Ronald Paulson, Hogarth’s Harlot. Sacred Parody in Enlightenment England, The Johns Hopkins University Press, 2003
[$ 52,00 – ISBN 978-0-8018-7391-1]

Jacopo Agnesina
Università del Piemonte Orientale

1. Nell’Inghilterra colta del ‘700, dopo che nel travagliato secolo precedente era stata definita una relativa stabilità politico-statale, si viveva un momento di forte dibattito intellettuale, nel cui centro – e con declinazioni diversissime – si poneva la questione della religione. La frammentazione delle posizioni teologiche, tale da rendere risibile ogni tentativo di categorizzazione delle fazioni, unita all’assenza di un potere religioso centrale realmente normativo, spingeva gli stessi contendenti alla continua ridiscussione dei limiti alla libertà di pensiero e di espressione. Se Locke, verso la conclusione del ‘600, con la sua Epistola, proponeva un concetto quantomeno edulcorato di tolleranza – politica e non solo –, il circolo dei Freethinkers – ed in particolare Anthony Collins – rispondeva con il ben più penetrante Discourse of Freethinking che, pubblicato anonimo nel 1713, fornisce la cifra della radicalità con la quale questa nuova classe di intellettuali si esprimeva.

Su questa relativa libertà, conquistata sul campo, incombevano scuri legislative che erano periodicamente agitate. In una di queste, il Blasphemy Act, promulgato nel 1698, incorse Thomas Woolston che, a seguito della pubblicazione dei Six Discourses on the Miracles of our Savior (1727-1729), nei quali negava recisamente l’autenticità dei miracoli compiuti da Cristo, venne imprigionato per blasfemia.

2. Sullo sfondo che si è appena cercato di delineare, Ronald Paulson, Mayer Professor of the Humanities presso la Johns Hopkins University, con l’ampio studio Hogarth’s Harlot, Sacred Parody in Enlightenment England, intende ricostruire la multiforme tematica della parodia del sacro. Personaggio cardine di questo immaginario percorso è William Hogarth, pittore, illustratore ma, soprattutto, irriverente critico della società inglese.

Il testo di Paulson ricalca, nella divisione in capitoli, lo svolgimento sequenziale caratteristico dell’opera artistica di Hogarth. Il primo capitolo, nel suo ruolo introduttivo, tratteggia alcune tematiche che andranno a trovare spazio nel prosieguo del testo. Con il secondo capitolo si assume a caso esemplare A Harlot’s Progress, serie di sei incisioni che illustrano la ‘carriera’ di una prostituta; di questa opera si individuano gli innumerevoli elementi simbolici e allegorici generanti una narrazione dalle tinte morali, nella quale riferimenti religiosi e politici si fondono, con pesanti effetti di insinuazione. Dal terzo al settimo capitolo con Atonement, Incarnation, Redemption, MediationResurrection vengono indagati i luoghi della teologia cristiana: il movimento oscillatorio delle argomentazioni di Paulson va a toccare diversi fra filosofi e teorici dell’arte come Shaftesbury o Burke, artisti come lo scultore Roubiliac o il compositore Haendel, influenti scrittori come Milton e Swift ma, al centro, come continua pietra di paragone, rimane la poliedrica figura di Hogarth, in grado, col passare degli anni, di evolvere la propria influenza critica nei confronti della società e dall’arte. Il capitolo ottavo tratta dell’opera si Christopher Smart, poeta tormentato che visse per diversi anni confinato in un manicomio, dove scrisse le sue più celebri opere. Il capitolo nono chiude il libro prendendo in considerazione la produzione di William Blake.

3. Parodia nei termini in cui ne parla Paulson significa «both a parody of Redemption and a parody as a form of redemption» (Hogarth’s Harlot, p. XV): la satira del Nuovo Testamento non si risolve in una mera riproposizione caricaturale degli episodi evangelici ma acquista una nuova valenza morale. Le maschere dell’«here and now», come tipi di quelle sacre, profetizzano alla rovescia la possibilità di una redenzione; redenzione che si attua attraverso le figure ‘omega’ della società: gli ultimi, ritenuti i soli peccatori da chi appartiene alla esteriormente limpida èlite, sono il vero mezzo di mediazione e di espiazione. La parodia viene ad acquistare un nuovo significato: essa rielabora l’unione di tragico e salvifico – la morte di Cristo come mezzo di redenzione e come mezzo di espiazione dei peccati umani – spostando l’attenzione dal trascendente a ciò che è più strettamente umano e carnale. 

