1. La storiografia, recente e passata, ha spesso negato che
il Portogallo, durante il lungo ministero di Sebastião José
Carvalho e Melo, conte di Oeiras e poi marchese di Pombal (1750-1777), abbia
davvero conosciuto una “politica illuminista”; l’eccentricità
lusitana, durante il XVIII secolo, scaturirebbe non tanto dalla collocazione
marginale assunta dalla propria cultura all’interno del movimento illuminista
europeo, quanto piuttosto dal riformismo di Pombal, i cui effetti, anche quando
furono visibili, sembrarono esaurirsi con il suo governo.
Il mio intervento non si prefigge di rivendicare al Portogallo del secondo
Settecento una posizione meno periferica all’interno della cartina dei
Lumi, quanto piuttosto di analizzare il contributo fornito dalla cultura lusitana
alla formazione del “linguaggio” politico del periodo, partendo
dal presupposto che il Settecento riformatore europeo si articolò in
una pluralità di centri di irradiazione e di ricezione di idee, progetti
di riforma, paradigmi ideologici e dibattiti: non tutti potranno essere definiti
illuministici in senso stretto, ma certamente essi si prefissero di cambiare
molti aspetti della società, della cultura e della stessa mentalità
d’Antico Regime, in particolare nell’ambito dei rapporti tra Stato
e Chiesa. A questo riguardo mi sembra che l’analisi delle traduzioni
permetta di affrontare da una prospettiva privilegiata la formazione di linguaggi
e costruzioni retoriche: si tratta cioè di stabilire in che misura
lo strumento della traduzione – che in Età Moderna fu solitamente
una pratica di riealaborazione, lontana dagli attuali criteri che privilegiano
l’affidabilità filologica e la salvaguardia dei legittimi diritti
d’autore - potesse sostenere e rafforzare un dato paradigma ideologico;
e, quindi, quanto l’attività di tradurre, insieme alle altre
forme - spesso contigue - di propaganda e di intervento pubblicistico, si
prestasse ad operazioni politiche ben definite.
2. Nel corso degli anni sessanta del XVIII secolo si realizzò una sorta di alleanza strategica e temporanea, per tanti versi opportunistica, tra soggetti diversi della cultura e della politica europea: una convergenza che vide gli illuministi (con i philosophes in testa), i giansenisti, i circoli riformatori presenti all’interno della Chiesa cattolica, i funzionari e i ministri regalisti che dirigevano i governi europei combattere sullo stesso fronte un nemico ben definito: la Compagnia di Gesù[1]. L’Ordine fondato due secoli prima da Sant’Ignazio venne allora considerato da ampi settori della società e della politica europea non solo all’origine dell’arretratezza culturale, della superstizione e della corruzione morale coeve, ma anche il baluardo più visibile degli ingiusti privilegi del clero e delle cosiddette “usurpazioni romane”. Dalla fine degli anni cinquanta, in seguito alla supposta rivolta ignaziana in Paraguay, si sviluppò un’enorme pubblicistica antigesuitica e con essa prese vigore un potentissimo paradigma ideologico, i cui materiali essenziali si erano forgiati già nel corso del XVII secolo, ma che solo allora si trasformò in “leggenda nera”: si trattò di una vera e propria mitologia, che finì per imporsi all’opinione pubblica europea e all’interno di gran parte delle amministrazioni governative animate da sentimenti riformatori[2]. Il Portogallo del conte di Oeiras, oltre a fornire un contributo essenziale alla formulazione dei topoi ideologicamente più efficaci, capeggiò questa battaglia propagandistica: ne fu anzi l’indiscusso protagonista[3]. I gesuiti, per la prima volta nella loro storia, non riuscirono ad arginare la campagna di discredito che ormai li stava gradualmente isolando all’interno della Chiesa e della società in cui si trovavano ad operare; neppure autorevoli quanto inaspettati interventi “esterni”, quali furono quelli di Muratori e Montesquieu, furono in grado di invertire una tendenza ormai inarrestabile. Dopo la cacciata degli ignaziani dalla monarchia portoghese decretata da Pombal nel settembre 1759, seguirono l’estinzione del ramo francese della Compagnia ad opera dei Parlamenti (1761-1764), la deportazione delle undici Province spagnole ordinata da Carlo III (aprile 1767) e le espulsioni dal Regno di Napoli (novembre 1767), dal Ducato di Parma (febbraio 1768) e da Malta (aprile 1768). A cominciare dalla primavera del 1767 il governo lusitano stimolò l’azione diplomatica del Patto di famiglia borbonico allo scopo di ottenere da Roma l’estinzione della Compagnia: Clemente XIV decise infine di giungere ad un compromesso con le potenze cattoliche, avallando, nel luglio 1773, la soppressione canonica di uno degli Ordini regolari più potenti e prestigiosi della cattolicità e, fatto non meno rivoluzionario, sanzionando la requisizione da parte del potere pubblico dei suoi beni temporali[4]. L’anticlimax successivo, e cioè quel momentaneo rallentamento della politica giurisdizionalista seguito all’estinzione degli ignaziani, portò alla graduale scomposizione dell’alleanza, sopra ricordata, tra i circoli illuministici, i cattolici riformatori e i funzionari regalisti: infatti se i philosophes considerarono la scomparsa della Compagnia solo il primo passo verso una nuova società incivilita, finalmente libera dalla superstizione e dall’ignoranza, i governi riformatori (in primo luogo quelo guidato da Pombal), apparentemente paghi del risultato ottenuto, preferirono adottare da allora una prassi gradualistica, evitando ulteriori contrapposizioni frontali con la Santa Sede e il clero nazionale.
3. Eppure, nonostante l’esaurirsi di quel potente catalizzatore
che era stato l’antigesuitismo, il peculio di suggestioni culturali
e di acquisizioni politiche raccolto tra la metà degli anni cinquanta
e i primi anni settanta si rivelò ovunque importante. Nello specifico
contesto delle monarchie iberiche notiamo che l’espulsione e la successiva
soppressione della Compagnia fu considerata dai ceti riformatori la condizione
preliminare di una serie di importanti riforme, sia nel settore educativo,
che in quello ecclesiastico[5].
Benché, nel clima di polarizzazione politica e teorica di quegli anni,
il “dispotismo gesuitico” pareva essere stato sconfitto da quello
“illuminato”, l’assolutismo ministeriale - che vide proprio
nel governo di Pombal una delle sue espressioni europee più evidenti
- doveva ancora dimostrare di poter trasformare dall’interno la società
d’Antico Regime[6]. Non a
caso nei due paesi iberici la campagna propagandistica antigesuitica era stata
immediatamente affiancata da una letteratura di orientamento episcopalista
che si ispirava esplicitamente alle posizioni del vescovo suffraganeo di Treviri,
Johann Nikolaus von Hontheim (meglio noto con lo pseudonimo di Giustino Febronio),
e ai teologi della Chiesa scismatica di Utrecht[7];
partendo dalla contestazione della supremazia spirituale dei Pontefici, questa
corrente, chiedeva la restaurazione delle prerogative originarie dei vescovi
nazionali allo scopo di eliminare gli abusi perpetrati dalla Santa Sede, tra
cui spiccava la vendita di indulgenze e dispense (pratica che fruttava alla
Dataria e alla Curia ingenti somme di denaro). Allora non pochi gesuiti, temendo
che le dispute teologiche e canoniche sul primato papale si saldassero con
il movimento riformatore, si impegnarono a confutare le tesi sostenute da
Hontheim[8].
Una parziale conferma della necessità di analizzare il riformismo di
Pombal in base ad una prospettiva europea possiamo desumerla da un epistolario
conservato nella sezione Nuove Accessioni della Biblioteca Nazionale
di Firenze: questo carteggio, permettendo una puntuale contestualizzazione
della letteratura giurisdizionalista realizzata a Lisbona, sfata il mito di
un Portogallo, geograficamente e culturalmente eccentrico rispetto al cuore
del Settecento riformatore europeo[9].
La raccolta è costituita da un fascio di 105 lettere di diversi autori
indirizzate al teologo fiorentino, trapiantato a Roma, Giovanni Bottari negli
anni clou del conflitto gesuitico[10].
Il carteggio più interessante è quello che apre il fascio, e
cioè 41 lettere spedite dallo stampatore romano Niccolò Pagliarini
da Lisbona nell’arco di quattro anni, tra il luglio 1766 e il settembre
1769. L’acme, nella frequenza delle spedizioni, viene raggiunta nel
corso del 1768, e cioè nell’anno in cui la tensione tra la Santa
Sede e le corti cattoliche raggiunge il culmine, a causa del cosiddetto Monitorio
di Parma e della successiva sospensione in tutta Europa della Bolla In
Coena Domini attraverso lo strumento dell’exequatur[11].
4. L’importanza di questo breve carteggio scaturisce da
vari elementi. In primo luogo le lettere di Pagliarini offrono un’immagine
piuttosto fedele delle riforme portoghesi della seconda metà degli
anni sessanta: ampio rilievo è dato, ad esempio, alla riforma degli
studi (in particolare delle Università) e alle leggi mercantiliste
varate da Pombal. Ma l’elemento che rende il carteggio conservato nella
Biblioteca Nazionale di Firenze davvero rilevante nasce, a mio parere, dalla
notevole quantità di informazioni riguardanti la letteratura propagandistica
di orientamento antigesuitico e regalista promossa da Pombal in questi anni,
della sua circolazione europea, in particolare italiana, e del ruolo di preminente
- sia da un punto di vista intellettuale, che pratico - che allora Pagliarini
svolse, secondo un piano ben meditato dal primo ministro portoghese. Su questo
ultimo elemento vorrei concentrare la mia attenzione perché il quadro
che emerge è per certi versi inedito: le lettere di Pagliarini a Bottari
dimostrano infatti non solo la vastità del fenomeno - e cioè
l’ampia circolazione italiana, ma anche spagnola e francese - dei testi
promossi da Pombal tra il 1765 e il 1770, sia nelle edizioni originali in
lingua portoghese, che sotto forma di traduzione; ma anche l’importanza
“qualitativa” e la prolungata fortuna di questa diffusione, che
si estese fino agli anni novanta del Settecento[12].
Nel caso delle operazioni editoriali pensate per orientare l’opinione
pubblica europea e i governi dei paesi cattolici, l’ampissima diffusione
di testi lusitani non scaturì esclusivamente dalla volontà di
Pombal di cavalcare e rafforzare la “leggenda nera” gesuitica,
ma anche dalla certezza (e lo esprime con chiarezza anche Pagliarini nelle
sue lettere) che le sorti della politica giurisdizionalista[13]
- come ad es. il varo di una legge limitativa delle manimorte - passavano
attraverso la sconfitta della Compagnia di Gesù[14].
Veniamo quindi alle attività che Pagliarini svolse al servizio di Pombal,
così come emergono dal denso epistolario conservato a Firenze.
Occorre in primo luogo rilevare che fin dagli anni cinquanta (ed in particolare
dopo il terremoto che aveva distrutto Lisbona nel 1755) Pombal aveva lanciato
una vasta operazione di reclutamento in tutta Europa di artigiani, architetti,
ingegneri, docenti, scienziati e studiosi delle più vaste competenze
e discipline che, nelle intenzioni del primo ministro, avrebbero permesso
al Portogallo di recuperare la distanza che lo separava, in ogni settore dello
scibile umano, dal resto del continente[15]:
perciò le specifiche competenze tecniche di Pagliarini apparivano particolarmente
appetite. D’altra parte le convinzioni anticuriali del tipografo romano
e le sue buone relazioni con l’ex ambasciatore presso la Santa Sede,
Francisco de Almada e Mendoza (cugino di Pombal), rappresentavano un ulteriore
incentivo ad utilizzarne i talenti[16].
Di fatto Pagliarini, come emerge anche dall’epistolario con Bottari,
era un personaggio a cui l’arte tipografica aveva permesso di coltivare
interessi poliedrici: il suo profilo coincide con quello che, solo il decennio
successivo, avrebbe definito il vasto mondo degli intellettuali (o semi-letterati)
di professione, e cioè quell’ambiente che si collocava al confine
tra la Repubblica delle Lettere, il giornalismo e l’editoria. Pombal
fu molto abile ad individuare in questo settore della società d’Antico
Regime le penne, i talenti e le competenze che potevano rivelarsi utili per
la realizzazione della sua politica[17].
5. Il Conte d’Oeiras, in primo luogo, si servì
del tipografo romano per mantenere un contatto diretto con Bottari e l’ambiente
antigesuitico romano: in altri termini Pagliarini divenne una sorta di agente
di collegamento tra Lisbona e quei settori della Curia romana che, profondamente
influenzati dalla teologia agostiniana, stavano combattendo nel cuore del
Cattolicesimo un’intensa battaglia culturale e politica contro i gesuiti
e i loro “terziari”. A causa della rottura diplomatica con la
Santa Sede dell’agosto 1760, Pombal aveva la necessità di conoscere
in dettaglio le vicende politiche romane e gli umori della Curia, e il religioso
fiorentino adempiva perfettamente a questa funzione informativa grazie agli
incarichi ufficiali (presso la Biblioteca Vaticana) e alle tante amicizie
ed aderenze che egli poteva vantare all’interno collegio cardinalizio[18].
