I giudici dell’Inquisizione romana: inquisitori e vescovi, commissari, nunzi, cardinali, papi[*]

Silvana Seidel Menchi
Università di Pisa

Quando, ormai parecchi anni fa, frequentai lungamente la decina di archivi dell’Inquisizione allora consultabili in Italia per condurre le ricerche sfociate nel volume Erasmo in Italia 1520-1580,[1] consideravo gli inquisitori come gli unici giudici della fede, come facevano tutti gli storici, basandosi senza troppi dubbi su uno stereotipo comunemente accettato. Oggi questa visione, che dipendeva molto dagli studi sull’Inquisizione spagnola, è del tutto superata, non tanto in seguito all’apertura degli archivi centrali delle Congregazioni del Sant’Ufficio e dell’Indice, che permettono di studiare l’attività dei cardinali inquisitori e degli stessi pontefici, ma per lo sviluppo interno degli studi, che da un decennio almeno hanno cominciato a prendere in considerazione le strutture e il funzionamento dell’Inquisizione romana secondo l’effettivo e documentato svolgimento, identificando così le caratteristiche proprie di questa istituzione.

La situazione degli studi e degli archivi alla fine degli anni ottanta

Gli studi sull’Inquisizione romana come istituzione sono abbastanza recenti. Dopo una prima fase che ebbe luogo alla fine dell’Ottocento e primi del Novecento, essi furono ripresi solamente negli anni ottanta, quando furono organizzati in Italia i primi convegni internazionali sull’Inquisizione, quello romano-napoletano nel 1981 da parte di Armando Saitta e quello triestino nel 1988 da parte di Andrea Del Col e Giovanna Paolin. Il grande sviluppo che ebbero da allora i lavori basati sulle fonti inquisitoriali dipese sostanzialmente dall’interessamento sempre più ampio che la ricerca universitaria riservò a queste tematiche. Nel convegno triestino, decisamente incentrato sugli archivi dell’Inquisizione in Italia, la mia relazione fece il punto sulle indagini immediatamente precedenti, mettendone in risalto due fasi: negli anni sessanta un interesse verso le grandi figure della filosofia, della scienza e della critica religiosa, con ricerche incentrate negli archivi maggiori; negli anni settanta la scoperta delle culture popolari, lanciata da Carlo Ginzburg con i libri sui benandanti e su Menocchio e maggiormente incentrata sugli archivi minori che cominciavano ad emergere, come quelli di Udine, Siena, Rovigo, Pisa, Firenze. Rilevai quindi che era appena cominciato ed era sommessamente in corso un altro cambiamento di prospettiva, facilitato dall’incontro con la storiografia dell’Inquisizione spagnola, ma nato all’interno degli studi sistematici e approfonditi condotti su alcuni fondi italiani (Napoli, Modena, Udine e Venezia): non si studiavano più gli inquisiti, ma gli inquisitori. Per valutare meglio la distanza tra la percezione di novità che questo cambiamento introduceva e la normalità con cui è oggi considerato questo orientamento vorrei citare alcune righe del mio contributo:[2]

Alcuni studiosi stanno spostando l’obiettivo della ricerca dall’oggetto al soggetto dell’attività inquisitoriale, dagli inquisiti agli inquisitori, dal dramma emotivo del processo alla logica impersonale della procedura. (...) Le ricerche condotte (...) sono state guidate dall’esigenza di chiarire senza residui il funzionamento del sistema, di cogliere il rapporto organico esistente fra istituzione e documentazione, di fare la storia globale di un singolo tribunale. I primi prodotti di queste indagini a lungo respiro sono tali da gettare un’ombra di approssimazione su gran parte dei risultati delle ricerche precedenti.

La ricerca di una nuova metodologia nell’analisi della documentazione di origine inquisitoriale era d’altronde palese nell’intervento di Carlo Ginzburg allo stesso convegno, pubblicato in altra sede con il titolo: L’Inquisitore come antropologo.[3] Ormai si cercava di capire come erano stati prodotti questi documenti, a quali interessi rispondevano gli inquisitori, come gli interessi degli storici incrociavano le domande degli inquisitori, cosa facevano in concreto gli inquisitori. Ma la scoperta più rilevante fu che anche i vescovi erano giudici di fede, oltre agli inquisitori, e che perciò la documentazione inquisitoriale si poteva reperire anche nei normali archivi vescovili.

Dal punto di vista dell’esplorazione documentaria (...), questa nuova fase delle indagini ha avuto l’effetto di fissare l’attenzione dei ricercatori sui fondi criminali degli archivi vescovili e comunali. Oggi i termini «Inquisizione» o «Santo Ufficio» non sono considerati come le uniche plausibili designazioni archivistiche di fondi ancora inesplorati; altrettanto e forse più promettente appare l’esplorazione delle serie dei processi criminali.

