1.
Nelle precedenti riunioni annuali del nostro gruppo di ricerca,
allargato a
studiosi non universitari, abbiamo parlato molto della storia
dell’Inquisizione in Italia, a cominciare dal 2000, quando ci
ponemmo il
problema di trovare un elemento unificante per le ricerche che
confluivano nel
Progetto di rilevante interesse nazionale, diretto da Adriano Prosperi.
La
proposta avanzata da molti fu una storia dell’Inquisizione
romana nella
lunga durata: una storia sul piano cronologico e contemporaneamente
tematico,
tenendo conto della dinamica centro-periferia, ma superando
l’ottica
regionale, puntando alle questioni generali, alle caratteristiche
unitarie
dell’istituzione, agli effetti complessivi della sua
attività.
Così nel 2001 abbiamo cominciato a chiederci se era
possibile progettare
una storia complessiva dell’Inquisizione romana, con quali
criteri
storiografici e su quali basi documentarie. La domanda formulata in
questo modo
sembra oggi un discorso strano e remoto. L’anno seguente il
tema trattato
furono le prospettive per una storia istituzionale
dell’Inquisizione
nell’Italia moderna. Gli interventi furono molti e la
discussione vivace:
storia complessiva dell’Inquisizione dal punto di vista della
società, non solo imputati e giudici, centralità
dei rapporti
vescovi-inquisitori e inquisitori-confessori, articolazione secondo i
diversi
Stati, le abolizioni delle sedi locali con motivazioni e in tempi
diversi,
riferimento alla periodizzazione dell’attività dei
vescovi proposta
da Claudio Donati, le due Italie inquisitoriali, centralità
del
pontificato di Pio V nel Cinquecento, la questione della bigamia, le
Repubbliche
come non luogo di libertà religiosa e vari altri spunti,
valutazioni,
osservazioni. Siamo poi passati nella sede della Scuola Normale
Superiore e gli
argomenti divennero più specifici: nel 2003 i tribunali di
fede e le
autorità statali in Europa; nel 2004 la storiografia e la
storia
istituzionale dell’Inquisizione medievale e di quella moderna
in Italia.
Le indicazioni e i dibattiti sono stati ampi e stimolanti, i
partecipanti sono
cresciuti via via. Solamente nel 2005 abbiamo messo in agenda questioni
diverse,
riguardanti soprattutto i due progetti: Dizionario storico
dell’Inquisizione e Censimento degli archivi inquisitoriali
in Italia.
Negli anni seguenti abbiamo discusso i libri che man mano uscivano
sulle
tematiche di tipo inquisitoriale e quest’anno si torna alla
storia
generale dell’Inquisizione in Italia.
2. Il
libro che ho pubblicato con
Mondadori
[1] riguarda l’Inquisizione in Italia dalle origini medievali ad
oggi, ma non
era scontato che fosse così. Le questioni basilari
– e tra loro
intrecciate – che ho dovuto risolvere preliminarmente alla
stesura furono
l’argomento e il pubblico cui intendevo rivolgermi. Scartate
varie
opzioni, alla fine la scelta è caduta sulle varie forme di
Inquisizione
che hanno operato in Italia, praticamente l’unica area
europea che offra
modo di studiare la repressione giudiziaria del dissenso religioso
durante il
medioevo, durante l’età moderna nelle due varianti
dell’Inquisizione romana e dell’Inquisizione
spagnola e infine
nell’età contemporanea. Una storia di lunghissima
durata e un
esperimento un po’ azzardato, dal momento che non esistevano
studi
d’insieme per il medioevo né per
l’età moderna e tanto
meno per quella
contemporanea
[2].
Anzi l’idea normalmente corrente era che
l’Inquisizione romana fosse
una faccenda del passato, conclusa alla fine del Settecento, poco prima
dell’abolizione delle Inquisizioni iberiche.