Dalle lettere di Pagliarini si evince l’esistenza di un rito che coinvolgeva
settimanalmente il tipografo e Pombal: ogni venerdì (a volte il sabato),
Pagliarini conferiva con il primo ministro portoghese, allo scopo di leggere
i brani più significativi delle lettere del proprio corrispondente
romano[19]. L’affidabilità
delle informazioni passate dal teologo toscano al governo portoghese era in
qualche modo garantita dal sincero apprezzamento nutrito da Oeiras per la
“sana dottrina” coltivata da Bottari e per il contributo attivo
che egli e i suoi amici dell’Archetto (in primo luogo Pier Francesco
Foggini) avevano fornito, fin dal 1758, alla battaglia panflettistica contro
i gesuiti[20].
Tra i casi più interessanti di diffusione di opere portoghesi che emergono
dall’epistolario figura quello del teologo António Pereira de
Figueiredo, personaggio di spicco dell’entourage di Pombal e
della corrente febroniana iberica[21].
L’impegno profuso da Pagliarini nel veicolare in Italia, grazie ai torchi
della stamperia regia, il pensiero e le tesi dell’oratoriano portoghese
fu notevole; è perciò ovvio che Bottari - insieme ai confratelli
di Pereira residenti a Chiesa Nuova e, in misura minore, agli agostiniani
romani - rappresentasse il destinatario privilegiato della produzione a stampa
del pensatore lusitano: significativamente l’epistolario si apre e si
chiude con una serie di notizie circa le opere da lui pubblicate[22].
L’attivismo dei due corrispondenti contribuì certamente a garantire
alla vasta produzione a stampa di Pereira una prolungata fortuna italiana
(attestata anche dall’alto numero di confutazioni) fino agli anni novanta.
Proprio analizzando, attraverso l’epistolario Pagliarini-Bottari, le
caratteristiche della letteratura propagandistica promossa da Pombal ci imbattiamo
nella seconda attività svolta da Pagliarini a Lisbona in questi anni,
e cioè quella di traduttore. Lo stampatore romano infatti tradusse
la Dedução chronologica, e analytica, insieme alla successiva
appendice “documentale” dal titolo Colleção das
provas stampata a Lisbona presso Manescal da Costa in tre tomi in quarto
tra l’ottobre e il dicembre del 1767[23].
Si tratta di una storia cronologica e sistematica (da qui il titolo) delle
nefandezze compiute dagli ignaziani nel corso della storia portoghese, dagli
anni quaranta del Cinquecento fino all’attentato a Giuseppe I del 3
settembre 1758: costituisce perciò una vera e propria “Bibbia”
dell’antigesuitismo portoghese. Ma la portata polemica della Dedução
e delle Provas, come hanno dimostrato numerosi storici iberici, travalica
la lotta antigesuitica poiché i temi trattati concernono anche la politica
giurisdizionalista promossa da Oeiras: in altri termini lo sviluppo dei topoi
antigesuitici è finalizzato a dimostrare non solo l’esigenza
di estinguere la Compagnia di Gesù, ma anche a giustificare la creazione
di una vera e propria Chiesa nazionale, ora richiamandosi al modello gallicano,
ora seguendo le indicazioni di Febronio.
6. Il carteggio Pagliarini-Bottari fornisce una serie di importanti
retroscena relativi all’elaborazione e alla tiratura delle due versioni
portoghesi e dell’edizione italiana della Dedução:
in primo luogo ha permesso di chiarire in maniera definitiva la paternità
dell’opera che nei frontespizi porta il nome del procuratore della Corona,
e cioè José Seabra da Silva. Benché da tempo si fosse
sospettato che il vero autore dei due testi fosse Pombal stesso, mancava una
controprova documentale. Ebbene, la lettera che Pagliarini invia a Bottari
il 21 luglio 1767, dimostra in maniera indiscutibile il ruolo centrale svolto
da Pombal nella stesura dell’opera. A onor del vero Pagliarini sostiene
che il ministro portoghese elaborò i due tomi della Dedução
in sei-sette mesi, lavorando nei pochi momenti di libertà che la direzione
della monarchia gli lasciava[24].
Di fatto questa tesi è difficile da sostenere, nonostante il notorio
attivismo dell’allora sessantottenne Oeiras; probabilmente il tipografo
si riferisce alla fase di revisione finale del testo, operata dal primo ministro,
poiché sembra certo che il trattato e la sua appendice documentaria
sia un’opera collettiva a cui avevano partecipato per anni i più
stretti collaboratori di Pombal, tra cui Seabra - al quale il ministro avrebbe
infine deciso di ascrivere l’opera[25]
-, Pereira, Manuel de Cenáculo, l’abate Platel e forse, dall’Italia,
Luís António Verney. L’alta tiratura delle prime due edizioni
portoghesi e la sua capillare diffusione tra l’episcopato, i tribunali
del regno, le sedi diplomatiche e le cancellerie europee confermano lo scopo
propagandistico dell’operazione editoriale.
La traduzione italiana della Dedução venne elaborata
da Pagliarini tra il luglio 1767 e l’aprile del 1768. Sia nel caso dell’originale
portoghese, che nella versione italiana, a Bottari venne assicurata una sorta
di “privilegio d’anteprima”, poiché il tipografo
gli fece recapitare attraverso l’ambasciata di Spagna a Roma - via Madrid[26]
- sezioni intere di entrambe le versioni fresche di stampa e non ancora rilegate,
con la raccomandazione di non diffonderle prima della spedizione - stavolta
attraverso Genova e Napoli[27]
- delle copie da commercializzare; questa complessa trama scaturiva sia dalla
volontà di Pagliarini che l’amico toscano verificasse la qualità
della propria traduzione, ma soprattutto da un ordine esplicito di Pombal
il quale, stimando la dottrina di Bottari, desiderava avere un giudizio ragionato
sui contenuti del “suo” testo[28].
7. Il primo tomo della Deduzione uscì quasi simultaneamente
al secondo volume dell’originale portoghese[29];
ma, nonostante che in origine le due versioni fossero state pensate come un’unica
operazione editoriale da realizzare in rapida successione, nella sua lettera
del 19 gennaio 1768 Pagliarini avvertiva Bottari che la stampa del secondo
tomo della sua traduzione, insieme agli altri due delle Prove, sarebbe
slittata al giugno successivo[30].
Le ragioni del ritardo furono molteplici. In primo luogo, per problemi di
natura “tecnica”, e cioè la mancanza di carta, che venne
prontamente importata da Genova[31].
Secondariamente Pagliarini, benché sostenga di aver terminato la traduzione
della seconda parte della Dedução già ad inizio
novembre 1767[32], sottostimò
le difficoltà dell’operazione divulgativa per ragioni essenzialmente
linguistiche:
[...] E’ cosa molto difficile tradurre bene il portoghese che ha certo modo d’esprimersi, che in italiano rimane freddo, e alle volte troppo asciutto; voi sapete che io non ho avuto se non che i primi principj di un poco di lingua latina, e che di poi ho dovuto sempre pensare a fare il libraro, e lo stampatore; il mestiere di far cosa da mettere al pubblico è nuovo affatto per me, e non deve giunger nuova la debolezza dell’opera mia, che non avrei fatto senza espresso ordine di chi può comandarmi. Voi peraltro stordirete in riflettere che un Segretario di Stato in 7 mesi abbia potuto comporre un tal libro; vedere tanti documenti e pubblicarlo colla stampa nel mentre che regge una intiera monarchia, e spedisce infiniti rilevantissimi affari a tutti i momenti. Quando lo avrete sotto gli occhi non vi lagnerete più, che non si rifrughino gli archivj de’ gesuiti, e non si pubblichino le loro furfanterie; e converrete meco, che nessun’altro poteva far una tale opera fuori del Signor Conte d’Oeyras; il quale molte volte in rileggendo i fogli stampati, che da me gli si portavano, mi ha detto: E bene che dirà il nostro amico Bottari? chiamandovi sempre con questo nome e parlando sempre di voi colla maggior stima e rispetto[33].
Effettivamente all’epoca Pagliarini viveva a Lisbona da poco più di un anno ed è quindi più che plausibile che egli non maneggiasse perfettamente il portoghese; inoltre non bisogna dimenticare che il tipografo romano stava traducendo un testo ufficiale, elaborato per giunta dal suo datore di lavoro, per cui era in qualche modo costretto a tradurre correttamente, senza troppi errori per evitare il rischio di giocarsi il favore del suo insigne protettore. Infine, Pagliarini, in quegli stessi mesi, dovette realizzare e seguire la stampa di un altro testo, la Petição de recurso, e cioè di una memoria sotto forma di supplica che Seabra da Silva aveva allora sottoposto a Giuseppe I in risposta alle bolle papali in cui si confermavano i privilegi dell’Ordine di Sant’Ignazio (Apostolicum pascendi e Animarum saluti), contenente la richiesta di perseguire per via diplomatica la soppressione canonica della Compagnia di Gesù[34]. Dopo l’espulsione degli ignaziani dalla vicina Spagna, nella scala delle priorità politiche di Pombal questo testo assunse un ruolo centrale, tanto che alla versione portoghese, stampata da Manescal da Costa, seguirono le edizioni in francese, spagnolo ed italiano[35]. A Pagliarini Carvalho affidò l’incombenza proprio della traduzione italiana, che apparve nell’autunno del 1767 sempre per i tipi di Manescal da Costa[36].
8. Indubbiamente anche le altre occupazioni che Pombal, all’inizio
del 1768, aveva assegnato al tipografo romano finirono per sottrarre tempo
ed energie alla traduzione della Dedução. Il 2 febbraio
1768 Pagliarini comunica a Bottari che il primo ministro gli ha affidato il
compito di riorganizzare la Biblioteca del nuovo Collegio dei nobili di Lisbona
e la libreria reale, accorpando in esse i fondi librari dei cinque principali
istituti ex gesuitici del paese[37]:
di fatto questo duplice impegno assorbì il tipografo romano fino all’estate
del 1769[38]. Nella primavera
del 1768, poi, Pombal incaricò Pagliarini di erigere, insieme a Manescal
da Costa, una stamperia regia all’interno degli antichi locali del tribunale
di commercio[39]; il laboratorio
aprì i battenti a fine dicembre 1768, mentre il 23 maggio 1769 il tipografo
romano riferiva con orgoglio a Bottari che gli otto torchi già attivi
avrebbero presto tirato una nuova memoria di Seabra da Silva e almeno tre
testi di Pereira[40]. Dalle lettere
traspare con chiarezza che le nuove incombenze assegnate a Pagliarini lo avevano
in qualche modo costretto a sacrificare l’altra attività, quella
di traduttore, che stava allora svolgendo per conto di Pombal: non a caso
la frequenza degli invii delle missive verso Roma si dirada proprio all’inizio
del 1769, segno che il ministro stava ora esigendo (con gli interessi) il
pagamento del debito di riconoscenza con l’amministrazione portoghese
contratto dal tipografo romano dall’inizio degli anni sessanta.
Esiste infine un ultimo motivo che contribuisce a spiegare i ritardi del completamento
della traduzione della Dedução commissionata a Pagliarini
e cioè il deflagrare della crisi legata al Monitorio di Parma. Benché
l’intenzione di completare la stampa del secondo tomo della Deduzione
e dei due volumi delle Prove entro il giugno 1768 venga espressa
in una lettera del 19 gennaio, e cioè prima della pubblicazione del
breve Alias ad Apostolatus (30 gennaio 1768)[41],
indubbiamente la nuova crisi dei rapporti tra le corti europee e la Santa
Sede convinse Pombal ad attualizzare l’opera in corso di stampa in funzione
della nuova contingenza politica[42].
È noto che la prima immediata ritorsione adottata dalle corti europee
fu l’imposizione dell’exequatur sulla bolla In Coena
Domini e cioè su quello strumento giuridico che, sotto la minaccia
di scomunica, aveva garantito al clero cattolico ampie immunità ed
esenzioni fiscali[43]. Di fatto
il Portogallo, anche in questa occasione, aveva anticipato la condotta di
gran parte dei governi europei poiché fin dalla fine del 1767 Seabra
da Silva aveva indirizzato una memoria a Giuseppe I nella quale chiedeva la
sospensione della bolla e degli Indici romani: e questa seconda Petição,
dopo essere stata stampata come testo autonomo (sempre per i tipi di Manescal),
era stata inserita alla fine del secondo volume della Dedução[44].
La nuova crisi aveva però fatto evolvere la situazione per cui il sovrano
portoghese, primo in Europa, aveva bloccato la bolla In Coena Domini
(6 aprile 1768)[45]. Il rapido
mutamento del clima politico, che Pombal sfruttò cercando di coalizzare
contro Roma il Patto di famiglia borbonico[46],
aveva perciò convinto Carvalho a inserire alla fine del secondo tomo
della Deduzione questa legge, insieme a quella successiva dell’8
aprile, che prevedeva l’erezione del nuova magistratura competente in
materia di censura (la Mesa Censória)[47].
