Philippe Rygiel et Serge Noiret (sous la direction de),
Les Historiens, leurs revues et Internet (France, Espagne, Italie), Paris, Publibook, 2005
[€ 27 – ISBN: 274830960-X]

Filippo Chiocchetti
Università del Piemonte Orientale

1. Il problema metodologico che l’avvento delle reti telematiche pone innanzi allo storico – ma anche all’archivista, all’insegnante, all’editore – è affrontato in una recente pubblicazione curata da Philippe Rygiel e Serge Noiret, storici contemporaneisti e attenti studiosi di tali questioni. Il nucleo del libro è costituito dagli interventi tenuti a un convegno parigino dell’ottobre 2002, successivamente rielaborati e aggiornati per questa pubblicazione, che appare in una veste grafica purtroppo un poco dimessa. Tra i maggiori motivi di interesse si segnala la scelta di affrontare il problema in chiave comparativa: vengono infatti messe a confronto – grazie alla presenza di studiosi attivi in quei paesi – la realtà francese e quella italiana, a cui si aggiunge un rapido sguardo gettato sul caso spagnolo.
Leggere, scrivere, diffondere: sono questi i tre ambiti nei quali, secondo gli autori, Internet esercita la sua azione nei confronti del mondo della ricerca storica; sulla base di tale tripartizione è organizzato anche l’indice del volume. Tuttavia, i temi affrontati nei vari saggi possono essere smontati e ricomposti in molti modi, mettendo in rilievo anche altri percorsi.

2. Nell’introduzione, Rygiel chiarisce le ragioni che hanno motivato l’adozione del criterio comparativo. Alla base di tale scelta vi è l’intuizione che i giudizi sulle diverse realtà nazionali siano non di rado fondati su criteri estranei alle vere logiche che sottendono la presenza della storiografia in rete. Contrariamente a un’opinione ancora largamente diffusa, le condizioni di ‘avanzamento’ o di ‘ritardo’ tecnologico influiscono relativamente poco sul maggiore o minore grado di partecipazione e utilizzo del web da parte degli storici: ciò che conta sono piuttosto i contesti istituzionali e il dato culturale e professionale – evocati da Rygiel con termini quali «esprit» e «habitus» (11) – entro i quali si sono formati gli storici dei vari paesi. I risultati dipendono molto di più dagli utilizzatori che dagli strumenti tecnologici di cui essi si possono dotare. Correttamente, l’accento non cade quindi su Internet in sé, quanto sulla partecipazione fattiva e creativa degli storici ai processi di sviluppo della rete: ciò naturalmente deve passare anche attraverso l’acquisizione di alcune competenze tecniche, necessarie per salvaguardare gli spazi esistenti e per crearne di nuovi.
Da ciò scaturisce una linea interpretativa articolata in due ambiti che si intrecciano costantemente. Nei vari saggi è infatti riscontrabile una duplice dimensione: l’una rivolta alle prospettive teoriche su cui si basa la riorganizzazione di molte pratiche consolidate, l’altra attenta alle realizzazioni concrete – tra le quali spiccano le riviste elettroniche richiamate nel titolo – fatte oggetto di una analisi che coinvolge diverse iniziative, offrendo in alcuni casi le testimonianze dirette dei rispettivi promotori.