Il
pubblico cui intendevo rivolgermi aveva un doppio volto: in modo
preferenziale
era il grande pubblico, dato che Mondadori non è
notoriamente una casa
editrice accademica, ma contemporaneamente mi interessavano molto anche
gli
storici e gli specialisti. Quindi dovevo scrivere per un pubblico di
buona
cultura, che conosceva poco o nulla dell’Inquisizione e
raccontare
brevemente cose note e notissime agli storici, spiegando i fatti e
citando
talvolta brani di documenti, dovevo enucleare in modo chiaro ma non
semplicistico i problemi più importanti, trascurando le
continue
discussioni tra gli specialisti. Non volevo comunque fare una storia
divulgativa
dell’Inquisizione, come quelle di Rino Cammilleri, Michael
Baigent e
Richard Leigh, Natale Benazzi e Matteo D’Amico, Franco
Cardini e Marina
Montesano, più o meno condizionate da scelte accusatorie o
apologetiche e
talvolta inficiate da vari
errori
[3].
Mi proponevo invece di offrire al lettore in modo serio, documentato e
critico i
termini principali delle molte questioni inquisitoriali
perché si potesse
fare un’idea propria, evitando la leggenda nera, ma anche la
leggenda
bianca. La scrittura a duplice livello non è facile,
perché espone
al rischio di esprimere le questioni più rilevanti in modo
complicato per
il lettore comune e di esporre in maniera insufficiente i vari e
notevoli
problemi che interessano gli specialisti. Ho quindi cercato di essere
comprensibile al pubblico di buona cultura, senza sacrificare la
complessità delle questioni, sperando di essere capito anche
dagli
storici, pur non offrendo loro tutti i dettagli delle argomentazioni.
Per non
aumentare le pagine di un volume già grosso, mi sono
limitato a segnalare
nel testo con una frase elementare gli scostamenti più
grossi dalle
valutazioni di altri specialisti e nelle note ho indicato ogni tanto
che alcune
osservazioni erano mie, intendendo che alcune affermazioni fatte nel
testo erano
diverse da quelle dell’autore del contributo che citavo.
All’inizio
della stesura ho deciso anche quale struttura dare
all’esposizione:
cronologica o tematica? Ho fatto una scelta mista: struttura
fondamentalmente
cronologica e secondariamente tematica, ponendo in primo luogo gli
sviluppi
istituzionali. Volevo comunque evitare la giustapposizione dei vari
campi di
ricerca in cui è solitamente diviso lo studio
dell’Inquisizione:
catarismo, magia e stregoneria, Riforma, censura, ebrei, quietismo,
giansenismo,
massoneria ecc. e proporre invece la visione complessiva e organica di
un’unica istituzione di controllo nello sviluppo della sua
attività. Ma ho fatto alcune eccezioni tematiche: ad esempio
ho accorpato
la stregoneria del Quattrocento con quella del primo Cinquecento nella
parte
medievale, ho parlato dei rinnegati alla fine della parte
cinquecentesca
solamente, badando a certi aspetti piuttosto che ad altri.
3.
Dato
l’impianto fondamentalmente cronologico del libro, la
periodizzazione
riveste un’importanza basilare. Il libro aveva in origine
soltanto due
parti: medioevo ed età moderna-contemporanea. Per il
medioevo non mi ero
posto tanti problemi, dal momento che la repressione delle varie eresie
sembrava
disporsi quasi da sé nel tempo. I problemi sono cominciati
quando ho
affrontato il Cinquecento, il periodo di gran lunga più
studiato e quello
a me più noto. Per la storia dell’Inquisizione
romana tra il 1542 e
il 1587 ho adottato le convincenti fasi proposte da Silvana Seidel
Menchi per la
storia della Riforma in Italia, compresi gli anni precedenti al 1542.
Mi
è parso tuttavia interessante non limitarmi a questa
tematica, e mettere
a confronto la repressione degli ebrei econversos in Sicilia nei primi decenni del secolo, degli aderenti alla Riforma
nella
penisola e nelle isole, dei rinnegati ritornati dai paesi musulmani
dagli anni
‘70 in poi. Si è venuta così delineando
una parte autonoma
del libro, la seconda, e il tema è diventato non
più la lotta
contro la Riforma in Italia, ma la grande guerra contro le altre
religioni, con
la contemporanea considerazione dell’Inquisizione spagnola e
di quella
romana, di solito tenute ben distinte. Attraverso la comparazione sono
così sorte delle questioni che ho cercato di affrontare: si
poteva capire
quale dei tre gruppi eterodossi venne perseguito più
duramente? Si poteva
ancora attribuire all’Inquisizione la difesa delle
verità di fede
in sé, secondo il loro “peso” teologico?
