1. L’Associazione di Studi Sismondiani inizia, con il presente volume,
la pubblicazione di una collana dedicata alla diffusione degli studi e dei
nuovi percorsi di ricerca che si articolano intorno alla figura di Jean Charles
Léonard Simonde de Sismondi. La valorizzazione dell’opera del
grande intellettuale ginevrino, infatti, rientra tra le finalità che
si era posta l’associazione al momento della sua fondazione, avvenuta
a Pescia il 3 giugno 1997 grazie all’impulso decisivo di Mirena Stanghellini
Bernardini, alla quale è dedicato il volume, che ne è stata
la presidente fino al 2004 e che attualmente ne è la presidente onoraria.
L’operato di Mirena Stanghellini Bernardini, infatti, come riconoscono
nei loro interventi in apertura del volume sia l’attuale presidente
dell’associazione, Francesca Sofia, sia la curatrice, Letizia Pagliai,
e come emerge dai saggi ospitati nella sezione titolata Origine e sede
dell’Associazione, è stato decisivo nel dare nuovo impulso
agli studi sul Sismondi, in collegamento con l’opera di conservazione
e di valorizzazione del suo archivio familiare, tuttora conservato presso
la Villa di Valchiusa a Pescia.
L’opera, come sottolinea ancora Letizia Pagliai nella sua Introduzione,
«pur articolata secondo una scansione temporale dei vari argomenti che
ne disciplina la materia e ne facilita la consultazione, è così
una nutrita rassegna della pluralità di approcci e di punti di vista
che, senza ambire a un’irraggiungibile completezza di temi, ridisegnano
continuamente i problematici contorni delle opere e la cangiante fisionomia
di Sismondi» (p.8) .
La parte centrale del volume è costituita sicuramente dalla sezione Studi e ricerche, che si avvale di tredici saggi composti da
autori diversi tra loro sia per interessi culturali che per impostazione storiografica:
Clizia Magoni, Daniela Vaj, Isabella Becherucci, Barbara Revelli, Mirena Stanghellini
Bernardini, Adriana Camarlinghi, Stefania Rudatis Vivaldi-Forti, Romano Paolo
Coppini, Alessandro Volpi, Gabriella Gioli, Luciano Iacoponi, Francesca Dal
Degan, Aldo G. Ricci, Piero Roggi e Francesca Sofia. Questa diversità
di approcci fa sì, tuttavia, che «la figura di Sismondi sia presentata
per un medesimo spettro d’indagine sotto prospettive apparentemente
dissimili e lontane» (p.7).
2. Uno dei primi temi che risaltano all’attenzione dalla lettura dei saggi sopra citati è indubbiamente quello della libertà, che è al centro delle Recherches sur les constitutions des peuples libres. Nell’opera, iniziata nel 1797 e rimasta poi inedita, un Sismondi appena ventitreenne «aveva deciso - scrive Clizia Magoni - di riunire e confrontare le forme di governo dei popoli liberi con l’intento di mostrare ai Francesi come l’esempio storico delle nazioni libere potesse insegnare loro tanto la scienza del governare [...] quanto l’amore per la libertà e per le leggi» (p.53). La meditazione dello storico ginevrino partiva dal rifiuto dell’egualitarismo e dell’idea di democrazia scaturiti dalla rivoluzione francese, perché entrambi questi principi erano minati alla radice dalla loro pretesa di essere universali. Secondo lui, l’umanità aveva intrapreso il suo cammino verso la libertà ben prima della grande rivoluzione che aveva spazzato via l’Ancien Régime; l’inizio di questo percorso, infatti, risaliva alla fine del X secolo, quando le piccole città italiane, i piccoli regni spagnoli, le città svizzere e tedesche e, in epoche successive, l’Olanda e l’Inghilterra, si avviarono, con percorsi diversi, verso