3. Nel saggio più ampio e articolato dell’intera raccolta, Serge Noiret prende spunto da una iniziativa di monitoraggio del web di cui è stato partecipe[1], animata dalla necessità di elaborare criteri di valutazione efficaci – una specifica ‘critica dei linguaggi ipertestuali’ (28) – come premessa a un serio utilizzo della rete da parte degli storici. La contemporaneistica è presente assai debolmente nel web (soprattutto in confronto ad altre discipline, in particolare la medievistica), in quanto gli storici professionali sono ben lontani dall’utilizzarlo come normale strumento di lavoro: la storia contemporanea in rete risponde perciò ad altri bisogni, rimandando in definitiva a una «histoire sans les historiens» (37).
Noiret individua uno spazio considerevole occupato da iniziative amatoriali, di cui descrive le traiettorie in rapporto alla storiografia accademica. Una parte importante del ragionamento di Noiret sta nel tentativo di comprendere e illustrare le caratteristiche e le finalità di tali iniziative, etichettabili come storia di comunità, storia identitaria, controstoria... Spesso i rispettivi autori hanno dimostrato, rispetto agli storici professionali, maggiori capacità di sfruttare le chances comunicative che il nuovo medium sa offrire; al contempo, la rete manifesta notevoli potenzialità nel portare all’attenzione degli studiosi un patrimonio da valorizzare in chiave di ricerca scientifica. Lo stesso Noiret, alcuni anni fa, aveva avviato una discussione metodologica a partire da uno specifico caso di studio, aprendo un dibattito che meriterebbe forse di essere aggiornato[2].

4. Il rapporto che gli utenti stabiliscono con la rete, in particolare le loro aspettative nella fruizione di risorse veicolate da siti web storiografici, è un tema direttamente presente in altri due saggi. Francesca Anania traccia un profilo generale dell’utenza, accompagnato da dati statistici che appaiono, oggi, forse in parte superati. Maria Teresa Di Marco, a sua volta, propone una interpretazione del web come ‘medium interpersonale’, postulando due principi, riconducibili alla cosiddetta ‘sociologia dei nuovi media’: la rimodulazione dei contenuti (i nuovi media utilizzano una molteplicità di forme comunicative, rivolgendosi dunque non tanto a ‘lettori’ quanto a ‘utenti’) e una nuova declinazione della ricerca come fatto sociale, collaborativo, che ha nella pubblicazione solo un risultato temporaneo, destinato ad essere approfondito, dall’autore stesso o da altre persone, nella tappe successive della ricerca. Tutto ciò implica un profondo mutamento del contesto editoriale della produzione accademica, che per Di Marco riguarda soprattutto il passaggio pregnante (non neutro, come generalmente si crede) da un canale comunicativo a un altro.
L’autrice sceglie Cromohs come caso di studio mediante il quale discutere tali assunti: l’indagine, svolta dalla stessa Di Marco, sulle modalità di fruizione e di interazione tra la rivista e i suoi ‘utenti’, mette in luce come questi ultimi si dimostrino consapevoli di quanto la rete abbia rimesso in discussione le tradizionali coordinate della pubblicazione accademica, ponendo le premesse per una sua futura radicale trasformazione.

5. Registrare il mutamento introdotto da Internet nelle modalità di edizione delle nuove riviste elettroniche è il tema affrontato in altri due interventi.
Christine Ducourtieux ci introduce al lavoro, profondamente cambiato, delle redazioni, offrendo il punto di vista di chi, nell’ambito di una rivista elettronica, assume la cura editoriale della rivista stessa, gestendo il trasferimento in rete dei contenuti. Nella sua esperienza personale i tentativi di «dynamiser la relation entre notes et textes» si sono scontrati non solo con ostacoli di natura tecnica, ma anche con la presa d’atto che tali interventi implicano la sostanziale riscrittura del testo originario, concepito non di rado per una pubblicazione tradizionale (107). Tale operazione non può dunque essere effettuata senza l’accordo dell’autore. Una scrittura che sia pensata direttamente per la rete (utilizzando quindi testi, ma anche immagini, dati ecc.) richiede invece una progettazione che prevede l’incontro di competenze diverse: «écrire pour Internet se conjugue à plusieurs et l’auteur se dilue dans la notion d’équipe» (113).
Marin Dacos, ideatore di Revues.org e pioniere della telematica tra gli storici francesi, illustra, insieme ad altri collaboratori, la considerevole crescita di questo sito che ha ottenuto, nel 2004, ben tre milioni di visite. Revues.org è una struttura federativa che riunisce riviste di scienze umane e sociali e ne favorisce la diffusione online. Il sito si presenta come un punto d’accesso al web francofono, offrendo ulteriori strumenti ampiamente consultati dagli studiosi: un calendario degli eventi scientifici, un repertorio commentato di risorse storiografiche in rete e un motore di ricerca specializzato (Calenda, Album des sciences sociales e In-Extenso). Dopo aver esposto le finalità del progetto e le statistiche relative ai suoi utilizzatori, vengono descritte le modalità di gestione di Revues.org, basate, a tutti i livelli dell’attività di redazione, su un modello organizzativo che vede prevalere la norma dell’appropriazione delle conoscenze informatiche su quello della delega a figure esterne.

