1. Tra il 1740 ed il
1750,
nell'ambito di un complesso rifacimento decorativo dell'intero
immobile, vennero
messe in opera nel castello di Govone, nei pressi di Asti, allora in
proprietà del marchese di Breglio[1],
delle carte da parati molto peculiari. Si trattava di carte
colorate da parati
originali cinesi, ossia prodotte in ateliers cinesi verosimilmente
nell'area
dell' odierna Canton nel sud della Cina. Una gran parte di quei
rivestimenti
ancora sussistono, quasi tutti in eccellenti condizioni, sulle pareti
di tre
sale contigue dei cosiddetti "appartamenti delle principesse": la
Camera di udienza, la
Camera da letto ed il
Gabinetto.[2] La
peculiarità delle carte
di due di queste stanze non risiede tanto nell'essere cinesi - le carte
da
parati cinesi erano entrate nell'uso, sia pure come espressioni
ricercate di
lusso (anche se in concorrenza di prezzo con arazzi e tappezzerie di
stoffa),
nelle dimore signorili e nei castelli europei già da alcuni
decenni -
quanto piuttosto nei soggetti che vi sono rappresentati.
In effetti
in due delle stanze sopra citate, la Camera
di udienza e la vasta e molto luminosa
Camera da letto che si apre sulla
facciata principale del castello, le carte, che ricoprono interamente
le pareti,
riproducono, con ricchezza di dettagli, numerose scene relative a
quattro cicli
di produzione agricola e manifatturiera propri della Cina di allora: il
ciclo
della manifattura della porcellana e quello del tè nella
Camera di udienza ed il ciclo di
coltivazione del riso e quello della seta nella
Camera da letto. I cicli sono
rappresentati attraverso un'ampia serie di "quadri", inseriti in sfondi
di
genere, che coprono, in una sequenza che potremmo definire didascalica,
tutte le
principali fasi delle lavorazioni, dal loro inizio sino al prodotto
finito. In
particolare, il ciclo della seta, che copre con due grandi quadri di
insieme che
si fronteggiano le due pareti maggiori della
Camera da letto, ha una rilevanza
assoluta e molto evidenziata nell'insieme delle altre rappresentazioni,
figurando in una posizione espositiva decisamente privilegiata e
predominante.
2. Nella prima metà del '700, le
carte da parati cinesi importate ed impiegate in Europa erano, nella
loro
assoluta maggioranza, a carattere puramente decorativo, rappresentando
motivi
naturalistici -fiori, piante, rocce, animali (sopratutto uccelli).
Molto
rare le figure umane, in genere in quadretti interpretabili, per il
nostro gusto
di allora, come rappresentazioni "bucoliche". Sotto questo aspetto
le carte cinesi nelle quali siano rappresentati dei cicli produttivi si
distaccano nettamente da quanto altrimenti noto e/o individuato e pur
non
costituendo, quelle di Govone, un
unicum - ve ne sono, allo stato
attuale della ricerca, all'incirca una mezza dozzina soltanto in tutta
Europa -
vi è motivo di ritenere, includendo quelle andate distrutte
o disperse,
che non ve ne fossero che poche altre.
Nonostante tali caratteri di estrema rarità e
peculiarità,
quel tipo di carte non ha mai attirato l'attenzione degli storici
dell'arte,
né tanto meno quella degli storici.[3] La
particolarità di uno dei soggetti rappresentati a Govone -
specificamente
quello del ciclo di produzione della seta - venne riferito da chi
scrive, su
segnalazione di Giuseppe Chicco, ad una riunione di esperti degli
"Itinerari
Culturali" del Consiglio d'Europa tenutasi nel Castello di Calviac, in
Francia,
nel 1993, con la conseguente proposta di inserire il Castello di Govone
e
le sue carte cinesi come una delle tappe degli
Itinerari della Seta italiani.
Il primo riferimento scritto ad
alcuni esemplari di questo genere di carte è ancor
più recente: ne
hanno trattato tre studiosi in un saggio congiunto, dal significativo
titolo Une chinoiserie insolite apparso nel
1996 su "Arts Asiatiques".[4] In esso tuttavia
non vi era alcun riferimento al Castello di Govone ed alle sue carte,
che agli
autori di quel saggio non erano allora ancora note. Qualche anno
più
tardi, all'interno di un testo che tratta del Castello di Govone nel
suo
complesso, sono stati finalmente pubblicati due saggi che fanno
specifico
riferimento alle carte da parati di cui qui si
tratta.[5]; Va
da sé che l'analisi di tutte le
problematiche sollevate o sollevabili dallo studio delle carte di
Govone e di
quelle poche altre che si sono finora identificate in Europa sarebbe
assai
vasta. In questa sede si farà riferimento esclusivamente ad
alcuni degli
elementi accertati dai primi studi qui citati ed a quelli che possono
portare
sostegno all'ipotesi interpretativa che qui si presenta.
