1. Il 9 maggio 1573 la dieta polacca, riunita nei pressi di Varsavia, votava
l’elezione al trono del terzo figlio di Caterina, Enrico di Valois.
La notizia attraversò in un baleno tutta l’Europa, suscitando
non poca meraviglia. Basti dire che l’ambasciatore francese a Venezia
Arnaud Du Ferrier, che ne venne subito a conoscenza, ne fu così sorpreso
da tenerla riservata fino a che non ne ebbe la conferma ufficiale da Parigi[1].
A quel momento, agli occhi dei francesi la Polonia era «terra incognita».
Per farsene un’idea erano disponibili ben poche cose, e doveva pesare
anche il fattore linguistico se è vero che Jacques-Auguste de Thou,
a proposito dell’accoglienza che gli ambasciatori giunti da quel lontano
paese ebbero a corte, nella sua Histoire universelle scrive che i francesi,
«quand ces nouveaux hôtes les interrogeoient, ils ne répondoient
que par signe, ou en rougissant»[2]
per ignoranza della lingua latina, usata invece con disinvoltura dai polacchi[3].
Molti dei quali a loro agio nel conversare in italiano con Caterina, mentre
alcuni conoscevano persino il francese. Del resto pare che il principale negoziatore,
il vescovo Jean de Monluc, nel corso della sua missione in Polonia si fosse
venuto a trovare in qualche imbarazzo per le tante lettere da scrivere
e i discorsi da pronunciare in latino, mentre era rimasto colpito dalle conoscenze
linguistiche dei nobili polacchi[4].
Se prima del 1573 non c’era alcun libro in lingua francese interamente
dedicato alla Polonia, nel corso di quello stesso anno uscirono diverse pubblicazioni.
Almeno otto possono essere classificate come descrizioni storiche, ma non
vi è dubbio che più attente ricerche potrebbero arricchire l’elenco
di nuovi titoli[5]. Fra esse ne
spiccano tre. Due sono opera di Blaise de Vigenère, Les Chroniques
et annales de Poloigne e La Description du Royaume de Poloigne.
La terza, Histoire des Roys et Princes de Poloigne, è opera
di un giurista di gran nome come François Bauduin. Fra tutte, La
Description du Royaume de Poloigne di Blaise de Vigenère è
sicuramente la più originale.
2. Di Blaise de Vigenère è stato scritto che «sfugge ad
ogni tipo di facile etichettatura per l’eterogeneità, la complessità
e la vastità dei suoi interessi e della sua erudizione e costituisce
una delle figure più interessanti e più complesse dell’autunno
del Rinascimento francese»[6].
Archeologo e critico d’arte, erudito, cultore dell’alchimia, è
noto come autore del Traicté des Chiffres (1586), un’opera
in cui proponeva un codice sulla scrittura in cifra che ebbe grande fortuna
e che è ricordato con il suo nome. Ma soprattutto è considerato
il primo grande traduttore «barocco», se non addirittura «le
premier théoricien de la traduction»[7].
A un ventennio dalla sua morte (avvenuta nel 1596), già erano celebrate
«ses exactes mais fluides & elegantes traductions»[8].
La sua produzione è immensa. Traduce dal greco antico (Platone, Filostrato,
Luciano), dal latino (Cicerone, Tacito, Tito Livio, Cesare), dall’ebraico
(i Salmi di Davide), dal greco moderno (Chalcondyle), dal latino medievale
(san Bonaventura), dal latino moderno (Herburt de Fulstin), dal francese antico
(Villehardouin) e dal «moyen français» (Alain Chartier),
ma il suo capolavoro è la Hierusalem Délivrée.
Si tratta della prima traduzione completa, in prosa, della Gerusalemme
Liberata di Torquato Tasso, apparsa nel 1595 presso uno dei principali
editori di fine secolo, l’«italianisant» Abel L’Angelier
che a partire dal 1584 pubblicò una vasta serie di opere vigeneriane[9].
Se è vero che di Vigenère si può dire che la traduzione
fu il suo mestiere[10], merita
ricordare che le due storie di Polonia date alle stampe nel 1573 - quando
aveva ormai cinquanta anni - furono le prime prove.
Al momento dell’elezione del ventitreenne figlio di Caterina al trono
di Polonia, Vigenère era assai vicino agli ambienti di corte. Fu spettatore
privilegiato degli eventi parigini di quell’estate, e in particolare
dei festeggiamenti in onore degli ambasciatori polacchi giunti a Parigi. E
con questi egli ebbe modo di parlare. Nella Description du Royaume de Poloigne
lascia intendere genericamente di informazioni che aveva avuto da loro. In
un’opera successiva, i Commentaires de Cesar, des guerres de la Gaule
(1582), ricorda due degli ambasciatori più in vista, ossia Nicolao
Cristoforo Radziwiłł, maresciallo di Lituania, e Jan Herburt de
Fulstin[11], giurista e storico,
e soprattutto autore dell’opera tradotta da Vigenère.
3. Il tratto che spicca con maggiore evidenza nella biografia di Vigenère
è la sua lunga fedeltà alla casa di Nevers. Pare che entrasse
al servizio di Francesco II, duca di Nevers, nel 1547, all’età
di venticinque anni. Ci fu, come vedremo, una breve interruzione, ma passò
poi al servizio di Ludovico Gonzaga; fu suo segretario e precettore dei figli.
Ci sembra che proprio in questa vicinanza al duca di Nevers siano da ricercarsi
i motivi che spinsero Vigenère a pubblicare nel corso di quello stesso
anno 1573 le due storie di Polonia. Con la massima tempestività, poiché
il privilegio reale è del mese di luglio, e l’«Epistre»
che compare nella Description du Royaume de Poloigne è in data
20 agosto, poco meno di un mese prima che Enrico, lasciata la Rochelle, facesse
ingresso trionfale a Parigi. Nel corso dell’opera vi è poi il
riferimento al Letto di giustizia del 17 settembre a cui assistettero gli
ambasciatori polacchi pieni di stupore[12].