Nella prima edizione della Dedução, il cui secondo tomo
venne distribuito a metà gennaio 1768[48],
ovviamente, questi ultimi paragrafi contenenti le norme dell’aprile
1768 sono assenti: l’edizione italiana (come la successiva ristampa
della versione in portoghese) venne perciò adeguata non solo al destinatario,
ma anche alla veloce evoluzione della contingenza politica, a conferma del
fatto che i testi promossi da Pombal in questi anni posseggono sempre una
dimensione pratica immediata, sia nell’ambito nazionale, che in quello
internazionale e diplomatico. Pagliarini si trovò quindi costretto
a seguire le indicazioni di Pombal e a tradurre anche le due leggi, con il
cui testo termina infatti il secondo volume della Deduzione[49].
In conclusione il ritardo nel completamento della versione italiana della
Dedução, che si protrasse fino all’inizio di autunno,
si rivelò alla fine un fatto positivo per la strategia politica
perorata dal ministro portoghese, ma costrinse il tipografo romano ad un lavoro
supplementare[50].
9. Finalmente il 4 ottobre 1768 Pagliarini comunicava a Bottari di aver presentato
la traduzione della Dedução al sovrano: naturalmente,
prima di licenziare il manoscritto, Pombal volle controllarne il testo, ulteriore
prova del suo metodo di lavoro e del ruolo di revisione da lui svolto nell’ultima
fase delle due versioni, quella portoghese e italiana, del trattato[51].
Gli sforzi di Pagliarini traduttore-stampatore vennero comunque ripagati perché
l’opera conobbe un’ampia circolazione in tutta Italia, mentre
produsse “uno strepito grandissimo” e “infiniti elogj”
nella vicina Spagna[52]. L’unico
motivo di cruccio provenne probabilmente da dove lo stampatore romano meno
se l’aspettava, e cioè proprio dall’amico Bottari[53].
Questi, benché avesse contribuito alla circolazione del testo (dapprima
nell’edizione originale, e poi nella versione in italiano) presso il
salotto di Palazzo Corsini e nonostante avesse lodato i dieci capitoli (o
“divisioni”) iniziali della prima parte della Dedução[54],
non sembrò apprezzare eccessivamente lo stile ridondante di Pombal
e la struttura argomentativa piuttosto ripetitiva del testo:
La vostra riflessione critica sarà vera, e giusta; ma non può aver luogo nel nostro caso. Conviene considerare, che è un segretario di Stato quello, che ha scritto questa opera; che in terminando tanto originale quanto poteva bastare per comporre un foglio di stampa si mandava alla stamperia. Che questo lavoro si è fatto nel tempo stesso che conveniva all’autore adempiere a tutto il carico del suo ufficio, e governare una monarchia; che se vi stassi a numerare le cose di somma importanza, e difficilissime eseguite in questo frattempo dal Sr. Conte, restareste stordito, e non credereste possibile, che un solo uomo potesse giungere a far tanto. Eppure sappiate che l’uomo è così straordinario, che nell’età di 68 anni, senza nessuno che lo ajuti, non solo spedisce tutte le cose grandi, ma non esce dalle tre Segreterie di Stato, né da Tribunali minima carta, che non passi sotto i suoi occhj; e oltre di ciò trova il tempo per giocare la sera la sua partita, e per regolare nelle cose più minute l’economico di tutta la sua immensa Casa, che possiede terre, e possessioni infinite. Oltre di che, quando ancora vi fosse stato tempo di considerare e far riveder l’opera per ripulirla etc., vi domanderei a chi, e da chi? Non essendovi qua nessuno, e poi nessuno, che potesse farlo tra’ Portoghesi. E rispetto alle ripetizioni, queste sono naturali nel Sr. Conte, che nella sua conversazione è solito sempre di ripetere quelle cose importanti, che cadono nel discorso. Onde, considerate tutte queste circostanze, conviene passar sopra alle regole rigorose dell’Arte Rettorica, e contentarsi della sostanza delle cose, e ammirare la singolarità dell’opera come fatta in 8 mesi, da un Primo Ministro restauratore di una monarchia rovinata, da un portoghese, ed in Portogallo; e riflettere, che ogni nazione ha le sue maniere particolari di esprimersi, alle quali conviene accomodarsi[55].
A poco servirono le giustificazioni d’ufficio di Pagliarini, né
l’uso retorico della figura idealizzata del “ministro restauratore”
dovette impressionare eccessivamente il teologo fiorentino: di fatto la consulenza
a distanza sul testo, su cui Pombal aveva tanto contato, abortì sul
nascere poiché si limitò al primo tomo della versione originale[56].
Se il tipografo italiano cercò di nascondere la propria delusione pregando
il proprio corrispondente di spedirgli, dopo averli opportunamente selezionati,
i commenti degli amici dell’Archetto[57],
il ministro portoghese dovette risentirsi non poco; quelle critiche al testo
di cui egli era stato almeno l’ideatore e il revisore finale sembravano
infatti rivelare una crescente distanza, insospettabile solo qualche mese
prima, tra il progetto regalistico e febroniano di Pombal e gli indirizzi
del gruppo giansenisteggiante romano, i cui membri (come lo stesso Bottari)
possedevano saldi legami all’interno del collegio cardinalizio (Andrea
Corsini in primo luogo) e in Curia: legami che, per inciso, si sarebbero fortificati
durante il pontificato di Ganganelli[58].
10. Nonostante questa “incomprensione”, comunque, la relazione
epistolare tra i due corrispondenti proseguì, almeno fino a quando
Pombal continuò a considerare Bottari una pedina utile nel quadro della
campagna propagandistica da lui promossa. Nello stesso tempo anche il teologo
fiorentino sembrò sfruttare in modo più disinvolto la posizione
che Pagliarini aveva assunto a corte: lo confermano una serie di richieste
di libri (in particolare attingendo al vasto repertorio di biblioteche requisite
ai gesuiti) che Bottari indirizzò a Pagliarini in qualità di
riorganizzatore della Biblioteca del Collegio dei nobili[59].
Prima di allora, comunque, nel quadro del continuo scambio di informazioni
librarie, Pagliarini e Bottari ebbero modo di discutere su alcuni classici
della letteratura antigesuitica e regalista europea del periodo. Interessante,
nel primo caso, la vicenda relativa alla Relação abbreviada.
Si tratta di fatto del testo, uscito anonimo a Lisbona nel 1757, che inaugurò
la lunga campagna propagandistica antigesuitica lanciata da Pombal poco prima
dell’attentato a Giuseppe I e della seguente espulsione degli ignaziani.
Questo libello, sfruttando il convincente artificio letterario di una relazione
elaborata da un ufficiale incaricato di delimitare i confini dei possedimenti
luso-spagnoli nel 1750, denunciava l’esistenza di uno Stato gesuitico,
la cui forza economica e militare si sarebbe fondata sull’opportunistico
sfruttamento della manodopera indiana, concorrenziale rispetto a quello delle
due monarchie iberiche. Distribuita sistematicamente da Pombal in tutte le
sedi diplomatiche portoghesi d’Europa, la Relação abbreviada
conobbe nel decennio successivo una straordinaria fortuna e circolazione in
Francia, Spagna, Germania e Italia[60].
Nella sua lettera del 16 febbraio 1768, Pagliarini sostiene che era stato
proprio l’ambasciatore portoghese presso la Santa Sede, Almada, a tradurre
l’opuscolo in italiano tra la fine del 1757 e l’inizio del 1758
con il titolo di Relazione breve, per poi presentarlo a Benedetto XIV;
e, dato non meno interessante, che erano stati i torchi della tipografia che
Pagliarini gestiva all’interno dell’ambasciata romana del Portogallo
a tirare la prima versione italiana in tutta segretezza:
Quella Relazione della Monarchia de’ gesuiti nel Paraguay, che sta al N.° IV della Raccolta de’ documenti in portoghese, è quella stessa, che tradotta bastantemente male, il nostro Sr. Almada presentò al Papa Benedetto, e fu citata nel suo breve di riforma [dei gesuiti portoghesi]; onde potete risparmiarvi la fatica di tradurla; tanto più che entra nel N.° delle Prove della Deduzione, ed io vedrò di raddrizzarla nel miglior modo possibile. Ottima cosa sarà sempre però che si pubblichi l’altra tradotta dallo spagnolo, come cosa nuova, e che può comprovare quella, che uscì nel tomo primo del Sommario de’ documenti stampato costì nel Regio Archivio [dell’ambasciata portoghese a Roma][61].
Il prossimo arrivo dei padri paraguaiani nello Stato della Chiesa a seguito dell’espulsione decretata da Carlo III e lo scoppio della crisi diplomatica intorno al Monitorio di Parma, che si pensava opera dei maneggi gesuitici e dei loro “terziari rossi”, aveva conferito nuova attualità alla Relação abbreviada; ciò, aggiunto al fatto che le numerose ristampe italiane erano esaurite, aveva convinto Bottari della necessità di rinfocolare la polemica sullo Stato gesuitico del Paraguay ripubblicando con qualche aggiustamento il libello[62]. In questa occasione, come abbiamo osservato, Pagliarini dissuase il suo corrispondente non tanto per ragioni di prudenza, quanto per il fatto che Pombal gli aveva affidato il medesimo compito: una nuova edizione della Relazione breve sarebbe stata infatti inserita nelle Prove della prima parte della Deduzione cronologica, e lo stampatore romano aveva ricevuto l’ordine di ritoccare la traduzione originaria di Almada[63].
11. La discussione relativa alla Relação rappresenta
di fatto solo uno dei tanti episodi di scambio di informazioni relative all’uscita
di opuscoli pro e contro la Compagnia – si trattasse di ristampe di
opere già note o di novità editoriali – presenti nel carteggio
tra Pagliarini e Bottari; di fatto questo elemento rappresenta uno dei leit
motiv dell’epistolario poiché i due interlocutori si incontravano
su un terreno di reciproco interesse e sul quale avevano a lungo collaborato
a Roma tra il 1758 e il 1760: proprio questo impegno propagandistico era stato
all’origine della disgrazia di Pagliarini. Perciò non meraviglia
la presenza di numerosi riferimenti a questa letteratura, a cominciare dall’interessante
annotazione, presente nella lettera del 12 agosto 1766, riguardante l’opportunità
di completare il già ricordato Sommario dei documenti autentici
citati nel Supplemento alle Riflessioni e all’Appendice de’ portoghesi,
la cui pubblicazione che si era bruscamente interrotta al primo tomo a causa
della “rottura” diplomatica del 1760[64].
Esattamente un anno dopo Pagliarini ricorda i Lupi smascherati, un’icona
della letteratura antigesuitica italiana del periodo, sostenendo l’insussistenza
della voce che lo aveva attribuito alla penna dell’abate Luigi Capriata[65].
All’inizio del 1768, dopo aver lodato la consulta del Consiglio
di Castiglia del 30 aprile 1767 - e cioè uno dei documenti cardine
dell’espulsione degli ignaziani spagnoli elaborato dal fiscal
Campomanes, conosciuto nella traduzione francese[66]
- il tipografo ringrazia Bottari di avergli spedito “la descrizione
del Paraguay”: si tratta evidentemente della Descrizione geografica,
politica, istorica del Regno del Paraguay formatosi dai Padri gesuiti
(Venezia, 1767)[67]. Infine nella
missiva del 2 agosto 1768 Pagliarini ricorda due dei molti opuscoli pubblicati
alla macchia inerenti il Monitorio e la fattibilità della soppressione
canonica dei gesuiti[68].
Naturalmente nel reclamizzare al suo interlocutore i testi portoghesi promossi
da Pombal, Pagliarini, oltre a svolgere un ruolo esplicitamente richiestogli
dal proprio datore di lavoro, continuava anche ad esercitare il suo mestiere
(cioè quello di tipografo-libraio). In altri termini nelle lettere
spedite a Bottari emerge un’interessante commistione tra le convinzioni
ideologiche, una buona dose di piaggeria nei confronti di Pombal, ed evidenti
calcoli di natura commerciale: ad esempio, nelle lettere dell’estate-autunno
del 1766, in cui Pagliarini comunica a Bottari l’uscita della Tentativa
Theológica, vengono sottolineati con soddisfazione l’enorme
successo che l’opera sta riscuotendo in Spagna e la necessità
che i “romani” e i terziari dei gesuiti acquistino sul mercato
librario questo testo[69]. Anche
nel caso dei trattati che l’oratoriano lusitano e Seabra da Silva stamparono
tra il 1768 e il 1770 - in particolare quelli tirati per i tipi della tipografia
regia - appare evidente la dimensione mercantile, poiché evidentemente
il tipografo romano aveva tutto l’interesse che questi testi circolassero
in Italia: la vasta rete di amicizie e di corrispondenti di cui Bottari disponeva
potevano cioè aiutarlo nello spaccio o almeno nell’accrescere
la potenziale domanda per le opere[70].
12. In conclusione l’analisi delle attività svolte da Pagliarini
nella Lisbona di Pombal conferma la tesi secondo cui, nel corso degli anni
sessanta del XVIII secolo, si assistette all’irrompere in Europa di
un’opinione pubblica (o società civile) che, pur riunendo anime,
contesti, e orientamenti diversi, riuscì comunque a dialogare attraverso
un vocabolario ideologico comune: l’antigesuitismo fu il suo catalizzatore,
la politica giurisdizionalista il suo obiettivo. Il carteggio Pagliarini-Bottari
dimostra inoltre che la pubblicistica antigesuita si legò inscindibilmente
alla letteratura regalista ed episcopalista coeva, anche in base alla semplice
considerazione che esimi teologi e canonisti (come Bottari e Zaccaria) o ministri
e funzionari (come Pombal) passarono con disinvoltura da un genere all’altro.
