1. A cinque anni dall’appuntamento triestino su “Informatica umanistica
e riforma degli ordinamenti didattici”, nel quale per la prima volta in
Italia questi temi vennero organicamente affrontati, il convegno promosso dall’Università
di Pisa aggiorna il dibattito sullo Humanities Computing, illustrando le esperienze
in atto e riflettendo, con un alto tasso di problematicità, sulle prospettive
che vanno delineandosi, in un contesto peraltro segnato da (feconde?) ambiguità.
Gli interventi susseguitisi nelle giornate del 28 e 29 settembre hanno saputo
intrecciare i due versanti – la ricerca e la didattica – su cui
l’informatica umanistica come disciplina è chiamata a confrontarsi,
per dare, in primo luogo, una definizione di sé. Le relazioni in programma
hanno dato spazio a voci appartenenti ad ambiti e specializzazioni a volte anche
molto settoriali: il rischio della dispersione è stato però evitato,
adottando nei vari interventi una traccia comune che ha avuto nella specifica
attenzione per le indagini empiriche la sua cifra.
I lavori sono stati aperti dai saluti delle autorità accademiche, rappresentate
da Lucia Tomasi, ai quali hanno fatto seguito gli interventi di Elena Guarini
Fasano, Ann Katherine Isaacs, Mirko Tavoni, tre docenti dell’Università
di Pisa in rappresentanza degli organismi promotori del convegno: il portale
Storia Moderna – Risorse on-line <http://www.stmoderna.it>, CLIOHnet
– Network Tematico Socrates-Erasmus <http://www.clioh.net> e il
Corso di laurea in Informatica Umanistica dell’Università di Pisa
<http://infouma.di.unipi.it>.
Elena Fasano ha presentato il portale, nato nel 2002 da un’associazione
privata di studiosi, molti dei quali giovani e non ancora strutturati all’interno
dell’università. I contributi finanziari dei vari atenei coinvolti
hanno coperto i costi della parte informatica, mentre il lavoro compiuto dalla
redazione è stato fornito interamente su base volontaria. Un contributo
economico viene anche dalla Sisem (Società Italiana per lo Studio dell’Età
Moderna), nata poco dopo il portale: tra i due organi vi è una ovvia
e forte sinergia, alimentata dallo scopo comune di affrontare le attuali difficoltà
della modernistica nel quadro delle discipline storiche. Il portale, nato ispirandosi
all’esempio dei siti web di Reti Medievali e di Sissco, sta ottenendo
un vasto successo in termini sia quantitativi, con oltre centomila visitatori
dal gennaio 2004, sia di recensioni positive.
Katherine Isaacs ha messo in luce il ruolo di CLIOHnet, una rete che coinvolge
circa duemila dipartimenti umanistici di varie università europee: tale
network coordina politiche universitarie di ricerca a livello transnazionale
in vari settori, incluso quello relativo a “storia e informatica”,
grazie in particolare al gruppo di lavoro coordinato da Carla Salvaterra.
Infine Mirko Tavoni ha illustrato le caratteristiche fondamentali del corso
di laurea in informatica umanistica, anch’esso nato a Pisa e forte di
collegamenti strategici, in rete e al di fuori della rete, con altre realtà
italiane e straniere che operano in ambiti affini. La scommessa di tale corso
di laurea (l’unico in Italia tra le lauree di primo livello) è
nata quattro anni fa grazie all’impegno di un gruppo di umanisti e di
informatici, che avevano già una consuetudine di rapporti di lavoro comuni
e una forte motivazione. Dal punto di vista metodologico, Tavoni ha messo l’accento
sulla necessaria unità di ricerca e didattica: in tale ottica va vista
la decisione di inaugurare il successivo corso biennale, che consentirà di conseguire la laurea specialistica in informatica umanistica.
2. La prima sessione della giornata, intitolata Humanities computing, Storia
e Tecnologie dell’informazione e della comunicazione, è stata
aperta da David Robey, dell’Università di Reading, Presidente della
Association for Literary and Linguistic Computing. Nel suo intervento Robey
ha illustrato la situazione della Gran Bretagna, dove i finanziamenti allo Humanities
Computing provengono principalmente da due istituzioni, il Joint Information
System Committee (JISC) e soprattutto lo Arts and Humanities Research Council
(AHRC). Più che a singoli progetti, i fondi sono indirizzati a finanziare
dotazioni infrastrutturali. Non esiste una vera e propria strategia complessiva:
i finanziamenti vengono erogati sulla base del cosiddetto “responsive
mode”, vengono cioè elargite sovvenzioni ai progetti più
meritevoli fra quelli che hanno presentato domanda. Circa metà dei progetti
complessivamente finanziati, nel quadriennio 1999-2003, ha avuto un output digitale,
anche se spesso come risultato secondario della ricerca. I progetti digitali
così finanziati devono essere depositati obbligatoriamente presso un
grande archivio telematico, lo Arts and Humanities Data Service (AHDS) <http://www.ahds.ac.uk/>.