6. Nel saggio di Pierre-Yves Saulnier è protagonista il mestiere dello storico e i cambiamenti ai quali è sottoposto. L’autore analizza il mancato interesse degli storici francesi per le liste di discussione: quelle vere e proprie, dotate cioè di un moderatore, di un archivio dei messaggi e accessibili previa sottoscrizione, sono poche (in tutto tre) e raccolgono un piccolo numero di iscritti, tra i quali gli storici accademici rappresentano una minoranza; la situazione non cambia se si volge lo sguardo alle liste internazionali, alla cui attività gli storici transalpini partecipano assai poco.
Le liste sono maggiormente utilizzate da figure che – come Saulnier, studioso di geografia urbana presso il CNRS – si collocano «a la périphérie de la profession» (122). Il problema essenziale sollevato dall’autore è però di altra natura. Le liste francesi non ospitano recensioni e giudizi critici sui nuovi libri pubblicati ma solo notizie relative a seminari e convegni: sono liste di informazione, non di discussione. Saulnier attribuisce ciò alla mancanza di un dibattito realmente franco all’interno del mondo universitario: di qui il disinteresse per le liste, la cui natura ‘aperta’ ostacola l’instaurarsi di quelle forme gerarchiche, denunciate con tono apertamente polemico, che caratterizzerebbero la discussione condotta nell’ambiente accademico francese.
Dall’inchiesta – più descrittiva che valutativa – condotta da Philippe Rygiel sui siti web degli archivi francesi emerge invece una situazione molto eterogenea. Nel luglio 2004, 87 archivi dipartimentali su 99 erano presenti sul web: di questi, però, solo 39 erano siti di servizio mentre i restanti 48 non erano altro che «plaquettes de présentation» (165). I siti più completi offrono documenti digitalizzati, inventari e guide per le ricerche; si tratta però di eccezioni. Le differenze riscontrate vanno imputate, secondo Rygiel, al ruolo giocato dagli utenti nell’accompagnare la transizione al digitale: a differenza di molti studiosi di genealogia e cultori di memorie locali, che hanno collaborato intensamente con le istituzioni archivistiche, gli storici sono rimasti estranei a questa evoluzione. Non è casuale, pertanto, che le realizzazioni più innovative nel panorama francese siano a servizio di quella fascia maggioritaria di utenti.
Più ottimistiche le conclusioni tratte a proposito dell’uso di Internet nella didattica della storia a livello liceale, peraltro introdotto nelle aule da un ristretto numero di docenti; gli addetti ai lavori riconoscono che giudicarne l’efficacia resta però un compito difficile: manca infatti una metodologia scientifica che permetta di valutare oggettivamente il reale progresso didattico garantito dall’utilizzo di tali strumenti.