Di fatto la produzione di libelli polemici contro la Compagnia, sviluppando
i temi del giurisdizionalismo attraverso un registro più schematico
e “popolare”, mirava ad estendere il raggio dei potenziali lettori,
coinvolgendoli in dibattiti da cui erano in precedenza esclusi. La polemica
antigesuitica permise quindi di volgarizzare e porre su un livello politico
immediato lunghi e complessi dibattiti teologico-giuridici: Pombal, Pagliarini
e il gruppo dell’Archetto coordinato da Bottari contribuirono in maniera
determinante (quanto, se non più dei philosophes) all’espansione
di tale mercato editoriale, che di fatto rappresenta una delle maggiori novità
che si realizzarono nell’Europa del Settecento.
Secondariamente le traduzioni operate da Pagliarini dei testi polemici pensati,
diretti e composti da Pombal - che solitamente contenevano falsi storici lapalissiani
e una ricostruzione stereotipata e mitica della storia portoghese ed europea
- contribuirono ad alimentare un potentissimo paradigma ideologico che individuava
nella Compagnia un condensato delle usurpazioni perpetrate nei secoli dai
Pontefici a danno degli Stati cattolici. La traduzione divenne allora uno
degli strumenti privilegiati nella formazione di tale corpus documentario-dottrinale,
tanto che il successo della leggenda nera gesuitica finì per generare
a sua volta altre traduzioni o nuovi testi originali che cavalcavano quel
paradigma per ragioni squisitamente politiche.
[1] F. VENTURI, Settecento riformatore, Einaudi, Torino, II, 1976; M. ROSA, Settecento religioso. Politica della Ragione e religione del Cuore, Marsilio, Venezia, 1999, pp. 129-136.
[2] E. DAMMIG, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del secolo XVIII, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1945; R. OLAECHEA, Las relaciones hispano-romanas en la segunda mitad del siglo XVIII, Talleres Editoriales El Noticiero, Zaragoza 1965; G. IMBRUGLIA, L’invenzione del Paraguay. Studio sull’idea di comunità tra Seicento e Settecento, Bibliopolis, Napoli, 1983; M. LEROY, Mythe, religion et politique: “La Lègende noire” des Jésuites, in «Lusitania sacra», XII (2000), pp. 267-376; S. PAVONE, Le astuzie dei gesuiti. Le false Istruzioni Segrete della Compagnia di Gesù e la polemica antigesuita nei secoli XVII e XVIII, Salerno, Roma, 2000, ID., “Ribelli, seduttori, machinatori, impostori”: il complotto gesuita e la sua origine secentesca, in «Roma moderna e contemporanea», XI 1-2 (2003) pp. 195-227; E. M. ST. CLAIR SEGURADO, Dios y Belial en un mismo altar. Los ritos Chinos y malabares en la extinción de la Compañía de Jesús, Servicio de Publicaciones de la Universidad de Alicante, Alicante, 2000; J. E. FRANCO-C. VOGEL, Os Monita Secreta: historia de un best-seller antijesuítico, in «Brotéria» 154 (2002), pp. 473-514; C. VOGEL, Der Untergang des Gesellschaft Jesu als europaisches Medienereignis (1758-1773): Publizistische Debatten in Spannungsfeld von Aufklärung und Gegenaufklärung, tesi di dottorato discussa presso l’Università di Giessen, 2003; M. ROSA, Gesuitismo e antigesuitismo nell’Italia del Sei-Settecento, in Atti del colloquio Antijésuitismes de l’époque moderne (session II), Roma, École Française, 30-31 maggio 2003 (in corso di stampa). Una delle icone del regalismo antigesuita portoghese e borbonico fu Bernardino de Cárdenas, il cui memoriale contro i gesuiti paraguaiani indirizzato a Filippo IV, stampato per la prima volta nel 1662, conobbe una quantità impressionante di traduzioni ed estratti: la versione apparsa nei celebri Forfaits des Jésuites au Paraguay... (s. s., Au Paraguay, 1759), sembra provenire da un riassunto elaborato dall’abate Platel. In ambito spagnolo il fiscale Pedro Rodríguez de Campomanes patrocinò la pubblicazione Colección general de documentos tocantes á la persecucion que los regulares de la Compania suscitaron y siguieron [...] desde 1644 hasta 1660 contra [...] Bernardino de Cárdenas [...] obispo del Paraguay. Van añadidos en esta edición muchos documentos inéditos, y un prólogo que sirve de introducción, Imprenta Real de la Gaceta, Madrid, 4 voll., 1768-1770.
[3] G. KRATZ, El Tratado hispano-portugués de Límites de 1750 y sus consecuencias. Estudio sobre la abolición de la Compañía de Jesús, Institutum Historicum Societatis Iesu, Roma, 1954; J. J. CARVÃLHO SANTOS, Literatura y Política. Pombalismo e antipombalismo, Livraria Minerva, Coimbra, 1991; S. GATZHAMER, Antijesuitismo europeu: relações político-diplomáticas e culturais entre Baviera e Portugal (1750-1780), in «Lusitania Sacra», 5 (1993) pp. 159-250; J. CAEIRO, História da expulsão da Companhia de Jesus da Provincia de Portugal, Ed. Verbo, Lisboa, 2 voll., 1995; A. LEITE, A expulsão da Companhia de Jesus de Portugal no século XVIII, in «Brotéria», 119 (1999) pp. 597-609; J. E. FRANCO – B. CARDOSO, Vieira na literatura anti-jesuítica, Roma Editora – Fundação Maria Manuela e Vasco de Albuquerque d’Orey, Lisboa, 1997; J. E. FRANCO, A visão do Outro na literatura antijesuítica em Portugal: de Pombal à Primeira República, in «Lusitania Sacra», XII (2000) pp. 121-142; ID., Fundação pombalina do mito de la Companhia de Jesus, in «Revista de História das ideas», 22 (2001) pp. 209-253; ID., Antijesuitismo pedagógico e científico e o nacimiento da Brotéria, in «Brotéria», 155 (2002) pp. 295-318; ID., Le mythe jésuite au Portugal (XVIe-XIXe Siècle), tesi di dottorato discussa presso l’EHESS, 2004; M. GARCÍA ARENAS, La Compañía de Jesús en la Deducción cronológica y analítica pombalina, in «Revista de Historia Moderna - Anales de la Universidad de Alicante», 21 (2003) pp. 315-348; A. ANSELMO, Sebastião de Carvalho, os Jesuitas e a tipografía, in «Revista Século XVIII», II (2003) pp. 20-35.
[4] Cfr. L. VON PASTOR, Storia dei Papi dalla fine del Medioevo, Desclée & C.i Editori Pontifici, Roma, 1955, XVI, I, pp. 355-371, 576-924, 957-993; II, pp. 3-290; E. PACHECO Y DE LEYVA, La intervención de Floridablanca en la redacción del Breve para la supresión de los jesuitas (1772-1773), in «Escuela española de arquelogía e historia en Roma, Cuadernos de trabajos», III (1915) pp. 37-198; ID. El Cónclave de 1774 a 1775. Acción de las cortes católicas en la supresión de la Compañía de Jesús según los documentos españoles, Imprenta Clásica Española, Madrid, 1915; T. EGIDO - I. PINEDO, Las causas “gravísimas” y secretas de la expulsión de los jesuitas por Carlos III, Fundación Universitaria Española, Madrid, 1994, pp. 127-191; J. BELMONTE MÁS, José Moñino en Roma: el Breve de extinción de la Compañía de Jesús, in A. MESTRE SANCHÍS – E. GIMÉNEZ LÓPEZ (a cura di), Disidencias y exilios en la España Moderna, Publicaciones de la Universidad de Alicante, Alicante 1997, pp. 739-746; J. A. FERRER BENIMELI, La expulsión y extinción de los jesuitas según la correspondencia diplomática francesa, Universidad de Zaragoza - Universidad Católica del Táchira, Zaragoza - S. Cristóbal, vol. III (1770-1773), 1998; E. GIMÉNEZ LÓPEZ, La “extirpación de la mala doctrina”. Los inicios del proceso de extinción de la Compañía de Jesús (1767-1769), in ID., (a cura di), Expulsión y exilio de los jesuitas españoles, Publicaciones de la Universidad de Alicante, Alicante, 1997, pp. 229-256; ID., Portugal y España ante la extinción de los jesuitas, in M. TIETZ (a cura di), Los jesuitas españoles expulsos. Su imagen y su contribución al saber sobre el mundo hispánico en la Europa del siglo XVIII, IberoAmericana-Vervuert, Madrid-Frankfurt am Main, 2001, pp. 337-357; N. GUASTI, Lotta politica e riforme all’inizio del regno di Carlo III. Campomanes e l’espulsione dei gesuiti dalla monarchia spagnola (1759-1768), Alinea, Firenze, 2006.
[5] La bibliografia su Pombal e sulle riforme da lui promosse è ampissima. Mi limito a ricordare i lavori principali: S. J. MILLER, Portugal and Rome, 1748-1830. An aspect of the Catholic Enlightenment, Università Gregoriana Editrice, Roma, 1978; I. J. VERÍSSIMO SERRÃO, Pombal, os jesuítas e o Brasil, SMG - Imprensa do Exército, Rio de Janeiro, 1961; ID., O Marquês de Pombal. O homem, o diplomata e o estadista, Câmaras Municipais de Lisboa, Lisboa, 1982; J. FERREIRA GOMES, A reforma pombalina da Universidade, in «Revista Portuguesa de Pedagogia», VI (1972) pp. 25-63; J. S. DA SILVA DIAS, Pombalismo e Teoria política, Centro de História da Cultura da Universidade Nova de Lisboa, Lisboa, 1982; J. BORGES DE MACEDO, O Marquês de Pombal (1699-1782), Biblioteca Nacional, Lisboa, 1982; L. REIS TORGAL - I. VARGUES (a cura di), O Marquês de Pombal e o seu tempo, Coimbra, Universidad de Coimbra-Revista de História das Ideas, 2 voll., 1982-1983; AA. VV., Como interpretar Pombal?: no bicentenário da sua morte, Ed. Brotéria, Lisboa-Porto, 1983; M. H. CARVALHO DOS SANTOS (a cura di), Pombal revisitado: comunicações ao colóquio internacional organizado pe la Comissão das Comemorações do 2º Centenário da morte do Marquês de Pombal, Editorial Estampa, Lisboa, 2 voll., 1984; J. L. DE AZEVEDO, O Marquês de Pombal e a sua época, Classica Editora, Porto, 19902; K. MAXWELL, Pombal, paradox of the Enlightenment, Cambridge University Press, Cambridge, 1995; A. LOPES, Marquês de Pombal e a Companhia de Jesus, Principia, Cascais, 1999; A. C. ARAÚJO (a cura di), O Marquês de Pombal e a Universidade, Imprensa da Universidade, Coimbra, 2000; AAVV., O Marquês de Pombal: O Homem e a sua Época, Prefácio, Lisboa, 2002.
[6] Non a caso in Portogallo il casus belli che originò il conflitto tra il governo diretto da Pombal e l’Assistenza lusitana dell’Ordine scaturì dalla fondazione delle compagnie mercantili che miravano a porre sotto il controllo statale settori strategici dell’economia portoghese, quale il commercio del vino: cfr. K. MAXWELL, Conflicts and conspiracies: Brasil and Portugal, 1750-1808, Cambridge University Press, London, 1973; S. SCHNEIDER, O marquês de Pombal e o vinho do Porto: dependência e subdesenvolvimiento em Portugal no século XVIII, Regra do Jojo, Lisboa, 1980; J. B. MACEDO, A situação económica no tempo de Pombal: algunos aspectos, Moraes Editores, Lisboa, 1982.
[7] Sulle tesi di Febronio cfr. VON PASTOR, op. cit., I, pp. 538-561; II, pp. 312-319; III, pp. 373-393; J. KÜZTINGER, Fébronius et le fébronianisme, in «Mémoire de l’Académie royale dessciences, des lettres et des beaux arts de Belgique», XLIV (1889) pp. 1-88; L. JUST, Hontheim. Ein Gedenkblatt zum 250. Geburtstag, in «Archiv für mittelrheinische Kirchengeschichte», IV (1952) pp. 204-216; V. PITZER, Justinus Febronius. Das Ringen eines katholischen Irenikers um die Einheit der Kirche im Zeitalter des Aufklärung, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen, 1976; P. FROWEIN - E. JANSON, Johannes Nikolaus von Hontheim – Justinus Febronius. Zum Werk und seinen Gegnern, in «AmrhKg», 28 (1976) pp. 129-153.
[8] Cfr. F. A. ZACCARIA, Anti-Febbronio... o sia apologia storico-polemica del primato del Papa, Stamperia Amantina, Pesaro, 2 voll., 1767; ID., Antifebronius Vindicatus..., G. Biasini, Cesena, 4 voll., 1772-17732; ID., In tertium Iustini Febronii tomum animadversiones romano-catholicae tribus epistolis comprehensae..., G. Zempel, Romae, 1774.