Terzogenito di Federico II, Ludovico Gonzaga era stato inviato all’età
di dieci anni alla corte di Francia nel 1549 per assicurare alla famiglia
il favore di quella corona, come a bilanciare la brillante carriera di Ferrante
Gonzaga al servizio di Carlo V. In seguito al matrimonio con l’ultima
erede del duca Francesco II (1565), il Gonzaga divenne il capo della Maison
«nivernoise»[13]. Vicinissimo
al futuro Enrico III, lo seguì nel viaggio di Polonia, anche se lasciò
quasi subito Cracovia, vistosi sorpassato da altri nel favore reale. Quello
che qui più preme mettere in luce è il fatto che Nevers tentasse
di imporsi come principale consigliere di Enrico[14],
e che la sua influenza raggiungesse il culmine proprio nel corso dell’assedio
alla Rochelle. Compare fra i gentiluomini che ai primi di febbraio avevano
accompagnato il giovane duca a quell’assedio, e pare svolgere un ruolo
di primo piano in quella che è stata chiamata una «fraternié
d’armes», all’interno della quale si cementarono rapporti
destinati a durare nel tempo, fra il futuro Enrico III e personaggi che avrebbero
goduto a lungo, e in qualche caso per tutta la vita, del favore reale.
L’elezione fu festeggiata il 17 giugno dinanzi alla Rochelle, e una
settimana dopo furono firmate le condizioni di pace che accordavano libertà
di coscienza e di culto ai protestanti nella città. Quell’assedio
aveva avuto un forte valore simbolico nella lotta contro i protestanti, e
la decisione della dieta polacca rischiava di apparire come la causa che costringeva
ad interromperlo. Nella Polonia-Lituania regnava grande tolleranza in materia
di religione, e fra gli stessi ambasciatori vi erano cattolici e protestanti.
Per quel poco che se ne sapeva, l’immagine dei polacchi era quella di
un popolo che non aveva grande attaccamento alla religione tradizionale, e
dunque la Polonia poteva sembrare un’alleata dei ribelli.
Presso i cattolici finì per diffondersi il sospetto di un complotto
gigantesco, che riguardava l’Europa intera e che aveva come obiettivo
quello di allontanare Enrico dalla Francia[15].
Il giovane Valois, ricordiamo, era luogotenente generale del regno, e aveva
cominciato molto presto a guerreggiare contro gli ugonotti, distinguendosi
in alcune battaglie. Si poteva così pensare che la sua partenza venisse
a indebolire il fronte cattolico. Molte sono le fonti che attestano come i
preparativi in vista del viaggio della comitiva reale si svolgessero in un
clima di scarso entusiasmo. E un insieme «de sentiments gais et tristes»
pare che fosse «un des thèmes principaux des fêtes parisiennes»
di metà settembre[16].
L’eco di un siffatto sentire, che oscillava fra gioia e rimpianto, attraversa
anche la dedica a Enrico che apre La description du Royaume de Poloigne.
Vi si parla delle lacrime e dei sospiri che circondano quella partenza, e
soprattutto dell’urgenza di confortare «le peuple que vous laissez
ainsi triste, dolent & ennuyé [...] Ce peuple doncques Sire, ainsi
desolé» che deve conoscere «la grandeur, les richesses, force
& puissance de ceux pour qui vous l’habandonnez»[17].
Tutto quello che sappiamo starebbe a confermare come l’operazione letteraria
ed editoriale delle due storie di Polonia prontamente date alle stampe rispondesse
ad un’esigenza fortemente avvertita dal duca di Nevers. Quella di creare
un clima favorevole intorno alla partenza del re di Polonia. Si intravede
così, all’inizio dell’opera vigeneriana, un gioco di rimandi
destinato a ripetersi fra il Nevers e il suo segretario. Le ragioni politico-dinastiche
che ispirano il duca appaiono in generale tutt’altro che estranee alla
scelta delle traduzioni del suo segretario. Ad esempio, per la Hierusalem
Délivrée basti pensare ai tanti legami che il Tasso ebbe
con i Gonzaga. E i richiami non finiscono qui: pare che Henriette de Clèves,
la primogenita del duca Francesco II che sposando il Gonzaga gli aveva trasmesso
il ducato da cui questi prese il nome, traducesse l’Aminta del Tasso[18].
4. Già prima del 1573 Vigenère aveva incontrato la Polonia
sulla sua strada. Nella seconda metà degli anni Sessanta egli soggiornò
a Roma per qualche tempo come segretario dell’ambasciatore francese,
e fu allora che si trovò a svolgere una missione delicata affidatagli
da Caterina dei Medici.
Verteva allora fra la Polonia e il Portogallo una di quelle questioni di precedenza
che si agitavano in tutte le corti nella prima età moderna. Di controversie
per la precedenza se ne contano nel Cinquecento a non finire, e famosissima
fra tutte per l'eco che ebbe fu quella che oppose a lungo i Medici agli Este.
La questione delle gerarchie delle precedenze diveniva tanto più importante
a Roma, presso quella che era considerata «une sorte de Cour sainte»[19],
e il cui cerimoniale finì per acquistare il valore di un supremo codice
regolatore.
Quello fra la Polonia e il Portogallo fu un conflitto di tono certo minore
rispetto ad altri, ma pur sempre di rilievo, tanto che Sigismondo Augusto
per uscirne vincitore sembrava disposto a giocare la carta della sua successione.
Il matrimonio di Sigismondo Augusto con Caterina d’Asburgo (1553), il
terzo per il sovrano polacco, si era rivelato disastroso, e il re aveva ben
presto maturato l’idea di rispedire a casa Caterina. Proprio per cercare
di trovare un accordo a questo proposito, oltre che per aprire la via a una
successione asburgica alla morte del sovrano in mancanza di eredi, l’imperatore
Massimiliano II nel 1565 inviò in Polonia Andrea Dudith.
Per assicurarsi l'appoggio della Francia nella contesa di precedenza, il re
di Polonia faceva giungere a Caterina dei Medici la voce di una sua disponibilità
a far «tumber au sang de France sa couronne». La regina madre non
lasciava cadere la cosa, pur non volendosi impegnare in maniera formale, specialmente
per quanto riguardava la possibilità di un matrimonio fra la sorella
di Sigismondo Augusto, Anna, già assai avanti negli anni, e il giovanissimo
figlio. Nel dicembre del 1566 scriveva all'ambasciatore francese a Roma invitandolo
a riprendere l'argomento con il segretario del re di Polonia che era allora
lì, e ad accertarsi se la proposta fosse un’iniziativa di quest’ultimo
o provenisse direttamente dal sovrano polacco. Dal momento che le trattative
non dovevano avere un profilo ufficiale, a condurle era designato non il giovane
ambasciatore Just de Tournon bensì il segretario Vigenère[20].