Un secondo punto di accesso a queste risorse è Humbul, il portale delle
discipline umanistiche integrato nel Resource Discovery Network <http://www.humbul.ac.uk/>.
L’AHRC finanzia anche un progetto chiamato e-science, una infrastruttura
per la ricerca basata sulle cosiddette “tecnologie di griglia”,
in particolare il data grid, il cui scopo è rendere possibile l’unione
in sistemi virtuali di banche dati diverse distribuite attraverso la rete, così da poterle interrogare con un solo processo.
Le iniziative attualmente in corso sono pensate con scadenze a breve o medio
termine. Nel 2006, tuttavia, partirà una iniziativa denominata AHRC
Fundamental Strategic Review of ICT, una rassegna che avrà come scopo
finale quello di delineare una strategia di coordinamento atta a superare il
“responsive mode”. Senza creare piani specifici (in Gran Bretagna
l’idea stessa di programmazione, ricorda Robey, suscita generalmente reazioni
negative), verrà tuttavia attivata una struttura che garantisca un maggior
coordinamento tra progetti diversi. L’obiettivo è far sì
che le risorse non siano finanziate solo per l’uso dei loro creatori ma
anche per il riuso da parte di altri utenti: per fare ciò, occorre risolvere
il nodo della sostenibilità, garantendo che i progetti continuino a essere
aggiornati nel corso degli anni. Nella maggior parte dei casi, invece, gli autori
non effettuano un lavoro di mantenimento sulla loro banca dati dopo averla inserita
nell’AHDS. Per questo motivo si pensa di implementare sistemi di pagamento
per la consultazione, che dovranno essere necessariamente accompagnati da criteri
di valutazione più rigidi, atti a garantire un maggior controllo qualitativo.
Nel successivo intervento Serge Noiret, dell’Istituto Universitario Europeo,
ha evidenziato le coordinate della presenza della storia in rete. Riferendosi
in particolare alla storia contemporanea, Noiret ha precisato che la storiografia
accademica – che incarna d’altronde solo una piccola parte della
storia in rete – va distinta in quattro aree: la prima è quella
che consente l’accesso ai servizi, alle banche dati ecc.; la seconda è
riconducibile alla didattica della storia in rete; la terza è rappresentata
dalle fonti (Noiret ha precisato di non riferirsi esclusivamente alle metafonti,
ma di considerare la Rete come una fonte storica in sé); la quarta infine
è costituita dai lavori degli storici: storiografia riprodotta in formato
digitale, oppure nata per il web, incorporando elementi ipertestuali e multimediali.
Quest’ultima, che gli storici anglosassoni definiscono “storiografia
espressiva”, annovera decisamente pochi esempi, secondo Noiret, nel panorama
del Web storiografico prodotto in Europa.
Noiret ha quindi esposto la necessità di elaborare un metodo critico
nella valutazione dei siti web. È una esigenza che sta alla base di iniziative
come il progetto Minerva, un programma comunitario che punta a fissare dei criteri
di qualità per i siti di argomento culturale. Gli strumenti biblioteconomici
possono però rivelarsi insufficienti. Riferendosi al volume di cui è coautore (A. Criscione, S. Noiret, C. Spagnolo e S. Vitali (a cura di), La
Storia a(l) tempo di Internet: indagine sui siti italiani di storia contemporanea
(2001-2003), Bologna, Pàtron, 2004), Noiret ne ha illustrato sinteticamente
la genesi e le finalità: esso è il risultato di una azione di
monitoraggio – svolta dal 2001 al 2003 con il contributo della Regione
Emilia-Romagna – dei siti di storia contemporanea, sottoposti a descrizione
valutativa mediante una griglia di parametri appositamente elaborata. Le schede
sono composte da una parte formale (indirizzo web, autori, enti responsabili),
da elementi descrittivi (contenuti e servizi offerti), da una analisi della
struttura architettonica del sito e dei suoi linguaggi comunicativi (utilizzando
metafore quali “biblioteca”, “archivio”, “museo”,
“piazza”) e infine da un giudizio complessivo sul sito e sulle sue
finalità.
Sulla base di questa attività di ricerca e valutazione sono emerse cinque
categorie al cui interno classificare le risorse storiche: 1. storia amatoriale
(le cui realizzazioni, a volte di livello tecnologicamente elevato, sono spesso
rivolte a temi tralasciati dalla storiografia accademica: Noiret cita l’esempio
della pubblicazione del diario di un fante della Prima Guerra Mondiale); 2.
storia scientifica; 3. associazioni storiche; 4. divulgazione storica di buon
livello; 5. memorialistica, uso pubblico della storia, spazi memoriali e rivendicativi
di comunità e di singoli.
