, dès qu’on les passe on se perd. (...) Inventer dans les Arts, n’est point donner l'être à un objet, c’est le reconnoître où il est, & comme il est. (...) Le génie doit donc avoir un appui pour s’élever et se soutenir, et cet appui c’est la Nature. Il ne peut la créer : il ne doit point la détruire ; il ne peut donc que la suivre et l’imiter, et par conséquent tout ce qu’il produit ne peut être qu’imitation.[24]
L’invenzione
non
può che essere
imitazione[25]
e la natura si offre all’artista capace di osservarla nel
profondo come
ispirazione imprescindibile.
Nella
seconda metà
del XVIII secolo, tale presupposto teorico della creazione artistica
era ormai
universalmente accettato; tuttavia occorre precisare quanto il
riconoscimento di
un principio comune nella natura non sia proprio di
un’intuizione
prettamente settecentesca, quanto piuttosto la conclusione di una lunga
tradizione impegnata ad individuare i principi costitutivi delle arti
in
funzione di un costante tentativo di elevazione delle così
dette
‘arti meccaniche’ al rango di quelle liberali o
intellettuali[26].
All’interno di un lungo percorso teso a restituire
dignità alle
arti intellettuali, si collocano quindi i trattati dedicati alla
ridefinizione
del sistema delle arti, tra i quali compare appunto l’opera
di Batteux.
Proprio nel Settecento - e il pensiero di Batteux ne rappresenta la
prima
sistematica rappresentazione - viene delineandosi anche la distinzione
tra
beaux arts e arti
pratiche: se alle
prime appartengono la poesia, la pittura, la scultura, la musica, ecc.,
alle
seconde appartengono le arti meccaniche
stricto sensu
come quelle artigianali,
finalizzate alla concretezza, all’appagamento dei bisogni
primari
dell’uomo. Tra queste due posizioni si colloca secondo
Batteux una terza
via, che fa riferimento all’architettura e
all’eloquenza, le cui
finalità sono viste nell’unione di
utilità materiale e
piacevolezza intellettuale. In questo modo, se anche viene riconosciuto
all’architettura un valore artistico superiore alle arti
meccaniche ora
ben definite, essa rimane su un livello decisamente diverso da quello
comprendente la pittura o la scultura, innalzate ad un livello
intellettuale
maggiormente rilevante.
In
linea con la comune
concezione settecentesca, l’architettura (insieme
all’eloquenza)
veniva separata dalle altre arti proprio per le esigenze pratiche da
cui
nasceva, ovvero di fisica protezione, cui era necessario provvedere per
la
sopravvivenza stessa dell’uomo (così come
all’origine
dell’eloquenza stava il bisogno primario di comunicazione ed
associazione
comunitaria). Sebbene il
principio di imitazione della natura fosse attribuito anche all'architettura, l'esclusione di quest'ultima dalla tradizionale bipartizione tra arti
meccaniche e
liberali confermava il misconoscimento del suo valore pienamente
artistico, secondo una
tendenza caratteristica di tutto il secolo; persino Diderot,
la cui
riflessione sull’arte è forse la più
estesa e approfondita
rispetto a quella di ogni altro, lasciò
l’architettura in una
posizione subordinata rispetto alle altre arti, negandole il principio
di
imitazione della
natura[27].
8. Opposta è invece la posizione di Boullée, che rifiuta l’isolamento concettuale dell’architettura e riprende le affermazioni di Batteux alimentandole con un’ottimistica fiducia nella possibilità anche per la propria arte di ricollegarsi alla natura, al pari della pittura o della scultura. La convinzione dell’eguale percorso conoscitivo-creativo della composizione architettonica rispetto a quello delle altre arti è tanto più forte in Boullée, quanto più innovativo sembra essere l’argomentazione che struttura il suo discorso. Egli non si limita a trasporre pedissequamente il principio di imitazione dal gruppo di arti alle quali la tradizione ormai lo attribuiva, ma giunge a tali conclusioni come diretta conseguenza dell’adesione al sistema filosofico sensista: l’idea architettonica è, infatti, il prodotto finale di un percorso conoscitivo che, ugualmente a quanto è possibile affermare per ogni altro aspetto della conoscenza, nasce in primo luogo dalla natura, con cui l’uomo instaura una relazione sensibile e che solo l’artista è capace di riproporre. La «mis en œuvre» della natura diventa quindi l’oggetto proprio dell’arte, finalmente considerata in tutte le sue forme:
L’architecte, comme on le voit ici, doit ce rendre le metteur en œuvre de la nature, c’est avec ses dons précieux qu’il doit produire l’effet de ses tableaux et maîtriser nos sens. L’art de produire des images en architecture provient de l’effet des corps et c’est ce qui en constitue la poésie. C’est par les effets que produisent leurs masses sur nos sens que nous distinguons les corps légers des corps massifs et c’est par une juste application, qui ne peut provenir que par l’étude des corps, que l’artiste parvient à donner à ses productions le caractère qui lui est propre.[28]
La concezione architettonica dell’artista, contrariamente alla proposta del semplice costruttore, scaturisce da una comprensione della realtà e, soprattutto, dalla scoperta e codificazione dei sentimenti che essa è in grado di comunicare all’uomo; il progetto è ispirato quindi ad un’idea volta alla realizzazione di forme e spazi capaci di entrare in relazione con lo spettatore, in una tensione sensoriale e immaginativa simile a quella che l’artista aveva originariamente vissuto nel diretto contatto con il mondo che lo circondava. Boullée invita quindi ad un’accurata esplorazione dell’universo reale, le cui strutture devono essere individuate, interpretate e riprodotte in una composizione intensamente eloquente, decisamente artistica.
9. L’adesione alla
filosofia sensista costituisce dunque il punto di partenza di un
discorso che si
sviluppa coinvolgendo non soltanto il grande dibattito sulla
dignità
delle arti e sulla loro gerarchizzazione, ma anche questioni inerenti
alla
creazione architettonica vera e propria. Dopo aver affermato
l’inevitabile
legame che l’artista deve instaurare con la natura, dopo aver
giustificato
tale scelta organizzativa sulla base di un sistema gnoseologico di cui
si
dichiara continuatore, Boullée approfondisce un tema caro
alla cultura
illuminista, ovvero il rapporto che si instaura tra ambiente e
benessere umano,
che lo porta a definire non soltanto un innovativo concetto di un certo
‘funzionalismo’, ma anche i confini di una
concezione di
città e di comunità umana che testimonia la
parziale inadeguatezza
dei criteri di giudizio contemporanei.
Impostando il discorso in maniera
radicalmente differente rispetto a quella dei teorici che lo avevano
preceduto,
abbandonando la tradizionale specificità tecnica in favore
di una
riflessione di maggiore stimolo intellettuale, Boullée
compone pertanto
un trattato che annuncia una nuova architettura, le cui basi sono
reperibili
nelle tendenze gnoseologiche settecentesche ed il cui stile si
riallaccia ai
parametri dettati dalle floride discussioni estetiche del tempo.
L’originalità
dell’Essai
risiede non soltanto
nella riuscita sintesi delle istanze contemporanee, ma anche nel
tentativo di
attribuire all’architettura una funzione sociale che sembra
anticipare
quella attribuitale in epoca rivoluzionaria. L’arte di
Boullée
infatti non è più scienza della costruzione,
necessaria alla
sopravvivenza della comunità nell’offerta di
rifugio, protezione e
spazio adeguato ad ogni attività del vivere comune, ma
diventa parte
essenziale dell’accrescimento umano e, soprattutto, della sua
felicità. La sua arte aspira a partecipare attivamente al
miglioramento
della condizione umana facendosi portatrice di valori di interesse
universale.
Rispondendo all’esigenza di uno spazio fisico
convenientemente
concepito, l’architettura provvede ai bisogni primari
dell’uomo[29];
e proprio tale dimensione di immediata pragmaticità aveva
originato
quella confusione tra arte e scienza della costruzione che
Boullée
intende oltrepassare. La dignità artistica
dell’architettura viene
infatti affermata in virtù della caratterizzazione
dell’attività creativa che deve sottostare al
concepimento del
progetto, i cui apporti culturali rinviano ad una serie di questioni al
centro
dei dibattiti del tempo. Poiché l’arte
architettonica si posiziona
ad un livello superiore rispetto alla semplice costruzione,
poiché il
compito primo è la «mis en
œuvre» della natura,
implicante un valore ben più profondo di una progettazione
inaridita dal
rigidismo tecnico, l’architettura di Boullée
acquisisce una
funzione sociale indispensabile ai progressi
dell’umanità, non
soltanto da un punto di vista pratico, ma anche, e soprattutto,
nell’aspetto spirituale: rendendosi suscettibile di
un’azione
pedagogica, essa può risultare incredibilmente benefica per
l’intera comunità proprio perché
è stata finalmente
riconosciuta come attività incaricata di realizzare
materialmente delle
idee e dei valori. Il suo obiettivo è quindi la trasmissione
di un
messaggio, legato alla natura del progetto in questione, ma sempre di
importanza
sociale rilevante e che si imprime nell’uomo attraverso il
suggerimento di
specifici sentimenti:
L’architecture est un art par lequel les besoins les plus importants de la vie sociale sont remplis. Tous les monuments sur la terre propres à l’établissement des hommes sont crées par les moyens dépendant de cet art bienfaiteur. Il maîtrise nos sens par toutes les impressions qu’il y communique. Par les monuments utiles, il nous offre l’image du bonheur ; par les monuments agréables, il nous présente les jouissances de la vie ; il nous enivre de la gloire par les monuments qu’il lui élève ; il ramène l’homme à des idées morales par les monuments funéraires et, par ceux qu’il consacre à la piété, il élève notre âme à la contemplation du Créateur.[30]
10. La
progettazione poggia
così su due elementi tra loro strettamente connessi: da una
parte la
natura, unica sorgente di ispirazione delle forme e delle percezioni
sensoriali-sentimentali che si vogliono mettere in scena,
dall’altra la
funzione cui è destinata la costruzione finale, punto di
riferimento di
un’immaginazione artistica che deve utilizzare le impressioni
ricavate
dall’esterno per elaborarle in un nuovo spazio fisico
impregnato del
valore sociale cui è preposto. L’eloquenza di un
edificio risiede
nella sua capacità di materializzare gli scopi civici che si
svolgeranno
all’interno e che costituiscono il nucleo del messaggio che
si aspira a
veicolare. In questo modo Boullée stabiliva, sebbene su un
piano ancora
implicito, i principi di una vera e propria «architettura
parlante»[31],
dove l’idea
architettonica era costruita intorno ad un discorso che è in
primo luogo
un insegnamento civico. La costruzione diventa comunicazione; passaggio
questo
che adempie al ruolo sociale attribuito da Boullée ad una
nuova
architettura arricchita di poesia,
che
non è più ornamento, ma indicatore di
espressività[32].