[9] Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Sala Manoscritti, Nuove Accessioni, ms. 1261 (d’ora in poi BNCF, cart. cit.). La raccolta epistolare è stata acquistata dalla biblioteca nel 1981, tanto che di questi documenti non v’è menzione nel catalogo dei carteggi Bottari-Foggini: cfr. P. PIROLO GENNARELLI, Una raccolta di lettere a Mons. Giovanni Bottari negli anni 1766-1770. Un recente Acquisto nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, in «Accademie e biblioteche d’Italia», L 1 (1982) pp. 3-20; A. SILVAGNI - A. PETRUCCI, Catalogo dei carteggi di G. G. Bottari e P. F. Foggini (sezione Corsiniana), Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1963. L’epistolario Pagliarini-Bottari è stato recentemente utilizzato da Z. OSÓRIO DE CASTRO, Jansenismo versus jesuitismo. Niccolò Pagliarini e o projecto político pombalino, in «Revista portuguesa de Filosofia», 52 (1996) pp. 223-232.
[10] Sulla biografia di Bottari e sulle vicende del gruppo di religiosi filogiansenisti, il cosiddetto circolo dell’“Archetto”, che si riuniva in palazzo Corsini fin dagli anni quaranta, vedi DBI, Istituto dell’Enciclopedia Treccani, Roma, XIII, 1971, pp. 409-418; R. PALOZZI, Mons. Giovanni Bottari e il circolo dei giansenisti romani, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», X (1941) pp. 70-90 e 199-220; E. CODIGNOLA, Giansenisti, illuministi e giacobini nell’Italia del Settecento, Nuova Italia, Firenze, 1947, pp. 61-73, 197-207; E. PASSERIN D’ENTRÈVES, La riforma “giansenistica” della Chiesa e la lotta anticuriale in Italia nella seconda metà del Settecento, in «Rivista storica italiana», LXXI (1959) pp. 209-234; E. APPOLIS, Entre jansénistes et zelanti. Le ‘Tiers Parti’ au XVIIIe siècle, Éditions A. et J. Picard & C., Paris, 1960, pp. 176-216; M. ROSA, Riformatori e ribelli nel ‘700 italiano, Dedalo libri, Bari, 1969, pp. 87-118; ID, Religione e politica ecclesiastica attraverso l’epistolario di Bernardo Tanucci, in AA. VV., Bernardo Tanucci e la Toscana. Tre giornate di studio: Pisa-Stia 28-30 settembre 1983, Olschki, Firenze, 1986, pp. 31-54; L. FELICI, Il carteggio Galiani-Bottari (1751-1759), in «Atti e memorie dell’Arcadia, Accademia Letteraria italiana», s. 3 V 4 (1972) pp. 173-217.
[11] Cfr. PASTOR, op. cit., I, pp. 921-956; VENTURI, op. cit., II, pp. 163-325; GIMÉNEZ LÓPEZ, La “extirpación” cit., pp. 250-256; EGIDO - PINEDO, op. cit., pp. 109-130; G. CERCHIELLO, La estrategia antiromana de Bernardo Tanucci ante los acontecimientos de 1768, in E. GIMÉNEZ LÓPEZ (a cura di), Y en el tercero perecerán. Gloria, caída y exilio de los jesuitas españoles en el siglo XVIII, Publicaciones de la Universidad de Alicante, Alicante, 2002, pp. 353-381.
[12] VENTURI, op. cit, II, pp. 3-29. Sull’arresto di Pagliarini (11 dicembre 1760), la sua successiva scarcerazione (nel novembre del 1761, mercé l’intervento di Tanucci) e la sua fuga a Napoli (febbraio 1762) cfr. ivi, pp. 26-29; PASTOR, op. cit., I, pp. 582-583, 618-619; B. TANUCCI, Epistolario, Istituto Poligrafico e della Zecca dello Stato, Roma, X (1761-1762), 1988, pp. 6, 8, 26, 36, 38, 60, 239, 255, 278, 289, 294-295, 307-311, 330, 347-348, 361-362, 554. La reclusione, come osservò lo stesso Tanucci, fu dovuta proprio all’eccessivo attivismo dello stampatore sul terreno della pubblicazione e della diffusione di libelli antigesuitici: ivi, pp. 309, 322, 524-525.
[13] Dalle lettere di Pagliarini sembra emerge con chiarezza il fatto che Pombal stava allora cercando di utilizzare l’ideologia episcopalista anche per controllare la nobiltà titolata: cfr. BNCF, cart. cit., ff. 1r-v, 7v-9v (19 agosto, 23 novembre e 29 luglio 1766). Una delle conseguenze più tangibili della “rottura” del 1760, infatti, era stata la sospensione delle dispense matrimoniali, che aveva finito per impedire i matrimoni tra grandi casate nobiliari, tutte imparentate tra loro. Perciò se la restituzione al corpo episcopale lusitano del diritto di dispensare sbloccò la situazione, permise nel contempo al ministro lusitano di disciplinare i Grandi. Non è quindi un caso che i migliori scrittori regalisti al soldo di Carvalho avessero analizzato la questione in maniera capillare. Vedi, in particolare, A. PEREIRA DE FIGUEIREDO, Tentativa Theológica, em que se pretende mostrar, que impedido o recurso à Sé Apostolica se devolve aos Senhores Bispos a facultade de dispensar nos impedimentos publicos do matrimonio..., Miguel Rodrigues, Lisboa, 1766 (in particolare il cap. IX della Prima parte).
[14] Cfr. BNCF, cart. cit., ff. 15r (3 novembre 1767); 14r (29 dicembre 1767); 40r (10 febbraio 1768); 65r (11 aprile 1769); 73v (19 settembre 1769). Pagliarini, inoltre, illustra anche i vantaggi economici derivanti dalla concessione da parte degli Ordinari lusitani delle dispense alimentari e dalla sospensione della Bolla di Crociata: cfr. ivi, ff. 39r (8 marzo 1768) 44v (1 marzo 1768), 48v (18 ottobre 1768), 66r (21 marzo 1769), 62r (23 maggio 1769).
[15] Cfr. R. DE CARVLHO, O recurso a pessonal estrangeiro no tempo de Pombal, in REIS TORGAL-VARGUES (a cura di), op. cit., I, pp. 91-116. Pagliarini dovette giungere a Lisbona nella prima metà del 1766, nonostante che fin dal gennaio del 1762 Oeiras avesse dato mandato a José Aires de Sá e Melo (all’epoca ambasciatore portoghese presso la corte di Napoli) di far imbarcare quanto prima il tipografo per Lisbona: ivi, p. 115.
[16] Fino a quanto Almada non venne inviato in Italia (via Madrid) per seguire da vicino gli effetti della crisi di Parma e il prevedibile conclave (BNCF, cart. cit., f. 56r, 26 aprile 1768), Pagliarini visse nel suo palazzo di Lisbona: ivi, f. 58r (19 aprile 1768). Le lettere spedite a Bottari attestano comunque che l’iniziale sodalizio tra il tipografo e l’ex ambasciatore si era gradualmente esaurito, finendo per trasformarsi in una reciproca antipatia.
[17] Sulla penna più famosa reclutata allora da Pombal, e cioè Norbert de Bar-Le-Duc (alias Pierre Curel Parisot, meglio noto come l’abate Jacques Platel), cfr. C. H. FRÈCHES, Voltaire, Malagrida e Pombal, Liv. Cruz, Braga, 1969; I. DA ROSA PEREIRA, O auto-de-fé de 1761, in REIS TORGAL- VARGUES (a cura di), op. cit., I, pp. 367-376.
[18] Ogni lettera di Pagliarini termina con la richiesta di salutare i membri della casa Corsini e «gli amici» comuni, tra cui spiccano Foggini, Querci (ex bibliotecario della Corsiniana e all’epoca direttore della Galleria degli Uffizi di Firenze), Gaetano Centomani (uditore della legazione napoletana di Roma, vero fautore della sua scarcerazione), l’abate Niccolò de Rossi (uno degli avvocati che aveva difeso il tipografo durate il processo del 1761), gli oratoriani di Chiesa Nuova. Vedi BNCF, cart. cit., le lettere del 12 agosto 1766 (ivi, f. 3r), 25 novembre 1766 (ivi, f. 8r) e 1 marzo 1768 (ivi, f. 45v). Sullo scolopio Tosetti vedi ivi, f. 53 (5 aprile 1768): «Datemi le notizie più distinte della malattia del povero P. Urbano Tosetti, che non ostante averlo io veduto una sol volta alla sfuggita, pure aveva per lui molta stima, e lo credevo uomo dotto, e dabbene».
[19] Vedi, ad es., ivi, ff. 17r, 37r e 32r (4 agosto 1767, 10 febbraio e 17 maggio 1768). Alcune di queste lettere vennero addirittura lette da Pombal a Giuseppe I: ivi, f. 28r (10 novembre 1767).
[20] I libelli antigesuitici di maggiore successo usciti dall’ambiente di palazzo Corsini e dall’ambasciata portoghese tra il 1758 e il 1760, a cui Pagliarini contribuì in maniera determinante (ora stampandoli, ora distribuendoli sul mercato librario di tutta Italia), sono quattro: le Riflessioni di un portoghese sopra il Memoriale presentato da’ pp. gesuiti alla santità di PP. Clemente XIII felicemente regnante esposte in una lettera scritta ad un amico di Roma, s. s., Lisbona [Roma], 1758; l’ Appendice alle riflessioni del Portoghese sul Memoriale del Padre de’ Gesuiti presentato alla Santità di PP. Clemente XIII..., s. s., Genova [Roma], 1759; la Critica di un romano alle Riflessioni di un portoghese, s. s., Genova [Roma], 1759; e I Lupi smascherati nella confutazione e traduzione del libro intitolato Monita Secreta Societatis Jesu..., Tancredi e Francescantonio padre e figlio Zaccheri de Strozzagriffi, Ortignano, 1760. Le Riflessioni vennero elaborate da Tosetti su invito di Almada, mentre è probabile che lo stesso Bottari (insieme all’inseparabile Foggini) avesse partecipato alla redazione dell’Appendice e alla Critica; sull’attribuzione dei Lupi smascherati cfr. infra. Questi quattro libelli conobbero un’eccezionale fortuna europea, tanto da venir immediatamente tradotti in portoghese (probabilmente da Almada), spagnolo e francese: sulla fortuna spagnola vedi GUASTI, op. cit., pp. 226-227. Rimane forte la sensazione che questi (ed altri) opuscoli romani non provennero da un’unica penna, ma siano stati il frutto di una redazione collettiva a cui parteciparono vari componenti del gruppo dell’Archetto: non a caso Bottari e Foggini avevano forgiato un anagramma, Gino Bottagrifi (o Bottagriffi, spesso accompagnato dalla formula «e compagni»), con il quale firmarono alcuni dei loro più efficaci pamphlets antigesuitici: cfr. VENTURI, op. cit., II, pp. 10-27, spec. pp. 22-24.
[21] Su Pereira e il regalismo portoghese cfr. C. DOS SANTOS, António Pereira de Figueiredo, Pombal e a Aufklärung. Ensaio sobre o Regalismo e o Jansenismo em Portugal na 2ª metad do século XVIII, in REIS TORGAL-VARGUES (a cura di), op. cit., I, pp. 167-205; Z. M. OSÓRIO DE CASTRO, O Regalismo em Portugal: António Pereira de Figueiredo, Centro de História da Cultura da Universidade Nova de Lisboa, Lisboa, 1987; M. A. RODRIGUES, A Universidade de Coimbra e o Porto na época moderna. Manuel Augusto Leitão e o regalismo em Portugal, n. monog. della «Revista de Historia», 1988; F. CONTENTE DOMINGUES, Ilustração e Catolicismo: Teodoro de Almeida, Colibri, Lisboa, 1994; J. SEABRA, A teologia ao serviço da política de Pombal: episcopalismo e concepção do primado romano na Tentativa Teológica do Padre António Pereira de Figueiredo, in «Lusitania Sacra», VII (1995) pp. 359-402.
[22] Cfr. BNCF, cart. cit., ff. 4r (12 agosto 1766) e 73v (19 settembre 1769). Il primo riferimento di Pagliarini riguarda l’imminente pubblicazione, «con tutte le approvazioni necessarie», della Tentativa Theológica. Pagliarini spedì a Bottari il trattato appena stampato: vedi le lettere del 25 novembre (BNCF, cart. cit., f. 7r) e 23 dicembre 1766 (ivi, f. 6r).