7. Gli interventi già citati incrociano, in questo libro, le riflessioni su un altro processo, quello della sperimentazione di progetti di ricerca disponibili in rete.
Éric Guichard descrive un progetto di cui è stato l’ideatore, denominato atlasClio. Atlas de l’immigration en France entre les deux guerres[3]. Si tratta di una banca dati che permette all’utente di generare delle cartine che consentono di visualizzare la collocazione geografica degli stranieri in una cinquantina di dipartimenti francesi nel 1931 e nel 1936. Questa iniziativa (risalente al 1999) di cartografia storica interattiva rappresenta un chiaro esempio di quei «dispositifs savants inédits» di cui parla Rygiel nell’Introduzione (16). Tale progetto segue una precedente esperienza di ricerca dello stesso Guichard, conclusasi con la pubblicazione di un libro: l’idea dell’Atlas nasce dalla volontà di organizzare i dati precedentemente raccolti e analizzati in una banca dati accessibile e riutilizzabile da qualunque studioso. Dopo aver illustrato le motivazioni – e, correttamente, anche i limiti (riassumibili nella scarsa affidabilità di molti censimenti) – di tale iniziativa, l’autore sottolinea come le possibilità offerte dagli strumenti informatici, non solo nell’indicizzazione dei testi (occorrenze ecc.), ma anche nella creazione di correlazioni fra testi e immagini, aprano la strada a prospettive assai innovative. Egli concepisce atlasClio come un esperimento, il cui obiettivo a lungo termine è contribuire a socializzare gli strumenti dei ricercatori, indirizzandoli verso forme aperte e collaborative di presentazione dei propri studi: all’orizzonte Guichard scorge strumenti di lavoro rivolti agli storici e basati interamente su architetture web, superando l’uso di programmi commerciali; ciò permetterebbe inoltre di ridiscutere su nuove basi il rapporto con il mercato editoriale, recuperando pienamente la dimensione accademica dello scrivere e del pubblicare.

8. Un altro versante è rappresentato dalle riviste storiche, la cui transizione al digitale si mostra faticosa: gli spazi sono ancora molto ridotti (la parziale eccezione francese rappresentata da Revues.org deve indurre a riflettere), a causa di uno scetticismo diffuso tra gli storici e comune ai diversi ambiti nazionali[4]. Per quanto riguarda la Spagna, tale realtà è denunciata da Iñaki Lopez Martin, che ricorda peraltro l’esistenza di alcune riviste totalmente elettroniche, la cui impostazione riunisce finalità di ricerca e di didattica universitaria: Clio[5], Tiempos Modernos[6] e Historia Nova[7].
Cromohs, antesignana delle riviste storiche online italiane (insieme a Arachnion, rivista di storia e letteratura antiche che ha però avuto vita assai breve[8]) è stata successivamente affiancata nel panorama nazionale da altri e-journals: Storia e futuro[9], Storicamente[10], Mediterranea. Ricerche online[11], Quaderni.net[12], Letto&riletto[13]. Ad essi vanno aggiunti Scrineum[14], rivolto alla diplomatica, e due siti-portali dedicati alla storia cittadina, Storia di Venezia[15] e Storia di Firenze[16], che ospitano, tra i molti materiali offerti, anche una rivista telematica. La presenza, accanto ai tradizionali contenuti – articoli, recensioni e rassegne – di altri materiali, in primo luogo fonti primarie, dimostra come la differenza tra riviste online e altre forme di pubblicazioni in rete tenda a ridursi a una mera distinzione linguistica: l’uso del termine ‘rivista’, evocante contesti tradizionali, denota in parte l’esigenza di rivolgersi al proprio pubblico in modo rassicurante; in realtà, però, ad esso corrisponde qualcosa di ben più ampio e soprattutto diverso. L’esempio di Reti Medievali, progetto che unisce alla grande qualità scientifica la capacità di sfruttare appieno tutte le potenzialità editoriali e comunicative offerte dalla rete, includendo tra le sue numerose sezioni una rivista vera e propria, è a questo proposito il più appropriato[17].
L’assenza di iniziative editoriali di vasto respiro come JSTOR[18] o History Cooperative[19] è una delle cause a cui addebitare il ritardo italiano nella diffusione delle riviste elettroniche di storia. In questa direzione si possono però segnalare iniziative come quella lanciata alcuni anni fa dal Mulino con Rivisteweb[20], che sperimenta la pubblicazione in rete di alcune riviste storiche (Quaderni storici, Contemporanea. Rivista di storia dell’800 e del ’900, Rivista di storia economica, Le Carte e la Storia. Rivista di storia delle istituzioni, Ricerche di storia politica): collegandosi al sito è possibile acquistare e scaricare via Internet singoli articoli, mentre per gli abbonati l’accesso è gratuito. Un approccio simile è stato adottato da Franco Angeli[21], editore di Società e storia, Passato e presente, Memoria e Ricerca. Quest’ultima si è peraltro dotata di un autonomo sito web[22], in cui propone integralmente gli articoli della rubrica Spazi online. Un analogo percorso è stato avviato da altre riviste tradizionali, come gli Annali di Storia delle Università italiane[23], i cui fascicoli arretrati sono liberamente consultabili online.