Egli
ripudia la concezione
della costruzione come oggetto di effimera gradevolezza per abbracciare
quel
principio dell’utile che stava conducendo la riflessione
contemporanea
alla definizione del criterio di ‘funzionalismo’.
L’artista
è quindi chiamato a progettare grandiosi edifici nei quali
le
attività umane possano svolgersi nella maniera
più adeguata: ogni
spazio deve essere pensato in funzione dei movimenti, delle operazioni,
del
lavoro dei futuri fruitori della struttura. Tuttavia, per quanto tale
convinzione sia il prodotto di una profonda accettazione di canoni
costruttivi
che si stavano delineando anche al di fuori dell’elaborazione
teorica di
Boullée, il suo funzionalismo non sembra obbedire ad un
criterio
utilitaristico inteso in senso esclusivamente pragmatico: infatti, ogni
edificio
deve essere concepito non soltanto per rispondere ad esigenze
strettamente
pratiche, ma anche per materializzare il significato stesso della
costruzione,
il valore delle azioni destinate a svolgersi al suo interno, che ne
giustificano
la stessa edificazione. La creazione di Boullée oltrepassa i
confini di
una sorta di funzionalismo pragmatico per accedere ad un livello
ideologicamente
più profondo: affermando l’importanza della
‘visibilità’ come dimensione necessaria
dell’idea
architettonica, egli carica di un gravido simbolismo i prodotti della
progettazione, la cui efficacia è misurata in proporzione
alla
capacità di materializzare nella pietra
dell’edificio lo scopo
civile di originaria ispirazione; in questo modo, la costruzione finale
intende
essere vera e propria concretizzazione di un sistema di valori sociali
continuamente riproposti alla cittadinanza. L’architettura
coinvolge
perciò la comunità in maniera totalizzante,
assecondandola nelle
proprie attività, celebrandola e soprattutto facendosene
costante
educatrice.
Boullée propone uno strumento teorico in grado di
aiutare l’artista nel processo immaginativo verso la
concezione di edifici
il cui ‘effetto’ si trasmetta allo spettatore
attraverso
l’iniziale percezione sensoriale poi tradotta in linguaggio
dell’esprit;
tale strumento
teorico è rappresentato dal caractère,
la cui
definizione non è esclusiva invenzione di
Boullée, ma originaria
reinterpretazione di suggerimenti
precedenti[33]:
Portons nos regard sur un objet ! Le premier sentiment que nous éprouvons alors vient évidemment de la manière dont l’objet nous affecte. Et j’appelle caractère l’effet qui résulte de cet objet et cause en nous une impression quelconque.
Mettre du caractère dans un ouvrage, c’est employer avec justesse tous les moyens propres à ne nous faire éprouver d’autres sensations que celles qui doivent résulter de son sujet.[34]
O ancora:
L’impression subite que nous éprouvons à la vue d’un monument d’architecture naît de la formation de son ensemble. Le sentiment qui en résulte constitue son caractère ; ce que j’appelle mettre du caractère dans un ouvrage, c’est l’art d’employer dans une production quelconque tous les moyens propres et relatifs au sujet que l’on traite, en sorte que le spectateur n’éprouve d’autres sentiments que ceux qui le sujet doit comporter, qui lui sont essentiels et dont il est susceptible.[35]
11. Diversi
elementi
concorrono alla resa effettiva del carattere proprio a ciascun
edificio:
l’imponenza e la grandiosità stimolano nello
spettatore sensazioni
di rispetto, il sapiente utilizzo delle colonne crea una
moltiplicazione che
infonde l’idea di imperscrutabile mistero; nel
Projet pour le Palais de
justice[36]
la maestosità è accolta per richiamare a tutti la
suprema
autorità della legge e il valore di quanti sono chiamati ad
amministrarla; l’incisione delle leggi sulla facciata del
Palais national ricorda
la comune
partecipazione ad una
comunità[37];
o infine, la varietà compositiva di un’immensa
Bibliothèque[38],
dove la circolarità di piani sovrapposti lungo un anfiteatro
simboleggiano la trasmissione della cultura, la sua circolazione, in
una
dimensione di sentita aggregazione sociale, fisica ed intellettuale.
Ma
tra tutte le proposte
avanzate da Boullée, quella che lo caratterizza maggiormente
è il
gioco di luci ed ombre attraverso la cui composizione è
possibile
definire con maestria il
caractère
di ogni edificio. In
particolare, due progetti, lungamente descritti, sembrano meglio
chiarire la
concezione di Boullée: il
Cénotaphe
à Isaac
Newton[39],
e la
Basilique[40].
Il
primo appartiene al
ciclo dei Monuments
funèbres,
che inducono Boullée a meditare su quale sia la forma
più adeguata
alla memoria dei defunti, alla trasmissione del loro valore ai posteri:
da
quelle composizioni deve scaturire una sconfinata impressione di
tristezza, cui
si giunge mediante l’accurata diffusione di luci ed ombre che
illuminano e
nascondono l’artificiosità della costruzione
combinata con una
natura confortante e misteriosa, rassicurante e al tempo stesso
imperscrutabile[41].
Anche nel celebre Cénotaphe,
dove si compie una straordinaria fusione tra
funzione e simbologia,
la luce copre
un ruolo determinante nell’equilibrare natura ed artificio:
una gigantesca
sfera, parzialmente nascosta da un’alta muraglia, richiamo
all’entroterra e alla morte, circondata da tre filari di
cipressi. Nella
versione notturna, la volta si apre all’infinità
dell’universo, aspirando a quegli astri che quello
«spirito
sublime» aveva esplorato:
Mon imagination parcourait les grandes images de la nature. Je gémissais de ne pouvoir les rendre. C’était dans le séjour de l’immortalité, c’était dans le ciel que je voulais placer Newton. Avec le dessin sous les yeux, on verra ce qu’on aurait regardé comme impossible. On verra un monument dans lequel le spectateur se trouverait, comme par enchantement, transporté dans les airs et porté sur des vapeurs de nouages dans l’immensité de l’espace. (...) La forme intérieure de ce monument est, comme on le voit, celle d’une vaste sphère dans laquelle on arrive à son centre de gravité par une ouverture pratiquée dans le socle, sur lequel est placé le tombeau. (...)[42]
L’interno della sfera viene illuminato dalla luce degli astri che vi penetra attraverso piccole aperture su tutta la superficie; in questo modo, lo splendore della natura non soltanto diviene parte integrante dell’opera architettonica, ma ispirando l’artificio costruttivo ne diventa l’essenza stessa. Egli trova quindi gli strumenti necessari al suo lavoro nella natura, dove si nascondono quelle purezze di forme e sensazioni che devono costituire l’oggetto dell’imitazione artistica:
La lumière de ce monument, qui doit être semblable à celle d’une nuit pure, est produite par les astres et les étoiles qui ornent la voûte du ciel. La disposition des astres est conforme à celle de la nature. Ces astres sont figurés et formés par des petits ouvertures percées en entonnoir dans l’extérieur de la voûte, et qui, venant aboutir dans l’intérieur, prennent la figure qui leur est propre. Le jour du dehors, pénétrant à travers ces ouvertures dans ce sombre intérieur, dessine tous les objets exprimés dans la voûte par la lumière la plus vive et la plus étincelante. (...)
Les effets de ce grand tableau sont, comme on le voit, produits par la nature. On ne pouvait y parvenir par des moyens d’art usité. Il serait impossible de rendre en peinture l’azur d’un ciel de nuit pure, sans aucun nouage, dont la couleur peut être à peine distinguée, étant dépourvue de nuances et de dégradations, et sur le ton rembruni duquel il faut que les astres, brillants de lumière, se détachent crûment et vivement.[43]
12. La
disposizione delle
forme in una composizione che assecondi il bilanciamento di luci ed
ombre
diventa l’elemento caratterizzante
dell’architettura auspicata da
Boullée; nella luce e nell’ombra,
nell’equilibrio che si crea
tra la loro enfatizzazione e la loro limitazione, la composizione
artistica
trova un punto di appoggio di eccezionale valore,
un’ispirazione per la
realizzazione di un intenso dialogo tra lo spettatore e
l’edificio.
Richiamando la relazione che l’uomo instaura originariamente
con la
natura, la combinazione di superfici piene e spazi liberi, tra
visibilità
e oscurità, tra chiarezza e mistero, imprime forti emozioni,
talvolta
rassicuranti, talvolta spaventose, strumento per consegnare ad ogni
monumento il
caractère
che deve
contraddistinguerlo.