In quel periodo, segretario del re di Polonia a Roma era il lucchese Giovan
Battista Puccini. Caterina scrivendo al Tournon non ne fa il nome, ma che
si trattasse proprio di lui ce lo conferma Vigenère nella Description
du Royaume de Poloigne:
les premiers propos qui en furent tenus à Rome l'an 1566. avec Iean Baptiste Puccini, Gentilhomme Lucquois, Secretaire & agent du Roy de Poloigne dernier mort, ne furent sinon generaux & incertains, d'autant qu'il vivoit encores, & n'estoit pas hors d'aage & esperance d'avoir enfans[21].
5. Il Puccini aveva a lungo svolto le funzioni di segretario alla corte di
Sigismondo II Augusto[22], e aveva
vissuto per molti anni a Cracovia, e più ancora a Vilna, la capitale
della Lituania ove Sigismondo Augusto amava risiedere. Da Roma, ove era giunto
da poco tempo come agente del re di Polonia, il lucchese si manteneva in corrispondenza
con la corte e con personaggi vari di quel regno. Sembra fra l’altro
che fosse particolarmente vicino a Marcin Kromer, il canonico di Cracovia
autore di un’importante opera storica e fra i primi alfieri della Controriforma
in Polonia. Insomma quel «Gentilhomme Lucquois», all’incirca
coetaneo di Vigenère, conosceva bene la Polonia e i polacchi, e ambizioso
com’era, e votato alla carriera diplomatica più di quanto la
sua provenienza da una piccola repubblica di mercanti potrebbe far pensare,
non doveva tralasciare l’occasione che gli si presentava di coltivare
le relazioni con un personaggio autorevole come il segretario dell’ambasciatore
francese. Sia Puccini sia Vigenère rimasero a Roma ancora per qualche
anno. Non è dunque da escludere che i contatti si protraessero nel
tempo, anche dopo il 1566, contribuendo a risvegliare nel segretario del duca
di Nevers, ben prima del 1573, la curiosità per un paese tanto lontano,
considerato strano, oltre che freddo e ostile.
Le trattative dell’anno 1566 non ebbero alcun esito. Rimasero «comme
une chose morte & ensevelie»[23],
scrive Vigenère che ad esse dedica un rapido cenno. Furono riprese
nel 1571 grazie a Jean de Monluc, di cui lo stesso Vigenère riconosce
il ruolo di primo piano. Non è questa la sede per ripercorrere lo snodarsi
del gran lavorio diplomatico che si intrecciò fra la Polonia, Venezia,
e i principi tedeschi, allungandosi fino a Costantinopoli, ove l’ambasciatore
François de Noailles, vescovo di Dax, era favorito dai tradizionali
buoni rapporti dei Valois con la Porta. Fatto è che il terreno era
ben preparato allorché si giunse alla dieta di elezione convocata per
l’aprile del 1573. Il vivace acume politico e l’abilità
oratoria dell’anziano Monluc ebbero facilmente ragione sulle altre candidature[24].
Le considerevoli disponibilità finanziarie dei Soderini di Cracovia,
poste al servizio del partito filo-francese, nonché i loro contatti
con la piazza di Lione e con la corte francese fecero il resto. Non a caso
il corriere della firma fiorentina fu il primo ad arrivare a Parigi con la
notizia il 24 maggio 1573, «al tardi», a neppure due settimane dalla
solenne proclamazione[25].
Si veniva così a realizzare quello che fu più che altro un disegno
di Caterina, come riconosce Vigenère. Che ci fosse soprattutto la mano
della regina madre starebbe a provarlo anche il ruolo svolto da un suo uomo,
Alberto Gondi duca di Retz. Con i suoi cinquantun anni, questi era il più
attempato fra quanti seguirono il principe in Polonia, dato non trascurabile
in una corte segnata dal dato anagrafico della giovinezza. Alla vigilia della
partenza gli fu assegnata una pensione «colossale»[26],
e a questo riconoscimento forse non era estraneo il fatto che fossero passati
attraverso l’anziano cugino, il potente banchiere Giovan Battista Gondi,
i rapporti della corte con i Soderini di Cracovia.
6. Come spiega lo stesso Vigenère, le sue storie di Polonia sono traduzioni
assai libere di opere in latino di autori polacchi. La Polonia degli ultimi
Jagelloni era uno stato «degno di attenzione», e per rispondere
all’esigenza di conoscerne la storia, gli usi, i luoghi e le istituzioni
negli ultimi tempi erano state pubblicate a Basilea alcune opere rivolte al
pubblico colto europeo del tempo. Nel 1555, presso Oporino, Marcin Kromer
aveva pubblicato De Origine et rebus gestis Polonorum libri XXX, in
un latino elegante e con lo spirito critico che gli veniva da un’eccellente
formazione umanistica conseguita in gioventù a Bologna e a Padova.
Kromer riprendeva l’opera di Jan Długosz (1415-1480), il maggiore
storico polacco del Medioevo e il primo geografo del suo paese. Al De Origine
et rebus gestis Polonorum di Kromer si rifaceva il giurista Jan Herburt
de Fulstin, uno degli ambasciatori polacchi che giunsero a Parigi nell’estate
del 1573, e con il quale - come si è visto - Vigenère ebbe modo
di parlare di persona. Due anni prima del viaggio in Francia, nel 1571, Herburt
aveva pubblicato a Basilea presso l’officina oporiniana la Chronica
sive historiae polonicae compendiosa [...] descriptio che ebbe un grande
successo in tutta Europa. Vigenère risale attraverso Herburt a Kromer,
ma non poteva conoscere la fonte di quest’ultimo – pur facendo
a volte riferimento a «Dlugossus l’historien» - poiché
l’opera di Długosz ancora alla fine del Cinquecento circolava solo
manoscritta.
Nell’«Avis aux lecteurs» delle Chroniques et annales de
Poloigne Vigenère fa intendere di non aver seguito troppo fedelmente
il testo latino: «Il est bien vray qu’en ce qui est de l’Histoire,
i’ay suivy à peu pres, voyre traduit si vous voulez Herburtus,
lequel a abbregé & reduit en epitome celle de Cromer. Mais il y
a beaucoup de redittes & paroles superflues»[27].