3. In primo luogo va segnalato che tutte le carte da parati cinesi con
cicli
di produzione che siano sino ad oggi note sono state prodotte nel corso
del
XVIII secolo e presentano esclusivamente uno o più dei
quattro cicli
agricolo-manifatturieri che vi sono raffigurati a Govone, ovvero
porcellana,
té, seta e riso. Alcune delle carte presenti in altri siti
ne possono
presentare solo uno o due, ma nessuna di esse presenta immagini di
altre
manifatture o di altre produzioni agricole oltre a quelle dei quattro
cicli di
Govone. In secondo luogo delle sei o sette localizzazioni originarie
che si sono potute accertare delle carte da parati di quel genere ben
tre erano
piemontesi: una è in loco (Govone, appunto) le altre due
sono state
rimosse in tempi relativamente recenti e si trovano, rispettivamente,
al Museo
di Riggisberg (Svizzera) della Fondazione
Abegg e presso una fondazione privata a Torino. Delle altre, due erano
in
castelli austriaci ed una decora ancora oggi il salone del Comitato di
Direzione
dell' antica casa bancaria Coutts di
Londra, dove venne messa in opera alla fine del XVIII secolo. Il
terzo elemento specifico riguarda le fonti delle immagini. Esse sono
state
individuate con precisione in testi cinesi a carattere
manualistico/didascalico
editi o riediti, il più delle volte sotto l' egida
imperiale, in periodi
non di molto antecedenti alla messa in opera delle carte
stesse. In altre
parole, i "quadretti" delle singole fasi dei vari cicli di produzione
rappresentati sulle carte da parati corrispondono ad una parte delle
illustrazioni presenti in questi manuali.
Il più noto e
più studiato dei manuali in questione è il
Gengzhi Tu ove sono rappresentate le
principali fasi della lavorazione di due delle maggiori produzioni
economiche
della Cina tradizionale - la seta e il riso. La sua compilazione
originaria
risale al XII secolo, nel corso della dinastia dei Song, ma ebbe alcune
altre
riedizioni nei secoli successivi. Al tempo della dinastia Qing
(1644-1912), il
Gengzhi Tu, divenuto nel frattempo
praticamente introvabile, venne
riedito nuovamente, dietro stimolo dell'imperatore in persona, prima
alla fine
del '600 e poi nella seconda metà del '700, ogni volta con
illustrazioni
rinnovate. I manuali di quel genere ed in special modo il
Gengzhi Tu attirarono l'attenzione
degli intellettuali e degli scienziati europei presenti allora in Cina
e vennero
importati in Europa. Copie del Gengzhi Tu
si trovano nelle principali biblioteche europee, inclusa quella dell'
Accademia delle Scienze di Torino. Ma
da essi vennero anche tratti, in Cina, degli album, rilegati o a fogli
sciolti,
contenenti le sole illustrazioni. Anche gli album furono molto
ricercati dagli
occidentali e ve ne sono numerose copie in Europa presso raccolte
pubbliche e
private e in archivi e biblioteche, ma in particolar modo nelle
biblioteche
delle società scientifiche od economiche, dove erano stati
molto
apprezzati per il carattere tecnico della presentazione delle
produzioni. Nei casi di nostro interesse, le immagini delle
carte da parati di Govone
per la seta e per il riso risultano ad esempio ispirate (ma si potrebbe
dire
quasi copiate) dall'edizione imperiale del 1696 del
Gengzhi Tu, mentre le corrispondenti
immagini della casa Coutts di Londra,
poste in opera alcuni decenni più tardi che a Govone,
risalgono senza
alcun dubbio alla successiva edizione settecentesca dello stesso
manuale.Per la porcellana e per il té vi sono analoghi
manuali ed analoghi
percorsi di penetrazione e presenza delle relative immagini presso le
istituzioni scientifiche e culturali europee di quel
periodo.[6]