Anche nella
Basilique,
luce ed ombra partecipano
ad un medesimo tentativo compositivo, intendendo suggerire allo
spettatore
quell’aurea di sacralità che si addice al luogo.
Elaborando un
parallelismo tra il mistero religioso e quello percepibile in una
foresta, dove
la natura scherza con l’oscurità,
Boullée comprende quanto
sia spiazzante l’effetto della luce che irrompe decisa in uno
spazio buio
e invita alla costruzione di un luogo sacro dove
l’illuminazione
accompagni le funzioni del culto in una danza sofisticata destinata ad
imprimersi durevolmente
nell’esprit
dei fedeli. Punto di
partenza sono quindi le sensazioni che Boullée afferma di
aver provato
nel percorrere una foresta; sensazioni che connette alle
modalità
attraverso cui la luce si diffonde in quel particolare luogo,
ostacolata dagli
alberi, tenue ma presente ovunque, che ispira l’idea di
trovarsi quasi in
un luogo sospeso, tra concretezza e
autre, tra
realtà e
inconnu:
J’obtins enfin une lueur d’espérance en me rappelant les effets sombres ou mystérieux que j’avais observés dans les forêts et les diverses impressions qu’ils m’avaient fait éprouver ; j’entrevis que, s’il y avait quelque moyen de remplir les vues dont j’étais pénétré, il ne pouvait consister que dans la manière d’introduire la lumière dans le temple. Je raisonnais ainsi. C’est la lumière qui produit les effets. Ceux-ci nous causent des sensations diverses et contraires suivant qu’ils sont brillants ou sombre.[44]
Gli effetti che la luce produce al contatto con le forme, illuminandole o lasciandole in ombra, colpiscono lo spettatore che ne recepirà sensazioni rispettivamente di gioia o tristezza; ma soprattutto, l’equilibrio tra le due e il mistero della loro compartecipazione ad un medesimo momento di unione tra l’uomo e il divino, sembrerà tanto più incisivo quanto più celata sarà la sorgente della luce che si diffonde nella chiesa:
Que je puisse parvenir à répandre dans mon temple de magnifiques effets de lumière, je porterai dans l’âme du spectateur le sentiment du bonheur; je n’y porterai au contraire que celui de la tristesse quant le temple ne présentera que des effets sombres. Si je peux éviter que la lumière arrive directement et la faire pénétrer sans que le spectateur aperçoive d’où elle part, les effets résultants d’un jour mystérieux produiront des effets inconcevables et en quelque façon une espèce de magie vraiment enchanteresse.[45]
Capace di dispensare la luce a suo piacimento, Boullée insiste sulla potenza di un tale strumento ai fini della progettazione architettonica, per imprimere negli animi sensazioni originariamente recuperabili nella natura, sensazioni che sono ora diventate il nucleo concettuale della creazione artistica. Attraverso la manipolazione della luce, egli sarà in grado di determinare le sensazioni dello spettatore; così, in questo caso, quell’alternanza tra chiaro e scuro che è riuscito a riprodurre all’interno della basilica, stimolerà un sentimento religioso adeguato alla cerimonia del momento:
Maître de dispenser à mon gré la lumière, je pourrais en diminuant le jour inspirer à l’âme le recueillement, la composition et même aussi une frayeur religieuse, surtout si, au moment des cérémonies lugubres qui tendent à exciter ces sentiments, j’ai soin de décorer le temple d’une manière analogue. Au contraire, que, pendant les cérémonies qui doivent exciter la joie, les effets de la lumière soient éclatants, que le temple soit parsemé des fleurs, il en résultera un tableau majestueux et touchant qui répandra dans l’âme un sentiment délicieux.
Ces réflexions ranimèrent mon courage. Alors, je ne pensais plus qu’à mettre en œuvre tous les moyens que m’offrait la nature. Je me dis alors, et je l’avoue avec une certaine fierté : ton art va te rendre maître de ces moyens et, toi aussi, tu auras quelque lieu de dire fiat lux ; à ta volonté, le temple sera éclatant de lumière ou il ne sera plus que le séjour des ténèbres. Et bientôt je ne m’occupa plus que d’architecture.[46]
13. Dimostrandosi
estremamente consapevole delle discussioni che coinvolgevano numerosi
intellettuali contemporanei, Boullée non soltanto aveva
costruito il
proprio discorso su un sistema culturale di rilevante interesse, ma era
anche
riuscito ad apportare un originale contributo a quelle medesime
teorizzazioni
proprio nel momento in cui esse venivano applicate ad una disciplina
particolare
come l’architettura. Egli partecipò dello slancio
intellettuale
illuministico con un approccio innovativo che stabiliva le basi per una
nuova
considerazione dell’architettura, destinata a riscuotere
grande successo
in epoca rivoluzionaria.
Tuttavia, oltre a definire le fondamenta di una
nuova architettura, Boullée applica le sue stesse
convinzioni teoriche
all’attività progettuale vera e propria, alla
creazione di maestosi
edifici sinteticamente descritti, ma soprattutto efficacemente
rappresentati nei
disegni. Non potendo in questa sede entrare nello specifico delle
strutture
concepite da Boullée, interessa notare come esse siano da
collocarsi su
un piano immaginario che le mette in relazione l’una con
l’altra,
generando l’edificazione di un’intera
città. Non
autonomamente considerate, ma disposte in una visione più
complessa,
urbana appunto, quelle creazioni testimoniano non soltanto la
necessità
di offrire modelli immediati a supporto delle teorie esposte, quanto
piuttosto
il sentito desiderio di offrire una proposta di sistemazione cittadina,
avvertita ormai come improrogabile.
Nel corso del XVIII secolo la
progressiva crescita delle città europee aveva portato alla
luce problemi
organizzativi a lungo lasciati senza
soluzione[47].
Nel caso della Francia, durante il regno di Luigi XV si succedettero
numerosi
tentativi di sistemazione urbana, che tuttavia concedevano poco spazio
al
ripensamento dell’intero piano cittadino per agire in
specifici punti,
isolandone l’effetto benefico. In particolare, la maggiore
preoccupazione
era rappresentata dalle piazze parigine e molte di esse furono
l’oggetto di
ripetuti progetti e lavori. Tale entusiasmo architettonico, per quanto
lacunoso
e riluttante alla radicale riorganizzazione, proseguì anche
sotto Luigi
XVI, almeno fino alla metà degli anni ’80; ma la
natura degli
interventi rimaneva scissa dalla città complessivamente
pensata, confusa
e certamente di scarso vantaggio al miglioramento delle condizioni
generali[48].
Se
da una parte le
autorità davano segno di voler intervenire nel tessuto
urbano, sebbene
alla fine non riuscissero a modificarne nel profondo
l’organizzazione,
dall’altra parte cresceva l’attenzione al problema
in termini di
riflessione intellettuale. La critica alle mancanze della contingenza
diventava,
inoltre, tanto più insistente quanto più radicata
era la
convinzione che esistesse un legame imprescindibile tra la percezione
del mondo
esterno e la felicità dell’uomo; tale
associazione, che
convergerà nella formulazione del principio di determinismo du milieu, si
accompagnava
all’ottimistica fiducia nella possibilità di
imprimere una
tangibile trasformazione nello sviluppo della comunità
umana. La fede
nell’attuabilità di un cambiamento si
manifestò quindi nella
crescita della pubblicistica polemica, dove i partecipanti si
riconoscevano in
una comune adesione ad uno slancio critico e progettuale aspirante
all’effettivo miglioramento della realtà,
considerata in tutte le
sue componenti.
La drammatica osservazione dei problemi che affliggevano la
città contemporanea coinvolse anche numerosi architetti;
eppure si
registra una tendenza generale all’attaccamento alla
tradizionale
concezione di intervento urbano, inteso nella sua
specificità, di isolata
impresa, scisso da un legame ad un piano più ampio e
problematico. Anche
Pierre Patte e Marc-Antoine Laugier, che restano comunque i padri della
pre-urbanistica francese, non riuscirono ad abbracciare una dimensione
radicalmente nuova, ma perseguivano a riferirsi ad autonomi interventi
migliorativi. Eppure entrambi mostrarono chiaramente di aver elaborato
una
riflessione sull’architettura cittadina decisamente ampia e
complessa,
avendo compreso il valore di un piano generale che rendesse omogeneo ed
armonico
lo spazio comunitario. Scriveva ad esempio Laugier:
Le goût des embellissements est devenu general, il est à souhaiter pour le progrès des arts, que ce goût persevére & se perfection. Mais ce goût ne doit point se borner aux maisons des particuliers, il doit s’étendre aux Villes entières. La plupart de nos villes sont restés dans l’état de négligence de confusion & de désordre, où les avoit mis l’ignorance & la rusticité de nos ancien. On bâtit des nouvelles maisons : mais on ne change pas la distribution des rues, ni l’inégalité difforme des décorations faites au hasard & selon le caprice de chacun. Nos Villes sont toujours ce qu’elles étoient, un amas de maisons entassées pêle-mêle sans sistème, sans œconomie, sans dessin. Nulle part ce désordre n’est plus sensible & plus choquant que dans Paris.[49]
14. Tuttavia le iniziali
prese di posizione di Laugier non confluiscono in un discorso
architettonico
articolato su un piano generale e il capitolo dedicato
all’«embellissement des villes» finisce
per trovarsi inserito
all’interno di un trattato che testimonia la persistenza di
una visione
che, per quanto almeno in parte certamente innovativa, rimane legata al
tradizionale criterio di
embellissement,
risolvendosi nella
descrizione di interventi scarsamente pianificati, solitamente
consistenti in
singole trasformazioni disgiunte da una generale e decisamente
più
incisiva riorganizzazione urbana.
