1.
Il volume di Michele Nani si inserisce nel ricco filone degli studi sulla
nazionalizzazione italiana apportandovi un importante contributo di merito, ma
anche una serie di rilevanti spunti metodologici.
Nani
colloca esplicitamente la sua ricerca nella quarta generazione di studi sul
nazionalismo, dopo quella oggettivista delle origini, quella costruttivista
e modernista degli anni Ottanta e quella più attenta alla dimensione
simbolica del post-1989.
Al
tempo stesso egli si inserisce nella linea interpretativa che dalle
pionieristiche considerazioni di Giulio Bollati, passa attraverso le
sollecitazioni di Silvio Lanaro per arrivare agli ultimi lavori di Alberto
Banti.
Cinque
sono gli elementi significativi di questa proposta:
-
lidea che le identità sociali e gli statuti dellappartenenza siano definiti
in chiave relazionale;
-
la centralità dellorizzonte nazionale nella modernità europea;
-
la molteplicità dei confini simbolici, esterni ed interni, che ritagliano
limmaginario sulla nazione;
-
la pluralità (e lintreccio) dei progetti e quindi dei discorsi sulla nazione,
che in vario modo rimodulano questo gioco di inclusioni-esclusioni;
-
la peculiarità del caso italiano, dettata dal ritardo dellunificazione, che
porta alla sovrapposizione dei processi di identificazione nazionale con le
dinamiche proprie delletà dellimperialismo.
Nani
si propone a sua volta di esplorare alcuni meccanismi della nazionalizzazione
per contrasto che si verifica in Italia nel corso delletà umbertina,
evidenziandone due aspetti fondamentali.
Da
un lato il ruolo della stampa come luogo di mediazione tra i nuovi tentativi di
disciplinamento, le categorie della scienza positivista, le forme di ricezione
di una massa che conosce una inedita politicizzazione. Quotidiani e periodici,
dunque, come riproduttori e veicoli di strategie ideologiche e specchi di una
pubblica opinione in formazione; ma soprattutto come luoghi di sedimentazione,
riconnotazione e diffusione di immagini dellalterità funzionali a definire la
comunità nel contesto contemporaneo (il giornale come mezzo che fonde e confonde
le voci della massa, esprimendo e costruendo il senso comune).
Dallaltro
il fatto che in queste condizioni i pregiudizi storici vengono recuperati e
rideclinati in un orizzonte simbolico imperniato sul problema nazionale,
andando ad alimentare uno sguardo razzista che non è teoria coerente o pratica violenta, ma inquinamento
delle infrastrutture mentali che innervano lidentità collettiva.
Nani
radica questi fenomeni in un preciso frangente storico, ma è poi attento a
sottolineare la riproducibilità del meccanismo di identificazione attraverso
lesclusione; e le conseguenze di lungo periodo della fase delle origini, in
termini di pratiche, culture e corpi segnati da una distinzione divenuta vera
e propria alterità antropologica.
Questo
serbatoio di immagini rimane a disposizione di abusi ideologici e di
strumentalizzazioni politiche che ne riattivino selettivamente le istanze; ma
soprattutto tende a riemergere di fronte ad eventi traumatici o a
trasformazioni strutturali, quando la ricerca di extracomunitari immaginati
diventa strategia di autodifesa e di esternalizzazione di dubbi e debolezze.
La
scelta di esaminare i versanti coloniale, antimeridionale e antisemita del
processo di nazionalizzazione (e il loro ruolo nellaffermazione di un idea liberale
e di una cattolica di nazione) consente a Nani di spiegare le dinamiche
generali dellidentificazione per contrapposizione (e dei suoi riflessi nella
polarizzazione politica); di indagare le peculiarità e i lasciti della fase
delle origini, segnata dallassillante problema della modernità e della prima
globalizzazione; di fornire spunti euristici per capire lattualità del senso
comune neopatriottico.