una stessa meta, costituita appunto dalla libertà. Le vicende del Regno d’Aragona sono un esempio pregnante di questo percorso perché la sua costituzione riconosceva a tutti gli ordini che componevano la società il diritto di essere rappresentati nelle Cortes e, quindi, una porzione di sovranità. Sismondi, dunque, riteneva che «quella forma di governo in cui nessuna parte della nazione era destinata a diventare onnipotente o rivestita in modo esclusivo della sovranità» (p.56) fosse la migliore. Il declino aragonese, infatti, avvenne con la riunione di tutte le corone spagnole sotto Carlo V, e cioè con l’accentramento del potere in una sola componente della nazione: il re. Lo storico ginevrino avrebbe poi continuato la sua riflessione sulla libertà in una delle sue opere più famose: la monumentale Histoire des Rèpubliques italiennes du Moyen Âge nella quale indicava le realtà comunali come focolare d’origine dell’idea borghese di libertà. «Il modello dei liberi comuni – scrivono Romano Paolo Coppini e Alessandro Volpi – che rappresentava il focolare domestico della nazione italiana, era in tale ottica la celebrazione della forma giuridica ed istituzionale capace di garantire il massimo grado delle libertà individuali, dei singoli piuttosto che dei corpi sociali [...]» (p.193). Questo interesse di Sismondi per la libertà influenzò molte personalità dell’epoca, tra le quali Mazzini e Cattaneo che, nella sua visone federalista, dedicò ampio spazio alla riflessione sul rapporto città-libertà dedicando al tema il celeberimmo saggio titolato La città considerata come principio ideale delle istorie italiane (1858).
3. Sismondi e la Toscana. È questo il secondo
grande tema che emerge dai saggi contenuti nel libro. Il primo pilastro di
questo rapporto è sicuramente costituito dalla villa di Valchiusa,
ossia la parte dei possedimenti paterni assegnati al Sismondi dal contratto
di divisione del 12 settembre 1810, che per il ginevrino rappresentava, come
scrive Clausia Massi, «un osservatorio ideale e anche una specie di laboratorio
per lo studio dei problemi agrari cui era assai interessato» (p.20).
La famiglia ginevrina dei Simonde, infatti, nel 1797 aveva acquistato una
serie di terreni, dotati di immobili, nei dintorni di Pescia, con l’intenzione
di insediarsi in Toscana. Sismondi, inoltre, sosteneva di avere lontane origini
toscane, date dalla sua presunta discendenza dalla importante famiglia pisana
dei Sismondi. Questa ipotesi, però, mostra molti punti deboli, soprattutto
per quanto concerne le modalità attraverso le quali questa discendenza
si sia realizzata. All’epoca non era raro che famiglie illustri, ma
prive di attestazioni certe di nobiltà, si impegnassero a fondo in
complicate ricerche araldiche per fregiarsi di titoli ai quali era connesso
un indiscusso valore distintivo a livello sociale e non. Probabilmente anche
Sismondi, sicuramente aiutato dalla sua chiara fama di storico che lo metteva
al riparo da eventuali obiezioni, era stato attratto da questa sorta di «corsa
al titolo». Infatti, come ha sottolineato Stefania Rudatis Vivaldi-Forti
nel suo intervento, «non deve [...] meravigliare che Sismondi, influenzato
dai costumi dell’ambiente che frequentava e considerava proprio, si
fosse lasciato tentare dal percorrere la medesima strada, rivendicando, sia
pure per sua stessa ammissione in modo piuttosto arbitrario, la discendenza
dalla famiglia storicamente più nota che portava un cognome simile
o quantomeno riconducibile al suo» (p.171).