Noiret ha concluso ribadendo che la seconda categoria è decisamente carente;
ha altresì osservato che la expressive historiography è
stata promossa con maggior decisione negli Stati Uniti, ricordando in particolare
le numerose iniziative di cui lo storico americano Robert Darnton è stato
promotore: tuttavia, anche in quel contesto le realizzazioni veramente significative
non sono molto numerose.
Carla Salvaterra, dell’Università di Bologna, ha parlato di CLIOHnet
e del gruppo da lei coordinato, la Task Force C dedicata al tema “Diachronic
Cyberspace, Information Technology and Innovative Open Distance Learning”,
presentando il report finale sull’attività svolta. Le iniziative
del gruppo si sono concentrate su tre aspetti significativi che influenzano
il lavoro dello storico nell’ambiente digitale. Il primo è la critica
delle fonti; il secondo, la comunicazione e divulgazione dei risultati conseguiti;
il terzo, la capacità di stabilire relazioni all’interno della
comunità degli storici e con altri studiosi.
CLIOHnet ha inoltre svolto un ruolo essenziale all’interno del progetto
europeo Tuning, finalizzato a conoscere la situazione dell’insegnamento
universitario della storia. L’ambizioso obiettivo prevede anche di definire
un “core curriculum” di storia, determinando gli standard che gli
studenti dovrebbero raggiungere, non solo per un corso di laurea specifico,
ma anche per un singolo insegnamento. Sono stati altresì elaborati dei
questionari sull’e-learning, allo scopo di definire quali debbano essere
le competenze aggiuntive da offrire agli studenti, integrandole nelle specifiche
tradizioni didattiche. I risultati hanno fatto emergere grandi differenze tra
le varie modalità attuate; tutti gli attori coinvolti hanno però
riconosciuto, come aspetto positivo, la possibilità di entrare in contatto
con persone che vivono e lavorano in contesti culturali diversi.
Ora CLIOHnet sta perseguendo un nuovo obiettivo, denominato eHLEE (eHistory
Learning Environment and Evaluation): questo progetto, in corso d’attuazione
nel 2004-2006 con il coordinamento dell’università finlandese di
Turku, si propone di raccogliere nuove informazioni su questo tema e di realizzare
per l’anno accademico 2005-2006 dei corsi-pilota sul tema “Identities
in European History”.
3. La mattinata è stata chiusa dalla sessione dedicata alle Biblioteche
Digitali, i cui interventi si sono maggiormente addentrati in problemi di
carattere tecnologico, anticipando l’andamento della seconda giornata
dei lavori. Giuliana Sgambati, della Direzione generale del Ministero per i
Beni e le attività culturali, ha parlato della Biblioteca Digitale Italiana.
Si tratta di un progetto, sviluppato in stretto raccordo con altri paesi dell’Unione
Europea, che prevede la creazione di una biblioteca di documenti elettronici.
La fase preliminare è stata gestita recependo i Principi di Lund, emanati
nel 2001: sottolineando la disomogeneità delle varie iniziative attuate
a livello nazionale e le carenze riscontrate nei criteri adottati, tali principi
suggeriscono cooperazione e confronto a livello europeo. È stato perciò
istituito un comitato di guida per la Biblioteca Digitale Italiana, presieduto
da Tullio Gregory, che ha emanato una serie di documenti e linee guida, riferiti
in particolare all’applicazione dei metadati ai beni culturali.
La fase successiva ha visto l’avvio di una serie di progetti: la deperibilità
dei documenti e le richieste da parte dell’utenza sono stati assunti come
criteri principali nella selezione dei materiali. Tra i progetti già
attuati, la digitalizzazione (effettuata mediante scansione in formato immagine)
dei cataloghi storici di alcune importanti biblioteche, mai riversati nell’Opac
SBN, con l’obiettivo di creare un’unica interfaccia tra quest’ultimo
e i cataloghi storici; la digitalizzazione di documenti musicali, manoscritti
e a stampa (2800 documenti digitali, per un totale di due milioni di immagini);
la digitalizzazione integrale di settanta testate periodiche, appartenenti esclusivamente
al periodo preunitario, per evitare problemi di copyright; la digitalizzazione
di materiale grafico e cartografico (per ora i progetti finanziati riguardano
principalmente fotografie). Gran parte di queste iniziative sono visibili attraverso
Internet Culturale, il nuovo portale per la ricerca bibliografica varato dall’Istituto
Centrale del Catalogo Unico (ICCU) <http://www.internetculturale.it/>.
In assenza di Amedeo Quondam, dell’Università di Roma “La
Sapienza”, Mirko Tavoni ne ha successivamente letto la relazione, dedicata
alla Biblioteca Italiana: si tratta di una iniziativa (consultabile all’indirizzo
<http://www.bibliotecaitaliana.it>) la cui origine risale a un progetto
pionieristico, il CIBIT, coordinato inizialmente all’Università
di Pisa e successivamente a Roma. Essa ospita nove collezioni speciali di testi,
contenenti complessivamente 1500 documenti in formato testuale (codifica TEI).