Lafricano,
il meridionale e lebreo sono presenze reali a cui limmaginario nazionale in
formazione attribuisce tratti funzionali a far apparire per contrasto il
proprio profilo di potenza civilizzatrice, europea e moderna. Questi confini
definiscono un senso comune nazionale che nel Novecento si presta come vettore
di sollecitazione emotiva ad alimentare contrasti violenti; e che sfocia in
teorie e pratiche discriminatorie quando non persecutorie. Le minacce poste
dagli intrecci della società postmoderna portano del resto gli italiani di oggi
a riscoprire un noi collettivo i cui tratti risultano deformati
dallautocensura e dalla rimozione; e a riproiettare nel vu compra, nel terrone o nellebreo di turno le proprie ansie più riposte.
La
conclusione è che se non si può stabilire un nesso meccanico tra nazione e
razzismo, pure non si può vedere in questo solo una deriva di quella, intesa
come nucleo sano e virtuoso; né contrapporre schematicamente nazionalità civica
e nazionalismo etnico: il processo europeo di nazionalizzazione ha prodotto
storicamente nemici e stranieri che sono divenuti costitutivi della sua
identità; e questo ha avuto conseguenze peculiari in Italia, dove mancava una
concettualizzazione e sedimentazione dellidentità precedente alla fase più
esclusiva e aggressiva dellimperialismo. Ne è derivata la peculiare curvatura
nazionale del razzismo italiano ossia la fissazione di confini prepolitici e
ascrittivi che continuano a caratterizzare lautopercezione della comunità, a
prestarsi a giochi di potere, a sfogarsi
in modo violento (reale o simbolico) di fronte alle periodiche difficoltà.
2.
Un primo livello di lettura del testo è quello delle fonti.
Nani
infatti utilizza come osservatorio dei fenomeni socio-culturali che gli
interessano il mondo di carta costituito dal giornalismo torinese delletà
umbertina.
Scelta
significativa poiché lidentità nazionale si articola a partire da vie
periferiche; ma anche perché la ex-capitale politica, che si candida a capitale
industriale di inizio secolo e a capitale culturale positivista, non
rappresenta solo un contesto regionale tra gli altri, bensì una sorta di madrepatria della
nazionalizzazione: piemontesi sono infatti il re e la sua corte, i vertici
politici e amministrativi, gli ufficiali dellesercito del nuovo stato
unitario.
In
questo laboratorio della modernità italiana giocano un ruolo importante i tre
quotidiani subalpini:
Nani
mostra come essi combattano aspre schermaglie dialettiche, personali e
politiche; ma anche come condividano un orgoglioso manicheismo piemontesista
e la difesa ad oltranza della mentalità
borghese nazionalitaria, ricompattandosi ogni volta che la vedono minacciata
(dopo Adua, ma anche nella crisi di fine secolo).
Altro
terreno di incubazione e rielaborazione sono le riviste di cultura, dai fogli
carloalbertini alla Riforma Sociale di Einaudi, che diffondono un cauto
progressismo di stampo europeo; e, soprattutto dopo il fallimento della via militare al colonialismo,
propongono un nazionalismo scientifico che condiziona trasversalmente lo
spettro politico.
O
ancora i settimanali illustrati e quelli umoristici, che disegnano in modo
grossolano i confini simbolici della
nazione, veicolando pregiudizi e preclusioni attraverso lampia diffusione e i
paratesti; e la letteratura per linfanzia, che lascia emergere in forma più
esplicita e violenta le stesse istanze.
Nani
dedica poi ampio spazio alla stampa cattolica: segue il percorso intransigente
che dall Unità Cattolica porta all Italia Reale del 1896 (in cui
confluisce anche il Corriere Nazionale, ex-Corriere di Torino) e di qui al
Momento novecentesco; riprende la peculiare esperienza della Democrazia Cristiana; ricorda il
settimanale La Voce Operaia.
Anche
in questo caso le differenze di impostazione non impediscono un retropensiero
condiviso, che si appoggia soprattutto su un antimodernismo che si serve di
espliciti messaggi antiebraici.
Infine
si dà voce al Grido del Popolo e in generale ai giornali dellarea radicale e
socialista: da un lato essi rappresentano lunico residuo critico di fronte al
conformismo patriottico; dallaltro però soggiacciono anchessi alle trappole di un linguaggio connotato
prima ancora di essere ideologizzato.