Il legame tra il Sismondi e la Toscana non si ferma certo a questioni di araldica
più o meno fondate, anzi egli si mostra «come l’artefice
della fondamentale rilettura di una centralità storica della Toscana,
trasformata in uno dei luoghi ideali della genesi della modernità civile
dell’Europa» (p.191). Interessante a questo proposito è
il saggio di Romano Paolo Coppini e Alessandro Volpi che sottolinea l’importanza
dell’esempio fiorentino nelle meditazioni dello storico elvetico. Sismondi,
infatti, riteneva che l’idea borghese di libertà si fosse sviluppata
in quel fecondo laboratorio politico che era stata la civiltà comunale
e, in modo particolare, a Firenze, dove era riuscita a resistere anche all’affermarsi
del potere mediceo. «Nell’ambito di tale visione, in particolare,
ai “negozianti”, pivot sociale decisivo, è riconosciuto
il merito di aver dimostrato la possibilità di conciliare nuove forme
di produzione della ricchezza alternative alla terra, modalità politiche
di rappresentanza degli interessi ed appunto principi di tutela di una libertà
individuale dagli accenti che inclinano alla democrazia; in sintesi, essi
hanno dato vita ad un frammento compiuto di Stato borghese, che ha saputo
partorire una raffinata cultura dagli altissimi contenuti civili ed artistici
di cui Dante e Machiavelli sono state le espressioni migliori» (p.192).
4. Sismondi, oltre che un attento studioso della libertà
e un amante della Toscana, si dedicò anche allo studio delle problematiche
economiche riguardanti l’agricoltura e, all’interno di queste,
di quelle concernenti i sistemi di conduzione della terra. Il ginevrino, come
illustra Gabriella Gioli, dedicò vari studi all’argomento tra
i quali ricordiamo il Tableau de l’agricolture Toscane (1801),
il De la richesse commerciale, ou Principes d’économie politique
appliqués à la legislation du commerce (1803), i Nouveaux
principes d'économie politique, ou de la richesse dans ses rapports
avec la population (1819) e il saggio De la condition des cultivateurs
en Toscane inserito negli Etudes sur l’économie politique
(1837). Il metodo sismondiano di approccio a questi problemi poggiava sull’osservazione,
sull’analisi e sul confronto tra i diversi sistemi agrari e ebbe nella
Toscana, definita il «giardino d’Italia», il suo caso di studio
privilegiato. L’attenzione dello studioso elvetico, in particolare,
si appuntò sulla mezzadria e sulle sue capillari implicazioni sociali.
Nel Tableau egli giudicò il sistema mezzadrile più dannoso
di altri contratti perché, sprovvisto di garanzie riguardo la continuità
dei contratti e impedendo di fatto il riscatto dei contadini dallo stato di
miseria in cui versavano, causava una staticità di sistema che si ripercuoteva
negativamente sia sugli stessi mezzadri che sulla produzione. Era l’impossibilità
di risparmiare che impediva al contadino di migliorare la propria condizione
sociale. In proposito scriveva Sismondi che «il maggior ostacolo per
il successo della sua industriosità [del contadino] e la causa immediata
della miseria di tutti i mezzadri siano l’impossibilità di risparmiare»
(p.203).
La sequela di trasformazioni seguite alla caduta del sistema napoleonico ed
alla restaurazione, tuttavia, generarono nell’economista e storico elvetico
dei ripensamenti. Egli, infatti, iniziò a considerare la mezzadria
un primo grado di avanzamento delle condizioni del contadino in quanto, pur
mantenendo quella staticità appena descritta [«il figlio rimane
esattamente nella stessa posizione del padre, non pensa affatto a diventare
più ricco né a cambiare condizione» (p.205)], essa riusciva
a garantire il minimo per sopravvivere anche nei periodi di crisi. «La
mezzadria o conduzione a metà frutti, - scrisse Sismondi nei
Nouveaux principes - è forse una delle più felici invenzioni
del medioevo. È quella che ha più contribuito a diffondere la
felicità nelle classi inferiori, a portare al migliore livello di coltivazione
la terra, ad accumulare su di essa una maggiore quantità di ricchezza.