L’argomentazione di Patte sembra
compiere il medesimo percorso; anche qui l’esigenza di un
necessario
ripensamento della teoria della progettazione in un’ottica
urbana si
affaccia con forza:
Le hasard n’a pas moins présidé à leur [delle città] distribution général qu’à leur emplacement. Pour s’en convaincre, il ne faut que jetter les yeux sur leur ensemble, pour s’appercevoir qu’elles ne sont toutes que des amas de maisons distribuées sans ordre, sans entente d’un plan total convenablement raisonné, & que tout le mérite des Capitales les plus vantées, ne consiste qu’en quelques Quartiers assez bien bâtis, qu’en quelques rues passablement alignées, ou qu’en quelques monumens publics, recommandables, soit par leur masse, soit par le goût de leur architecture. Sans cesse on remarquera qu’on a tout sacrifié à la grandeur, à la magnificence, mais qu’on a jamais fait d’effort pour procurer un véritable bien-être aux hommes, pour conserver leur vie, leur santé, leurs biens, & pour assurer la salubrité de l’air de leurs demeures.[50]
Alla
casualità e al disordine che sottostavano allo sviluppo
delle
città, determinandone inevitabili manchevolezze
pratiche[51],
Patte opponeva quindi un
principio di razionalizzazione che ordinasse l’intero tessuto
urbano;
tuttavia, nonostante tali intuizioni, la sua opera converge rapidamente
verso il
modello di trattato tradizionale, dove riconquistava un peso
considerevole la
codificazione stilistica degli elementi propri delle costruzioni
particolari,
perdendo di vista il più vasto contesto cittadino a cui
sembrava aver
guardato inizialmente.
Certamente
le formulazioni
di entrambi i teorici testimoniano la presenza di un substrato
culturale
particolarmente favorevole alla elaborazione architettonica in senso
urbanistico, di cui essi restano senza dubbio tra gli esempi
più
autorevoli; ma allo stesso tempo, proprio i limiti concettuali entro i
quali le
loro opere si ritirano sembrano indicare l’incompiutezza
dello sviluppo
del discorso cittadino, l’incapacità di pensare
una pianificazione
decisa e complessiva, capace di inserire quegli autonomi
embellissements
all’interno di
una visualizzazione maggiormente coordinata.
Al contrario, Boullée
si fece portatore di una proposta innovativa: per quanto
l’Essai
non debba affatto essere
considerato un primo esempio di trattato urbanistico, la
città che emerge
dalle sue pagine viene finalmente considerata nella sua
complessità, come
un insieme organico il cui ripensamento è necessario al
benessere dei
suoi abitanti. Non solo, ma proprio in virtù del valore
profondo
pedagogico che Boullée attribuisce alla propria
architettura, la sua
città è un monumento vivente, realizzazione di
principi
illuministi e innovazioni personali, visione di uno spazio unico dove
l’uomo può finalmente essere felice.
15. Il pensiero di
Boullée trova nell’uomo il punto di riferimento
determinante.
Nell’adesione al sistema sensista egli testimoniava il
riconoscimento
dell’uomo come sperimentatore attivo dell’universo,
che prendeva
forma nella sua immaginazione attraverso la fisicità di
percezioni
operanti su un tessuto conoscitivo del tutto libero da ogni forma di
consapevolezza anteriore. Ma l’uomo di Boullée
è soprattutto
un cittadino, che vive l’aggregazione comunitaria come
occasione di
accrescimento individuale e di intermediazione verso un
bonheur
altrimenti irraggiungibile.
L’architettura dell’Essai
pare funzionale alla realizzazione di uno spazio adeguato alle
attività
umane, ma soprattutto all’accompagnamento della
società lungo una
positiva evoluzione; gli edifici proposti si ergono come monumenti
pedagogici di
incommensurabile valore, in una tensione costante alla
materializzazione di una
collettività rinnovata dai progressi del secolo.
La considerazione
dell’architettura come strumento di educazione civile,
attuabile soltanto
nell’edificazione di monumenti concettualmente ricchi ed
eloquenti,
verrà esplicitata con forza in epoca rivoluzionaria, quando
si registra
una considerevole crescita delle preoccupazioni per
l’ambiente cittadino
da parte degli uomini politici. In particolare, come già
riportava
Pérouse de Montclos, il sistema di Boullée
può spesso
essere messo in relazione al discorso pronunciato dal deputato Armand
Guy
Kersaint di fronte al Conseil
du
département de Paris, il 15 dicembre 1791, che
richiedeva un
rinnovamento urbano che non soltanto provvedesse alla soluzione di
problemi
concreti di indubbia gravità, ma che anche collaborasse
all’educazione e celebrazione di un popolo trasformato,
radicalmente
rinnovato. Veniva perciò esaltato il potere
dell’architettura, come
mezzo a disposizione del potere politico per coinvolgere gli individui
in un
unico corpo civile, richiamando loro i valori fondamentali attraverso
la
riconsiderazione dell’intero patrimonio simbolico:
Je vous parlerai donc ici que des monuments à faire : je les considérerai sur-tout dans leurs rapports avec la révolution : c’est par elle et pour elle que nous sommes ; nous lui devons l’hommage de nos premiers travaux. Affermissons la liberté, et tout deviendra facile. Pour y parvenir, joignons aux instructions de la parole le langage énergique des monuments : la confiance, qu’il est si nécessaire d’inspirer sur la stabilité de nos nouvelles loix, s’établira, par une sorte d’instinct, sur la solidité des édifices destinés à les conserver et en perpétuer la durée.[52]
I monumenti elevati alla gloria della Rivoluzione aspiravano a diventare strumenti di attivazione dei meccanismi della memoria, non tanto in funzione di una autocelebrazione fine a stessa, che tentasse di sopravvivere imprimendosi nella durevolezza dell’architettura, quanto piuttosto all’interno di una dimensione fortemente pedagogica, volta all’insegnamento perpetuo dei valori che hanno ispirato il coraggioso cammino di fuoriuscita dalla «tyrannie». Attraverso grandiose costruzioni, la cittadinanza presente e quella futura sarebbero state educate al nuovo sistema di riferimento, ma soprattutto, sarebbe stata esaltata l’azione dell’uomo rivoluzionario che aveva attualizzato la libertà laddove vigeva invece soltanto servitù:
Songez que ce peuple, qui renversera dans un jour la tyrannie de quatorze siècles, détournant aujourd’hui ses regard de ces places, de ces statues, de ces arcs de triomphe, élevés par-tout pour éterniser le souvenir de la servitude, doit s’indigner de ne rencontrer encore aucune monument de la conquête de sa liberté. (...)
... il convient d’appeler vos regards sur l’ensemble et la nature des édifices publics dont le département de Paris est, en quelque sorte, comptable à la postérité qui s’avance, et à cette génération qui, sans doute, ne doit pas s’écouler sans avoir vu ces mots gravés sur le marbre et l’airain : Nous naquîmes dans la servitude ; la mort nous a trouvés libres.[53]
16. La nuova architettura avrebbe dovuto elevare monumenti alla libertà e alle leggi, che attirassero l’individuo attraverso una composizione concepita in modo tale da suggerire l’esistenza di un secondo livello di analisi, che si sviluppava nella meditazione sulle fondamenta della nuova società rivoluzionaria:
Si j’avois à parler des hommes pris au hasard et qu’il fallût instruire, je m’arrêterois avec plus de détail sur l’importance des monuments publics, sur leurs rapports avec les mœurs et la législation, sur la nécessité de frapper l’esprit de la multitude par le concours des objets extérieurs, dans le même temps où l’on cherche à la convaincre par des raisonnements. Ce qu’on fait les imposteurs au nom de Dieu, au nom des rois, pour asservir les esprits et captiver les hommes, faites-le, leur dirons-je, au nom de la liberté et de la patrie ; et que l’exemple de ceux qui surent fonder parmi nous, et d’une manière si durable, l’empire de l’erreur, ne soit pas perdu pour les promoteurs de la vérité et les fondateurs d’une constitution qui garantit à l’homme ses droits inaliénables.
Mais, vous en êtes déjà convenus, tout ce que les philosophes ont imaginé pour fortifier les sentiments humains par le concours de toutes les sensations doit être mis en usage en faveur de l’amour et du respect qu’il est nécessaire d’inspirer pour les loix. Là où la force ne règne pas, la puissance publique est dans l’opinion. Faisons donc tout ce qui peut dépendre de nous pour développer cette opinion créatrice et conserver de la paix sociale dans un pays libre.[54]
Nella
formulazione del suo
pensiero, Boullée ebbe come iniziale punto di riferimento
l’enunciazione di principi architettonici validi a supportare
il lavoro
degli specialisti; rivolgendosi molto probabilmente ai suoi allievi,
con
l’Essai
egli intendeva delineare
le fondamenta di una nuova concezione dell’arte,
affinché le
creazioni che ne scaturissero fossero innovative. Eppure,
l’Essai
non si dilunga
nell’esplicazione dei processi costruttivi, né
tanto meno nella
minuziosa descrizione delle componenti architettoniche adeguate al
gusto e alle
esigenze stilistiche del tempo; al contrario, viene fornito assai
sinteticamente
lo scheletro portante del processo creativo, argomentato sulla base di
teorie
filosofiche affatto nuove, ma applicate in maniera evidentemente
originale.