3.
Un secondo livello di lettura è quello che concerne il merito dei testi che
animano il dibattito giornalistico.
Così,
per quanto riguarda lambito coloniale, Nani ricorda lo spazio guadagnato dai
temi africani dopo il 1869 (che significa Rubbettino ma anche Suez e Aida).
Evidenzia poi il salto di qualità che si registra nelle cronache dopo Tunisi e
Assab, con il diffondersi di una retorica delle occasioni perdute. Quindi
ricorda i riferimenti alle glorie romane e alle necessità dellemigrazione che
animano il primo dibattito parlamentare sulle colonie, nel 1885, fissando temi e modi che condizioneranno i 50
anni successivi.
Miti
di lunga durata vengono rifiltrati dalle grandi esposizioni e dai romanzi
esotici, ma anche e soprattutto dalle testate giornalistiche, che prima fanno a
gara per bandire il primato patriottico e poi per sfogare lansia di rivincita.
La
febbre coloniale si nutre e insieme sostanzia le ansie di potenza e di
benessere, ma anche l ambizione di incarnare ed esportare la civiltà, che si
riflette nei commenti sulla nascita della colonia eritrea (e per la verità
anche nella storiografia coloniale successiva).
Lidea
del dislivello culturale rispetto ai locali alimenta una visione sessualizzata della colonia
come terreno di conquista; ma ciò determina anche la sottovalutazione
dellavversario, che conduce allepisodio di Dogali. Ma né questo, rapidamente
trasfigurato in Termopili degli Italiani, né gli scandali coloniali,
altrettanto velocemente insabbiati, trasformano lapproccio degli italiani
allaltro africano. Anzi il richiamo allonore in pericolo non fa che
consolidare il fronte coloniale e porta a superare gli scrupoli residui alluso
sistematico della violenza.
Certo
non tutti condividono la linea di Crispi; ma nessuno mette in discussione la
presunzione di un differenziale di civiltà. Le vittorie di Agordat e Kassala
rianimano il fronte espansionista; i passi falsi di Amba Alagi e Macallè fanno
solo aumentare i volontari nelle colonie.
Persino
la tragedia di Adua viene deformata e inglobata dallo schema della gerarchia
culturale: al di là dei dubbi militari e politici, gli italiani perdono perché
sopraffatti dal numero e dalla ferocia del nemico, che assume un volto
bestiale; dunque nessuna remora a domarlo e se necessario a reprimerlo con una
forza compiacente della sua stessa moralità.
La
sconfitta segna la fine politica di Crispi e Baratieri, nonché lesaurimento
della prima fase espansionista; ma lo smarrimento e la ricerca delle
responsabilità non incrinano il raccoglimento patriottico e lo spirito
revanchista dei liberali, ricompattati anche dalla nuova minaccia intravista nel protagonismo popolare
(unica voce fuori dal coro col suo Viva Menelik).
Il
ripiegamento militare (comunque parziale, visto quanto avviene in Sudan e in
Cina) modifica la strategia ma non i suoi presupposti ideali e culturali:
rimossa la disfatta e spostata la mira sul nemico interno, gli italiani
continuano a ritenersi, mostrarsi e proclamarsi superiori (e a trovare in
questo approccio lesorcismo delle proprie divisioni e debolezze). Nellattesa
di una nuova ondata espansiva, destinata a manifestarsi con la guerra
italo-turca, essi coltivano velleità di evangelizzazione ed esplorazione che
contribuiscono a ridefinire e ricalibrare il loro senso di distinzione.
La
stampa rafforza e diffonde questa autorappresentazione, legando strettamente
colonie e nazione e consolidando lidea che qualunque anticolonialismo sia
colpevole di leso patriottismo. Sia di fronte ai primi successi, che ancora di
più dopo le sonore sconfitte, essa si stringe a sostegno della nazione, la cui
controparte risulta inesorabilmente subordinata: prima perchè popolo da
civilizzare, poi come branco di belve, in ogni caso come espressione di
barbarie.
4.
Nani passa poi a trattare della questione meridionale, rilevando come essa sia
un fenomeno irriducibile ad altre forme di regionalismo diffuse nei paesi
europei.
