Sismondiana I, in onore di Mirena Stanghellini Bernardini,
a cura di Letizia Pagliai, Firenze, Edizioni Polistampa, 2005
[€ 24 - ISBN 88-8304-959-4]

Christian Satto
Università di Firenze

1. L’Associazione di Studi Sismondiani inizia, con il presente volume, la pubblicazione di una collana dedicata alla diffusione degli studi e dei nuovi percorsi di ricerca che si articolano intorno alla figura di Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi. La valorizzazione dell’opera del grande intellettuale ginevrino, infatti, rientra tra le finalità che si era posta l’associazione al momento della sua fondazione, avvenuta a Pescia il 3 giugno 1997 grazie all’impulso decisivo di Mirena Stanghellini Bernardini, alla quale è dedicato il volume, che ne è stata la presidente fino al 2004 e che attualmente ne è la presidente onoraria. L’operato di Mirena Stanghellini Bernardini, infatti, come riconoscono nei loro interventi in apertura del volume sia l’attuale presidente dell’associazione, Francesca Sofia, sia la curatrice, Letizia Pagliai, e come emerge dai saggi ospitati nella sezione titolata Origine e sede dell’Associazione, è stato decisivo nel dare nuovo impulso agli studi sul Sismondi, in collegamento con l’opera di conservazione e di valorizzazione del suo archivio familiare, tuttora conservato presso la Villa di Valchiusa a Pescia.
L’opera, come sottolinea ancora Letizia Pagliai nella sua Introduzione, «pur articolata secondo una scansione temporale dei vari argomenti che ne disciplina la materia e ne facilita la consultazione, è così una nutrita rassegna della pluralità di approcci e di punti di vista che, senza ambire a un’irraggiungibile completezza di temi, ridisegnano continuamente i problematici contorni delle opere e la cangiante fisionomia di Sismondi» (p.8) .
La parte centrale del volume è costituita sicuramente dalla sezione Studi e ricerche, che si avvale di tredici saggi composti da autori diversi tra loro sia per interessi culturali che per impostazione storiografica: Clizia Magoni, Daniela Vaj, Isabella Becherucci, Barbara Revelli, Mirena Stanghellini Bernardini, Adriana Camarlinghi, Stefania Rudatis Vivaldi-Forti, Romano Paolo Coppini, Alessandro Volpi, Gabriella Gioli, Luciano Iacoponi, Francesca Dal Degan, Aldo G. Ricci, Piero Roggi e Francesca Sofia. Questa diversità di approcci fa sì, tuttavia, che «la figura di Sismondi sia presentata per un medesimo spettro d’indagine sotto prospettive apparentemente dissimili e lontane» (p.7).

2. Uno dei primi temi che risaltano all’attenzione dalla lettura dei saggi sopra citati è indubbiamente quello della libertà, che è al centro delle Recherches sur les constitutions des peuples libres. Nell’opera, iniziata nel 1797 e rimasta poi inedita, un Sismondi appena ventitreenne «aveva deciso - scrive Clizia Magoni - di riunire e confrontare le forme di governo dei popoli liberi con l’intento di mostrare ai Francesi come l’esempio storico delle nazioni libere potesse insegnare loro tanto la scienza del governare [...] quanto l’amore per la libertà e per le leggi» (p.53). La meditazione dello storico ginevrino partiva dal rifiuto dell’egualitarismo e dell’idea di democrazia scaturiti dalla rivoluzione francese, perché entrambi questi principi erano minati alla radice dalla loro pretesa di essere universali. Secondo lui, l’umanità aveva intrapreso il suo cammino verso la libertà ben prima della grande rivoluzione che aveva spazzato via l’Ancien Régime; l’inizio di questo percorso, infatti, risaliva alla fine del X secolo, quando le piccole città italiane, i piccoli regni spagnoli, le città svizzere e tedesche e, in epoche successive, l’Olanda e l’Inghilterra, si avviarono, con percorsi diversi, verso una stessa meta, costituita appunto dalla libertà. Le vicende del Regno d’Aragona sono un esempio pregnante di questo percorso perché la sua costituzione riconosceva a tutti gli ordini che componevano la società il diritto di essere rappresentati nelle Cortes e, quindi, una porzione di sovranità. Sismondi, dunque, riteneva che «quella forma di governo in cui nessuna parte della nazione era destinata a diventare onnipotente o rivestita in modo esclusivo della sovranità» (p.56) fosse la migliore. Il declino aragonese, infatti, avvenne con la riunione di tutte le corone spagnole sotto Carlo V, e cioè con l’accentramento del potere in una sola componente della nazione: il re. Lo storico ginevrino avrebbe poi continuato la sua riflessione sulla libertà in una delle sue opere più famose: la monumentale Histoire des Rèpubliques italiennes du Moyen Âge nella quale indicava le realtà comunali come focolare d’origine dell’idea borghese di libertà. «Il modello dei liberi comuni – scrivono Romano Paolo Coppini e Alessandro Volpi – che rappresentava il focolare domestico della nazione italiana, era in tale ottica la celebrazione della forma giuridica ed istituzionale capace di garantire il massimo grado delle libertà individuali, dei singoli piuttosto che dei corpi sociali [...]» (p.193). Questo interesse di Sismondi per la libertà influenzò molte personalità dell’epoca, tra le quali Mazzini e Cattaneo che, nella sua visone federalista, dedicò ampio spazio alla riflessione sul rapporto città-libertà dedicando al tema il celeberimmo saggio titolato La città considerata come principio ideale delle istorie italiane (1858).