Proprio per questo, il pubblico che voleva conquistare non era composto
solo dai protagonisti dell’architettura, che ne avrebbero
ricavato
indicazioni decisamente lacunose ai fini della concreta fase operativa,
quanto
piuttosto da una più ampia comunità
intellettuale. Boullée
si faceva portatore di una sentita esigenza di rinnovamento umano,
possibile
solo attraverso il ripensamento dell’ambiente fisico in cui
l’individuo combatte per la propria felicità. La
nuova architettura
si poneva così al servizio del miglioramento generale,
inseguito
attraverso il concepimento di spazi finalmente
utili,
concretamente ed
ideologicamente. Inediti spazi che non sono il risultato di timidi
interventi
migliorativi, quanto piuttosto gli elementi di una strutturazione,
quasi
ex novo, di
un luogo
‘altro’, esteticamente gradevole, pragmaticamente
funzionale e
radicalmente simbolico.
1. Cénotaphe de Newton, versione diurna[55]
2. Cénotaphe de Newton, versione notturna
3. Cénotaphe de Newton, esterno
[1] La vasta produzione di teorie architettoniche è oggetto di studio di una cospicua riflessione storiografica volta all’individuazione delle linee generali entro le quali si sarebbe sviluppata la riflessione artistica da parte dei suoi stessi professionisti. In particolare, si indicano i lavori di: Fichet, François, La théorie architecturale à l'âge classique, Bruxelles-Lièges, Pierre Mardaga éditeur, 1979; Gambuti, Alessandro, Dibattito sull’architettura nel Settecento europeo, Firenze, Alinea editrice, 1981; Kruft, Hanno-Walter, Geschichte der Architekturtheorie: von der Antike bis zur Gegenwart, München, C.H. Beck, 1985 (ed. it.: Storia delle teorie architettoniche da Vitruvio al Settecento, Bari, Laterza, 1988); Szambien, Werner, Symétrie, goût, caractère. Théorie et terminologie de l’architecture à l'âge classique, 1550-1800, Paris, Picard, 1986; Vidler, Anthony, The writing of the walls: architectural theory in the late enlightenment, Princeton, Princeton Architectural Press, 1987; German, Georg, Vitruve et le Vitruvianisme. Introduction à l’histoire de la théorie architecturale, Lausanne, Presse polytechnique et universitaire romandes, 1991; Mallgrave, Harry Francis, Modern architectural theory: a historical survey, 1673-1968, Cambridge, Cambridge University Press, 2005.
[2] Dalla consultazione di alcune delle principali opere di architettura è immediatamente percepibile quanto la riflessione fosse orientata verso la ricerca di una codificazione di precise regole costruttive, di indicazioni pratiche volte all’edificazione di strutture di buon gusto e corrispondente alle esigenze stilistiche dell’epoca. Scrive ad esempio Jacques-François Blondel nella préface al Cours d’architecture (1771-1777): « On peut dire que, jusqu’à présent, nous n’avons pas eu encore de Cours d’Architecture, qui embrasse toutes les parties de cet Art. (...) François Blondel, célèbre Architecte, ne nous à guère parlé, dans le sien, que des ordres suivantes les anciens & les modernes, des Arc de Triomphe, des Ponts; à quoi il a ajouté les Descriptions de quelques Édifices qu’il a fait exécuter. Il manque à cet Ouvrage, d’ailleurs excellent, les principes de la construction, de la distribution, & de la décoration intérieure...» (Blondel, Jacques François, Cours d’architecture ou traité de la distribution & construction, contenant les leçons données en 1750, & les années suivantes, t. I, Paris, Desaint, 1771, p. xi). Egli si riferisce al celebre Jean-François Blondel, le cui riflessioni, ed in particolare il testo Architecture françoise, ou Recueil des plans, élévations, coupes et profils des églises, maisons royales, palais, hôtels & édifices les plus considérables de Paris, Paris, Charles-Antoine Jombert, 1752-1756, costituiva un solido punto di riferimento per gli architetti del tempo. Tuttavia, nonostante le critiche rivolte al maestro, lo stesso Jacques-François Blondel finiva per enunciare una serie di preposizioni stilistiche che sembrano ancora legate ad un approccio prevalentemente tecnico, dove non vi è spazio per riflessioni ulteriori, di interesse culturale più generale.
[3] Si pensi, ad esempio, alle opere di Pierre Patte e Marc-Antoine Laugier, dove l’architettura emergeva come un’attività dalla considerevole importanza sociale: dal momento in cui comincia ad assumere rilevanza crescente il desiderio di riorganizzare la città nella sua interezza, dal momento in cui le singole strutture architettoniche vengono considerate in una dimensione che è sempre meno autonoma e sempre più connessa ad un insieme composito e complesso, nonostante i limiti che avremo modo di osservare più avanti, l’architettura della città scivola entro i confini di una pre-urbanistica che, per quanto ancora immatura, intende coinvolgere tutta la comunità nella costruzione di uno spazio migliore per le esigenze quotidiane. Per un approfondimento della concezione architettonica di Patte e Laugier, si rimanda a Mae, Mathieu, Pierre Patte, sa vie et son œuvre, Paris, Alcan, 1940 e Ugo, Vittorio (a cura di), Laugier e la dimensione teorica dell’architettura, Bari, Dedalo, 1990. Per comprendere il loro ruolo all’interno dello sviluppo di determinate esigenze che confluiranno nella nascita della scienza urbanistica vera e propria pare inoltre necessario ricorrere a studi storiografici specialistici tra cui Lavedan, Pierre, Histoire de l’urbanisme à Paris, Paris, Hachette, 1975; Sica, Paolo, Storia dell’urbanistica. Il Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1976; Pérouse de Montclos, Histoire de l’architecture française. De la Renaissance à la Révolution, Paris, Mengès, 1989.
[4] Per un approfondimento sulle vicende biografiche di Boullée si rimanda ai seguenti studi: Madec, Philippe, Boullée, Paris, Hazan, 1986; Pérouse de Montclos, Jean-Marie, Étienne-Louis Boullée (1728-1799). De l’architecture classique à l’architecture révolutionnaire, Paris, Arts et Métiers Graphiques, 1969; Id., Étienne-Louis Boullée, Paris, Flammarion, 1994 ; Gallet, Michel, Les architectes parisiens du XVIIIe siècle. Dictionnaire biographique et critique, Paris, Mengès, 1995.
[5] Poiché nel testamento depositato già il 17 novembre 1793 è presente l’inventario dei disegni e delle pagine del manoscritto, è possibile dedurre che l’intera opera non sia certamente posteriore a quella data. Tuttavia essa resterà inedita fino alla metà del XX secolo quando apparirà a Londra grazie all’interessamento di Helen Rosenau: Rosenau, Helen (ed.), Boullée’s treatise on architecture, London, Alec Tiranti, 1953. Si riportano di seguito le prime edizioni italiane, francesi ed inglesi: Architettura. Saggio sull’arte, introduzione di Aldo Rossi, Padova, Marsilio, 1967; Architecture: Essai sur l’art, textes réunis et présentés par Jean Marie Pérouse de Montclos, Paris, Hermann, 1968; Rosenau, Helen (a cura di), Boullée and Visionary Architecture including Boullée’s “Architecture, Essay on Art”, London, Academy Editions – New York, Harmony Books, 1976 (dove il testo francese era accompagnato dalla traduzione inglese).
[6] Kaufmann, Emil, «Étienne-Louis Boullée», The Art Bulletin, vol. 21, n. 3, Sept. 1939, pp. 213-227.
[7] Id., Von Ledoux bis Le Corbusier, Wien, Passer, 1933 (ed. it. Da Ledoux a Le Corbusier, Milano, Gabriele Mazzotta Editore, 1973).
[8] La vicinanza estetica tra i progetti rivoluzionari e quelli del Movimento Moderno novecentesco deve essere qui considerata solo nella sua fisicità e non nel suo significato ideologico, poiché questo meriterebbe un approfondimento ulteriore, volto all’identificazione delle peculiarità nel sistema di valori di riferimento dell’architettura dei due periodi, che ci porterebbe assai lontano dagli scopi qui preposti.
[9] Le conclusioni di Kaufmann sulla definizione di architettura rivoluzionaria, o meglio sulla ricerca dei suoi diretti inauguratori, convergono nel celebre volume Three revolutionary architects, Boullée, Ledoux and Lequeu, Philadelphia, American Philosophical Society, 1952 (ed. it. Tre architetti rivoluzionari. Boullée-Ledoux-Lequeu, Milano, Franco Angeli Editore, 1976).
[10] In particolare, questa somiglianza tra le creazioni di Boullée e Ledoux e quelle degli architetti rivoluzionari è testimoniata dai progetti venuti alla luce in occasione dei diversi concorsi pubblici che vennero banditi nell’anno II della Repubblica, che intendevano riorganizzare l’impianto complessivo di alcune città francesi, e soprattutto della capitale. Per un approfondimento si veda: Szambien, Werner, Les projets de l’an II. Concours d’architecture de la période révolutionnaire, Paris, École nationale supérieure des Beaux-Arts, 1986; Bordes, Philippe – Michel, Régis (éd.), Aux Armes & aux Arts. Les Arts de la Révolution. 1789-1799, Paris, Éditions Adam Biro, 1988; Claudine De Vaulchier, «La recherche d’un palais pour l’Assemblée nationale», in Les architectes de la liberté, catalogue d’exposition, Paris, École nationale supérieure des Beaux-Arts, 1989, pp. 137-162; Leith, James, Space and Revolution: projects for monuments, squares and public buildings in France, 1789-1799, Kingston, Canada, McGill-Queen's University Press, 1991; Jourdain, Annie, Les monuments de la Révolution. 1770-1804. Une histoire de représentation, Paris, Honoré Champion Éditeur, 1997.