4. Abbozzate, per grandi linee, le fonti di riferimento delle immagini rappresentate sulle carte da parati in esame, bisogna ancora considerare il quadro generale in cui prese piede, in Europa, la sterminata voga delle "cineserie". Questa moda, iniziata verso gli ultimi decenni del '600, esplosa sotto le più svariate forme nel '700 e che inizia a scemare solo in pieno '800, è stata oggetto di un'infinità di studi e ricerche, la quasi totalità delle quali riguarda gli aspetti estetici o più in generale, la storia dell'arte e dei reciproci influssi artistici tra Europa ed Asia orientale. In queste prospettive puramente estetiche restava e resta tutt'oggi in ombra quella che tra la fine '600 e la seconda metà del '700 era la reale percezione che i circoli economici e politici europei più avvertiti avevano della Cina, una percezione che sarà travolta dagli effetti, anche culturali, della successiva rivoluzione industriale, ma che fino ad allora aveva visto la Cina, per dirla in termini odierni, come una grande potenza economica dotata di specifiche ed avanzate conoscenze tecniche ancora sconosciute, non ben comprese o insufficientemente assimilate dagli occidentali. Allora, come e più di oggi, la Cina esportava merci in Occidente in misura massicciamente superiore a quanto non le interessasse importare. La "Bilancia dei Pagamenti" dell'Europa con l' Asia ed in particolare con la Cina era assolutamente negativa: le merci cinesi si compravano contro valuta pregiata (argento) e non con merci europee, le quali non trovavano alcun mercato, per i loro costi e per la loro qualità (sentita dai cinesi come scadente), in Cina. Se si volevano vendere merci europee - in genere per accontentare le potenti guilde dei produttori nazionali - bisognava venderle molto sotto costo (in "dumping"), perdendoci. La Cina, di conseguenza, era allora vista come una nazione molto prospera ed i pilastri della sua prosperità economica erano, da un canto le sue merci d'esportazione: sete, té e porcellane che affluivano in maniera sempre crescente sui mercati europei e per il commercio delle quali ogni paese metteva in piedi le sue Compagnie delle Indie; da un altro canto l'immensa produzione delle sue risaie - con rese per unità di superficie molto più alte e molto più stabili di quelle in cereali dell'Europa coeva e che consentivano, nella visione europea di allora, di nutrire un'immensa popolazione e di tenere bassi i costi del lavoro.
5. Non è qui la sede per discutere in che misura
quest'immagine
della Cina da parte degli Europei corrispondesse o meno alle reali
condizioni
economiche e sociali del Celeste Impero, ma non si può non
mettere in
collegamento i quattro soggetti standard delle carte da parati cinesi
che
abbiamo preso in esame con i quattro pilastri economici della Cina di
quel
periodo che abbiamo appena indicato. Non è
possibile,
riteniamo, non vedere un preciso messaggio di esaltazione di quei
flussi
merceologici nelle immagini delle carte da parati che la casa bancaria
Coutts pone nel salone della propria
Direzione se pensiamo al fatto che era sulla movimentazione e sul
finanziamento
di quei flussi che la Casa aveva costruito le proprie fortune, fornendo
capitali
alla East India Company ed a tutti
quei privati che in maniera più o meno legale importavano o
facevano
circolare sete, té e porcellane provenienti dalla Cina su
Londra e su
tutti i principali empori dell'Europa settentrionale dove operavano gli
agenti
della Coutts. La
decorazione decisa dalla Coutts, con
delle carte da parati cinesi tanto alla moda, aveva certamente anche
una valenza
estetica, sicuramente molto apprezzata, ma era allo stesso tempo un
modello
concreto e reale cui ispirare le proprie attività. Quando il
mito della
Cina tramonterà - in Inghilterra pochi decenni dopo la messa
in opera di
quelle carte - resterà il solo aspetto estetico e
decorativo, ma la
ispirazione iniziale era certamente molto più ampia e
più
coinvolgente.
Più vasta e
più indiretta, riteniamo, la motivazione che
guidò la messa in
opera delle carte nel castello di Govone. Essa, nella nostra opinione,
rappresentava insieme un'orgogliosa manifestazione di un risultato
raggiunto e
la sfida di un progetto da realizzare. Era un modello
ottenuto ed insieme un modello
auspicato.