Negli atti di quello stesso convegno Andrea Del Col ed io pubblicammo un Elenco dei fondi inquisitoriali italiani attualmente noti. Ricordo ancora che la discussione più lunga riguardò la sua divisione in tre parti: Inquisizione romana, Inquisizione spagnola, tribunali laici. Si trattava di lasciare da parte l’ottica che fino ad allora aveva predominato in questo campo, l’ottica del diritto canonico, e di accettare lo spostamento in corso dalla storia della Chiesa alla storia della società. Optammo con convinzione, anche se con una certa apprensione, per la seconda prospettiva, che oggi nessuno mette più in discussione. Descrivemmo diciotto archivi dell’Inquisizione romana (più altri sei solo indicati), uno dell’Inquisizione spagnola (più due solo indicati), tre di tribunali laici. Era l’elenco più lungo fino ad allora mai pubblicato. In questa descrizione del 1991, dichiaratamente provvisoria e incompleta, comparivano sette archivi vescovili con processi di fede nella serie criminale o comunque privi di uno specifico fondo denominato «Sant’Ufficio» – Acqui Terme, Belluno, Bergamo, Feltre, Rovigo, Savona, Siena – tutti localizzati nell’Italia centro-settentrionale, per la maggior parte in città sedi stabili dell’Inquisizione[4].

Inquisitori al lavoro

La prima analisi recente dell’attività di un inquisitore nell’età moderna in Italia riguarda fra Marino da Venezia, dal dicembre 1544 al luglio 1550. I ventiquattro processi contro trentacinque imputati iniziati e condotti a termine durante il suo mandato non sono sempre e tutti svolti da lui, bensì anche dall’auditore del nunzio. L’autrice dell’importante ricerca, Anne Jacobson Schutte, pone il problema di chi facesse gli interrogatori e di come i giudici «scambiassero le idee e giungessero alle loro decisioni», ma adotta poi lo schema corrente di ritenere centrale la figura dell’inquisitore.[5]
Due ricerche di poco successive, che avevano lo scopo di ricostruire la storia istituzionale del Sant’Ufficio a Venezia nel primo Cinquecento, mostrarono che in effetti il giudice più importante, responsabile dei processi di fede, era il nunzio, e quindi il suo auditore, e che l’inquisitore rivestiva un ruolo di secondo piano.[6] Il più recente lavoro dedicato esplicitamente a un inquisitore italiano, uscito nel 2002, riguarda fra Felice Passeri da Montefalco, attivo nelle diocesi di Aquileia e di Concordia dal 1580 al 1584, diventato lui il giudice più autorevole rispetto al vicario patriarcale, che anzi si rifiuta in alcuni casi di partecipare ai processi di fede per contrastanti valutazioni giurisdizionali e gli cede controvoglia l’archivio del Sant’Ufficio[7].

I vescovi come giudici di fede

Negli studi dell’ultimo decennio del Novecento si fece strada l’idea che nell’Inquisizione romana i vescovi fossero giudici di fede a pieno titolo accanto agli inquisitori. Questa idea si rafforzò progressivamente, in particolare nella ricerca condotta da Giovanni Romeo sulla mancata caccia alle streghe nel tardo Cinquecento in Italia e nel volume di Adriano Prosperi sull’azione che la Chiesa italiana dispiegò contro il dissenso tra Cinquecento e Seicento tramite l’Inquisizione, la confessione sacramentale e la predicazione nelle missioni.[8] L’edizione critica dei processi dell’Inquisizione nel patriarcato di Aquileia dal 1557 al 1562 realizzata da Andrea Del Col dimostrò anzi come nella Repubblica di Venezia, e probabilmente in altre aree italiane, i giudici della fede prevalenti nei quattro decenni seguenti la costituzione della commissione cardinalizia nel 1542 fossero gli ordinari e non gli inquisitori, utilizzando tra l’altro uno straordinario fondo cinquecentesco dell’Inquisizione conservato nell’archivio vescovile di Feltre.[9]
La caccia ai processi inquisitoriali nei fondi diocesani in Italia venne quindi aperta in modo chiaro e programmatico. Il libro di Elena Brambilla sui rapporti tra confessione sacramentale, tribunali vescovili e inquisitori dal medioevo al secolo XVI ha posto una distinzione fondamentale tra il controllo giudiziario del dissenso religioso nell’Italia centro-settentrionale degli Stati regionali e cittadini, dove operavano gli inquisitori e i vescovi nelle sedi periferiche del Sant’Ufficio, e la situazione della Repubblica di Lucca, dello Stato Pontificio e del Viceregno di Napoli, dove operavano esclusivamente i vescovi, con l’eccezione di un ministro delegato dell’Inquisizione a Napoli.[10] Anche se va precisato, a scanso di equivoci, che la parte settentrionale dello Stato pontificio era dotata di nove sedi stabili dell’Inquisizione – oltre a quella nel dominio francese di Avignone – resta confermata la diversità tra le due Italie anche nel campo della repressione dell’eresia. Le ricerche finora pubblicate hanno individuato una serie di processi inquisitoriali negli archivi diocesani di Capua e Oria; abbiamo notizie riguardanti la diocesi di Sarno;[11] altri ritrovamenti riguardano diocesi dell’Italia centro-settentrionale: Novara, Savona, Ventimiglia, Lodi.[12]