Egli
ripercorre i momenti salienti della sua genealogia moderna, individuandoli nel
1848, nel 1861 (il paradosso di una unificazione che divide) e nel 1876.
Riporta
poi le cronache della stampa torinese in occasione della protesta dei Fasci
siciliani; degli scontri napoletani dopo Aigues-Mortes; del viaggio di Umberto
I in Sardegna nel 1899. Ne scaturiscono tre profili che si fondono nel tessuto
di un meridione simbolico, ricco di bellezze naturali e di aspetti pittoreschi,
ma socialmente arretrato e sostanzialmente refrattario alla civiltà.
In
particolare nei confronti della Sardegna, geograficamente e moralmente lontana
ma da tempo legata al Piemonte, si alternano più registri: i sogni dellisola
incontaminata e il paternalismo verso il buon selvaggio sardo si alternano
alle sparate contro la sua indole criminale e la delinquenza endemica (che
portano a negargli qualunque soggettività politica); il sovrano, di cui si
tacciono le responsabilità per aver lasciato in seconda fila questo
possedimento, viene invece evocato nel suo potere taumaturgico di
rappresentante del continente e della modernità, unico possibile salvatore di
genti altrimenti disperate e in balia di qualunque complotto.
La
crisi del 1898 viene accolta come una conferma dello schema bipolare, declinato
secondo due principali modalità, che si vogliono entrambe scientifiche: da un
lato cè Niceforo con le sue tesi sulla ferinità (e inferiorità biologica)
della razza meridionale (criticate da Colajanni, precisate in senso
culturalista da Bersezio, approvate da Paola Lombroso); dallaltro Ferrero, che
sul medesimo oggettivismo costruisce una teoria dellItalia meridione dEuropa.
In
ogni caso il sud diventa per la nascente opinione pubblica piemontese la metafora
dellarretratezza; lo spettro da esorcizzare per poter rivendicare una piena
modernità; e insieme la tara con cui giustificare carenze e fallimenti.
5.
Infine Nani indaga la comparsa e gli sviluppi sulla stampa cattolica torinese
di un problema ebraico.
Egli
ricorda le prese di posizione contro la terza repubblica di Gambetta e di
fronte allo scandalo di Panamà; ma soprattutto il suo schierarsi al fianco di
Drumont contro Zola in occasione dellAffaire Dreyfus, contro gli ebrei
deicidi e inquinanti.
In Italia lo stesso livore
contro lebreo (profittatore e poi responsabile della modernità, che ha
sconvolto letà delloro della cristianità medievale) permea le accuse contro
il risorgimento liberale e massonico; contro la politica, il giornalismo e la
scuola caduti in perfide mani giudaiche; contro il socialismo, ultimo frutto
avariato della velenosa infiltrazione ebraica.
Nani
evidenzia come proprio su questo terreno si attui il passaggio dallopposizione
frontale allo stato alla rivendicazione di un proprio modello nazionale, basato
sulla difesa della tradizione e della latinità e sulla contrapposizione tra il
paese reale (rappresentato dalla massa dei fedeli) e quello legale (dominato
dai giochi di potere e dalle degenerazioni morali, ascritte ad una
genealogia protestante-massonica-ebraica).
I
casi locali e gli scontri elettorali si innestano in un ampio e profondo quadro
mentale, in cui lebreo viene raffigurato sempre e comunque come carnale e
affarista; in cui si replica laccusa del sangue rituale e si deplora la vanità
del sionismo; in cui si riproducono in varie declinazioni le due principali
cornici simboliche antiebraiche: quella antica del deicidio e quella moderna del complotto, collegate
dallidea della coazione a ripetere il delitto originario attraverso la
persecuzione dei cristiani ( o la corruzione della coscienza europea).
E
su questo terreno che anche sulla stampa subalpina si definisce la distinzione
ma anche la non opposizione rispetto allantisemitismo razzista, del quale si
deplorano i modi incivili, senza però far mancare larghe giustificazioni e
soprattutto un pieno riconoscimento delle sue basi pregiudiziali.