3. Sismondi e la Toscana. È questo il secondo grande tema che emerge dai saggi contenuti nel libro. Il primo pilastro di questo rapporto è sicuramente costituito dalla villa di Valchiusa, ossia la parte dei possedimenti paterni assegnati al Sismondi dal contratto di divisione del 12 settembre 1810, che per il ginevrino rappresentava, come scrive Clausia Massi, «un osservatorio ideale e anche una specie di laboratorio per lo studio dei problemi agrari cui era assai interessato» (p.20). La famiglia ginevrina dei Simonde, infatti, nel 1797 aveva acquistato una serie di terreni, dotati di immobili, nei dintorni di Pescia, con l’intenzione di insediarsi in Toscana. Sismondi, inoltre, sosteneva di avere lontane origini toscane, date dalla sua presunta discendenza dalla importante famiglia pisana dei Sismondi. Questa ipotesi, però, mostra molti punti deboli, soprattutto per quanto concerne le modalità attraverso le quali questa discendenza si sia realizzata. All’epoca non era raro che famiglie illustri, ma prive di attestazioni certe di nobiltà, si impegnassero a fondo in complicate ricerche araldiche per fregiarsi di titoli ai quali era connesso un indiscusso valore distintivo a livello sociale e non. Probabilmente anche Sismondi, sicuramente aiutato dalla sua chiara fama di storico che lo metteva al riparo da eventuali obiezioni, era stato attratto da questa sorta di «corsa al titolo». Infatti, come ha sottolineato Stefania Rudatis Vivaldi-Forti nel suo intervento, «non deve [...] meravigliare che Sismondi, influenzato dai costumi dell’ambiente che frequentava e considerava proprio, si fosse lasciato tentare dal percorrere la medesima strada, rivendicando, sia pure per sua stessa ammissione in modo piuttosto arbitrario, la discendenza dalla famiglia storicamente più nota che portava un cognome simile o quantomeno riconducibile al suo» (p.171).
Il legame tra il Sismondi e la Toscana non si ferma certo a questioni di araldica più o meno fondate, anzi egli si mostra «come l’artefice della fondamentale rilettura di una centralità storica della Toscana, trasformata in uno dei luoghi ideali della genesi della modernità civile dell’Europa» (p.191). Interessante a questo proposito è il saggio di Romano Paolo Coppini e Alessandro Volpi che sottolinea l’importanza dell’esempio fiorentino nelle meditazioni dello storico elvetico. Sismondi, infatti, riteneva che l’idea borghese di libertà si fosse sviluppata in quel fecondo laboratorio politico che era stata la civiltà comunale e, in modo particolare, a Firenze, dove era riuscita a resistere anche all’affermarsi del potere mediceo. «Nell’ambito di tale visione, in particolare, ai “negozianti”, pivot sociale decisivo, è riconosciuto il merito di aver dimostrato la possibilità di conciliare nuove forme di produzione della ricchezza alternative alla terra, modalità politiche di rappresentanza degli interessi ed appunto principi di tutela di una libertà individuale dagli accenti che inclinano alla democrazia; in sintesi, essi hanno dato vita ad un frammento compiuto di Stato borghese, che ha saputo partorire una raffinata cultura dagli altissimi contenuti civili ed artistici di cui Dante e Machiavelli sono state le espressioni migliori» (p.192).