È possibile effettuare ricerche all’interno di questo corpus utilizzando
un apposito catalogo; inoltre, grazie ai metadati inseriti, i documenti digitalizzati
della Biblioteca Italiana possono essere reperiti all’interno di Internet
Culturale. Il ricco corpus di fonti include, tra le altre, circa sessanta relazioni
degli ambasciatori veneti, trattati grammaticali, epistolari. Le collezioni
puntano soprattutto a garantire la disponibilità dei principali testi
della letteratura italiana; lo spazio riservato alla saggistica sta però aumentando considerevolmente.
In chiusura, Fausto Rabitti e Pasquale Savino (CNR-ISTI Pisa) hanno illustrato
alcuni progetti europei di biblioteche digitali per il patrimonio culturale.
I relatori hanno presentato un’ampia panoramica di iniziative, che si
sviluppano attorno a quattro possibili scenari: la costruzione di biblioteche
digitali propriamente dette, l’implementazione di programmi basati sulla
realtà virtuale (utili, per esempio, nella descrizione di siti archeologici),
il supporto di comunità virtuali, le strategie per la conservazione a
lungo termine. Tra i vari progetti, descritti assai rapidamente, vi è
la biblioteca multimediale ECHO, alla quale ha partecipato lo stesso ISTI (Istituto
di Scienza e Tecnologia dell’Informazione).
Presso l’ente pisano è stata allo studio la possibilità
di generare introiti dallo sfruttamento della proprietà intellettuale,
così da garantire la sostenibilità dei progetti avviati. Questa
ipotesi, come altre analoghe, deve ora fa i conti con una realtà per
certi versi rivoluzionaria come quella di Google Print: la gigantesca iniziativa
di digitalizzazione dei patrimoni documentari di alcune grandi biblioteche statunitensi,
avviata dal noto motore di ricerca, consentirebbe di trovare non solo informazioni
o recensioni sui libri, ma anche di cercare all’interno del testo stesso,
di reperire notizie sulle biblioteche che ne posseggono una copia, oppure di
effettuarne direttamente l’acquisto: aspetto, quest’ultimo, nel
quale risiede l’elemento commerciale dell’iniziativa. La reazione
dell’Unione Europea è stata molto netta, paventando il rischio
che la cultura del vecchio continente venga messa in ombra da quella americana.
La risposta europea, ad avviso dei relatori, si mostra però assai debole:
non mancano progetti grandiosi, ma sono pochi quelli attenti ai problemi concreti,
in particolare a quello della sostenibilità. Le nuove tecnologie delle
biblioteche digitali potrebbero però essere in grado, se applicate correttamente
(per esempio mettendo in rete anche i dati dei piccoli musei, in un’ottica
di preservazione del cultural heritage), di rispondere alle sfide provenienti
dal mondo dell’impresa.
Le suggestioni giunte dagli ultimi interventi – in particolare le prospettive
evocate nell’ultima relazione a proposito di Google Print e del quadro
giuridico sui diritti d’autore che la rivoluzione digitale sta rimodellando
– hanno suscitato numerose reazioni da parte del pubblico. È emerso
come, in taluni settori, alcune delle risposte al problema, peraltro molto serio,
della sostenibilità possano essere percepite come uno stadio di un processo
che conduce alla riduzione degli spazi di fruizione gratuita dei contenuti in
rete. In questo senso è stata interpretata la notizia, data da Giuliana
Sgambati, relativa alla eventuale vendita online di documenti digitali tramite
il portale Internet Culturale. La stessa relatrice ha successivamente precisato
che le singole immagini a bassa risoluzione saranno sempre disponibili gratuitamente,
mentre quella ad alta risoluzione (formato TIFF) potrebbero essere vendute a
soggetti – per esempio, editori – che ne facessero richiesta. L’ultima
parola spetterà comunque alle istituzioni proprietarie di documenti:
se queste ultime non avranno bisogno di fondi consentiranno la consultazione
gratuita a tutti i livelli.
4. Durante la sessione pomeridiana, intitolata Esperienze italiane di comunicazione
informatica nell’ambito della Storia, sono stati illustrati e messi
a confronto tre progetti di grande rilievo.
Enrica Salvatori, dell’Università di Pisa, ha presentato Reti Medievali
<http://www.retimedievali.it>; Paola Volpini, dello stesso Ateneo, ha
invece parlato del portale Storia moderna <http://www.stmoderna.it> mentre
Tommaso Detti, dell’Università di Siena, ha illustrato il sito
della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (Sissco)
<http://www.sissco.it>.