Nelle
pagine di un Rocca dAdria quindi si prospetta la strategia inclusiva della
conversione come soluzione specificamente cristiana del problema; ma si
mostra poi indulgenza verso scoppi di violenza considerati come legittima
reazione alla perfidia ebraica.
La
stampa cattolica, elemento centrale di una nuova strategia comunicativa
tendenzialmente di massa, diventa laboratorio di riattivazione e ricombinazione
di argomenti antiebraici, cui conferisce autorità e diffusione e che rende
disponibili alla polemica politica.
6.
I primi due livelli del testo conducono il lettore a quello centrale,
rappresentato dalle argomentazioni sulla nazionalizzazione italiana cui si è
fatto cenno. Ma al di sopra delle tesi fondamentali del volume si possono
identificare altri due livelli di astrazione, che rivelano la complessità del
volume di Nani.
Le
sezioni tematiche infatti si prestano a svolgere un bilancio di tre problemi
centrali per la storia italiana ed europea, tracciandone un aggiornato quadro
storiografico, ma anche avanzando tesi tuttaltro che sfumate.
In
tema di colonialismo infatti, Nani si schiera con Del Boca e Labanca
nellinterpretare il caso italiano come tuttaltro che arretrato o difettivo,
bensì come parte integrante del fenomeno generale. Le specificità dettate dalla
stretta continuità cronologica e simbolica col Risorgimento (limpulso
governativo allimpegno coloniale; la prevalenza della dimensione militare; il
sincretismo teorico e pratico) non impediscono infatti allItalia di sviluppare
una vera e propria cultura coloniale, intesa non solo come esotismo da
romanzo, né come ideologia politica, bensì prima di tutto come immaginario
diffuso, alimentato ed esasperato dal linguaggio giornalistico.
Limperialismo
diverso perché bonario e civilizzatore è solo un mito autoassolutorio, smentito
dallimmagine costruita per gli africani, inesorabilmente condannati
allalterità e ad una inferiorità irredimibile.
Né
daltronde, a parere di Nani, si possono comprendere i processi di
nazionalizzazione dei vari paesi europei al di fuori della cornice complessiva
fornita dal contesto imperiale, apogeo e insieme crisi del vecchio continente:
come dimostra la pervasività di valori come il decoro, lonore, il prestigio
che innervano tanto il discorso patriottico che quello imperialista.
Parimenti
Nani interviene nellannoso dibattito sul meridionalismo, schierandosi a favore
delle tesi revisioniste di Meridiana: la questione meridionale non sarebbe
quindi tanto e solo un problema strutturale della nazione italiana, ma una
tradizione politica e culturale (cioè un discorso ideologico) che a partire dal
dato della diversità avrebbe costruito una contrapposizione simbolica che,
sovrapposta e intrecciata con altre (vecchio-nuovo, città-campagna) avrebbe
consolidato lo schema delle due Italie; a sua volta funzionale alla
giustificazione della scorciatoia italiana alla modernità, violenze comprese
(ed anzi benaccette).
Disegnare
il profilo della nazione sullo schermo del mezzogiorno significa quindi
coltivare un etnocentrismo di fondo e nascondere la difesa accanita di
interessi di classe e di rendite di posizione dietro unideologia
civilizzatrice di cui occorre smascherare il potenziale di intolleranza.
Nani
peraltro insiste sul carattere sopranazionale, intertestuale e interattivo di
questo vero e proprio razzismo della latitudine; e ne auspica uno studio di
lungo periodo che, sfruttando più intensivamente le fonti giornalistiche, ne
illumini la periodica riemersione e le varie reincarnazioni, fino al leghismo
contemporaneo.
Infine
il volume denuncia la drastica contrapposizione tra antigiudaismo cristiano e
antisemitismo nazifascista, rilevando come la non sovrapponibilità tra i due
paradigmi non significhi poi estraneità o incompatibilità: lantisemitismo
contemporaneo li comprenderebbe infatti entrambi a pieno titolo e in stretta
contiguità geografica, cronologica e simbolica.