[11] Rosenau, Boullée’s treatise on architecture, op. cit.; seguiva la traduzione inglese, la già citata Rosenau, Boullée and Visionary Architecture including Boullée’s “Architecture, Essay on Art”, op. cit. La studiosa tedesca non riversò il suo interessamento per Boullée in una monografia apposita, ma se ne occupò soprattutto in connessione a Ledoux, testimoniando ancora una volta la stretta vicinanza tra i due architetti: Id., «Claude Nicolas Ledoux», The Burlington Magazine for Connoisseurs, vol. 88, n. 520, 1946, pp. 162-168; Id., «Boullée and Ledoux as town-planners a re-assessment», Gazette des beaux-arts, Paris, ser. 6, vol. 63, 1964, pp. 173-190 (quest’ultimo articolo, decisamente connesso con lo studio delle prime concezioni urbanistiche in età moderna, espresso in Id., The ideal city in its architectural evolution, London, Routledge, 1959 e nel più specialistico Id., Social purpose in Architecture. Paris and London compared. 1760-1800, London, Studio Vista, 1970). Inoltre, venne pubblicato un notevole articolo, che costituisce per noi un primo segno dell’importanza culturalmente più ampia che alcuni studiosi hanno riconosciuto al testo di Boullée, espressione di un pensiero più profondo, che oltrepassa i confini della pura architettura per abbracciare una dimensione più vasta: Id., «Boullée, architect-philosopher» : 1728-1799», The architectural review, London, June 1952, pp. 397-402.
[12] Architettura. Saggio sull’arte, introduzione di Aldo Rossi, op. cit, prima versione tradotta in lingua straniera del testo di Boullée.
[13] Architecture: Essai sur l’art, textes réunis et présentés par Jean Marie Pérouse de Montclos, op. cit. La pubblicazione veniva aggiornata e compariva, a cura dello stesso, con il titolo L’architecture visionnaire et néoclassique. Étienne-Louis Boullée, Paris, Hermann, 1993. Quest’ultima edizione, comprendeva nuove note e commenti frutto delle ricerche sul profilo architettonico di Boullée che lo stesso Pérouse de Montclos condusse tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’90 e che erano confluite nelle due già citate monografie, Id., Étienne-Louis Boullée (1728-1799). De l’architecture classique à l’architecture révolutionnaire, op. cit. e Id., Étienne-Louis Boullée, op. cit. D’ora in poi, nel considerare il testo di Boullée, ci riferiremo sempre alla versione edita da Pérouse de Montclos nel 1993, indicando anche i numeri dei fogli del manoscritto, conservato alla Bibliothèque Nationale de France, al Départements de manuscrits de fond français, MS 9153, insieme ai disegni, che si trovano invece al Département des estampes, sotto i codici Ha 55 (55 tavole), Ha 56 (47 tavole) e Ha 57 (32 tavole).
[14] In particolare, oltre alle opere già citate, si rimanda all’articolo Vogt, Adolf Max, «Orwell’s «Nineteen Eighty-Four» and Etienne Louis Boullée’s Drafts of 1784», The Journal of the Society of Architectural Historians, vol. 43, n. 1, 1984, pp. 60-64. Ad ogni modo, al contrario di quanto è avvenuto per Ledoux, a cui molti studiosi hanno dedicato le proprie attenzioni, non sono molte le monografie dedicate interamente a Boullée. Tuttavia, il suo ruolo all’interno degli sviluppi dell’architettura dell’ultima età moderna non è passato affatto inosservato e tutti i manuali di storia dell’architettura ne trattano, pur se in maniera non sempre approfondita.
[15] Tale tendenza non deve essere intesa nel senso di una dettagliata ricerca sui meccanismi della costruzione vera e propria, ma su una quasi ossessiva codificazione dei parametri estetici entro i quali realizzare gli edifici. Tuttavia, i momenti della progettazione artistica, di cui si intende stabilire le coordinate stilistiche, e dell’edificazione effettiva, erano rimaste a lungo difficilmente separabili l’una dall’altra, tanto che le attività dell’ingegnere e quella dell’architetto in senso contemporaneo, si erano confuse fino al XVIII secolo, quando finalmente si fa spazio una loro specifica distinzione. A questo proposito, si veda, ad esempio, la ricostruzione della nascita della figura dell’ingegnere come professione particolare, in contrasto con quella dell’architetto in Picon, Antoine, Architectes et ingénieurs au siècle des Lumières, Marseille, Éditions Parenthèses, 1988.
[16] Boullée, ff. 70 v°-71 (Pérouse de Montclos, Jean-Marie, L’architecture visionnaire et néoclassique. Étienne Louis Boullée, op. cit., p. 45).
[17] La paternità della distinzione tra concezione ed esecuzione non è attribuibile a Boullée, bensì già a Leon Battista Alberti, le cui riflessioni erano oggetto di lettura nelle sedute dell’Académie. Tuttavia, quello che interessa rilevare è come, in un momento storico in cui la teoria architettonica sembra riallacciarsi direttamente alla lezione vitruviana (di cui lo stesso Claude Perrault, si era fatto traduttore e commentatore nel Les dix livres d'architecture de Vitruve, corrigez et traduits nouvellement en françois avec des notes et des figures, Paris, J.-B. Coignard, 1673), Boullée abbia il coraggio di allontanarsi dalle tendenze dominanti per affermare a gran voce la forza del momento creativo, la sua preponderanza su quello operativo, senza chiamare esplicitamente in causa alcuna autorità che legittimasse la sua esposizione.
[18] Boullée, f. 71 (Pérouse de Montclos, op. cit., p. 45). Tuttavia, Boullée ricorda anche l’esistenza di autori che hanno tentato di affrontare altri aspetti dell’architettura oltre a quelli strettamente tecnici: primi fra tutti Perrault e Blondel, dalle cui riflessioni estetiche scaturì un acceso dibattito intorno alla natura del bello. Ad ogni modo, la forza delle argomentazioni di entrambi i teorici, seppure segna un momento di centrale importanza all’interno della storia della teorizzazione architettonica, non raggiunge quei livelli di profondità che invece hanno le concezioni estetiche dei philosophes e l’interpretazione che ne seppe materializzare lo stesso Boullée.
[19] Boullée, f. 77 v° (Pérouse de Montclos, op. cit., p. 58).
[20] Helen Rosenau, nella sua edizione del testo, riconosceva nel «philosophe moderne» la presenza di John Locke (Rosenau, Boullée’s treatise on architecture, op. cit., p. 111 nota 56 riferita a pag. 34); Pérouse de Montclos accetta tale possibilità, ma avanza l’ipotesi che Boullée volesse qui richiamare l’autorità di Étienne Bonnot de Condillac (Pérouse de Montclos, op. cit.,p. 58). In realtà è possibile ritenere che il riferimento più diretto sia invece d'Holbach. Infatti, almeno la prima parte della citazione riportata da Boullée, «Toutes nos idées, tous nos perception, nous dit-il, ne viennent que par les objets extérieurs», sembrerebbe recuperare un passaggio del Système de la nature: «ces idées ne peuvent nous venir que des objets extérieurs» (d’Holbach, Paul-Henri Thiry, Système de nature, ou des lois du monde physique et du monde moral; par le Baron d’Holbach. Nouvelle édition avec des notes et des corrections, par Diderot, Paris, Étienne Ledoux, 1821, p. 190). Potrebbe quindi trattarsi di una citazione riprodotta a memoria, presumibilmente tratta dalla stesso testo di d’Holbach, e frutto di un assemblaggio di nozioni e ricordi che si confondono; tale procedimento sarebbe del resto perfettamente conforme alle modalità attraverso le quali si riportavano le parole di altri scrittori, spesso appunto attraverso meccanismi di memoria che facilmente fondevano parti, testi ed espressioni di diversa provenienza. Se l’esattezza della citazione del passo che Boullée ci offre come tale non può essere confermata, proprio perché la seconda parte sembra piuttosto il prodotto di una elaborazione personale, il possibile riferimento al Système de la nature, coerente con la sua intera impostazione mentale, aprirebbe interessanti possibilità di interpretazione sulla struttura filosofica dell’Essai e il suo legame ad un empirismo più marcatamente materialistico, ad un determinismo decisamente accentuato e ad una confiance estremizzata sul valore dell’educazione.
[21] Si rimanda in particolare ai capitoli 2 e 4 del II libro, Des idées, dell’opera di Locke nella sua traduzione (e riadattamento) francese ad opera di Pierre Coste (Locke, John, Essai philosophique concernant l’entendement humain, ou l’on montre quelle est l’etendue de nos connaissances certaines et la manière dont nous y parvenons, traduit de l’anglois de Mr. Locke, par Pierre Coste, sur la 4e édition, revue, corrigée et augmentée par l’auteur, Amsterdam, H. Schelte, 1700), testo cui Boullée ebbe presumibilmentew accesso diretto. Un’ottima sintesi sulla diffusione delle teorie sensualiste di Locke sul continente, con particolare attenzione all’interpretazione che ciascun philosophe formulò, è proposta da Schøsler, Jørn, John Locke et les philosophes français. La critique des idées innées en France au dix-huitième siècle, Oxford, The Voltaire Foundation, 1997. Si rimanda anche a Hutchinson, Ross, Locke in France. 1688-1734, Oxford, The Voltaire Foundation, 1991; Yolton, John W., Locke and French Materialism, Oxford, Clarendon, 1991. Infine, si indica come interessante punto di riferimento anche l’articolo Schøsler, Jørn, «Essai sur l’entendement de Locke et la lutte philosophique en France au XVIIIe siècle: l’histoire de traductions, des éditions et de la diffusion journalistique 1688-1742», Studies on Voltaire and the Eighteenth Century, n. 4, 2001, pp. 1-259.