Salvatori ha messo l’accento sulla rappresentatività e l’autorevolezza
progressivamente conseguite da Reti Medievali all’interno della comunità
scientifica. Online dal 2000, dopo un biennio in cui vennero gettate le basi
del progetto, Reti Medievali sta ora per essere sottoposta a un grosso rinnovamento
tecnologico. Ciò riguarda in particolare RM Biblioteca, la sezione dedicata
ai testi della letteratura secondaria, che si baserà sulla tecnologia
dell’Open Archive: ciò consentirà una migliore gestione,
anche dal punto di vista del copyright. Si sta perciò lavorando alla
creazione di un archivio digitale nel quale ogni autore potrà depositare
i suoi lavori, anche a un diverso livello di elaborazione – dal preprint
al saggio completo. In quest’ottica il ruolo della Firenze University
Press – dalla stampa on demand al deposito elettronico delle pubblicazioni
– consente un inquadramento giuridico che offre garanzie certe agli autori.
Da questo punto di vista va osservato che la partecipazione di un rappresentante
della FUP ai lavori del convegno avrebbe certamente contribuito ad arricchire
il dibattito con ulteriori elementi di riflessione.
Volpini ha effettuato una completa panoramica sulle diverse sezioni in cui il
Portale della Storia Moderna si articola. Esse formano un sistema che si integra
con la mailing list della Sisem, le due newsletter specifiche (Calendario e
Rassegna della stampa) e il bollettino quadrimestrale; dal punto di vista tecnico,
si differenzia dagli altri due progetti per il fatto di essere gestito in modalità
dinamica, ossia è aggiornabile in remoto da ciascun membro della redazione,
agendo da qualunque postazione.
Detti, che della Sissco è anche il presidente, ha ripercorso le varie
tappe in cui si è articolata l’evoluzione del sito web, che ha
modificato le sua finalità nel corso degli anni. Nato, nel 1997, soprattutto
come uno strumento per i soci, si è trasformato in una presenza rivolta
principalmente verso l’esterno. Questo è avvenuto a partire del
2001, quando lo stesso Detti si è assunto la responsabilità di
gestirlo. Anche in questo caso la svolta è passata attraverso una ristrutturazione
informatica, che ha richiesto l’utilizzo di software di content management.
Ciò ha reso possibile effettuare l’inserimento dei dati da parte
di qualunque collaboratore, anche privo di conoscenza di linguaggi di marcatura
quali HTML: di fatto, sono solo tre i responsabili del sito, affiancati però da altri quattordici collaboratori.
5. La giornata è stata conclusa dalla tavola rotonda su Informatica
e storia. Prospettive e problemi aperti, presieduta da Elena Guarini Fasano,
alla quale hanno partecipato Giuseppe Del Torre dell’Università
di Venezia, Stefano Villani dell’Università di Pisa e Andrea Zorzi
dell’Università di Firenze. I relatori si sono soffermati in primo
luogo sui problemi di natura organizzativa, come i finanziamenti o il mancato
riconoscimento a livello accademico del valore legale delle pubblicazioni online;
un aspetto, quest’ultimo, che influenza pesantemente lo sviluppo di contenuti
digitali, benché vi possa essere il rischio, come sottolinea Villani,
di irrigidire con una normativa troppo stretta una realtà in evoluzione.
Ciò che però è emerso come problema scientifico maggiormente
rilevante è stato il cambiamento esercitato da Internet sul linguaggio
storiografico, rispetto all’utilizzo del medium cartaceo. Per Andrea Zorzi,
direttore di Reti Medievali, occorre una riflessione sulla natura del discorso
storico e sulle sue modalità di comunicazione nell’ambiente informatico.
Dopo la prima fase pionieristica, quella delle schede perforate, legate a operazioni
quali quelle di padre Busa o agli studi sul catasto fiorentino del 1427, e la
seconda fase, aperta nell’era dei personal computer con la creazione di
banche dati da parte di studiosi che elaboravano autonomamente i propri dati
quantitativi senza condividerli con altri, ci troviamo oggi a vivere una terza
fase: quella della comunicazione, che si sviluppa attraverso la rete. I nuovi
linguaggi e le loro peculiarità rispetto a quelli tradizionali, anche
in relazione alla presenza di una componente retorica, devono diventare oggetto
di una attenzione specifica. Non basta conoscere il funzionamento della macchina,
chiosa Zorzi: occorre riflettere, a livello epistemologico, sulle conseguenze
innescate dal suo utilizzo.
Giuseppe Del Torre, storico modernista e direttore del sito web Storia di Venezia <http://www.storiadivenezia.it/>, ha affrontato il problema del pubblico
a cui queste iniziative vengono indirizzate. A differenza di siti istituzionali
come quelli della Sissco o della Sisem, rivolti quasi esclusivamente alla corporazione
che rappresentano, altre iniziative raggiungono un’utenza eterogenea.