[23] J. SEABRA DA SILVA, Deducção chronologica, e analytica..., Na Officina de Miguel Manescal da Costa. Por Ordem de Sua Magestade, Lisboa, 2 voll. in 4º, 1767; ID., Deduzione cronologica e analitica. Parte prima [-seconda]... Traduzione dell’originale portoghese pubblicato, Per Michele Manescal da Costa, D’ordine di Sua Maestà, Lisbona, 2 voll. in 8º, 1767-1768, ID., Collecção das provas que forão citadas na parte primeira, e segunda da Deducção chronologica, e analytica..., Na Officina de Miguel Manescal da Costa, Por Ordem de Sua Magestade, Lisboa, 1 vol. 4º, 1768; ID., Prove della Parte prima [-seconda] della Deduzione cronologica..., Per Michele Manescal da Costa, D’ordine di Sua Maestà, Lisbona, 2 voll. in 8º, 1768. La prima sibillina allusione all’elaborazione della Deducção risale al 25 novembre 1766: vedi BNCF, cart. cit., f. 7v. Successivamente (ivi, f. 5r, 23 dicembre 1766) Pagliarini preannunciava al suo interlocutore imminenti novità; il 27 maggio 1767 (ivi, f. 12v) il tipografo romano faceva finalmente trapelare l’argomento dell’opera: «Voi desiderate di vedere pubblicate le bricconate fatte da’ Gesuiti in Portogallo; ed avete ben ragione: ma sono tante, e così grandi, che non capirebbero in 20 tomi in folio. Abbiate peraltro sofferenza per alcun poco di tempo, che ne vedrete un saggio bastante per giudicare del di più. Ma non lo dite a nessuno acciò la cosa giunga più nuova».
[24] Ivi, ff. 20r (16 giugno 1767) e 21r-v (21 luglio 1767): «Tra pochi giorni suppongo che debba pubblicarsi qualche parte dell’opera sulla quale il Sr. Conte d’Oeyras sta da sei mesi in quà lavorando; resta a mio carico il fare in modo, che voi non siate degli ultimi ad averlo costà. [...] Finalmente è terminata di stampare la Prima parte dell’opera sulla quale il Sr. Conte lavora dal mese di dicembre in quà. Ella non è ancora pubblicata, contuttociò io voglio comunicarvene sotto sigillo il titolo anticipatamente riserbandomi a mandarvi tra un mese l’originale portoghese; che è un bel volume in 4° reale, di 384 pagine; ed insieme la traduzione italiana da me fatta d’ordine del Sr. Conte, e stampata in 8°, acciò a suo tempo confrontandola me ne diciate il vostro giudizio, indicandomene gli errori etc. Il titolo è questo: Deduzione cronologico-analitica. Parte I. [...; segue la traduzione del titolo, diverso da quello definitivo, adottato nella stampa] Io ve l’ho tradotto così all’infretta; quando dovrò farlo per stamparlo spero, che sarà meno cattiva la traduzione». Su queste lettere vedi anche OSÓRIO DE CASTRO, Jansenismo versus jesuitismo cit., pp. 228-229.
[25] BNCF, cart. cit., f. 26r (1 settembre 1767): «Aspetto con impazienza il vostro giudizio non solo sul merito del libro, che questo è tutto del Sr. Conte che n’è l’autore (benché esca in nome del Procuratore della Corona, soggetto peraltro dottissimo, e capace di farlo egualmente bene); ma ancora sulla traduzione, che per ordine di S. M. è stata fatta da chi [Pagliarini stesso] non si è mai creduto capace di far cosa simile, desiderando su questo la vostra più rigorosa critica acciò dovendo fare altra consimile impresa esca alla luce meno cattiva, e ci si conosca il frutto de’ vostri avvisi».
[26] Ivi, f. 27r (10 settembre 1767): «Questo Ec.mo Sr. Conte d’Oeyras nel dispacciare un corriero a Madrid mi ha ordinato di formare un piego dell’annesso libro [il primo tomo della Deducção], e di raccomandarlo al nostro Sr. Ambasciatore Ayres de Sá affinché lo faccia pervenire alle vostre mani o per la via di Piaggio, o di cotesto Mons. Azpuru [ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede]. Ritroverete, che vi mancano alcuni fogli dell’Indice, i quali si mandaranno col corriero ordinario perché abbiate l’opera completa. Su Ecc.za mi ingiunge però di avvisarvi a’ non comunicare per ora a nessuno questo libro, ma che abbiate a leggerlo, e scrivermene il vostro giudizio di cui questo illuminato ministro fa grandissimo conto. Dopo che per la via di mare saranno giunti altri esemplari in Italia vedremo l’effetto, che produrrà questa Prima parte, che quanto prima sarà seguitata da una seconda, e da un volume di Prove».
[27] Ivi, ff. 22r, 25v e 23r (21 luglio, 1 e 8 settembre 1767).
[28] Ivi, f. 15r (3 novembre 1767): «Veggo dalla vostra del 26 di settembre quanto avete osservato sulla traduzione della Supplica; e ve ne ringrazio, e procurerò di migliorare facendo uso de’ vostri avvertimenti. Ma il Sr. Conte sta impaziente di sentire il vostro giudizio sulla sua opera [la Dedução], che a quest’ora dovete averla letta tutta, giacché voi siete stato il primo ad averla in Italia, essendosi incaricato il Sr. Roda di farvela capitare col corriero per mezzo di Mons. Azpuru. E siccome a quest’ora devono essere comparsi in Roma gli altri esemplari costà mandati in regalo; e debbono essersi sparsi per tutta Italia, di grazia scrivete a lungo, e individualmente non solo il giudizio vostro, di cui il Sr. Conte fa maggior caso che di nessun’altro, ma quello del comune, e di cotesto ministero in particolare. Già vi dissi che, non ostante l’opera porti in fronte il nome del Procuratore della Corona, ella è però tutta del Sr. Conte, e nessuno può attestarlo meglio di me, che ho avuti tutti gli originali nelle mani, e la edizione è passata sotto i miei occhj, e molte volte ho avuto l’onore di trovarmi seco nel suo gabinetto in tempo che lavorava. Questo signore dopo aver pubblicato un così laborioso parto del suo talento, farà grandissimo conto del voto di un prelato, ch’egli riguarda come uno di que’ pochi illuminati che se ne stanno in un canto osservando la strana condotta di cotesto ministero; come avrete osservato, che siete stato da lui dipinto nella detta Supplica».
[29] Ivi, f. 14r (29 dicembre 1767): «Siccome a quest’ora debbono essere sparse per tutta Italia, ed in Roma gli esemplari della Deduzione; così vi prego a indagare quale ne sia il giudizio dei savj, e cosa ne dicano cotesti cardinali e prelati; mentre il Sr. Conte ogni venerdì mi domanda se ho vostre lettere e vuol leggerle, e per lo più le porta a S. M. La Seconda parte dell’opera è già finita di stampare in Portoghese, ed è anche tradotta in italiano per mettersi tra’ giorni sotto il torchio: questa dovrà scottare anche di più della prima il ministero pontificio; che riconoscerà le conseguenze funeste all’Erario pontificio della inconsiderata rottura voluta, e pazza condiscendenza per i gesuiti».
[30] Ivi, f. 36v (19 gennaio 1768): «La Seconda parte della Deduzione in portoghese è già distribuita a’ tribunali della Corte: ma non potrà esser stampata in italiano prima di giugno, volendosi pubblicare insieme colle Prove, e le leggi, che usciranno sulla materia».
[31] Ivi, f. 35v (5 [gennaio] del 1768): «La Seconda parte della Deduzione è quasi finita di stampare in portoghese, ma non può mettersi mano all’italiana se non giunge la carta da Genova, che può esser qui ad ogni momento». Il 2 febbraio successivo (ivi, f. 37v) Pagliarini ribadiva i tempi e gli scopi del progetto editoriale, oltre che i canali di distribuzione delle due versioni in Italia: «La Deduzione Cronologica essendo a quest’ora sparsa per tutta Italia, ed anche in Roma, dove possono andarvene da Napoli quante copie vogliono, dovrebbe produrre qualche buon effetto, e scuotere coteste anime del Limbo; le quali alla Seconda parte, che le tocca più da vicino, non potranno fare a meno di non gridare, ma senza rimedio, poiché, con inconsiderata condotta hanno lasciato inoltrar le cose a segno, che non è più possibile di disfarle. Parmi, che la traduzione della Parte seconda sarà pubblicata insieme col volume delle Prove, acciò sia nelle mani di ognuno l’opera compita; e mi lusingo abbia ad essere meno difettosa della Prima, giacché vi è tempo di riflettere, e non si fa con tanta fretta, perché si aspettano le provvidenze di S. M. sull’assunto».
[32] Ivi, ff. 15v e 28r (3 e 10 novembre 1767): «Si lavora in fretta nella stampa della Parte seconda della Deduzione, la quale darà alla Corte Roma più noia della prima, poiché giunge col ferro più da vicino. Però ella tutto deve riconoscere dalla sua amata Compagnia gesuitica, e da suoi terziarj ed averlene buon grado. [...] La Seconda parte della Deduzione in Portoghese è quasi finita di stampare, ed è già tradotta; ma non potrà la traduzione terminarsi così presto di stampare, come io vorrei, tuttavia non tardarà moltissimo. A quest’ora dovrebbe esser giunta a Genova la nave, che conduce gli esemplarj da distribuire in Italia, onde presto sentiremo cosa ne dirà il pubblico».
[33] Ivi, ff. 21v-22r (21 luglio 1767).
[34] Ivi, f. 18v (4 agosto 1767): «Si sta attualmente stampando il Ricorso al re del Procuratore della Corona fondato sulla Deduzione Cronologica, e Analitica, che è uno scritto fortissimo, che sarà seguitato da varie leggi relative a quanto si è fatto vedere al re, che da’ gesuiti è stato fatto in più di 200 anni per rovinare questa monarchia; ed in questo vi entra la riforma degli studj, sulla quale si lavora fortemente. Questo scritto sarà subito tradotto e si vedrà in Italia unito alla Deduzione per la fine di ottobre. Il caso è che se cotesto ministero pontificio non si scuote, e se il S. Collegio non fa aprire gli occhj al Papa, e non lo fa risolvere a mutar di sistema co’ gesuiti prevedo, che i sovrani cattolici prenderanno delle misure così violente, e così fatali per Roma, che non vi sarà poi più luogo a riparare la rovina del Pontificato romano, e converrà fare a forza quello che non si è voluto fare con vantaggio proprio, e con gradimento delle Corone». Da notare il fatto che nel suo epistolario Pagliarini già parla della necessità di giungere alla soppressione canonica della Compagnia attraverso una bolla: cfr. ivi, ff. 66r (21 marzo 1769), 71r (25 luglio 1769), 73r (19 settembre 1769). Di fatto questa tesi riflette la posizione ufficiale di Pombal e del governo portoghese.
[35] J. SEABRA DA SILVA, Petição de recurso ... sobre o último e crítico estado desta monarquia depois que a Sociedade chamada de Jesus foi desnaturalizada e proscripta dos domínios de Francia e Hespanha, Miguel Manescal da Costa, Lisboa, 1 vol. 4º, 1767; ID., Supplica di ricorso ... sopra l’ultimo critico stato di questa monarchia dopo che la Società detta di Gesù è stata snaturalizzata, e proscritta da’ domini della Francia, e della Spagna. Traduzione dall’originale portoghese stampato, Michele Manescal da Costa, Lisbona, 1 vol. 8º, 1767. BNCF, cart. cit., ff. 25v-26r (1 settembre 1767): «Lunedì passato si tenne un consiglio di Stato alla presenza del Re composto del Patriarca, dell’arcivescovo d’Evora, dal Sr. D. Giovanni di Bemposta grande ammiraglio, del marchese d’Alvito maresciallo, del Sr. Conte d’Oeyras, D. Luigi da Cunha, e Francesco Saverio di Mendoza fratello del Sr. Conte tutti tre segretarj di Stato. Si suppone tenuto in proposito della Supplica di Ricorso presentata a S. M. dal Procuratore della Corona sullo stato presente della corte di Roma rapporto a’ gesuiti. Questo pare a me che sia lo scritto più forte uscito sulla materia; e che debba scuotere cotesta corte allucinata dalle imposture del Sinedrio. Voi sarete certamente il primo ad averlo, e io ve lo mandarò per il corriero con patto, che non esca dalla vostra mano, e che al più sia letto da cotesti signori della casa [Corsini]; poiché per pubblicarlo ne anderanno in Italia bastanti copie mandate dalla Corte a’ rispettivi ministri, ed agenti. [...] La Supplica di ricorso è stata tradotta, e stampata anche in francese, e credo similmente in latino; onde non vi resti nazione, che possa ignorarla, e rimanere senza leggerla. I gesuiti potrannno adesso magnificare la ignoranza del Portogallo, e trovare chi loro dia fede con un tal documento alla mano. E le corti cattoliche avranno sotto gli occhj indicata la via, che debbono prendere per far terminare uno scandalo così vergognoso nella Chiesa di Dio, e gli esempj più concludenti per ottenerlo. Vedrete che senza esservi nominato vi siete dipinto voi, vi sono anch’io, ed altra gente dabbene. Qui non si è ancora pubblicato nulla aspettandosi la traduzione italiana, che deve terminarsi per sabato prossimo ad effetto di spedirne per corriero straordinario le copie alle Corti straniere. [...] Vedremo se quelle anime del limbo della razza rezzonica si risentiranno a questa scossa, e se vorranno continuare ad essere il ludibrio della Cristianità». Vedi inoltre Deduzione cronologica cit., II, p. 200.