La prostituta protagonista della serie di ‘engravings’ di A Harlot’s Progress è in questo senso esemplare. La sua carriera è un progresso crescente di sofferenza, una lunga via dolorosa nella quale, lei sola, si assume involontariamente il peccato degli uomini che incontra. In una interpretazione complessiva, la signorina Hackabout, questo il nome della prostituta, risulta essere una rappresentazione tipologica della figura di Cristo: l’agnello sacrificale, l’essere destinato alla espiazione dei peccati commessi dall’intera società.

L’incredibile ricchezza delle figure che costituiscono l’opera di Hogarth non risolve certo il significato in una interpretazione definita e stabile. All’interno delle sue incisioni sono molteplici i riferimenti a uomini della cultura e delle alte gerarchie ecclesiastiche. Il Vescovo Gibson in A Harlot’s Progress assume le sembianze del prelato che, interessandosi di tutt’altro, non bada al reclutamento – ovvero all’inizio delle sofferenze – della giovane: ciò a simbolo della distanza tra la High Church e i drammi della società, l’opposto di ciò che la vera lettera del Vangelo, di cui essa ambiva a farsi portavoce, avrebbe dovuto ispirare.

4. Come abbiamo già avuto modo di accennare, la discussione pubblica inglese era infiammata da deflagranti libelli ‘deistici’. Hogarth, con gli strumenti che più gli erano propri, ha proposto diversi contributi a queste controversie. La feroce critica contro i ‘papisti’ ricorre in numerose incisioni e si concretizza nella ridicolizzazione della transustanziazione: in A Rake’s Progress, ad esempio, si scorge, sullo sfondo di una delle scene, un quadro che rappresenta una sorta di “macchina dell’eucarestia”: Dio, dall’alto del cielo, introduce Cristo all’interno della macchina; al capo opposto si trova un sacerdote che raccoglie le ostie prodotte dal marchingegno e si occupa di somministrarle ai fedeli. In Enthusiasm Delineated (opera che non verrà pubblicata se non in una versione dai toni assai meno estremi) i fedeli partecipano alla eucaristia divorando dei ‘gesù’ in miniatura. In questo caso il sacramento è assurto sia ad emblema della perversione cattolica sia a simbolo dell’inconsistenza dei suoi dettami con le regole della ragione.

Un altro bersaglio di Hogarth è il culto mariano, tanto caro al mondo cattolico della controriforma; a tale proposito, sempre nella serie delle ‘engravings’ di A Harlot’s Progress, in particolare nella seconda figura, possiamo individuare un elemento di insinuazione: in questa immagine i due personaggi centrali sono la signora Hackabout e il suo padrone, un ebreo facoltoso (un parvenu, come testimoniano gli sfarzosi ed eccessivi segni di ricchezza: si veda una scimmia ed un piccolo servo di colore). I due personaggi possono essere interpretati come tipi di Maria e Giuseppe. Nella scena, la giovane prostituta-moglie, Maria, sta rovesciando con un piede un tavolino da salotto, nel tentativo di distrarre il padrone-marito, Giuseppe, in modo che non scopra il suo giovane amante che, alle spalle, sta svignandosela fuori dall’uscio. L’insinuazione, rafforzata ulteriormente dalla decorazione della tappezzeria alle spalle dei personaggi che, con un gioco visivo sembra porre sulla testa del ricco ebreo delle ‘corna’, è sulla autentica verginità di Maria, sulla realtà del miracolo della divina concezione. La realtà dei legami tra storia evangelica e tipizzazione di Hogarth viene suffragata, in questo caso, secondo la tesi dell’autore, da un raffronto con le celebri raffigurazioni di Dürer intitolate Vita della Vergine e Vita di Cristo. L’analisi visiva delle somiglianze, resa possibile dalle immagini opportunamente riprodotte nel volume di Paulson, costituisce un indizio importante che depone in favore dell’accettazione della sua tesi.