La mezzadria è il modo più naturale, più facile e più
vantaggioso per portare lo schiavo al rango di uomo libero, per formarne l’intelligenza,
per insegnargli la parsimonia e la temperanza e per mettere nelle sue mani
una proprietà di cui non abuserà mai» (p.205). Per il grande
intellettuale svizzero, dunque, la mezzadria rivestiva anche un’importante
funzione sociale: l’elevazione morale e civile, oltre che la protezione,
della popolazione rurale.
5. Nel saggio De la condition des cultivateurs en
Toscane, che, osserva giustamente Francesca Sofia nel suo intervento,
non è la stessa cosa del Tableau de l’agricolture Toscane,
Sismondi riprende le considerazioni sulla funzione sociale della mezzadria
con un occhio di riguardo nei confronti della figura del proprietario. Egli,
infatti, sicuramente influenzato dalla Firenze dei Georgofili e di Vieusseux,
esortava i proprietari ad abbandonare quell’atteggiamento assenteista
tanto dannoso per l’economia in favore di una partecipazione attiva
al processo di produzione attraverso gli investimenti. I possidenti, sulla
scia degli esempi forniti in quegli anni da personaggi quali Bettino Ricasoli
e Cosimo Ridolfi, dovevano, quindi, impegnarsi a fondo trasformando la rendita
in investimenti produttivi.
Dalle riflessioni sulla mezzadria emerge un Sismondi scienziato, attento alle
condizioni di vita dei contadini e, pur dichiarandosi seguace del pensiero
di Adam Smith, assai critico nei confronti dell’economia classica. Spesso
lo studioso di Ginevra, pur essendo ritenuto un economista originale, è
stato condannato per questa sua posizione critica nei confronti dell’economia
classica e giudicato un teorico «pasticcione». «Sismondi –
scrive Luciano Iacopini – è tutt’altro che economista “pasticcione”
e “senza un modello”! Egli cercava, come anche oggi gli economisti
non paghi, né succubi, dei paradigmi dominanti, varchi teorici per
spiegare la complessità dell’economia e della sua evoluzione
storica, fra le pulsioni della società e i ritmi della natura, essendo
l’una e l’altra regolate dal caos deterministico e dalla legge
ferrea della sopravvivenza: ovvero del dominio dell’uomo sull’uomo
e dell’uomo sulla natura, essendo il dominio una strategia “rinforzata”,
allorché illusoria, che l’uomo adotta per aumentare le sue probabilità
di sopravvivenza» (p.219).
Dalle considerazioni sin qui svolte emerge abbastanza chiaramente la complessità
che caratterizza la personalità intellettuale di Jean Charles Léonard
Simonde de Sismondi. La sua figura, infatti, è stata al centro delle
ricerche di molti studiosi, provenienti da scuole di pensiero diverse, che
hanno fornito, come illustra efficacemente Piero Roggi nel suo intervento
titolato significativamente Sismondi e gli storici, delle interpretazioni
a volte anche lontane tra loro.
Concludendo è giusto ricordare, oltre al Resoconto delle iniziative
realizzate dall’Associazione di studi Sismondiani che da solo dimostra
l’impegno con cui l’associazione ha promosso il dibattito sull’intellettuale
ginevrino, la pregevole Bibliografia sismondiana curata da Letizia
Pagliai che raccoglie i contributi sismondiani apparsi nell’arco di
tempo compreso tra il 2002 e il 2005. Sismondiana, dunque, si configura
come uno strumento utile per chi voglia intraprendere lo studio della figura
di Sismondi, non solo perché affronta alcune interessanti tematiche
come quelle che abbiamo ricordato sopra, ma perché suggerisce
dei percorsi di studio stimolanti, ben documentati e corredati da note e indicazioni
bibliografiche utili per ulteriori approfondimenti. E’ dunque auspicabile
che questo volume sia l'inizio di una collana che possa arricchirsi presto
di nuovi contributi, magari monografici, sul grande intellettuale ginevrino,
e, se ci è concesso, anche un po’ toscano.