Con un avvertimento anche per quanto riguarda lo stile: «Il ne se faut
pas attendre de trouver icy les beaux bouquets & chappeaux de fleurs,
dont sont ornez les anciens bons autheurs Grecs & Latins». Osservazioni
da non trascurare se poniamo mente al fatto che è proprio con quest’opera
che Vigenère, già cinquantenne, inaugura la lunga serie delle
sue traduzioni.
Il metodo rimase nel prosieguo del tempo invariato; quello della traduzione
libera, pur con una molteplicità di soluzioni che vanno «du strict
mot à mot à la plus folle indépendance»[28].
Nella Hierusalem Délivrée, ad esempio, si scusa con i
lettori per essersi talvolta allontanato dal testo e per aver scritto in prosa[29].
E lì conclude l’«Avis aux lecteurs» ammettendo di avere
«fort souvent varié, changé, retranché, adiousté
plusieurs choses, sortant dehors du contexte». Ma aggiunge: «Nous
nous sommes contentez d’exprimer à peu pres les conceptions de
l’autheur, sans le defrauder de son droit: & y entrelaier d’abondant
quelques ornemens; comme on feroit à une espousee pour l’agenser»[30].
7. La Description du Royaume de Poloigne è una descrizione geo-storica della Polonia. Il segretario del duca di Nevers promette di descrivere
les Provinces, les contrees, & regions qui doyvent d’oresenavant estre soubz l’obeissance de Vostre Maiesté. Les mœurs, conditions & façons de faire des peuples & nations qui les habitent: les fleuves, & rivieres plus notables, les villes & citez, Eveschez, Magistrats, charges, et dignitez de vostre Royaume.
In francese, per quanti non conoscono il latino, ma che «seront neantmoins
curieux ou auront besoin d’avoir congnoissance de ces affaires, doresenavant
communs aussi bien à la France qu’à la Poloigne»[31].
E ricorrendo ad esempi che potevano risultare familiari ai lettori francesi:
«La Lithuanie seroit comme la Duché de Milan»[32].
Passava anche così un messaggio più che rassicurante poiché
lo Stato di Milano era universalmente noto come una delle più prospere
contrade d’Europa, meglio «il vero Paradiso [...] della Cristianità».
Non vi è dubbio che uno degli scopi fosse quello di illustrare le ricchezze
della Polonia-Lituania:
Le païs de Poloigne est tres riche & abondant de la plus grande partie des choses qui sont requises & necessaires pour l’usage de l’homme, comme de bleds & legumes, de toutes sortes de chairs, gibier, venaison, & poissons, de force fruicts, laict, beurre, fromages, miel, cire, poix, & resines: de toilles, de draps de laine, cuirs, metaux & souphre[33].
Già gli ambasciatori giunti a Parigi avevano offerto l’immagine
di una ricchezza, per così dire, “esotica”, infinitamente
lontana dai modelli raffinati della corte degli ultimi Valois: con lo sfoggio
di pellicce, specialmente gli zibellini esibiti senza risparmio pur nell’estate
parigina, di gioielli, delle pietre preziose ostentate fino a ricoprirne i
cavalli, e di vesti di massima magnificenza. Vigenère aggiunge l’immagine
di una ricchezza “mercantile”, ad esempio con i cereali che confluiscono
a Danzica, risalendo la Vistola, e che di lì a poco saranno destinati
a soccorrere l’occidente affamato da gravi carestie. Insomma in tutta
l’opera il richiamo alle ricchezze del paese è continuo: la Polonia
dell’ultimo Jagellone, quella che attende il giovane Enrico, «est
en la cime & plus haut degré de richesses & puissance qu’elle
ayt iamais esté»[34].
A conferma di quanto era stato anticipato nella dedica, che Enrico era chiamato
a «une si belle & ample coronne, à un si riche & si puissant
estat, & au gouvernement d’une nation si noble & belliqueuse».
A regnare su un popolo che non era «grossier & pesant comme on pourroit
penser, mais de vif & gentil entendement»[35].
Nella descrizione dello stato polacco-lituano Vigenère procede regione
per regione, ad iniziare dalla «grande & petite Poloigne», spiegando
che il primato della prima «est en la ville de Gnesne, siege ancien de
l’Archevesque, & premier domicile des Princes de Poloigne»,
mentre nella Piccola Polonia si trova Cracovia, «la ville capitale de
tout le Royaume, & la demeure ordinaire des Roys, où ils ont accoustumé
d’estre sacrez & couronnez, par la main toutesfois de l’archevesque
de Gnesne»[36]. La maggiore
attenzione va alla Lituania, vastissima e ricca. Una terra di foreste e di
zone paludose, in cui si può viaggiare soprattutto nella stagione invernale:
Il faut attendre l’Hyver, durant lequel on faict toutes les affaires & traffiques, qui consistent principalement en bleds & legumes, bestail, cuirs, miel, cire, fourrures excellentes & force cendres pour faire les lessives, qu’on transporte à Dantzik, & de là en Hollande & autres pays bas avec de la poix & des aix & planchages pour faire les corps de navires[37].
8. Ci sono poi gli animali di quelle foreste, e in particolare il bisonte,
animale che aveva attirato l’interesse anche di Leone X[38],
com’è noto grande appassionato di battute di caccia, e l’alce,
la «gran bestia». A proposito dell’alce Vigenère dà
credito alla fama di generale rinomanza di cui l’animale godeva per
le sue presunte proprietà terapeutiche. All’unghia della zampa,
se opportunamente tagliata, era difatti attribuita la capacità di tener
lontana l'epilessia. Di lì a qualche anno, il medico milanese del re
di Svezia, Apollonio Menabeni, avrebbe pubblicato a Colonia un Tractatus
de magno animali (1581), presto tradotto in italiano (1584).
Passa poi ad illustrare le diverse parti della società, e le diverse
cariche: di maresciallo del regno e maresciallo della corte, di cancelliere
e vicecancelliere, segretario, «& tous les autres offices de la Cour».
La procedura delle diete, convocate dal re «tout ainsi que faict l’Empereur
en Allemagne: mais elles sont en Poloigne beaucoup plus frequentes; car rien
d’importance ne se faict sans cela»[39].