Storia di Venezia ricopre uno spazio che prima era occupato da iniziative non
scientifiche, ma di tipo politico-istituzionale o ideologico (dalla Regione
Veneto alla Lega Nord). Da queste voci sono però giunte attestazioni
di notevole apprezzamento: è stata la significativa offerta di fonti
storiche a far sì che Storia di Venezia si collocasse rispetto a quel
pubblico come un punto di riferimento. Esiste dunque, conclude Del Torre, una
responsabilità civile di cui deve tener conto chi mette in cantiere progetti
di questo genere.
Intervenendo, Zorzi spiega che, mentre Storia di Venezia si è trovata
a svolgere questo ruolo di supplenza, il sito web Storia di Firenze <http://www.storiadifirenze.org/> – diretto dallo stesso Zorzi e da Marcello Verga – rappresenta programmaticamente
un tentativo di aprirsi verso circuiti esterni a quelli tradizionalmente intercettati
dai linguaggi accademici. Accanto alla ricerca, il sito svolge una prevalente
attività di informazione e di “educazione civile”, rivolgendosi
a un pubblico che opera in biblioteche, archivi, musei, scuole, amministrazione
comunale.
Troppo rapidamente è stato invece toccato il tema della didattica della
storia, evocando la necessità di istruire gli studenti all’uso
delle nuove strumentazioni informatiche.
Per quanto riguarda, infine, la dimensione “disciplinare” dell’ambito
di ricerca che prende il nome di informatica umanistica, pare inevitabile, almeno
per ora, registrare che gli storici e gli studiosi dell’area linguistico-letteraria
parlano idiomi differenti. Pur senza negarne le specificità, gli storici
intervenuti nel dibattito hanno mostrato di non credere nell’informatica
umanistica come disciplina in sé, quanto piuttosto in una integrazione
di nuovi strumenti nelle pratiche consolidate della ricerca, nel quadro di uno
sviluppo che resti incardinato nella tradizione disciplinare.
Altre posizioni sono state sostenute dai linguisti, per i quali il problema
fondamentale rimane invece il testo e il trattamento a cui può essere
sottoposto: l’informatica umanistica assume in tale ambito caratteristiche
autonome, peraltro in un quadro di riferimento al quale appartengono discipline
che sono da molto più tempo profondamente legate all’utilizzo degli
strumenti informatici. Gli storici devono invece riarticolare i presupposti
delle loro strategie comunicative e sono pertanto chiamati a uno sforzo e a
una riflessione seri e impegnativi.
6. La prima sessione della seconda giornata ha avuto il suo fulcro nell’esposizione
di una serie di case studies. I numerosi relatori hanno illustrato, con brevi
e incisivi interventi, una serie di ricerche attualmente condotte nelle realtà
pisane, tra Università e CNR. La sessione, intitolata Informatica
umanistica: ricerche in corso, è stata suddivisa in due parti. Nella
prima sono state discusse iniziative appartenenti all’area linguistico-letteraria.
Gli interventi di Elena Pierazzo, Fabrizio Franceschini, Giulio Battelli hanno
condiviso la prospettiva centrata sulla creazione di corpora testuali corredati
da strumenti di ricerca interna, applicati alla lingua dantesca, all’italiano
contemporaneo e al linguaggio giovanile, a libretti d’opera ed epistolari
musicali. Alessandro Lenci ha illustrato alcuni progetti relativi al trattamento
automatico del linguaggio, finalizzata all’estrazione di termini, oppure
alla annotazione del testo, a livello sia lessicale sia semantico. Paolo Ferragina
ha svolto una relazione sul tema generale dei motori di ricerca, descrivendo
quindi il progetto, denominato SnakeT e sviluppato nell’ambito di un dottorato,
di un nuovo metamotore di ricerca. Pietro Beltrami e Domenico Iorio Fili hanno
invece illustrato le più recenti innovazioni apportate al sito web dell’OVI
(Opera del Vocabolario Italiano): in particolare, l’integrazione nell’interfaccia
web del software GATTO (Gestione degli Archivi Testuali del Tesoro delle Origini),
uno strumento lessicografico mediante il quale l’utente potrà ampliare
la possibilità di cercare i lemmi all’interno della banca dati
dell’OVI.
I successivi interventi hanno messo un luce un altro aspetto delle ricerche
in corso, quello legato all’accesso all’informazione, rappresentazione
e gestione della conoscenza. I temi hanno spaziato dall’annotazione di
contenuti concettuali a partire da banche dati costituite da articoli di stampa
periodica, su cui ha riferito Rachele Sprugnoli, alla descrizione, effettuata
da Maria Simi, di una serie di progetti volti ad ampliare l’accesso degli
utenti al cosiddetto “Web nascosto” e a migliorare la pertinenza
dei risultati; dall’uso di modelli di simulazione per lo sviluppo delle
competenze manageriali, descritto da Francesco Varanini, all’evoluzione,
tracciata da Guido Vetere, delle tecnologie informatiche basate su teorie elaborate
dalla filosofia del linguaggio, quali le ontologie formali.