5. Nel paragrafo precedente si sono riportati due esempi che potrebbero dipingere Hogarth come un acerrimo nemico del solo cattolicesimo. In realtà, la lettura complessiva di A Hogarth’s Harlot traccia la figura prototipo del ‘deista’: la critica di Hogarth non risparmia anche altre espressioni religiose di ambito inglese, in particolare quando esse vogliano imporsi come autorità – forte è l’accusa contro chi, dietro una spiritualità e integrità di facciata, non ha nelle proprie intenzioni che il potere e il prestigio personale.

Accanto alla critica deistica dal taglio politico – ovvero contestazione della ‘istituzione chiesa’ – rimangono due elementi che vale la pena di mostrare: uno scetticismo nei confronti della dimensione metafisico-teologica della religione e una rivalutazione quasi ‘romantica’ degli ultimi. A suffragio del primo elemento di questa diade, si potrebbe portare l’intera produzione di Hogarth; nello scegliere da questa ampia rosa, alcuni tratti notevoli per la loro purezza possono essere ravvisati in una coppia di disegni, mai pubblicati, che costituiscono lo studio per un monumento funebre a George Taylor, pugile morto per i postumi di un incontro. Lontano dalla critica biblica, Hogarth rappresenta un lottatore che combatte corpo a corpo con uno scheletro (la morte); in una prima figura è la morte ad avere la meglio, nella seconda è l’atleta che sembra poter sovrastare lo scheletro. Ciò che risulta evidente è la totale assenza di elementi atti a rappresentare una vita oltremondana: mancano angeli, assunzioni in cielo, giudizi dei peccati. La battaglia con la morte avviene in un ‘qui ed ora’ nel quale anche la rivincita sulla morte – evidentemente temporanea – è solo nel campo del sensibile, del mondo attuale.

La rivalutazione degli ultimi, una religione umana della sofferenza dei prevaricati, è, come abbiamo già avuto modo di accennare, una caratteristica peculiare dell’opera di Hogarth. Lontano dall’essere semplice retorica, redatta ad arte allo scopo di verificare un credo religioso, la funzione è fondante; ovvero, nella dialettica col Nuovo Testamento e nella sua parodia, la figura degli ultimi della società Inglese contemporanea è un sintomo della possibilità di storicizzare la Rivelazione, di assumere l’insegnamento evangelico – ma anche biblico, ricorre spesso, ad esempio, la parodia del sacrificio di Isacco – a simbolo della condizione umana. L’incarnazione, la mediazione, la redenzione, l’espiazione divengono assolutamente umane, perdendo l’alone metafisico che le confina in una dimensione atemporale. Venendo a perdersi la necessità di un testo canonico che, contemporaneamente, unisca una veracità storica ad una credibilità teologica, Hogarth è in grado di ridare plasticità e movimento al testo biblico, le cui storie non sono date una volta per tutte ma ricorrono nella sofferenza dell’uomo: riprendono vita e rimettono sul tavolo la più profonda dimensione salvifica – ancorché totalmente umanizzata.

6. Il rifiuto di una dimensione metafisica, in favore di una scena storicizzata sul qui ed ora – l’Inghilterra di metà settecento –, si declina anche sul piano della riflessione estetica. Laddove l’arte europea continentale, sotto diretto influsso della chiesa romana, viveva di atmosfere solennemente fuori dal tempo, trasposizioni oltremondane intrise di una innaturale purezza, la proposta di riforma dell’arte da parte di Hogarth, di un’arte che vuole essere autenticamente inglese, tracciava linee nuove: personaggi contemporanei; scene reali o comunque possibili; una dimensione narrativa che invita alla ‘lettura’ dell’opera; tutto ciò allo scopo di realizzare una moral art: una riflessione morale sulla realtà.

Sotto quest’ultimo aspetto, Hogarth, vivrà una evoluzione: la sua opera passa da una riflessione artistica che demistifica la religione e ricerca contenuti morali nel mondo del qui ed ora, ad una estetizzazione della stessa religione. Con le parole di Paulson, «Hogarth’s move toward aesthetics was partly a failure to find any positive value, let alone ideal, in contemporary political life» (Hogarth’s Harlot, p. 272). Disincanto e scetticismo portano, dunque, Hogarth a intensificare il suo interesse per la ‘teoria’ estetica: di questi anni, 1753, è la serie di incisioni dal titolo The analysis of Beauty al quale si affianca un vero e proprio studio teorico. In esso, viene introdotta la cosiddetta serpentine line: «The serpentine line, by its waving and winding at the same time different ways, leads the eye in a pleasing manner along the continuity of its variety» (The Analysis of Beauty, cap. VII). Quest’ultima, chiamata anche line of beauty, diviene lo strumento privilegiato della produzione di Hogarth.