Tratta infine dell’elezione del re, ma il modello polacco della «respublica»
nobiliare che si nutre del mito della aurea libertas gli rimane del
tutto estraneo, e celebra il modello della monarchia ricorrendo alla leggiadra
metafora delle api e delle formiche. E delle prime l’operare sarà
come «de braves mignons courtisans».
Les premieres [les mouches à miel] vivent souz le gouvernement d’un Prince, auquel elles obeyssent, les autres [les formis] demeurent sans aucune difference entre elles, en forme d’une republique. Leur condition toutesfois nous donne assez à cognoistre, lequel est le plus parfaict de ces deux estats: Car les mouches à miel sont entièrement nobles, [...] (les formis) laides & despiteuses à veoir, ords & salles, se trainans & veautrans perpetuellement par les immundices de la terre, [...] le pire estat monarchique est plus à propos que la meilleure & plus paisible chose publique qui puisse estre, où les factions, partialitez, troubles, cruautez, & envies regnent & surabondent tousiours[40].
Dopo aver parlato del modo di far la guerra, delle finanze e delle monete, in ultimo allunga l’occhio fino alla Tartaria e alla Moscovia, e alla fine ne spiega il motivo:
Ce discours pourra sembler paraventure à quelques uns avoir esté un peu bien long & prolixe. Mais les Moscovites sont si proches voisins des Polaques, & ont tous les iours tant d’affaires à demesler ensemble aussi bien que les Tartares, qu’on ne peut bonnement parler des uns, sans faire quant & quant quelque mention des autres[41].
9. In previsione del fatto che si aprivano orizzonti tanto lontani, in chiusura
aggiunge qualche informazione sugli itinerari «puis que ceste route doit
estre d’oresenavant si frequentee & batue»[42].
Immaginando che l’elezione di un Valois avrebbe messo in moto un flusso
di uomini e di beni attraverso l’Europa, segnala i diversi possibili
percorsi, e indica tutte le successive tappe. La Description du Royaume
de Poloigne diviene quasi una guida di viaggio. Che avverte quando si
deve attraversare un fiume o una foresta, o dove si troverà cattivo
cammino e converrà viaggiare in inverno «quand tout est gelé
& couvert de nege»[43].
Che attira l’attenzione su un luogo di fiera come Lublino, importante
centro commerciale a metà strada fra Varsavia e Leopoli, sede di celebrate
fiere a cui due volte l’anno accorrevano mercanti da ogni parte. Un
itinerario che da Parigi conduce a Cracovia, e da Cracovia a Vilna. Ma che
va ancora oltre, «iusqu’à la grand cité de Moscovie»,
questa «plus grande deux fois que Paris avec les fauxbourgs, à
cause des iardinages & places vagues qui y sont»[44].
Indicando Vilna, come di fatto era - e come resterà fino all’apertura
del porto di Arcangelo (1583) -, tappa principale sulla via per la Moscovia:
«de Vvilne à Moscovie - passando da Smolensk, che era la via più
breve – [...] Tellement que de Paris à la Cité de Moscovie,
il y auroit environ quatre cens soixante lieues d’Allemagne»[45].
Una capacità di proiettare lo sguardo verso spazi lontani che non sorprende
se poniamo mente al fatto che Vigenère, più tardi, nella scia
dell’apostolato missionario gesuita sarà fra i primi in Francia
ad aprirsi a mondi remotissimi. Basti pensare all’immagine di un Vigenère
“curioso” quale emerge, ad esempio, dal Traicté des
chiffres (1586), nella parte finale ove egli mostra tutto il suo interesse
per le lingue esotiche[46].
Nonostante i tempi ristretti, la Description du Royaume de Poloigne non
sembra risentire dell’urgenza imposta dagli eventi. François
Bauduin, che si rifà come Vigenère a Herburt, nel dare alle
stampe in quello stesso anno 1573 la sua Histoire des Roys et Princes de
Poloigne si premura di avvertire il lettore di non aver potuto rivederla
come avrebbe voluto. Spiega di aver fatto tutto in gran fretta, e tanto rimane
legato alla traduzione che non dà il suo nome all’opera[47].
Nel caso di Vigenère, invece, è come se egli avesse avuto agio
di lavorare con calma, e solo il precipitare degli avvenimenti in seguito
alla morte di Sigismondo Augusto lo avesse costretto a chiudere il lavoro
e ad affrettarne la pubblicazione.
10. Come si è detto, nel 1573 la Polonia era in Francia «terra
incognita». Non vi è dubbio che l’elezione di Enrico di
Valois e la successiva avventurosa fuga del re alla notizia della morte di
Carlo IX, nel maggio del 1574, imponessero il regno di Polonia all'attenzione
sia delle corti sia dell'opinione pubblica europea. Il passaggio di Enrico
III per Venezia incoraggiò un gran numero di pubblicazioni, per lo
più di carattere encomiastico e celebrativo, ma talune non prive di
notizie sullo stato polacco-lituano.
Dopo il 1573 nasceva in occidente, nei confronti della Polonia, un diffuso
interesse per la sua storia passata e presente, la sua lingua e i suoi costumi,
il suo ordinamento politico, la natura dei suoi abitanti. Da quel momento
le notizie sul paese cominciarono a entrare per molte vie in un circuito più
ampio, e la riflessione sulla repubblica nobiliare polacca venne ad avere,
ad esempio, una sua parte nella letteratura politica del tardo Rinascimento.
I tratti caratteristici che si imponevano allora erano quelli della specifica
forma di organizzazione statale, nonché della celebrazione della «libertà
polacca». Basti pensare all’attenzione che prestava all’ordinamento
polacco Giovanni Botero che coglieva nella mancanza di «agilità»,
ossia nella impossibilità istituzionale di rapide decisioni politico-militari,
un elemento di debolezza.
Non vi è dubbio che, dopo l'elezione del Valois, Cracovia divenisse
nell'opinione corrente anche una possibile meta di viaggi che non fossero
dettati dall’urgenza degli affari. Ce lo conferma Michel de Montaigne
che nel 1580 nel suo Journal de voyage en Italie fa scrivere al segretario:
«Je croy à la vérité que, s’il eut été
seul avec les siens, il fut allé plustost à Cracovie ou vers
la Grèce par terre, que de prendre le tour vers l’Italie»[48].