Seguendo
Miccoli, relatore della sua tesi di dottorato, Nani ripercorre i passaggi
fondamentali della lettura cattolica della modernità secolarizzatrice come
nemico supremo da combattere sul suo stesso terreno, quello della presenza
sociale, e con i suoi stessi mezzi, tra cui appunto la stampa.
Il
contromito della cristianità politica medievale diventa quindi lo scudo contro il mito moderno; e al suo interno gioca
un ruolo fondamentale un antigiudaismo che intreccia vecchi argomenti teologici
e nuove paure sociali.
Il
riserbo ufficiale delle gerarchie e le differenze di stile e di tono interne al
mondo cattolico non possono nascondere le voci discriminatorie diffuse nella
diplomazia vaticana; né soprattutto la nostalgia del ghetto propria di
pressoché tutta la base cattolica.
Questultima
viene continuamente alimentata e ridefinita dalla stampa popolare, laboratorio
di un nuovo antigiudaismo che aggiorna i
propri stereotipi di lunga durata, traduce e incorpora quelli nuovi,
contribuisce a crearne altri; garantendo a tutti una maggiore capillarità e
rendendoli disponibili ad usi (e abusi) politici.
Anche
la relazione con lantisemitismo razzista novecentesco quindi appare a Nani
(che segue qui Burgio) pienamente dialettica; e qualunque grezza comparazione
che evidenzi solo le differenze risulta strumentale ad una riduzione-rimozione
la cui efficacia non può nasconderne la pretestuosità.
Lo
schema che mette in antitesi inclusione-esclusione, distinzione-discriminazione,
conversione-repressione non può infatti occultare lo sfondo comune costituito
dalle già citate cornici, che definiscono nel tessuto quotidiano delle pratiche
e delle rappresentazioni un campo antiebraico le cui varianti si sfumano di
fronte al radicalmente altro, unico e comune nemico.
Piuttosto
che le differenze sarebbero quindi le relazioni e le convergenze ad essere
storicamente significative, nellambito di una comune identificazione degli
ebrei come beneficiari, emblemi e infine registi occulti del flusso
modernizzatore della liberaldemocrazia e di un cosmopolitismo dissolutore
della tradizione.
A
margine di questa riflessione sul razzismo, Nani inserisce anche acute
considerazioni sul peculiare sincretismo nazional-cattolico che caratterizza
lEuropa antinapoleonica della Restaurazione e poi gli stati ottocenteschi. In
particolare in Italia esso non appare tanto come percorso opportunistico o
strumentale, quanto come allestimento di un vero e proprio progetto cattolico
di nazione, che dal populismo di Taparelli dAzeglio e don Bosco passa
attraverso Manzoni e vive proprio in età umbertina una fase decisiva, che pone
le basi del moderatismo gentiloniano e poi del clima concordatario.
7.
Un ultimo livello di lettura di questo volume risiede nella sua ampia e
articolata trattazione dei meccanismi antropologici del razzismo moderno.
Nani
insiste in più punti sulla necessità di analizzare i meccanismi dellalterità
in termini di costruzione sociale (che non significa invenzione arbitraria, né
operazione meramente strumentale); in chiave relazionale e sulla lunga durata.
Le
rappresentazioni dicotomiche sono un modo di surrogare le fatiche dellanalisi;
esse poi si diffondono tramite la comunicazione sociale e infine si sedimentano
come stereotipi nel senso comune e nel linguaggio ordinario.
Ogni
mappa mentale risulta quindi caratterizzata da pregiudizi latenti che rappresentano un serbatoio di risorse
retoriche a buon mercato (utilissime soprattutto in contesti di incertezza) e
insieme la posta in gioco del dibattito culturale in senso lato.
Contingenze
politiche, conflitti sociali e mode intellettuali fanno riemergere questi
luoghi comuni, li articolano e combinano, li rideclinano rendendoli disponibili
ad una opinione pubblica autoreferenziale.
Come
rilevato da Lippmann prima e da Habermas poi il ruolo della stampa di fine
Ottocento è fondamentale
nel recuperare, raccogliere, riarticolare gli spunti della piazza, fissando
lagenda della discussione pubblica e creando circolarità, contaminazioni, risonanze che rendono fluido il repertorio
degli argomenti spendibili.