9. Sempre meno etichettabili come esperimenti isolati, anzi ormai inserite in una trama leggibile, queste iniziative – al pari di altre, sviluppate in diversi ambiti umanistici – hanno col tempo disseminato esperienze innovative, movendosi in un solco tracciato pionieristicamente dieci anni fa. Oggi Cromohs è ancora un «laboratorio», così come lo concepirono i suoi fondatori[24]. Nelle pagine del saggio citato, Di Marco traccia un profilo che ne ripercorre i passaggi e gli esiti molteplici, segnalando però che la dimensione interattiva, che doveva fare della rivista un luogo di confronto e di scambio attorno a cui raccogliere una comunità internazionale di studiosi, non è stata sviluppata fino in fondo e resta perciò uno degli obiettivi più importanti da perseguire (158). Valicato il traguardo del decimo anno, anche questa dimensione sta prendendo forma nell’esperimento dei Virtual Seminars: Cromohs si appresta a essere sempre più una «revue interactive», confermandosi come un punto di riferimento della storiografia digitale.

Note

[1] A. Criscione, S. Noiret, C. Spagnolo e S. Vitali (a cura di), La Storia a(l) tempo di Internet: indagine sui siti italiani di storia contemporanea (2001-2003), Bologna, Pàtron, 2004.

[2] Cfr. S. Noiret (a cura di), Il sito Trentoincina [www.trentoincina.it]: ovvero come e perché si crea un sito storico in rete anche se non si è del mestiere, «Memoria e Ricerca», n. s., 10, 2002, pp. 125-134, <http://www.racine.ra.it/oriani/memoriaericerca/trentoincina.htm>. Per un diverso punto di vista, sostenuto dal Comitato di redazione di Reti Medievali ed esposto nella rubrica Spazio aperto, si veda l’intervento del 2 ottobre 2001 dal titolo Siti professionali e siti amatoriali, <http://www.rm.unina.it/contatti/Red-Spazioaperto.htm>.

[3] <http://barthes.ens.fr/atlasclio/>.

[4] Cfr. M. Livi, Gli «e-journal» storici: una panoramica internazionale, «Contemporanea», VIII, n. 4, ottobre 2005, pp. 757-767.

[5] <http://clio.rediris.es/>.

[6] <http://hispanianova.rediris.es/>.

[7] <http://www.tiemposmodernos.org/>.

[8] <http://www.cisi.unito.it/arachne/arachne.html>.

[9] <http://www.storiaefuturo.com/>.

[10] <http://www.storicamente.org/>.

[11] <http://www.mediterranearicerchestoriche.it/>.

[12] <http://www.quaderni.net/>.

[13] <http://www.unisa.it/ricerca/dipartimenti/dipsss/biblioteca/lettoeriletto/default.htm>.

[14] <http://dobc.unipv.it/scrineum/>.

[15] <http://www.storiadivenezia.it/>.

[16] <http://www.storiadifirenze.org/>.

[17] <http://www.retimedievali.it/>.

[18] <http://www.jstor.org/>.

[19] <http://www.historycooperative.org/>.

[20] <http://www.mulino.it/rivisteweb/index.php>.

[21] <http://www.francoangeli.it/riviste/elenco_sommari.asp>.

[22] <http://www.racine.ra.it/oriani/memoriaericerca/mronline.htm>.

[23] <http://www.cisui.unibo.it/frame_annali.htm>.

[24] R. Minuti, Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione, «Cromohs», 6, 2001, <http://www.cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html>, 3.