Per indicare città e paesi sconosciuti – la capitale polacca,
appunto, o la Grecia – come luoghi che si poteva pensare di visitare,
anziché piegare verso l'Italia.
In seguito, con l’arrivo a Varsavia di Maria Luisa Gonzaga-Nevers andata
in sposa a Ladislao IV nel 1645, si inaugurarono relazioni assai strette fra
la Francia e la Polonia, ma a sottolineare una distanza che non era solo geografica,
permaneva l’uso «de termes géographiques empruntés
aux Grecs anciens, seuls familiers aux lecteurs»[49].
Così, meno di due secoli dopo il fugace soggiorno di Enrico di Valois
al Wavel, Voltaire nell’Histoire de Charles XII parlava ancora
della Polonia come «[de] cette partie de l’ancienne Sarmatie»[50];
e da simile immagine non si discostava neppure l’abate Coyer, autore
di quella Histoire de Jean Sobieski (1761) che fu la più importante
fonte di informazione per i lettori francesi alla vigilia e all’indomani
della prima spartizione[51].
[1] Cfr. E. FREMY, Un ambassadeur libéral sous Charles IX et Henri III. Ambassades à Venise d’Arnaud Du Ferrier d’après sa correspondance inédite (1563-1567 / 1570-1582), Paris, Leroux, 1880, pp. 196-197.
[2] J.-A. DE THOU, Histoire universelle, A La Haye, Chez Henri Scheurleer, MDCCXL, t. IV (1567-1573), p. 820. Si è vista la copia della Biblioteca Apostolica Vaticana segnata R. G. Storia III 147.
[3] Per la Polonia che «restò a lungo fedele al latino», cfr. F. WAQUET, Latino. L’impero di un segno (XVI-XX secolo), tr. it., Milano, Feltrinelli, 2004, p. 140.
[4] Scriveva al segretario di stato Nicolas Brûlart in una lettera del 20 gennaio 1573: «Toute la suyte de Monsieur de l’Isle et moy n’avons pas tant de latin qu’il fauldroit pour envoyer ung diacre aux ordres, encores que ce fust au Puy en Auvergne»; cit. in Lettres de Henri III roi de France, recueillies par P. CHAMPION, publiées par M. FRANÇOIS, t. I: 1557- Août 1574, Paris, Klincksieck, 1959, n. 811, pp. 276-277.
[5] Cfr. J. KLOCZOWSKI et M. WOZNIEWSKI, Les premières histoires de la Pologne publiées en France, à l'occasion de l'élection d'Henri de Valois, in Henri III et son temps. Actes du Colloque international du Centre de la Renaissance de Tours, octobre 1989. Études réunies par R. SAUZET (“De Pétrarque à Descartes”, LVI), Paris, Vrin, 1992, pp. 103-109.
[6] R. GORRIS, Dalla Hierusalem rendue françoise di Blaise de Vigenère alla costellazione di «suites» e imitatori, in Alla corte del Principe. Traduzione, romanzo, alchimia, scienza e politica tra Italia e Francia nel Rinascimento, «Annali dell’Università di Ferrara», 1996, 6, p. 122. Su di lui è ancora utile D. MÉTRAL, Blaise de Vigenère archéologue et critique d’art (1523-1596), Paris, Droz, 1939.
[7] D. MÉTRAL, Blaise de Vigenère archéologue et critique d’art, cit., p. 45.
[8] «Mais quelle autre eust on peu rencontrer plus heureusement que celle du sieur Blaise de Vigenere que les François ne peuvent nommer sans luy rendre quelque honneur, pour les belles pieces toutes rances et moysies d’antiquité, que cet excellent personnage a fait revivre en la France, soit par ses exactes mais fluides & elegantes traductions, ou par ses doctes & néantmoins intelligibles commentaires, et annotations, & principalement sur cet Autheur?». Così l’«Advertissement sur les Images ou Tableaux de Philostrate», in Les Images ou Tableaux de platte peinture des deux Philostrates sophistes grecs et les statues de Callystrate. Mis en François par Blaise de Vigenere, Bourbonnois Enrichis d’Arguments et Annotations, Chez la veufue Abel L’Angelier, Au premier pilier de la grand’ Salle du Palais, et la veufue M. Guillemot, en la Gallerie des Prisonniers, A Paris, 1615. Si è vista la copia della Biblioteca Civica d’Arte L. Poletti di Modena segnata Cam. Cam. H 3.
[9] Cfr. J. BALSAMO & M. SIMONIN, Abel L’Angelier & Françoise de Louvain (1574-1620). Suivi du Catalogue des ouvrages publiés par Abel L’Angelier (1574-1610) et la veuve L’Angelier (1610-1620), Genève, Droz, 2002. In particolare, pp. 88-92.
[10] Per Blaise de Vigenère traduttore, cfr. C. BURIDANT, Les paramètres de la traduction chez Blaise de Vigenère, in Blaise de Vigenère, poète & mythographe au temps de Henri III (“Cahiers V. L. Saulnier”, 11), Paris, Presses de l'École Normale Supérieure, 1994, pp. 39-65 ; P. CHAVY, Blaise de Vigenère traducteur baroque, ivi, pp. 67-76. In particolare per la traduzione della Gerusalemme liberata, cfr. R. GORRIS, «Concilii celesti e infernali»: Blaise de Vigenère traduttore della Gerusalemme Liberata, in EAD., Alla corte del Principe. Traduzione, romanzo, alchimia, scienza e politica, cit., pp. 47-69. Della stessa anche Blaise de Vigenere et Guy Le Fèvre de La Boderie, traducteurs de l’italien, in Blaise de Vigenère, poète & mythographe, cit., pp. 77-100; ora in R. GORRIS, Alla corte del Principe. Traduzione, romanzo, alchimia, scienza e politica, cit., pp. 71-94.