La persona che prese la decisione di mettere
quelle carte con
quelle rappresentazioni era un alto
funzionario dello Stato sabaudo, ma era allo stesso tempo un esponente
di
rilievo di quella grande proprietà terriera piemontese
impegnata a
migliorare le produzioni del ciclo agricolo e in questo modo a
rafforzare ed
arricchire lo stato. Tra queste produzioni la seta aveva un ruolo
assolutamente
primario: il Piemonte aveva infatti, ormai da molti decenni, nella
produzione e
nell'esportazione di filo di seta di qualità, una delle sue
principali
leve economiche, e quella produzione era in costante
crescita.[7] Allo stesso tempo in Piemonte
si stava operando alacremente per espandere le risaie, ed inoltre anche
il
Governo del Piemonte, come molti altri Governi europei di quel periodo
si
sforzava di sostenere una nascente industria interna della porcellana,
ora che i
segreti dell'arte cinese della porcellana, anche attraverso manuali
cinesi
illustrati analoghi a quello della seta sopra citato, erano stati
finalmente
fatti giungere in Europa, studiati e compresi dal punto di vista
tecnico-scientifico ed applicati in stabilimenti pubblico/privati.
Con
meno fortuna di esiti, il Piemonte agiva allora in questo settore nella
direzione in cui andavano le più fortunate e coeve imprese
di Limoges, di
Sevres, di Capodimonte, di Meissen.
6. Nel decidere le decorazioni di
alcune delle più importanti sale del suo Castello e nel
scegliere per
queste delle decorazioni parietali prestigiose, ricercate e molto
particolari
nei loro soggetti, il modello di riferimento per il marchese di
Breglio, restava
in questo senso un grande paese orientale che eccelleva in tutte quelle
produzioni, ma a nostro avviso il messaggio includeva, nel porre in
assoluto
primo piano, anche visivo, la seta, una sorta di affermazione
orgogliosa di
raggiunta eccellenza sabauda - paragonabile a quella cinese - in quel
settore. Allo stesso tempo si trasmetteva un
modello/messaggio che vedeva nell'impegno di un membro influente della
società a seguire la traccia economica del grande paese
d'oriente, la via
maestra per innalzare le fortune della propria nazione. Se questo
modello fosse
in antitesi o riuscisse a complemento di altri modelli di comportamento
sociale
e di funzione, come quello militare, può essere soggetto di
ulteriore
ricerca, ma è difficile immaginare che un impegno
così forte, in
termini di spesa come in termini culturali e di innovazione decorativa,
per una
rappresentazione tanto ricercata e specifica, non intendesse
avere anche
una forte componente esemplare: mostrare, insomma, una strada allo
stesso tempo
nuova ed in parte già percorsa con successo.
Si può
forse aggiungere, ma è solo un'indicazione preliminare per
uno studio
tutto da completare, che il vicino castello di S. Martino Alfieri
presenta sulle
pareti di alcune stanze carte da parati cinesi, apparentemente coeve,
con
soggetti decorativamente per alcuni aspetti meno "anomali" di quelli di
Govone
in rispetto alle tradizionali carte da parati cinesi, anche se non
conformi ai
comuni soggetti di fiori e piante e che, a ben guardare, possono
rientrare
nell'ipotesi di un messaggio di ruolo che per qualche aspetto risulta
analogo a
quello di Govone. Il soggetto di quelle carte, infatti, è
quello del
signore, grande proprietario terriero, negli agi della sua dimora di
campagna. Se si fosse trattato di una scelta volutamente
cercata,
il messaggio/modello che a S. Martino Alfieri si proponeva si
discostava
anch'esso dal ruolo tradizionale del nobile sabaudo dedito all'arte
militare ed
alle imprese gloriose, per affiancarsi, con toni certamente meno
demiurgici, ai
modelli di centralità per il benessere dello Stato
dell'attività
agricola intelligentemente guidata che traspaiono con tanta forza dalle
carte di
Govone.
7. Tra gli aspetti secondari, rispetto alla
centralità del modello proposto, che non è
possibile sviluppare
più ampiamente in questa sede, ma a cui si vuole perlomeno
accennare, ve
ne sono due di un certo significato.
Il primo riguarda il
collegamento eventuale delle carte di Govone con quelle, di soggetto
analogo,
del castello austriaco di Halbturn, di proprietà allora
della corona
d'Austria. In termini cronologici appare molto probabile che la posa in
essere a
Govone preceda quella ad Halbturn e potrebbe essere significativo che
il
marchese di Breglio avesse svolto a Vienna, proprio in quel periodo le
funzioni
di rappresentante presso la Corte austriaca del regno sabaudo. Ma vale
la pena
di sottolineare anche che proprio in quei decenni il Governo austriaco
si era
impegnato sistematicamente a diffondere nei propri territori la
sericoltura e
l'industria della seta. Le carte da parati di Halbturn, incentrate
anch'esse sul
ciclo della seta, possono essere viste come un "manifesto"
delle
intenzioni governative e delle sollecitazioni all'elite imprenditoriale
nobiliare dell'Impero a seguire quella strada (così come
stava avvenendo
in Piemonte)?