Daltronde
essa semplifica fino a banalizzarle le considerazioni più sfumate,
facendosi vettore di slogan di facile
presa e di forte potere strutturante sulle rappresentazioni individuali e
collettive.Non è un caso che, come ricorda Nani, termini come stereotipo e
clichè derivino dal lessico giornalistico.
Dunque
gli stereotipi articolano in enunciati e sostanziano in immagini le credenze
elaborate dai discorsi discriminatori, che a loro volta rappresentano la
connessione dei diversi stereotipi in una narrazione dinsieme (p.186).
E
lo sguardo occidentale moderno, organizzato e condizionato dalle strutture
mentali veicolate dai media, a trasformare le differenze in stereotipi di
alterità; ed essi si autoalimentano di conferme trovate perché cercate in
termini predeterminati dallapproccio.
Numerosi
sono peraltro gli attori di questo processo; i contesti e le occasioni; così
come le conseguenze, più o meno volontarie. Nani dimostra di aver ben chiaro
che esistono filtri tra lenunciazione di una classificazione, la formazione di
uno stereotipo gerarchizzante, la
definizione di una cultura discriminante e la pratica della violenza
repressiva; insiste sulla lunga durata degli stereotipi e sulla loro continua ricontestualizzazione;
ed esplicita la differenza tra i meccanismi che veicolano inconsapevolmente una
mentalità e labuso politico degli stessi.
Recupera
quindi le canoniche riflessioni di Simmel sullo straniero; paga il necessario
tributo alle scienze sociali contemporanee (da Geertz a Bourdieu); non
esita ad abbracciare il neomarxismo
postcoloniale attraverso Hobsbawm, Said, Wallerstein.
Ma
mi piace sottolineare altri riferimenti, senzaltro più originali: il Mosca
teorico della nazionalizzazione per contrasto (autore con cui il libro si apre
e si chiude); il Flaubert che fa linventario dei luoghi comuni ottocenteschi
senza potersene tirar fuori; e soprattutto il Gramsci dei Quaderni dal
Carcere visto come teorico del senso comune, grado zero della cultura di
massa, folclore della filosofia, primo e decisivo campo di battaglia per
legemonia.
E
da questo magma disorganico ma avido di certezze, vettore di conservazione
per inerzia sociale prima che per intento ideologico, che germinano quelle frasi
fatte che si impadroniscono di noi individuate da Klemperer alla base del
nazismo. Nani si preoccupa di collocare
la nazione al centro di questo immaginario, codice nascosto della retorica
politica e matrice della violenza simbolica che ha avvelenato il secolo scorso;
ma anche tentazione che sembra riproporsi oggi in una condizione di incertezza
in cui prosperano i pensieri predigeriti e i giudizi lapidari..
8. Ai confini della nazione è un libro coraggioso e ambizioso.
Non
esita, come troppo spesso fanno i giovani studiosi di oggi, ad affrontare di
petto i grandi problemi interpretativi.
Si
ha tuttavia limpressione che la ricerca, nata come lavoro di dottorato, abbia
un po risentito della compressione a cui lha probabilmente costretta la veste
editoriale.
La
ricerca sulle fonti è talvolta messa in ombra dal discorso generale, con il
rischio di farne perdere lo spessore e di lasciar filtrare quello che si
cercava piuttosto di quel che si è trovato.
Qualche
dubbio solleva anche la tripartizione tematica, di cui non si giustifica
lordine e che configura una complanarità che non appartiene agli oggetti.
Particolarmente equilibrata mi sembra la parte sul colonialismo; meno
convincente, perché meno articolata, quella sullantisemitismo, di cui pure lautore
è tra i più autorevoli studiosi.
Resta
inoltre insoddisfatta lesigenza di cogliere omologie e peculiarità della
stampa socialista, che viene più volte evocata, ma poco analizzata.
Nonostante
queste sbavature, cè da augurarsi che il libro contribuisca a rianimare gli
studi sulletà umbertina come importante laboratorio della nazionalizzazione (e
delle sue deformazioni); e che lautore continui in quella trattazione a tutto
campo del tema che ha già prodotto saggi di valore (su Storica e Novecento).