[22] Per la ricostruzione della biblioteca di Boullée si rinvia alle informazioni fornite da Pérouse de Montclos sulla base del lascito testamentario dell’architetto (Pérouse de Montclos, Étienne-Louis Boullée (1728-1799). De l’architecture classique à l’architecture révolutionnaire, op. cit., pp. 253-257).
[23] Boullée, f. 77 v° (Pérouse de Montclos, op. cit., pp. 57-58).
[24] Batteux, Charles, Les Beaux-Arts réduits à un même principe, Paris, Durand, 1746, pp. 10-12. Charles Batteux (1713-1780) fu professore di filologia greca e latina al Collège de France a partire dal 1761, membro dell’Académie des Inscriptions et des Belles Lettres (da 1754) e dell’Académie française (dal 1761). Uomo dalla straordinaria cultura e da versatili interessi, era riuscito a conquistare il pubblico settecentesco già nel 1746 con Les Beaux-Arts réduits à un même principe, tentativo di riorganizzazione delle fondamenta teoriche delle arti che si ergesse quale conclusione ultima e sistematica di un intenso dibattito intorno alle categorie estetiche di bellezza e gusto; ponendo alla base dell’intero discorso il principio di imitazione della natura, Batteux vi trovava la sorgente di ogni regola artistica. Pubblicò anche La Morale d'Épicure tirée de ses propres écrits (Paris, Dessaint et Saillant 1758), Histoire des causes premières (Paris, Saillant, 1769) e i due tomi de Les quatre poétiques: d’Aristote, d’Horace, de Vida, de Despéaux (Paris, Saillant & Nyon, 1771). Si rimanda soprattutto a Modica, Massimo, Il sistema delle arti, Batteux e Diderot, Palermo, Centro internazionale studi di estetica, 1987.
[25] Pare opportuno sottolineare come il concetto di imitazione sembra in un primo momento recuperare l’idea aristotelica di riproduzione, per poi però assumere subito caratteri originali nella congiunzione di comprensione della realtà e idealizzazione. L’opera artistica non deve essere la passiva riproposizione di ciò che osserva, ma la rappresentazione di ciò che verosimilmente può esistere in una natura che non è il prodotto di una delirante fantasia, ma di un processo immaginativo che dal reale si eleva verso l’ideale. Scrive infatti Batteux: «Quelle est donc la fonction des arts? C’est de transporter les traits qui ne sont dans la nature, et de les présenter dans des objets à qui ils ne sont point naturels. (...) D’où je conclus, que les arts, dans ce qui est proprement art, ne sont que des imitations, des ressemblances qui ne sont point la nature, mais qui paraissent l’être ; et qu’ainsi la matière des beaux arts n’est point le vrai, mais seulement le vraisemblable.» (Batteux, op. cit., p. 86).
[26] Intorno al V secolo (De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella) si delinea la celebre distinzione tra arti meccaniche e arti liberali che si sovrappone al sistema delle arti definito dall’Antichità, nel quale all’interno della categoria ars o τεχνη rientrava una sfera assai ampia di attività, tra cui non soltanto la poesia, la scultura o la pittura, ma anche le attività artigianali. Si veda M. Bovey, Disciplinae cyclicae: L'organisation du savoir dans l'œuvre de Martianus Capella, Trieste, Edizioni Università di Trieste, 2003.
[27] Diderot definiva infatti la pittura e la scultura le sole « deux arts imitateurs de la nature» (Diderot, Denis, Salon de 1765. Essai sur la peinture, in Id., Œuvres complètes, Paris, Hermann, 1984, t. XIV, p. 401). La questione del rapporto tra Diderot e le arti è oggetto di una consistente bibliografia; ma in particolare si rimanda ai contributi di Molbjerg, Hans, Aspects de l'esthétique de Diderot, Kobenhavn, J.H. Schultz Forlag, 1964; Chouillet, Jacques, La formation des idées esthétiques de Diderot: 1745-1763, Paris, A. Colin, 1973; Diderot, les beaux-arts et la musique: actes du colloque international tenu à Aix-en-Provence, décembre 1984, Aix-en-Provence, Université de Provence, 1986; Starobinsky, Jean, Diderot dans l’espace des peintres, Paris, Réunion des musées nationaux, 1991; Sejten, Anne Elisabeth, Diderot ou le défi esthétique: les écrits de jeunesse 1746-1751, Paris, J. Vrin, 1999; Lavezzi, Elisabeth, Diderot et la littérature d’art, Orléans, Paradigme, 2007. Inoltre, si consiglia in particolare i due lavori Massimo Modica dedicati al philosophe: Modica, Massimo, Il sistema delle arti, Batteux e Diderot, op. cit. e Id., L’estetica di Diderot, Roma, A. Pellicani, 1997.
[28] Boullée, ff. 53 v°-54 (Pérouse de Montclos, op. cit., p. 31).
[29] Del resto anche Diderot riconosceva il valore dell’architettura nel considerarla lo strumento attraverso cui consegnare all’uomo gli spazi entro i quali poter agire; giudicandola su un livello strettamente pragmatico, Diderot era perfettamente cosciente che solo la creazione di strutture architettoniche adeguate (non già nel senso di funzionali, quanto piuttosto nella sua accezione stilistica) permetteva lo sviluppo di tutte le attività umane, ivi comprese anche quelle artistiche. In questo senso, l’edificazione finiva per essere subordinata allo sviluppo delle beaux-arts, che restava l’oggetto privilegiato della sua osservazione. Nel Salon de 1765, pur privilegiando la dignità artistica della pittura e della scultura, Diderot istituisce un rapporto di reciproco scambio tra queste e l’architettura: se solo dopo la nascita di quest’ultima, le altre due hanno potuto svilupparsi, al contrario, la sola architettura non consente il raggiungimento di un livello estetico degno di un’arte: «...sans architecture, il n’y a ni peinture ni sculpture, et que c’est à l’art qui n’a point de modèle subsistant sous le ciel que les deux arts imitateurs de la nature doivent leur origine et leur progrès. (...) Mais les murs des temples, du plais du maître, des hôtels des premiers hommes d’État, des maisons des citoyens opulents, offriront de toute part des grandes surfaces nues qu’il faudra couvrir.» (Diderot, Salon de 1765, in op. cit., p. 401).
[30] Boullée, f. 52 (Pérouse de Montclos, op. cit., p. 29).
[31] L’espressione «architettura parlante» venne introdotta da Léon Vaudoyer alla metà del XIX secolo a proposito di Ledoux (Vaudoyer, Léon, «Études d’architecture en France», Magasin Pittoresque, vol. XX, décembre 1852, p. 388), ma probabilmente era stato usato anche precedentemente come sinonimo di «architecture à caractère»; per l’approfondimento delle differenze tra architettura «à caractère» e architettura «parlante» si consulti Szambien, Les projets de l’an II. Concours d’architecture de la période révolutionnaire, op. cit., p. 20 e sgg.
[32] Si rimanda al capitolo «L’ “architecture parlante” et l’inquiétude», in Deprun, Jean, La philosophie de l’inquiétude en France au XVIIIe siècle, Paris, Librairie philosophique J. Vrin, 1979.
[33] Il primo a parlare di caractère fu Germain Boffrand che, nei Livres d’architecture (Boffrand, Germain, Livres d’architecture, contenant les principes generaux de cet art, et les plans, elevations et profils de quelque-un des batiments fait en France dans les Pays Etrangers, Paris, Guillaume Cavalier pere, 1745) affermava il principio secondo cui «Il ne suffit pas qu’un édifice soit beau; il faut que le spectateur ressente le caractère qu’il doit lui imprimer» (cit. in Pérouse de Montclos, Histoire de l’architecture française. De la Renaissance à la Révolution, Paris, Mengès, 1989, p. 408), senza tuttavia arrivare alle conclusioni alle quali invece perviene Boullée, che fu, tra l’altro, uno dei suoi allievi. Boffrand, infatti, sembra considerare il caractère come un attributo essenziale al raggiungimento della bellezza, mentre Boullée approfondisce tale concezione per affermare che esso è certamente una qualità del ‘bello’, ma soprattutto è l’ulteriore sviluppo di un ‘funzionalismo’ che ha esteso la sua portata da un piano strettamente pragmatico ad uno profondamente simbolico. L’elaborazione del principio di caractère fu il risultato di una serie di condizioni che si erano formate nel corso degli anni ’60 e ’70 del XVIII secolo e delle quali Boullée rappresenta una voce particolare, ma non esclusiva. Nell’indagare sull’insieme di tali fattori, lo studioso Werner Szambien, ricollega la nascita della definizione di caractère a quell’avanzata di ingegneri cui abbiamo già menzionato: in effetti, la crescita di tale categoria professionale mise profondamente in agitazione la classe degli architetti veri e propri, che sentirono sempre più il bisogno di stabilire confini precisi tra le due discipline, alla ricerca di una dottrina della composizione che tuttavia, come abbiamo visto, fatica ad affermarsi o almeno ad abbandonare quella dimensione stilistica che era giunta a soffocanti livelli di rigidismo dogmatico. Al conflitto tra questi due gruppi e alla reazione irrazionale di uno di questi, si unisce una nuova concezione della natura, profondamente sottoposta alla conoscenza empirica di originaria matrice lockiana, nonché lo sviluppo della physiologie. (Szambien, Symétrie, goût et caractère. Théorie et terminologie de l’architecture à l’âge classique. 15500-1800, op. cit., pp. 174-177).