7. Confermando lo stretto legame stabilito tra ricerca e didattica, la sessione
conclusiva dell’incontro mattutino – Manuali universitari per
l’informatica umanistica – è stata dedicata all’illustrazione
di alcuni nuovi testi. Giacomo Ferrari, dell’Università del Piemonte
Orientale e Paul Spence, del King’s College di Londra, hanno discusso
due manuali, dedicati rispettivamente alla linguistica computazionale e alla
codifica dei testi, che colmano delle lacune bibliografiche fornendo efficaci
strumenti didattici a docenti e studenti di informatica umanistica.
Dino Pedreschi ha poi esposto le coordinate del testo che sta attualmente scrivendo.
L’autore è un informatico, docente presso l’università
di Pisa, che intende rivolgersi agli umanisti in generale e non esclusivamente
agli esperti di informatica umanistica, con l’obiettivo di trasmettere
la padronanza delle regole della rappresentazione dell’informazione e
della conoscenza: descrivere dati e accedere a dati, con una attenzione specifica
per l’universo telematico. Entrando più dettagliatamente negli
aspetti tecnici, Pedreschi ha descritto il Web come informazione semistrutturata,
a metà strada fra il testo narrativo e la banca dati: l’adozione
di un nuovo linguaggio di marcatura per la creazione dei documenti ipertestuali,
l’XML, permette di aggiungere struttura laddove manca e di semplificare
la struttura quando essa appesantisce il documento. L’orizzonte è
segnato dal Web semantico, che dovrebbe essere costituito da documenti creati
con una combinazione ideale di contenuto e di struttura: l’informazione
porterebbe con sé una autodescrizione. La completa apparizione di questo
nuovo orizzonte è tuttavia ancora lontana: il relatore ha definito il
Web semantico “una prospettiva illuminista”, specificando però,
in tono poco rassicurante, che tale visione andrebbe intesa, secondo il suo
punto di vista, più come un’idea regolativa (se non una vera e
propria utopia) che come un obiettivo a cui concretamente tendere. Nell’immediato,
ciò che occorre è rafforzare le tecniche di estrazione della conoscenza,
il cosiddetto data mining.
8. La sessione pomeridiana – Informatica umanistica a Pisa: esperienza
didattica e progetti di sviluppo – è stata dedicata ad illustrare
nello specifico il corso di laurea promosso dall’ateneo pisano. Un altro
docente del dipartimento di informatica, Vincenzo Ambriola, ha dedicato il suo
intervento a un bilancio, per certi versi anche comprensibilmente autocelebrativo,
dei primi tre anni (2002-2005) di attivazione del corso di laurea di base in
informatica umanistica. Attualmente si tratta di un corso interfacoltà,
gestito congiuntamente da Lettere e Scienze, non più di un corso di Lettere
con apporti esterni. I numeri parlano di un centinaio di matricole per ciascun
anno, per le quali, oltre alla didattica frontale, verrà realizzato un
corso parallelo in modalità e-learning, concepito sia per ampliare l’offerta
formativa, sia per insegnare agli studenti a costruire a loro volta percorsi
didattici simili. Sono stati attivati 26 stages con enti pubblici e 34 con privati;
si pensa inoltre ad ampliare l’offerta nell’ambito della formazione
professionale non universitaria.
Hanno quindi preso la parola due laureandi che hanno raccontato le proprie esperienze,
mostrandosi soddisfatti delle peculiarità del corso e dell’entusiasmo
messo in campo dai docenti.
Enrica Salvatori ha successivamente presentato alcuni degli ipertesti creati
dagli studenti del corso di laurea come esercitazioni per l’esame di storia.
I prodotti di divulgazione storica in formato ipermediale mostrati alla platea
sono stati davvero convincenti; benché non fosse ovviamente richiesto
loro lo svolgimento di una vera e propria attività di ricerca, gli studenti
hanno compiuto una seria riflessione sulle fonti prescelte, dimostrando una
capacità degna di nota di articolare discorsi storiografici.
Mirko Tavoni ha infine anticipato l’avvio, per l’anno accademico
2006-2007, del corso di laurea specialistica in informatica umanistica. Attivando
un percorso già presente in altre università italiane, si intende
offrire in primo luogo uno sbocco ai laureati di primo livello in informatica
umanistica dell’ateneo pisano, rivolgendosi peraltro anche a persone provenienti
da altri corsi di laurea, che verranno ammesse con debiti formativi. I quattro
percorsi in cui il corso si articolerà sono: management della conoscenza;
tecnologie del linguaggio; grafica, interattività, ambienti virtuali;
editoria elettronica. Gli sbocchi occupazionali individuati, per ognuna delle
figure professionali così formate, sono la creazione di modelli e l’estrazione
di conoscenza da banche dati nel Web o offline; le applicazioni della linguistica
computazionale; le applicazioni dell’interattività e della realtà
virtuale; l’attività editoriale nel settore delle pubblicazioni
telematiche.