[36] Anche nel caso della traduzione della Supplica, la prassi seguita fu la stessa: oltre alla richiesta di rivederne la traduzione (in previsione di una ristampa) e di offrire a Pombal un’opinione sui contenuti, Pagliarini spedì a Bottari presso l’indirizzo di Palazzo Corsini le singole sezioni del testo fresche di stampa BNCF, cart. cit., f. 23r (8 settembre 1767): «Col corriere antecedente avrete ricevuto sotto coperta dell’E.mo Andrea [Corsini] un foglio stampato; acclusi rimetto gli altri tre e mezzo, che compiscono il libretto, con condizione però, che non abbiate da comunicarlo a nessuno; ma dopo letto abbiate solamente da scriverne il vostro sentimento: non solo sull’originale, che è opera del Sr. Conte; ma sulla traduzione, che di ordine regio è stata fatta da un vostro amico, che non si è creduto mai capace di far cosa, che dovesse pubblicarsi colle stampe; e perciò desidera la vostra correzione, che gli saranno da me comunicate, per usarne nel caso di una ristampa». Quindi Pagliarini conferma che, anche nel caso della Supplica, il vero autore fosse stato Pombal e che Seabra da Silva si fosse limitato ad apporre il suo nome in calce al documento.
[37] BNCF, cart. cit., ff. 37v (2 febbraio 1768), 43v (16 febbraio 1768), 39v (8 marzo 1768), 58v (19 aprile 1768). Precedentemente (ivi, f. 5r, 23 dicembre 1766) Giuseppe I aveva affidato ai Domenicani di Lisbona «la libreria del collegio de’ gesuiti di Coimbra per esser pubblica come è quella della Minerva costà».
[38] Ivi, f. 70r (4 luglio 1769). Il mese successivo (f. 68v, 29 agosto 1769) Pagliarini affermava di essere «in oggi così occupato, che non ho tempo da respirare, e so ben dirvi che mi fanno scontare con usura i primi tre anni, che mi lasciarono ozioso. Vado questa sera a dormire a Palazzo ove resterò tre giorni ad ordinare la libreria del re, e lo stesso faccio tutte le settimane».
[39] Il primo riferimento alla stamperia compare nella lettera del 23 dicembre 1766 (ivi, f. 6r), quando Pagliarini annunciò all’amico la fondazione di una «getteria reale, che somministrerà caratteri al pubblico fatti con perfezione, oltre il necessario per la regia stamperia, che si vuol stabilire nel Collegio, sotto la Pubblica Biblioteca». L’accelerazione decisiva si ebbe però nell’aprile 1768, poiché il 12 aprile di quell’anno il tipografo si lamentava «dell’applicazione continua in cui debbo stare fintanto che non siano terminate le incombenze, che mi ha addossato il ministero». Pagliarini poté comunque dedicarsi a tempo pieno all’organizzazione della tipografia una volta terminata la pubblicazione della Deduzione che, per sua stessa ammissione, gli aveva causato «infinite distrazioni» (ivi, f. 46r, 4 ottobre 1768). Il 6 dicembre (ivi, f. 50r), poi, sosteneva di stare lavorando «alla erezione di una stamperia reale secondo il piano da me datone, la quale farà onore grande a questo paese».
[40] Ivi, ff. 49r (18 ottobre1768) e 62v (23 maggio 1769).
[41] Ivi, f. 30v (10 maggio 1768).
[42] Ivi, f. 45r (1 marzo 1768): «Il breve di scomunica spedito contro il duca di Parma dice il Sr. Conte che fu fatto fare da’ gesuiti per tentare la sospensione della loro cacciata da quel ducato; ma che la cosa è loro riuscita al rovescio come le altre, mentre la espulsione fu contemporaneamente seguita. Rispetto alla scomunica la corte di Parma troverà tutti i rimedj opportuni nella Seconda parte della Deduzione, che l’è stata subito spedita in portoghese intanto che sia pronta la traduzione italiana, che stà sotto il torchio col volume delle Prove».
[43] Ivi, f. 52v (5 aprile 1768): «Il breve di Parma, che ha prodotto già l’arresto del Parlamento di Parigi [26 febbraio 1768], e la Provisione di Madrid [emessa dal Consiglio di Castiglia il 16 marzo 1768], ha dato luogo ad un passo fortissimo anche in Lisbona di cui spero darvene le prove tra poco tempo. Vedremo poi cosa farà Napoli, e Vienna e Venezia, e fino la Repubblica di Lucca, una volta, che è riconosciuto per insulto fatto a tutti i sovrani cattolici. E Dio voglia, che da’ scritti, non si venga a’ fatti, e non si metta mano a’ bastoni per ammannire coteste bestie feroci».
[44] Vedi la significativa conferma di Pagliarini ivi, ff. 30v-31r (10 maggio 1768): «Noi già abbiamo qui il Manifesto di Roma. Dalle due leggi trasmessevi avrete veduto quale sia il sistema preso di questa Corte; ma lo vedrete meglio quando leggerete la Parte 2a della Deduzione, ed il volume delle Prove, che potranno essere in Roma per la fine di giugno; [...] Qui deve uscire oggi la legge sul Breve di Parma, e se potrò averla in tempo ve la accluderò, e mandarò per mezzo di detto Ministro [Azpuru] raccomandato al Sr. de Roda». Sette giorni dopo (ivi, f. 33r), il tipografo annunciava che «in questa settimana parmi che si terminarà la stampa della Parte 2a della Deduzione Cronologica e Analitica italiana, di cui farò che sia a voi recapitato un esemplare per il corriero di Spagna per mezzo del Sr. De Roda, a condizione che non lo facciate vedere fin a tanto, che non sia pubblicato il volume delle Prove, e che siano pervenuti gli esemplari in Genova».
[45] Ivi, ff.. 52v (5 aprile 1768), 54r (12 aprile 1768), 58v (19 aprile 1768).
[46] J. SEABRA DA SILVA, Petição de recurso ... sobre as ruinas, que neste Reyno, e sus dominios fizerão as clandestinas introducções das bullas da Cea, e dos Indices expurgatorios romano-jesuiticos, nos termos substanciados na parte segunda da Deducção Chronologica, e analytica. Para servir de sétima demostração de mesma segunda parte, Na Officina de Miguel Manescal da Costa. Por Ordem de sua Magestade, Em Lisboa, 1 vol. 8º, 1767; poi in Deducção chronologica cit., II, pp. 169-233. Qui (pp. 235-260), alla Petição segue l’Appendix para servir de suplemento ao recurso do supplicante procurador da Coroa. La coscienza di stare assistendo una fase cruciale del conflitto con la Santa Sede spinge Pagliarini ad esprimere la speranza di potere assistere all’epilogo della «tragicommedia romano gesuitica» (BNCF, cart. cit., f. 40v, 10 febbraio 1768), e cioè alla soppressione canonica dei gesuiti, da concordarsi con il futuro Papa nel prossimo conclave: «Certo è che questa è una epoca interessantissima del nostro tempo, che può tirarsi appresso conseguenze funestissime per la Corte di Roma, dacchè i sovrani cattolici sono tutti d’accordo, onde possono ridurla a quella ristrettissima parte dello spirituale, che aveva ne primitivi secoli della Chiesa; non avendo dove appellarsi, seppure i gesuiti non facessero muovere in suo favore il Turco. Monsignore mio conviene procurar di star con salute, e vivere per vedere il fine di questa tragedia, che mi sembra essere già nel quinto atto; e che l’ultima scena abbia da rappresentarla il Conclave futuro» (ivi, ff. 39r-v, 8 marzo 1768). Naturalmente le espulsioni dal Portogallo, Francia, Spagna e Napoli rappresentavano i primi quattro atti.
[47] Indubbiamente il Monitorio di Parma ebbe notevoli effetti anche in ambito interno poiché il breve pontificio offrì a Pombal l'occasione di rafforzare il controllo governativo sulla censura dei libri. Sulla Mesa Censória, che si affiancava all’Inquisizione (all’epoca controllata dal governo e da Pombal), e che riuniva i più fedeli collaboratori di Carvalho (a cominciare da Pereira, Cenáculo, São Cãetano), cfr. M. A. S. MARQUES, A Real Mesa Censória e a cultura nacional, Universidade de Coimbra, Coimbra, 1963; M. D. DOMINGOS, Para a história da Biblioteca da Real Mesa Censória, in «Revista da Biblioteca Nacional de Lisboa», VII (1992) pp. 137-158.
[48] Il successo dell’opera in Portogallo fu immediato, anche perché il governo la diffuse capillarmente presso il clero e in ogni ufficio dell’amministrazione centrale e periferica: BNCF, cart. cit., f. 36v (19 gennaio 1768). Intuendo l’affare, Manescal da Costa, dopo aver ottenuto da Giuseppe I il privilegio per dieci anni, decise di intraprendere immediatamente una ristampa in portoghese in cinque tomi, stavolta adottando la più maneggevole ed economica misura della versione italiana: ivi, f. 28r (10 novembre 1767).
[49] SEABRA DA SILVA, Deduzione cronologica cit., II, pp. 201-272 (Supplica di ricorso ... sopra le rovine cagionate in questo regno, e suoi dominj dalla clandestina introduzione della Bolla In Coena Domini, e degl’Indici Espurgatorj romano-gesuitici siccome è stato dimostrato nella parte seconda della Deduzione cronologica, e analitica, per servire di settima dimostrazione della medesima Parte II. Tradotta dall’originale Portoghese, Michele Manescal da Costa. D’Ordine di Sua Maestà, Stampatore del S. Offizio, Lisbona, 1768); pp. 273-301 (Appendice che serve di Supplemento alla Supplica di Ricorso del Proccuratore della Corona); pp. 304-314 (Legge di S. Maestà Fedelissima con cui si dà il necessario, opportuno rimedio agli essenzialissimi pregiudizj cagionati ne’ suoi Regni e Dominj dalla clandestina, abusiva introduzione della Bolla In Coena Domini; delle bolle, che servirono di base agl’Indicj espurgatorj, e degl’Indici medesimi, e susseguenti proibizioni di Libri. Pubblicata a’ 6 di Aprile del 1768. Traduzione dall’Originale Portoghese, Michele Manescal da Costa, Stampatore del S. Offizio. D’Ordine di Sua Maestà, Lisbona, 1768); pp. 315-330 (Legge di S. Maestà Fedelissima con cui si stabilisce la erezione di un Tribunale di regj censori con giurisdizione privativa, ed esclusiva in tutto ciò che spetta all’esame, approvazione, e condanna di libri, e fogli volanti già introdotti, e di quelli, che saranno per introdursi, comporsi e stamparsi ne’ suoi regni e Dominj. Pubblicata agli 8 di aprile del 1768. Traduzione dall’Originale Portoghese, Michele Manescal da Costa, Stampatore del S. Offizio. D’Ordine di Sua Maestà); pp. 329-330 (Componenti del Tribunale regio Censorio). Quindi, mentre il secondo tomo della prima edizione della Dedução (cit., p. 260) termina con l’Appendix alla seconda Petição di Seabra, la versione italiana curata da Pagliarini si chiude con le due leggi del 6 e 8 aprile 1768 (da lui tradotte e stampate anche singolarmente). Da notare che le due leggi, come nel caso della Petição – Supplica di Seabra, mantengono il frontespizio dell’edizione separata, con l’unica differenza della numerazione (che è quella progressiva della Deduzione).
[50] BNCF, cart. cit., f. 52v (5 aprile 1768). La settimana successiva Pagliarini ribadiva il legame tra la nuova crisi e il completamento della sua traduzione; vedi ivi, f. 54r (12 aprile 1768): «S. E. il Sr. Conte d’Oeyras [...] ha terminate tutte le sue fatiche avendo pubblicate ieri le leggi contro la Bolla In Coena Domini, e l’Indice Libr. Prohib.; e la erezione di un Tribunale Censorio Regio, che averà il suo presidente alla testa, e tra i suoi membri vi sarà un deputato del S. Offizio [Manuel de Vasconcellos Pereira], ed il vicario generale del Patriarca [António Bonifacio Coelho] per votare ne’ libri di dogma, e di dottrina. Questi sono gli effetti della rottura; ed il frutto de’ passi inconsiderati del ministero romano e sono perdite irreparabili per la Curia; de’ quali se non resipiscit, e se non canta subito la palinodia nell’affare di Parma, e se non accarezza i Principi, e non li contenta nelle cose, che desiderano per rimediare agli abusi introdotti nell’Ecclesiastico, perderà tutto, e poi tutto, e si ridurrà la potestà papale in que’ pochi palmi di terra che possiede, se pure gliene lasceranno. La seconda soddisfazione ha da essere la estinzione de’ gesuiti, senza la quale non rimarranno le corti cattoliche mai quiete. Vi mando acclusa la prima legge nel suo originale perché non ho tempo di tradurla, oltre di che è facile da intendersi. L’altra vi giungerà col Corriero venturo; e tra poco avrete tutto tradotto in italiano, e ben stampato». Sul nuovo Indice portoghese che, a detta di Pagliarini, conteneva «tutti i libri che insegnano il probabilismo, onde non dispiacerà agli agostiniani romani, e scotterà moltissimo a’ molinisti», vedi anche ivi, f. 51r (31 maggio 1768).
[51] Ivi, f. 47 (4 ottobre 1768): «Sono stato sabbato mattina a presentare al re mio Giuseppe la mia traduzione, che ricevè colla sua solita benignità, e clemenza, mostrando di gradirla».