Il secondo riguarda un problema concreto, per
Govone, di committenza specifica, che è lungi
dall'essere risolto,
ma che ha delle implicazioni di notevole portata. Le carte del ciclo
della seta
appaiono essere a misura della stanza sulle cui pareti sono state
poste. Ora
tali carte erano di solito prodotte in rotoli di dimensioni standard
negli
ateliers cinesi e come tali importate a Londra o altrove, per cui per
porle in
posa andavano tagliate ed adattate, cosa non difficile da fare per
carte che
presentavano solo motivi puramente decorativi e che potevano essere
aggiustate a
seconda delle superfici da ricoprire ed affiancate a seconda delle
esigenze.
Parrebbe invece assai difficile immaginare che solo per pura
coincidenza le
dimensioni complessive dei rotoli con immagini non riducibili del ciclo
della
seta, da stendere affiancati in verticale in modo da formare un'unica
composizione organica - in alto, in basso, a destra e a sinistra - come
se
fossero dei grandi arazzi, siano perfettamente coincise con quelle di
due
diverse pareti della Camera da letto
di Govone. Se però dobbiamo qui pensare ad un ordinazione
esplicita, che
comprenda, oltre all' individuazione del soggetto anche le indicazioni
precise
per delle misure particolari per la larghezza e l'altezza dei fogli
calcolate
sulle diverse ampiezze delle pareti da ricoprire, dobbiamo pensare ad
un
processo di ordine del materiale da trasmettere in Cina (tramite
qualche
intermediario mercantile dell' Europa del Nord) per un esecuzione ad
hoc. Si
sarebbe necessariamente trattato di un procedimento di ordinazione
assai
complesso e che implicava alcuni anni di tempo per il suo
completamento,
piuttosto che di una relativamente più semplice selezione da
campionario
per carte che già si trovano ad Amsterdam, ad Anversa o a
Londra. La
scelta del "modello" del marchese di Breglio diviene allora assai
più
"pensata" e "voluta", e quindi assai più impegnativa anche
in termini
culturali, di quanto già non ci sia apparsa. Ma anche su
questo punto
siamo ancora nel campo delle ipotesi.
* Il presente testo è costituito dalla comunicazione presentata al Seminario internazionale Modelli da imitare-modelli da evitare. Discussioni settecentesche su morale e commercio, ricchezza e povertà negli antichi stati italiani (Pisa, 11-13/10/2007).
[1] Giuseppe Roberto Solaro, marchese di Breglio e conte di Govone. I Solaro possedevano il castello sin dal XIII secolo.
[2] Uso la denominazione correntemente accettata dei tre ambienti, che non necessariamente corrisponde all' utilizzo di questi al tempo della posa in opera delle carte da parati di cui qui si parla.
[3] Si deve anche rilevare come vi fosse una corrente di storici dell'arte locali (palesemente del tutto digiuni da una pur minima conoscenza di arte della Cina e di storia delle importazioni di oggetti d'arte cinesi in Europa) che riteneva le carte di Govone, e anche quelle di altri palazzi e castelli, essere il prodotto di artigiani piemontesi. Tale posizione è stata pervicacemente mantenuta sino a tempi molto recenti, con il rischio reale e concreto che si facessero dei restauri come se il supporto cartaceo ed i pigmenti fossero nostrali e non cinesi, provocando un disastro.
[4] G. Berger, G. Métailié, T. Watabe, "Une chinoiserie insolite: étude d'un papier peint chinois", Arts Asiatiques, LI, (1996), pp. 96-116.
[5] L. Caterina, "Le stanze cinesi del castello dei Solaro a Govone: lettura storico-artistica" e C. Zanier, "I cicli di produzione nelle carte da parati cinesi del Castello di Govone", in Il Castello di Govone - Gli appartamenti, Torino, CELID, 2000, rispettivamente alle pp. 41-58 e 61-75.
[6] Si veda Caterina, Le stanze cinesi del castello dei Solaro a Govone, cit.
[7]G. Chicco, La seta in Piemonte 1650-1800. Un sistema industriale d'ancien régime, Milano, Angeli, 1995.