9. La tavola rotonda conclusiva su Esperienze e prospettive dei corsi di
laurea in informatica umanistica ha esaminato le prospettive dei diversi
corsi di laurea specialistica attivati a livello nazionale. Tra i relatori Gianni
Guastella, dell’Università di Siena, membro della Commissione del
MIUR per la revisione delle classi di laurea nelle facoltà umanistiche,
ha illustrato l’evoluzione della normativa relativa alla Classe 24/S (Informatica
per le discipline umanistiche), proponendo altresì un confronto tra le
diverse offerte formative proposte da alcuni atenei.
Gli aggiustamenti introdotti rispetto alla legge 509 hanno modificato la troppo
generica tabella iniziale, nella quale le materie scientifiche erano decisamente
sottorappresentate. La novità più rilevante consiste però
nella riorganizzazione del percorso complessivo: inizialmente la tabella stabiliva
per il conseguimento della laurea un percorso che copriva l’intero arco
quinquennale, fissando tutti i 300 crediti; ora non è più necessario
aver conseguito una analoga laurea di base per accedere al biennio di specializzazione,
bastando un colloquio e il riconoscimento di eventuali debiti formativi.
Come ha rivelato lo stesso Guastella, trovare un accordo tra umanisti e scienziati è stato laborioso. I secondi esprimevano infatti forti perplessità
sull’obiettivo formativo della 24/S, che appariva destinato a rimanere
a metà strada. Nonostante ciò, si è infine arrivati all’approvazione
della tabella, articolata in due ambiti: letterario-linguistico e storico-artistico-archivistico.
Le nuove norme sono in discussione al CUN, che dovrebbe approvarle nei primi
mesi del 2006. Il focus è decisamente umanistico, con l’apporto
– comunque non irrilevante – delle materie scientifiche. Restano
tuttavia alcuni nodi sul tappeto. Per legge, infatti, la tabella può
bloccare solo 48 crediti su 120: esiste perciò il rischio che, per attrarre
gli studenti, qualche facoltà decida di varare corsi di informatica umanistica
inserendo solo pochi crediti informatici, a mo’ di belletto. Un altro
problema è la carenza di docenti che padroneggino realmente la materia:
ci vorranno ovviamente anni per formare come ricercatori persone provenienti
da questi corsi di laurea.
Paolo Mastandrea, dell’Università di Venezia, ha quindi illustrato
il corso di laurea specialistica (Informatica per le discipline umanistiche)
promosso dalla Facoltà di Lettere e Filosofia del suo ateneo: l’unico,
tra i vari esempi di corsi fin qui attivati a livello nazionale, ad essere giudicato
positivamente da Guastella, per i suoi contenuti rigorosi anche per quanto riguarda
la parte informatica. Si accede a tale biennio con una laurea di base in Lettere,
Lingue o Informatica, conservando tutti i 180 crediti: la formazione impartita
è dunque molto diversa a seconda della provenienza. Date le limitate
risorse finanziarie, il corpo insegnante è prevalentemente composto da
docenti a contratto, quasi tutti giovani; altri insegnamenti sono stati mutuati
dalle facoltà, grazie alla disponibilità di alcuni docenti ad
assumersi gratuitamente un carico didattico supplementare.
Raffaella Bernardi, dell’Università di Bolzano, ha illustrato il
percorso opposto: in quel contesto è stata la Facoltà di Scienze
e Tecnologie informatiche ad attivare lauree specialistiche con indirizzi in
logica computazionale e tecnologie del linguaggio naturale.
Il dibattito successivo ha portato all’attenzione dei presenti gli obiettivi
strategici e le finalità che i responsabili di tali progetti immaginano
per questi percorsi formativi decisamente innovativi nel nostro paese, nel quale
– a differenza degli altri Stati europei, come ha osservato Alessandro
Lenci – l’informatica umanistica deve ancora consolidarsi prima
di tutto a livello scientifico.
Lo stesso Tavoni, e con altrettanta forza Mastandrea, hanno espresso la convinzione
che iniziative di questo genere abbiano una profonda utilità sociale,
quasi una missione: offrire sbocchi lavorativi concreti a laureati di facoltà,
quali quelle umanistiche, che vivono una gravissima crisi. Soprattutto gli informatici
dell’ateneo pisano, tra i quali Vincenzo Ambriola, hanno mostrato grande
fiducia nel futuro di questo percorso di studi; più cauto, Mirko Tavoni
ha sottolineato le ottime prospettive occupazionali che tale formazione dovrebbe
offrire agli studenti, manifestando al contempo un certo pessimismo riguardo
alla risposta degli organi accademici, in particolare di quelli delle facoltà
umanistiche, di cui teme l’arroccamento su posizioni di chiusura e la
mancata collaborazione nel promuovere iniziative che offrono invece a saperi
gravemente minacciati una possibilità di sopravvivenza.