[52] Ivi, f. 28r (10 novembre 1767: si riferisce alla Prima parte della Dedução); VENTURI, op. cit., II, pp. 17-18; PASTOR, op. cit., I, p. 877 (lettera di Roda ad Azara del 22 settembre 1767).
[53] Altra fonte d’amarezza fu l’aver saputo che il suo antico protettore Almada, una volta giunto in Italia, andava negando che l’autore della traduzione fosse Pagliarini. Vedi BNCF, cart, cit., ff. 60v (2 agosto 1768) e 69v (4 luglio 1769).
[54] Ivi, f. 28r (10 novembre 1767): «Fu sommamente gradita la vostra approvazione alla nota sul fanatismo, e S. E. aspetta con impazienza di sentire il giudizio sulle ultime cinque divisioni, che sono le più interessanti, e sulla supplica di ricorso». La «nota sul fanatismo» dovrebbe essere l’Introduzione previa che apre l’opera, mentre i primi dieci capitoli coprono il periodo cha va dal 1540 al 1666: vedi Deduzione analitica cit., I, pp. 1-248. Gli ultimi cinque coprono invece il periodo che intercorre tra il 1662 e l’espulsione dei gesuiti dal Portogallo: per questa ragione Pagliarini li considera i più interessanti (ivi, pp. 249-528).
[55] BNCF, cart, cit., f. 28v (10 novembre 1767).
[56] Ivi, f. 34v (5 del [gennaio] 1768).
[57] Ivi, f. 38v (2 febbraio 1768): «Riceverà sempre il Sr. Conte di sapere i giudizj che si fanno in Italia della sua Deduzione, e mostra di non disgustare gli elogj: essendo naturale all’amor proprio la compiacenza, che ha un gran ministro di Stato di aver dato al pubblico una simigliante laboriosa produzione: servitemene pertanto i giudizj più ragionevoli di cotesti letterati e amici; e vedete se vi fosse persona, che tirandone tutto quello che sembra scritto con animosità, formasse un compendio dell’opera riportandone i soli fatti storici, ornati di brevi, e ragionate riflessioni».
[58] Nell’estate del 1769, quell’incomprensione iniziale circa la struttura e lo stile della Dedução si era ormai evoluta in una distanza incolmabile. Vedi le lettere del 4 luglio (ivi, f. 69r) e del 29 agosto 1769 (ivi, f. 68r): «Sono stato in questi sei mesi tanto occupato, che non ho potuto assolutamente scrivere a nessuno, appena avendo il tempo di scrivere due righe a Marco; perciò dovrete scusarmi se ho in certo modo interrotto il carteggio con voi. Il Sr. Conte ha vedute varie vostre lettere scritte a Fr. Manuele Carmelitano scalzo, e mi disse ultimamente che trovava in alcune certe massime ben differenti da quelle che per il passato avete professate, di che io rimasi non poco soprafatto; e non posso ancora crederlo. [...] Suppongo abbiate scritto a qualche vostro amico [forse il carmelitano Manuele cit. supra], che corrisponde con il Sr. Conte sulle materie giurisdizionali della Curia, non del tutto coerentemente con le massime di questo ministero; e venute tali lettere in mano del Sr. Conte, gli diedero motivo di dire che avevate mutato di sentimento. Ma queste son cose di nulla, che non si ricordano il giorno appresso».
[59] Ivi, ff. 34v (5 [gennaio] del 1769), 37v (2 febbraio 1768); 43r-v (16 fabbraio 1768), 55r (12 aprile 1768); f. 57r (26 aprile 1768); f. 30v (10 maggio 1768); 51v (31 maggio 1768), 46r (4 ottobre 1768), 48r (18 ottobre 1768), f. 70r (4 luglio 1769). L’esistenza di questo progressivo iato, che riguardava non solo gli obiettivi politici, ma anche i presupposti teorici delle riforme giurisdizionaliste, si può evincere già nella missiva di Pagliarini del 2 agosto 1768 (ivi, f. 60r,) riguardante un’ennesima “consulenza” richiesta a Bottari: «Il Sr. Conte, che ha lette con piacere le suddette vostre lettere rispetto alle avvertenze sul Giansenismo da aversi nel formare il nuovo Indice, disse che ben si sapeva qui tutta la cabala gesuitica in quell’articolo, e che il P. Pereira allorchè scrisse quella lettera e mise Baio, e Giansenio del pari con Lutero, e Calvino parlò come privato, onde non fa autorità, ma che nel nuovo Indice sarà discusso il punto con altri principj, e che egli era persuaso che il Giansenismo è un Phantome».
[60] Relação abbreviada da republica, que os religiosos jesuitas das Provincias de Portugal, e Hespanha estabelecêrão nos Dominios Ultramarinos das duas Monarquias..., s. s., Lisboa, 1757. L’originale portoghese, la cui redazione venne terminata nel giugno 1757, venne distribuito a Lisbona a cominciare dal 3 dicembre 1757; le prime due stampe portoghesi raggiunsero la ragguardevole tiratura di 20.000 esemplari: cfr. Franco, Fundação cit., p. 242.
[61] BNCF, cart cit., f. 42r (16 febbraio 1768). Come si sa, il governo portoghese aveva allora cercato di proteggere Pagliarini con l’immunità diplomatica, assegnandogli la carica - creata ad hoc, per stessa ammissione del tipografo (cfr. ivi, f. 71r, 25 luglio 1769) - di archivista dell’ambasciata romana. Il passo citato ci fornisce inoltre la prova che anche il «Sommario» - e cioè il Sommario di documenti autentici citati nel supplemento alle Riflessioni e all’Appendice de' Portoghesi. Parte prima, s. s., Genova, 1760 - era stato tirato da Pagliarini nel quadro della campagna antigesuitica promossa dall’ambasciata portoghese di Roma ed appoggiata dal gruppo dell’Archetto. La relazione spagnola sul Paraguay ricordata è ovviamente El reyno jesuítico del Paraguay [...] Su autor D. Bernardo Ibáñez de Echávarri. Efemérides de la guerra de los guaraníes desde el año de 1754 [...] por el padre Tadéo Henis, apparsa nel quarto tomo della Colección general de documentos cit.: cfr. PASTOR, op. cit., I, p. 877; KRATZ, op. cit., pp. 191, 196-197 e 286-287. L’anno successivo Pombal patrocinò una doppia traduzione di questo testo – in portoghese e in italiano – tirata dalla stamperia regia diretta da Pagliarini: O reino dos jesuítas no Paraguai..., Regia Officina Typografica, Lisboa, 1770; Regno gesuitico del Paraguay...., Stamperia reale, Lisbona, 1770. Probabilmente, nel caso della versione italiana, l’appello avanzato a Bottari due anni prima era caduto nel vuoto e la traduzione venne perciò confezionata a Lisbona.
[62] Lo conferma il fatto che nello stesso periodo Bottari aveva richiesto a Pagliarini di reperirgli un dizionario portoghese-italiano: non avendo trovato in commercio un’edizione recente, alla fine Bottari optò per un vocabolario portoghese-francese: vedi BNCF, cart. cit., ff. 43r (16 febbraio 1768), 57r (26 aprile 1768), 48r (18 ottobre 1768).
[63] SEABRA DA SILVA, Collecção das provas cit., pp. 160-177 (Prova LXI); ID., Prove della Parte prima cit., I, pp. 296-329.
[64] BNCF, cart. cit., f. 4r: «Ho tirati dalle mani di D. Antonio [il segretario di Almada] gli originali de’ due tomi de’ Documenti autentici che non si stamparono per la sopragiunta rottura, de quali voi dovete ben ricordarvi per aver motivo di credere che vi siano già passati sotto gli occhj. Sono così interessanti che meriterebbero esser pubblicati colla stampa, e per farlo aspetterò di sentire prima il vostro sentimento». Non sembra comunque che il consiglio del tipografo venisse raccolto da Bottari. Il Sommario viene già ricordato da Pagliarini nella sua lettera del 22 luglio 1766 (f. 2v), in riferimento alla relazione di Matías Anglés y Gortari lì inserita (insieme alle Riflessioni di un portoghese e alla sua Appendice), e ad alcune «carte geografiche, pubblicate in Roma, delle missioni de’ gesuiti del Paraguay e della Provincia di Quito». Da notare il fatto che nel 1769 la Copia del informe... di Anglés y Gortari venne acclusa al terzo tomo della Colección general de documentos...fatta realizzare da Campomanes, ad ulteriore testimonianza dell’attualità transnazionale dei testi polemici sui gesuiti.
[65] BNCF, cart. cit., f. 17v (4 agosto 1767): «Il povero cavaliere [Almada] conosce la sua ignoranza, e si figura che io, sapendo più che nessun altro come passarono in Roma le cose, possa rivelarle, e pregiudicargli; cosa che non sarò mai capace di fare, né riguardo a lui, a cui poi in sostanza devo moltissimo, né a chichesia. [...] Il bello è che interrogato alle volte sopra certe cose seguite in Roma per non mostrare ignorarle dice coglionerie da ottanta. Ultimamente spacciava che l’autore de’ Lupi smascherati era il marchese Capriata; come se chi conosce il marchese non sapesse quale è il suo modo di scrivere, e quanto diverso da quello del libro suddetto. Ma il più bello è che non ha mai saputo chi fosse l’autore delle Riflessioni [di un portoghese: cioè Tosetti], e qui spacciava, che era stato un frate. Né deve ciò sorprendere, mentre egli non seppe mai quello che si faceva nella sua casa [l’ambasciata portoghese] di Roma, dove Fr. Antonio governava dispoticamente, e molte cose importanti non gliele diceva per timore che non le palesasse in confidenza al cameriere». Da questa lettera, come da quella cit. supra del 12 agosto 1766, sembrano emergere due dati di una certa importanza: in primo luogo che l’autore che aveva vergato i Lupi smascherati, come gli altri libelli romani del periodo 1758-1760, si trovasse all’interno del gruppo dell’Archetto: in particolare Tosetti, come sembra attestare l’allusione, immediatamente successiva, alle Riflessioni. Secondariamente, che erano stati Pagliarini e il segretario personale (Don Antonio) di Almada a gestire in piena libertà, in collegamento con Bottari e i suoi amici, la tipografia sita nell’ambasciata portoghese. Sui Lupi smascherati cfr. PASTOR, op. cit., I, pp. 973-974; VENTURI, op. cit., II, p. 78; PAVONE, Le astuzie cit., pp. 113-114, 127-130.
[66] BNCF, cart, cit., f. 38v (2 febbraio 1768): «Uno de’ più forti, e ben tessuti scritti usciti contro Roma, e i gesuiti, è a parere mio la Consulta del Consiglio di Castiglia fatta al re sopra il breve del Papa scritto in risposta della lettera in cui S. M. C. gli dava parte della espulsione de’ gesuiti da’ suoi dominj. Ella è stampata in Parigi nella raccolta des Pieces concernants l’expulsion des jesuites d’Espagne in 8° chez Boudet; ditemene il vostro parere, e cosa ne abbiamo detto cotesti membri del Quirinale». Pagliarini si riferisce al Recueil des pièces originales concernant l’expulsion des jésuites du royaume d’ Espagne, A. Boudet, Paris, 2 voll., 1767-1768. Sulle traduzioni italiane (in particolare veneziane) di questo, come degli altri documenti ufficiali riguardanti la cacciata dei gesuiti dalla Spagna, raccolti dallo stesso Campomanes nei primi due tomi della Colección general de las providencias hasta aquí tomadas por el Gobierno sobre el estrañamiento y ocupación de temporalidades de los regulares de la Compañía... (Imprenta Real, Madrid, 2 voll., 1767-1768), cfr. M. C. VIGNI PECCHIOLI, (a cura di), Bibliografia delle edizioni giuridiche antiche in lingua italiana, Olschki, Firenze, 1993, II, pp. 687-689, 694, 704-705, 714-716.
[67] BNCF, cart, cit., f. 54v (12 aprile 1768): «La descrizione del Paraguay di cui parlate si aspetta qui con impazienza per vedere se vi è cosa di più di quello, che stà nella Relazione abbreviata, e nel Somario de’ documenti stampate ambidue a Roma; e ambidue di tale autenticità, che parmi difficile che possa aversene una maggiore. Mandate pure due copie o per il Sr. Cav. Pecci, o in dirittura a me per il corriero con sopracarta al Sr. Ambasciatore in Madrid». Quindi questa lettera conferma l’informazione, già presente nella sua precedente missiva del 12 febbraio 1768 cit. supra, che era stato Pagliarini a stampare nel 1758 nei locali dell’ambasciata del Portogallo la prima versione italiana della Relazione breve.
[68] BNCF, cart, cit., f.
61r: «Se potete avere una copia dello scritto sparso per Roma in cui sono
espressi i danni ricevuti dal presente governo dello Stato Ecclesiastico lo
gradirei moltissimo. Quello distribuito da’ gesuiti per mostrare, che
il Papa non può estinguerli già lo abbiamo qui letto».
[69] Ivi, ff. 7r-v (25 novembre
1766).
[70] Vedi, ad esempio, le lettere del 4 luglio (ivi, f. 69r), 29 agosto (ivi, f. 68v) e 19 settembre 1769 (ivi, ff 73r-v).