[11] Cfr. «Les annotations de B[laise] D[e] Vigenere, secretaire de la Chambre du Roy, sur les Commentaires de Cesar, des guerres de la Gaule», in Les commentaires de Cesar, des guerres de la Gaule. Mis en françois par Blaise de Vigenere Bourbonnois, Secretaire de la Chambre du Rois. Avec quelques annotations dessus, A Paris, Chez Nicolas Chesneau, rue Sainct Iaques, Au Chesne verd., MDLXXXII, p. 616 (si è vista la copia della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze segnata Palat. 23. 8. 4. 16); e «Les annotations de B[laise] de Vigenere Bourbonnois, sur les Commentaires de Cesar, des guerres de la Gaule», p. 156 r°, in Les Commentaires de Iules Cesar, des guerres de la Gaule. Plus ceux des guerres civiles, contre la part pompeienne. Le tout de la version de Blaise de Vigenere Bourbonnois; & illustré d’Annotations, A Paris, Chez Abel l’Angelier, Au premier pillier de la grand’Salle du Palais, MDLXXXIX (si è vista la copia della Biblioteca Casanatense di Roma segnata V. III. 13).
[12] Cfr. La description du royaume de Poloigne, et pays adiacens: avec les statuts, constitutions, mœurs, & façons de faire d’iceux. Par Blaise de Vigenere, Secretaire de feu Monseigneur le Duc de Nivernois, A Paris, Chez Iean Richer Libraire, rue Sainct Iean de Latran, à l’enseigne de l’arbre Verdoyant, 1573, p. L v°. Si è vista la copia della Bibliothèque Municipale di Lione segnata 317064 (2).
[13] Per un succinto profilo, cfr. J. BOUCHER, Nevers, Louis de Gonzague, in Histoire et dictionnaire des guerres de religion, par A. JOUANNA, J. BOUCHER, D. BILOGHI, G. LE THIEC, Paris, Laffont, 1998, pp. 1149-1153.
[14] Cfr. N. LE ROUX, La faveur du roi. Mignons et courtisans au temps des derniers Valois (vers 1547 - vers 1589), Seyssel, Champ Vallon, 2000, p. 119. Un « Discours sur la maniere de bien gouverner les affaires du roy» che il Nevers offriva a Enrico nel maggio del 1572 starebbe a testimoniare la sua volontà di imporsi come principale consigliere del giovane principe, cfr. ibid.
[15] Per l’«imaginaire du complot», e in generale per l’esperienza polacca di Enrico di Valois, cfr. N. LE ROUX, La faveur du roi. Mignons et courtisans, cit., pp. 137-161.
[16] M. McGOWAN, Une affaire de famille: les fêtes parisiennes en l’honneur d’Henri, duc d’Anjou, roi de Pologne, in Arts du spectacle et histoire des idées. Recueil offert en hommage à Jean Jacquot, Tours, Société des amis du Centre d’études supérieures de la Renaissance, 1984, p. 11.
[17] La description du royaume de Poloigne, cit., «Epistre».
[18] Nel 1584 uscì a Bordeaux la traduzione dell’Aminta di Pierre de Brach, e in quello stesso anno Henriette de Clèves ne avrebbe fatta una non pubblicata, «édition prétendue dont rien ne reste». Cit. in C. B. BEALL, La fortune du Tasse en France, Eugene (Oregon), University of Oregon and Modern Language Association of America, 1942, p. 15, nota 12.
[19] M. A. VISCEGLIA - C. BRICE, Introduction, in Cérémonial et rituel à Rome (XVIe-XIXe siècle). Études réunies par M. A. VISCEGLIA et C. BRICE, Rome, École française de Rome, 1997, p. 16.
[20] Cfr. P. DE CÉNIVAL, La politique du Saint-Siège et l'élection de Pologne (1572-1573), «Mélanges d'archéologie et d'histoire. École française de Rome», XXXVI (1916-1917), pp. 137-138; tutto l'articolo, pp. 109-203.
[21] La description du royaume de Poloigne, cit., p. VIII r°.
[22] Su di lui, cfr. R. MAZZEI, La carriera di un Lucchese segretario del re di Polonia a metà del Cinquecento, «Archivio storico italiano», CLXIV (2006), pp. 419-456.
[23] La description du royaume de Poloigne, cit., p. VIII v°.
[24] Sull'elezione di Enrico III rimane fondamentale E. DE NOAILLES, Henri de Valois et la Pologne en 1572, Paris, Michel Lévy, 1867, 3 voll., che dà il più ampio conto delle trattative che la precedettero. Per queste, si veda anche H. DE LA FERRIÈRE, L'élection du duc d'Anjou au trone de Pologne, «Revue des questions historiques», XLIV (1er juillet 1888), pp. 448-506; M. SERWAŃSKI, Kandydatura francuska do tronu polskiego za panowania Zygmunta Augusta, «Kwartalnik Historyczny», LXXXI (1974), pp. 251-266, per il ruolo che vi ebbe il segretario del re di Polonia a Roma Giovan Battista Puccini, pp. 253-254. Se P. CHAMPION, Henri III roi de Pologne, Paris, Grasset, 1943-1951, 2 voll., prende le mosse dalla partenza di Enrico dalla Francia, M. SERWAŃSKI, Henryk III Walezy w Polsce. Stosunki polsko-francuskie w latach 1566-1576, Kraków, Wydawnictwo Literackie, 1976, ricostruisce il quadro generale delle relazioni fra la Polonia e la Francia nel decennio 1566-1576.
[25] Cfr. R. MAZZEI, Itinera mercatorum. Circolazione di uomini e beni nell'Europa centro-orientale: 1550-1650, Lucca, Pacini Fazzi, 1999, p. 91.
[26] N. LE ROUX, La faveur du roi. Mignons et courtisans, cit., p. 142.