[34] Boullée, f. 84 (Pérouse de Montclos, op. cit., p. 73).
[35] Boullée, ff. 139 v°-140 (Pérouse de Montclos, op. cit., p. 167).
[36] Il progetto del Palais de justice fu probabilmente composto intorno al 1783.
[37] Il progetto del Palais national venne pubblicato in epoca rivoluzionaria, nel 1792, ma la concezione originaria risalirebbe già al 1783.
[38] Boullée compose due progetti per la sistemazione della Bibliothèque royale, rispettivamente del 1784 e del 1785.
[39] I disegni relativi al Cénotaphe à Isaac Newton, composti nel 1784, sembrano indicare due tipi fondamentali di progetti: da una parte la versione notturna, dove una volta perforata da piccole aperture imitanti le stelle avvolge uno spazio scuro al centro del quale è visibile una tomba, che indica la dimensione funeraria del monumento; dall’altra parte, la visione diurna, dominata da una sfera dalla quale viene emanata una misteriosa luce e dalla presenza di un altare, probabile riferimento ai riti massonici (Pérouse de Montclos, Histoire de l’architecture française. De la Renaissance à la Révolution, op. cit., p. 485; Id. «De nova stella anni 1784», Revue de l’art, Paris, n. 58-59, 1983, pp. 75-84; Vogt, Adolf Max, Boullées Newton-Denkaml, Basel, Birkhäuser Verl., 1969; Id., «Orwell’s “Nineteen Eighty-Four” and Etienne-Louis Boullée’s Drafts of 1784», op. cit.; Kaufmann, Tre architetti rivoluzionari. Boullée-Ledoux-Lequeu, op. cit., pp. 149-153).
[40] I disegni della Basilica o Métropole furono composti tra il 1781 e il 1782; originariamente legati al progetto per la Madeleine, essi sono la testimonianza dell’inappagato desiderio di Boullée di partecipare alla riorganizzazione del celebre monumento parigino.
[41] «Il est évident que le but qu’on se propose, lorsqu’on élève ces sortes de monuments, est de perpétuer la mémoire de ceux auxquels ils sont consacrés (...) / L’effet de ces sortes de monuments devant être triste, j’ai évité d’y introduire aucune des richesse de l’architecture. Je ne me suis pas même permis d’en détailler la masse, afin de lui conserver le caractère de l’immutabilité. J’ai donné à la pyramide la proportion du triangle équilatéral parce que la parfaite régularité constitue la belle forme. (...) / Il ne me paraît pas possible de concevoir rien de plus triste qu’un monument composé par une surface plane, nue et dépouillée, d’une manière absorbant la lumière, absolument dénuée de détails et dont la décoration est formée par un tableau d’ombres dessiné par des ombres encore plus sombres.» (Boullée, ff. 123-126 in Pérouse de Montclos, op. cit., pp. 137-121).
[42] Boullée, ff. 127-128 (Pérouse de Montclos, op. cit. pp. 142-144).
[43] Ivi.
[44] Boullée, ff. 93 v°-94 v° (Pérouse de Montclos, op. cit., pp. 88-90).
[45] Ivi.
[46] Ivi.
[47] Il problema urbano nel Settecento costituisce l’oggetto di interesse di una bibliografia considerevole. Per una comprensione complessivamente più ampia, si indica le opere Le Roy Ladurie, Emmanuel, Baroque et Lumières, in Id. (éd.), La ville classique de la Renaissance aux Révolutions e Le Petit, Bernard, Les villes dans la France moderne (1740-1840), Paris, Albin Michel, 1988. Per uno sguardo più specifico sui problemi urbani concreti si rimanda all’interno numero 9 della rivista Dix-huitième siècle del 1977, ed in particolare gli articoli: Etlin, Richard, «L’air dans l’urbanisme des Lumières», pp. 123-134; Harouel, Jean-Louis, «Les fonctions de l’alignement dans l’organisme urbaine», pp. 135-149; Fortier, Bruno, «La maitrise de l’eau», pp. 193-201. Studi maggiormente legati alla ricerca architettonico-urbanistica sono invece: Lavedan, Pierre, Histoire de l’urbanisme, Renaissance et temps modernes, Paris, Henri Laurens, 1941; Sica, Storia dell’urbanistica. Il Settecento, op. cit.; Benevolo, Leonardo, Le città nella storia d’Europa, Roma-Bari, Laterza, 1993; Calabi, Donatella, Storia della città. L’età moderna, Venezia, Marsilio, 2001.
[48] Per un approfondimento intorno all’attivismo architettonico settecentesco, che trovò espressione caratteristica nella riorganizzazione di specifici spazi cittadini, come le piazze reali o particolari strutture edili, si rimanda ai classici Lavedan, Histoire de l’urbanisme, Renaissance et temps modernes, op. cit.; Hautecœur, Louis, Histoire de l’architecture classique en France, t. III, Première moitié du XVIIIe siècle: le style de Louis XV, Paris, Picard, 1950; Id. Histoire de l’architecture classique en France, t. IV, Seconde moitié du XVIIIe siècle, le style de Louis XVI, 1750-1792, Paris, Picard, 1952. Su tali fondamentali lavori si è poi sviluppata una florida letteratura critica volta all’individuazione delle peculiarità di ciascun intervento, delle ragioni che lo avevano ispirato e dei risultati concretamente ottenuti sul piano architettonico-urbanistico, ed in particolare per il caso della capitale ma non solo: Fortier, Bruno, La politique de l’espace parisien à la fin de l’Ancien Régime, Paris, CORDA, 1975; Rabreau, Daniel - Mosser, Monique, «Paris en 1778: l’architecture en question», Dix-huitième siècle, n. 11, 1979, pp. 141-164; Pinon, Pierre, «À travers révolutions architecturales et politiques. 1715-1848», in Bergeron, Louis (sous la direction de), Paris. Genèse d’un paysage, Paris, Picard, 1989, pp. 147-215; Pérouse de Montclos, Histoire de l’architecture française. De la Renaissance à la Révolution, op. cit., soprattutto il quattordicesimo capitolo, L’embellissement des villes; Cleary, Richard, The place royal and urban design in the ancien régime, Cambridge, Cambridge University Press, 1999.
[49] Laugier, Marc Antoine, Essai sur l’architecture, Paris, Duchesne, 1753, pp. 242-243.
[50] Patte, Pierre, Mémoires sur les objets les plus importans de l’architecture, Paris, 1769, p. 5.
[51] Scrive ancora : «En examinant attentivement une grande Ville, ce qui frappe d’abord, c’est de voir de toutes parts couler les immondices à découvert dans les ruisseaux avant de se rendre dans les égouts, & exhaler dans leur passage toute sortes d’odeurs mal-faisantes: ensuit c’est le sang des boucheries ruisselant au milieu des rues, & offrant à chaque pas des spectacles horribles & révoltans. Ici c’est tout un quartier empesté par les vuidanges des latrines: là c’est une quantité de tombeaux crottés qui s’emparent journellement des rues pour en enlever les ordures, lesquels, indépendamment de leurs vûes sales & dégoûtantes, occasionnent toute sorte d’embarras : plus loin vous observerez que centre des lieux les plus fréquentés les Hôpitaux et les Cimetieres perpétuant les épidemies, & exhalant dans les maisons le germe des maladies & de la mort. Ailleurs vous remarquerez que les rivieres qui traversent les Villes, & dont les eaux servent de boisson aux habitans, sont continuellement le receptacle de tous les cloaques & de toutes les immondices. Tantôt à cause du peu de largeur des rues & de leur disposition vicieuse, ce seront des citoyens exposés à être foulés aux pieds des chevaux, ou à être écrasés par les voitures, qui attireront votre attention : enfin lorsqu’il pleut vous appercevrez tout un peuple inondé d’une eau sale & mal-propre, provenant de la lavure des toîts qui, par leur disposition, centuplent l’eau du ciel, ou bien couvert d’un déluge de boue par le piétinement des chevaux ou le roulement des voitures dans les ruisseaux. En un mot les Villes vous présenteront de toutes parts le séjour de la malpropreté, de l’infection & du mal-être.» (Ivi, pp. 5-6).
[52] Kersaint, Armand Guy, Discours sur les monuments publics, prononcé au Conseil du département de Paris, le 15 décembre 1791, par Armand-Guy Kersaint, administrateur et député suppléant au département de Paris, Paris, Imprimerie de P. Didot L’Ainé, 1792, p. 3.
[53] Ivi., pp. 4-6. Scrive ancora: «Ces paroles seront, dites-vous, par-tout où le pouvoir constitués agiront au nom de la constitution, sur l’écharpe municipale et la médaille du juge de paix ; dans l’exercice du droit d’élire ses juges, ses administrateurs, de nommer ses représentants : eh bien ! c’est pour consacrer tous ces droits que j’invoque des monuments où la constitution, reproduite sur le bronze, et les lois réglementaires affichées et proclamées, renouvelleront à chaque instant dans l’esprit du peuple le sentiment régénérateur de la liberté, et le défendront contre toutes les atteintes qu’on voudroit porter à ses droit. / Commençons l’éducation publique ; profitons de ce grand mouvement imprimé aux esprits par la révolution, pour appeler le peuple françois à la gloire des plus célebres nations de l’antiquité.» (Ivi., pp. 6-7).
[54] Ivi., pp. 11-12.
[55] Le presenti immagini sono riprodotte a partire dalle tavole presenti in Pérouse de Montclos, Étienne-Louis Boullée, op. cit.