4. Sismondi, oltre che un attento studioso della libertà e un amante della Toscana, si dedicò anche allo studio delle problematiche economiche riguardanti l’agricoltura e, all’interno di queste, di quelle concernenti i sistemi di conduzione della terra. Il ginevrino, come illustra Gabriella Gioli, dedicò vari studi all’argomento tra i quali ricordiamo il Tableau de l’agricolture Toscane (1801), il De la richesse commerciale, ou Principes d’économie politique appliqués à la legislation du commerce (1803), i Nouveaux principes d'économie politique, ou de la richesse dans ses rapports avec la population (1819) e il saggio De la condition des cultivateurs en Toscane inserito negli Etudes sur l’économie politique (1837). Il metodo sismondiano di approccio a questi problemi poggiava sull’osservazione, sull’analisi e sul confronto tra i diversi sistemi agrari e ebbe nella Toscana, definita il «giardino d’Italia», il suo caso di studio privilegiato. L’attenzione dello studioso elvetico, in particolare, si appuntò sulla mezzadria e sulle sue capillari implicazioni sociali. Nel Tableau egli giudicò il sistema mezzadrile più dannoso di altri contratti perché, sprovvisto di garanzie riguardo la continuità dei contratti e impedendo di fatto il riscatto dei contadini dallo stato di miseria in cui versavano, causava una staticità di sistema che si ripercuoteva negativamente sia sugli stessi mezzadri che sulla produzione. Era l’impossibilità di risparmiare che impediva al contadino di migliorare la propria condizione sociale. In proposito scriveva Sismondi che «il maggior ostacolo per il successo della sua industriosità [del contadino] e la causa immediata della miseria di tutti i mezzadri siano l’impossibilità di risparmiare» (p.203).
La sequela di trasformazioni seguite alla caduta del sistema napoleonico ed alla restaurazione, tuttavia, generarono nell’economista e storico elvetico dei ripensamenti. Egli, infatti, iniziò a considerare la mezzadria un primo grado di avanzamento delle condizioni del contadino in quanto, pur mantenendo quella staticità appena descritta [«il figlio rimane esattamente nella stessa posizione del padre, non pensa affatto a diventare più ricco né a cambiare condizione» (p.205)], essa riusciva a garantire il minimo per sopravvivere anche nei periodi di crisi. «La mezzadria o conduzione a metà frutti, - scrisse Sismondi nei Nouveaux principes - è forse una delle più felici invenzioni del medioevo. È quella che ha più contribuito a diffondere la felicità nelle classi inferiori, a portare al migliore livello di coltivazione la terra, ad accumulare su di essa una maggiore quantità di ricchezza. La mezzadria è il modo più naturale, più facile e più vantaggioso per portare lo schiavo al rango di uomo libero, per formarne l’intelligenza, per insegnargli la parsimonia e la temperanza e per mettere nelle sue mani una proprietà di cui non abuserà mai» (p.205). Per il grande intellettuale svizzero, dunque, la mezzadria rivestiva anche un’importante funzione sociale: l’elevazione morale e civile, oltre che la protezione, della popolazione rurale.

5. Nel saggio De la condition des cultivateurs en Toscane, che, osserva giustamente Francesca Sofia nel suo intervento, non è la stessa cosa del Tableau de l’agricolture Toscane, Sismondi riprende le considerazioni sulla funzione sociale della mezzadria con un occhio di riguardo nei confronti della figura del proprietario. Egli, infatti, sicuramente influenzato dalla Firenze dei Georgofili e di Vieusseux, esortava i proprietari ad abbandonare quell’atteggiamento assenteista tanto dannoso per l’economia in favore di una partecipazione attiva al processo di produzione attraverso gli investimenti. I possidenti, sulla scia degli esempi forniti in quegli anni da personaggi quali Bettino Ricasoli e Cosimo Ridolfi, dovevano, quindi, impegnarsi a fondo trasformando la rendita in investimenti produttivi.
Dalle riflessioni sulla mezzadria emerge un Sismondi scienziato, attento alle condizioni di vita dei contadini e, pur dichiarandosi seguace del pensiero di Adam Smith, assai critico nei confronti dell’economia classica. Spesso lo studioso di Ginevra, pur essendo ritenuto un economista originale, è stato condannato per questa sua posizione critica nei confronti dell’economia classica e giudicato un teorico «pasticcione». «Sismondi – scrive Luciano Iacopini – è tutt’altro che economista “pasticcione” e “senza un modello”! Egli cercava, come anche oggi gli economisti non paghi, né succubi, dei paradigmi dominanti, varchi teorici per spiegare la complessità dell’economia e della sua evoluzione storica, fra le pulsioni della società e i ritmi della natura, essendo l’una e l’altra regolate dal caos deterministico e dalla legge ferrea della sopravvivenza: ovvero del dominio dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura, essendo il dominio una strategia “rinforzata”, allorché illusoria, che l’uomo adotta per aumentare le sue probabilità di sopravvivenza» (p.219).
Dalle considerazioni sin qui svolte emerge abbastanza chiaramente la complessità che caratterizza la personalità intellettuale di Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi. La sua figura, infatti, è stata al centro delle ricerche di molti studiosi, provenienti da scuole di pensiero diverse, che hanno fornito, come illustra efficacemente Piero Roggi nel suo intervento titolato significativamente Sismondi e gli storici, delle interpretazioni a volte anche lontane tra loro.
Concludendo è giusto ricordare, oltre al Resoconto delle iniziative realizzate dall’Associazione di studi Sismondiani che da solo dimostra l’impegno con cui l’associazione ha promosso il dibattito sull’intellettuale ginevrino, la pregevole Bibliografia sismondiana curata da Letizia Pagliai che raccoglie i contributi sismondiani apparsi nell’arco di tempo compreso tra il 2002 e il 2005. Sismondiana, dunque, si configura come uno strumento utile per chi voglia intraprendere lo studio della figura di Sismondi, non solo perché affronta alcune interessanti tematiche come quelle che abbiamo ricordato sopra, ma perché suggerisce dei percorsi di studio stimolanti, ben documentati e corredati da note e indicazioni bibliografiche utili per ulteriori approfondimenti. E’ dunque auspicabile che questo volume sia l'inizio di una collana che possa arricchirsi presto di nuovi contributi, magari monografici, sul grande intellettuale ginevrino, e, se ci è concesso, anche un po’ toscano.