Nel primo
Cinquecento si potevano cogliere delle connessioni tra le grandi cacce
alle
streghe che avvenivano nell’Italia delle Alpi e la cacciata
degli ebrei e
la caccia ai conversos nell’Italia meridionale e
insulare?
A
questo punto del libro avevo il problema di come periodizzare la terza
parte,
dal pontificato di Sisto V (1585-1590) a oggi. Due punti fermi erano
l’abolizione delle sedi periferiche
dell’Inquisizione e il concilio
Vaticano II. Ma come trattare il Seicento e il Settecento: secolo per
secolo?
Troppo generico! Ho considerato che il processo e la condanna di
Galilei nel
1633 potevano diventare un punto chiave, in connessione con altri
significativi
elementi di storia istituzionale (riorganizzazione territoriale,
ampliamento
delle competenze), creando così la fase che si
può definire
l’apogeo del Sant’Ufficio e che coincide con
l’ultimo periodo
delle guerre di religione chiuso dalla pace di Westfalia. Ma come
sistemare il
seguito? A questo proposito mi è sembrata molto utile la
suddivisione
proposta da Claudio Donati per l’attività dei
vescovi in Italia
nell’età moderna, dopotutto normalmente presenti
come giudici di
fede nei tribunali locali dell’Inquisizione. I punti di
svolta così
identificati si riferivano a pontificati significativi, si basavano
cioè
su elementi di storia istituzionale generale e di conseguenza ho
adottato questo
criterio in modo sistematico: il 1587 è diventato il 1585
(inizio del
pontificato di Sisto V) e il 1633 è stato cambiato nel 1644
(fine del
pontificato di Urbano VIII). Ho anche fatto una piccola modifica nello
schema di
Donati, spostando Benedetto XIV dalla fine di una fase
all’inizio della
seguente, convinto da diverse valutazioni espresse da Marina Caffiero
sugli
interventi inquisitoriali di questo
papa.
Alla
fine mi sono reso conto che dovevo rimettere mano al medioevo con
criteri
cronologici più meditati. Ho stabilito la periodizzazione
medievale
rimanendo legato alle questioni più propriamente
inquisitoriali,
cambiando i titoli dei capitoli, e inquadrandone meglio il contenuto
nella
storia generale. Ho inoltre risolto in modo diverso l’inizio
dell’Inquisizione, non facendolo più coincidere
con le nomine dei
primi inquisitori mendicanti all’inizio degli anni
‘30 del Duecento
da parte di Gregorio IX, ma anticipandolo alle decisioni prese da Lucio
III nel
1184
(Ad
abolendam) e
inglobando così a pieno titolo nella primissima fase la
crociata albigese
in Francia e il moto dell’Alleluia in Italia. La scelta
è maturata
alla fine della stesura, considerando i criteri generali che avevo
adottato in
tutto il libro: il sistema inquisitoriale dopotutto era costituito in
primo
luogo dai papi, poi dai vescovi e dagli inquisitori e non fu una
faccenda
soltanto di Chiesa, perché nel controllo delle dottrine
religiose furono
implicate in vari modi le autorità politiche dal XII secolo
fino alla
fine del Settecento e agli inizi dell’Ottocento.
4.
Un’altra
linea di fondo che percorre tutto il libro sono i numeri,
cioè il
tentativo di attribuire una dimensione quantitativa ai fenomeni della
repressione religiosa, soprattutto per scopi comparativi. Ho constatato
per
esperienza che la quantificazione ha poco appeal
tra
gli storici, ma
in un’opera complessiva è forse inevitabile e
riveste comunque una
certa utilità. Capire se l’Inquisizione romana
abbia fatto
giustiziare in due secoli e mezzo soltanto 71 aderenti alla Riforma e
36
streghe, quante possano essere state le esecuzioni capitali nel
complesso della
sua attività, dove e come sia avvenuta la persecuzione della
stregoneria
nel secondo Quattrocento e primo Cinquecento non sono forse problemi
del tutto
privi di senso. Poi mi pare sia sempre preferibile dare i numeri,
esponendoli
dettagliatamente e criticamente, piuttosto che manifestare
semplicemente delle
opinioni personali, in genere più aleatorie e meno
verificabili. A parte
i possibili errori di calcolo, l’impresa non è
stata sempre facile.