La critica all’arte dei maestri italiani, degli Old Masters, così venerati e ricercati dai collezionisti anglosassoni, trova espressione nell’irriverente The Complicated Richardson. Richardson era stato autore di The Science of a Connoisseur, un celebre manuale ad uso di collezionisti e di appassionati interessati ad acquistare pezzi d’arte straniera. Richardson rappresentava, dunque, una sorta di ‘mediatore’ tra l’Arte e l’appassionato – Paulson suggerisce che questa sia un'altra figura tipologica di Cristo (un Cristo mediatore). La figura di questo mediatore viene ironicamente ritratta da Hogarth in The Complicated Richardson: Richardson, in piedi su di un tavolo è intento ad osservare alcune tele appese alla parete; i suoi calzoni, però, sono abbassati ed è burlescamente penetrato da un cannocchiale; al capo opposto del cannocchiale siede suo padre che, in un altro scritto, aveva elogiato il libro di suo figlio e che, in questa immagine, riveste il ruolo del connoisseur. La critica, benché complessa e polisemica, è evidentemente un richiamo alla ‘visione diretta’ della verità, una visione che deve rifuggire distorcenti mediazioni: «Hogarth picks up Galileo’s telescope with its ambivalent associations of perception-aided as mis-perception and applies directly to the doctrine of connoisseurship. The issue of seeing as opposed to believing and blindy following religious superstition conflates the notions of connoisseurship and popery» (Hogarth’s Harlot, p. 241).

7. L’intera opera di Hogarth si muove sul sottile filo della censura. Il contenuto più importante del messaggio che vuole comunicare risulta così nascosto da una fitta boscaglia di riferimenti, di giochi visivi, di allusioni, di tipizzazioni, di metafore. Il risultato è una produzione artistica che, a prima vista, non desta altro che curiosità ma che può essere pienamente compresa solamente avvalendosi di strumenti interpretativi adatti. Questi strumenti erano certo in possesso del pubblico al quale Hogarth si rivolgeva: un pubblico di deisti, antinomiani, radical Whigs, tutti ben addestrati alla ricerca di un significato nascosto.

Opere che teorizzavano strategie di comunicazione esoterica erano, per altro, di stretta attualità nell’Inghilterra del XVIII secolo. Con sfumature diverse si erano pronunciati Anthony Ashley Cooper, terzo conte di Shaftesbury, in Sensus Communis (1708), John Toland nel Clidophorus (incluso nella raccolta Tetradymus, 1720) e Anthony Collins in A Discourse Concerning Ridicule and Irony in Writing (1729).

L’intera produzione di Hogarth testimonia, in questa linea, l’esistenza reale – e non solo teorica o teorizzata – di una strategia comunicativa di questo tipo. L’approfondita analisi delle sue opere, come la constatazione dell’esistenza di un pubblico in grado di recepirne tutte le sfumature, non può che deporre, in linea generale, in favore degli autori che propongono – per quel momento storico – una lettura consapevole e che si spinga oltre le prime apparenze. Questo modo di procedere non sarà quindi una violenza ma, al contrario, un modo di acquisire una scaltrezza pari a quella che era in possesso del pubblico contemporaneo all’autore.

8. In conclusione, Hogarth’s Harlot risulta essere uno studio molto completo ed estremamente solido. L’ampio numero di riferimenti ad autori e artisti pare ottimamente controbilanciato da una chiara dialettica e da un adeguato supporto iconografico. Da un punto di vista più ampiamente interpretativo, lo studio proposto da Ronald Paulson travalica i confini di una indagine sulla parodia del sacro nell’arte, andando a dipingere un panorama più ampio nel quale si scorgono, in maniera assai vivida, tematiche e discussioni che ruotano intorno all’intero orizzonte inglese settecentesco. Come già sottolineato, inoltre, lo studio getta ampia luce sulla componente della retorica ‘deistica’, permettendo di avvalorarne le tesi da un punto di osservazione differente e privilegiato.