[27] Les Chroniques et Annales de Poloigne. Par Blaise de Vigenere, Secrétaire de feu Monseigneur le Duc de Nivernois, A Paris, Chez Jean Richer, libraire, rue Sainct Jean de Latran, A l’enseigne de l’arbre Verdoyant, 1573, «Avis aux lecteurs». Si è vista la copia della Bibliothèque nationale de France segnata M- 6215. Per i criteri di traduzione si veda anche l’«Epistre» in L’Histoire de Geoffroy de Villehardouyn, mareschal de Champagne & de Romenie; de la conqueste de Constantinople par les Barons François associez aux Venitiens, l’an 1204. d’un costé en son vieil langage; & de l’autre en un plus moderne & intelligible; par Blaise de Vigenere, gentil-homme de la maison de Monseigneur le Duc de Nivernois et de Rethelois, pair de France, A Paris, Chez Abel L’Angelier, Libraire Iuré tenant boutique au premier pillier de la grand Salle du Palais, MDCXXXVI. Si è vista la copia della Biblioteca Riccardiana di Firenze segnata BB. III. 12070. In quel caso si trattava di tradurre «du vieil langage ouquel elle fut premierement composée, à un plus moderne & intelligible». Ciò che Vigenère si riprometteva era: «la sarcler de plusieurs superfluitez & redittes qui pourroient offenser les lecteurs; n’estant pas le siecle d’alors ainsi heureux és bonnes lettres, & art de bien dire, comme celuy où nous vivons». In particolare, ampie considerazioni sul suo lavoro di traduttore si trovano nei Commentaires di Cesare; cfr. C. BURIDANT, Les paramètres de la traduction, cit., pp. 45-46.
[28] P. CHAVY, Blaise de Vigenère traducteur baroque, cit., p. 68.
[29] «I’avray icy commis (me voudra l’on dire) deux lourdes faultes entre les aultres; & qui sont comme inexcusables: l’une de ne m’estre retenu du tout à la lettre, ainsi qu’on est obligé es traductions; ou nous ne sommes pas à nous, ains louez à l’autheur qu’on a entrepris de servir, pour le representer non tant seulement en ce qu’il veult dire, mais en ce qu’il dit ; & la maniere dont il le dit, si faire se peult [...] L’aultre est d’y avoir prophané les Muses, qui avoient tant pris de peine & plaisir à ordonner leurs belles tresses, & les agenser en divers entrelaz & compartimens a l’entour de leur sacré chef: Arraché oultreplus rompu, dissipé, & desordonné ces exquis boucquets, & guirlandes, qu’elles s’y estoient si industrieusement appliquees, en pervertissant leurs fleurs & verdures hors de ceste tant agreable tissure & aspect ou elles les avoient arrengees par un singulier artifice. Et finablement partroublé, confondu & entrerompu ce si bien compassé ballet, qu’elles s’estoient estudiees de danser de mesure, en s’entretenant par les mains, sur la crouppe du Mont Heliconien; à la cadence qu’Appollon leur sonnoit de sa lyre, concordee avec leurs doulx chants. Tout cela ay-ie icy perpetré par une forme de sacrilege, en broüillant les rymes & nombres de ces beaux elabourez vers, & les ravallant à une basse prose champestre; le mesme que si i’avois desmonté ces sainctes venerables deesses, de leur beau chariot triomphal, ou elles se promeneroient magnifiquement en monstre & parade, pour les faire trotter à pied comme chambrieres apres leurs maistresses». La Hierusalem du S.r Torquato Tasso, rendue Françoise par B[laise] D[e] V[igenere] B[ourbonnois], A Paris, Chez Abel L’Angelier, au premier pillier de la grand’salle du Pallais, MDXCV, p. III. Si è vista la copia della Biblioteca civica «A. Mai» di Bergamo segnata Tassiana L 2 5.
[30] Ivi, p. IIII v°.
[31] La description du royaume de Poloigne, cit., «Epistre».
[32] Ivi, p. XVI r°.
[33] Ivi, p. II v°.
[34] Ivi, p. XXXIX v°.
[35] Ivi, p. III r°.
[36] Ivi, p. IX r° e v°.
[37] Ivi, p. XXII r° e v°.
[38] Rispondeva alla curiosità del pontefice il poema di NICOLAUS HUSSOVIANUS (MIKOłAJ Z HUSSOWA, o MIKOłAJ HUSSOWCZYK), De statura, feritate ac venatione bisontis carmen, pubblicato a Cracovia nel 1523. Per il significato dell’opera, cfr. H. B. SEGEL, Renaissance Culture in Poland: The Rise of Humanism, 1470-1543, Ithaca and London, Cornell University Press, 1989, p. 138 e sgg.
[39] La description du royaume de Poloigne, cit., p. LIIII v°.
[40] Ivi, pp. LV v°- LVI r°.
[41] Ivi, p. LXXXVI r°. «Quant aux Turcs leur nom est desia si commun par tout, & les livres tant remplis de leurs faicts, que ce ne seroit sinon une redicte ennuyeuse d’en parler d’avantage», ivi, p. LXXXVI v°.
[42] Ibid.
[43] Ivi, p. XCIII v°.
[44] Ivi, p. LXXXIII v°.
[45] Ivi, ultima pagina n. n.
[46] «Premier ensemble d’ “alphabet” phonétique japonais et de textes en idéogrammes chinois publié en France, le supplément final du Traicté des chiffres est un document historique d’une grande importance». J.-F. MAILLARD, Aspects de l’Encyclopédisme au XVIe siècle dans le Traicté des chiffres annoté par Blaise de Vigenère, «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», XLIV (1982), p. 243.
[47] Si veda la dedica «Au Roy de Poloigne» della Histoire des Roys et Princes de Poloigne, contenant l’origine, progrès, et accroissement de ce royaume, depuis le premier fondateur d’iceluy, jusques à Sigismond roy dernier décédé ; avec les illustres faicts desdicts Roys et Princes; divisée en vingt livres, et traduicte du latin de noble et magnifique seigneur Jean Herburt de Fulstin, Castellan de Sanoc, capitaine de Premislas, conseiller dudict royaume de Poloigne, Paris, Pierre L’Huillier, 1573. Si trova riprodotta in Chronique d’Arthois par François Bauduin, Arras, Typographie de A. Courtin,1856.
[48] M. DE MONTAIGNE, Journal de voyage en Italie, in Oeuvres complètes, textes établis par A. THIBAUDET et M. RAT, introduction et notes par M. RAT, Paris, Gallimard, 1962, p. 1176.
[49] C. GRELL, La Pologne de Jean III Sobieski selon l’abbé Coyer, in L’Europa di Giovanni Sobieski. Cultura, politica, mercatura e società, a cura di G. PLATANIA, Viterbo, Sette Città, 2005, p. 182.
[50] VOLTAIRE, Histoire de Charles XII, in Œuvres historiques, texte établi, annoté et présenté par R. POMEAU, Paris, Gallimard, 1957, p. 94.
[51] Cfr. C. GRELL, La Pologne de Jean III Sobieski, cit., pp. 179-199.