Per l’Inquisizione romana e in generale per quella spagnola
ho cercato di
contare e di avanzare delle stime ragionate e ragionevoli, ma per
quanto
riguarda l’Inquisizione portoghese e il medioevo italiano ho
rinunciato ad
andare al di là dei confusi dati portoghesi e della grande
frammentarietà di quelli italiani.
Dal
punto di
vista geografico e storico l’Italia è intesa in
senso stretto come
Stati italiani, comprendendo quindi anche le loro parti fuori
dell’attuale
territorio italiano, come Avignone, Istria e Dalmazia. Lo stesso
criterio
è stato mantenuto dall’Ottocento in poi, quando la
competenza della
Congregazione del Sant’Ufficio non si limitò
più
all’Italia, essendo state chiuse le due Inquisizioni
iberiche. Così
ora la Congregazione per la Dottrina della Fede ha sede nella
Città del
Vaticano, non in Italia, e non rientrava negli scopi del libro prendere
in
considerazione le sue decisioni riguardanti tutta la Chiesa cattolica.
L’orizzonte generale del libro non è comunque
ristretto
all’Italia, ma tiene conto della storia religiosa, politica e
culturale
dell’Europa. Ho anzi cercato il più possibile di
non limitarmi ad
una storia ecclesiastica, ma di collocare l’Inquisizione nel
contesto
della società italiana, attribuendo il dovuto peso ai suoi
rapporti con
le autorità statali, che nel medioevo e in antico regime
furono in
relazione simbiotica con le istituzioni ecclesiastiche. In linea
generale
risulta così che i tribunali di fede statali (Lucca,
Venezia, Torino...)
furono più severi dell’Inquisizione romana nel
punire
l’adesione alla Riforma, la stregoneria e le bestemmie. Le
Inquisizioni
cattoliche furono più dure dei tribunali protestanti nella
repressione
delle dottrine
teologiche.
Nelle
ricerche più recenti l’Inquisizione romana ha
cominciato ad
acquistare caratteristiche proprie, diverse da quelle
dell’Inquisizione
spagnola (compresenza di vescovi e inquisitori, importanza dei nunzi
come
giudici di fede, largo uso delle procedure sommarie nel Seicento e
soprattutto
nel Settecento...), mentre stanno emergendo sempre di più le
continuità rispetto all’Inquisizione medievale,
soprattutto per
quanto riguarda le procedure e le competenze delittive. In questa
storia di
lungo periodo si impone un’altra constatazione,
‘normale’ per
gli storici: la Chiesa cattolica insegna e difende verità
teologiche
assolute secondo i propri criteri, ma in realtà esse sono
soggette alla
relatività ecclesiastica. Ci sono più Chiese
cristiane che
insegnano dottrine in parte diverse, gli ‘eretici’
non si ritenevano
tali, ma avevano invece la consapevolezza di essere veri cristiani
(patari,
poveri di Lione, catari, fraticelli, aderenti alla Riforma, quietisti,
giansenisti, modernisti). Soprattutto la mancata proporzione tra
gravità
teologica del dissenso e durezza della repressione mostra che quello
che conta
non è la Verità divina in sé, ma le
condizioni storiche in
cui è stata (ed è) compresa e vissuta. Sono
problemi che non
riguardano soltanto il passato, ma investono anche la
società, la cultura
e la religione del nostro
tempo.
[1] Andrea Del Col, L’Inquisizione in Italia dal XII al XXI secolo, Milano, Mondadori, 2006.
[2] Per il medioevo c’era il libro di Mariano d’Alatri, E l’Inquisizione? Tabù e realtà sul tribunale della fede, Roma, Edizioni Paoline, 1959, 222 pp., scritto con tono apologetico prima delle molte sue ricerche sugli inquisitori francescani che uscirono negli anni seguenti. Anche se non è una storia dell’Inquisizione, l’opera più generale e interessante per la delineazione di questa istituzione nell’età moderna è quella di Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996. Il libro di Giovanni Romeo, L’Inquisizione nell’Italia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2002 è uscito quando la stesura del mio era già alla terza parte.
[3] Vedi le osservazioni a proposito dei singoli libri in Andrea Del Col, La divulgazione della storia inquisitoriale tra approssimazione e serietà professionale, in Vero e falso. L’uso politico della storia, a cura di Marina Caffiero e Micaela Procaccia, Roma, Donzelli, 2008, pp. 83-102.