Altri giudici di fede delegati

Una figura che spesso si trova all’opera in Italia è il commissario, un giudice inquisitoriale delegato a pieno titolo, anzi spesso con poteri speciali che gli permettevano di arrogarsi processi di fede già iniziati da altri. I commissari finora studiati operarono nella Repubblica di Venezia: fra Michele Ghislieri a Bergamo negli anni 1550-1551 nel caso del vescovo Vittore Soranzo, il canonico di Capodistria Annibale Grisonio in Istria e a Conegliano nel 1549 in connessione al processo contro il Vergerio, a Chioggia nel 1549 nel caso del vescovo Iacopo Nacchianti, in Friuli, Istria e Dalmazia come visitatore apostolico e commissario inquisitoriale nel 1558.[13] La documentazione del Grisonio è conservata nell’Archivio del Sant’Ufficio di Venezia per disposizioni emanate dal Consiglio dei dieci. È prevedibile che vengano identificati e studiati altri commissari, nel caso in cui la documentazione da loro prodotta sia fortunosamente sopravvissuta in altre sedi di conservazione.[14]
Un altro giudice apostolico di fede fu il maestro del Sacro Palazzo, il domenicano che assisteva il papa nelle questioni teologiche, oggi designato come teologo della casa pontificia o più semplicemente il teologo del papa. Egli aveva competenze soprattutto sulla censura della stampa nella diocesi di Roma, ma le sue decisioni avevano probabilmente un’influenza più ampia.[15] Se ci sia stato e dove sia eventualmente finito il suo archivio è un problema che noi storici ci poniamo spesso, finora senza possibilità di soluzione.

I poteri dei nunzi apostolici

Un tipo di giudice di fede esclusivo dell’Inquisizione romana fu il nunzio apostolico, rappresentante stabile del papa presso importanti corti italiane ed europee non solo sul piano diplomatico, ma anche su quello ecclesiastico, a partire dall’inizio del secolo XVI. Finora è stato studiato il nunzio di Venezia, che assunse funzioni inquisitoriali fin dagli anni venti del Cinquecento su richiesta della Repubblica Serenissima, che si era impegnata in un contenzioso giudiziario con il vescovo di Brescia, e quindi con la Santa Sede, per bloccare la grande persecuzione delle streghe diaboliche in Valcamonica dopo i sessantadue o ottanta roghi del 1518. Il nunzio di Venezia non solo ebbe normalmente poteri inquisitoriali, ma dal 1542 divenne definitivamente il giudice di fede più influente rispetto all’inquisitore e anche al vicario del patriarca – da quando questi entrò in azione nel 1558 – e più tardi rispetto al patriarca stesso. L’archivio del Sant’Ufficio di Venezia fu tenuto per molto tempo da un notaio del nunzio, non si sa se per tutto il Cinquecento o anche oltre, quando passò nelle mani dell’inquisitore. Non è escluso dunque che tra le carte della nunziatura ci possano essere processi inquisitoriali, come è attestato di sicuro per un costituto cui fu sottoposto il vescovo di Capodistria Pier Paolo Vergerio il 10 giugno 1546 dal nunzio Giovanni della Casa: la trascrizione era conservata in un «libro criminalium sub die suprascripta», ora inesistente nell’archivio del Sant’Ufficio di Venezia, e probabilmente rimasto tra i documenti del nunzio.[16]
Altri nunzi in Italia vennero nominati stabilmente a Napoli (1514), Firenze e Torino (1560), a Genova (1572), ma le loro funzioni riguardo alla repressione dell’eresia sono poco studiate, non essendoci pervenuta una documentazione organica che li riguardi paragonabile a quella veneziana. Se fossero i giudici di fede principali o se si limitassero a trattare le questioni giurisdizionali controverse ad alto livello è un problema che andrebbe affrontato nunziatura per nunziatura.

I cardinali dell’Inquisizione e dell’Indice

Se gli inquisitori, i vescovi, i nunzi e i commissari dell’Inquisizione romana sono stati poco studiati, meno note ancora sono l’attività e le scelte dei cardinali che sedevano nelle Congregazioni del Sant’Ufficio e dell’Indice, la cui documentazione è consultabile soltanto da qualche anno. Ricerche recenti hanno messo a fuoco l’operato del gesuita Roberto Bellarmino, cardinale impegnato soprattutto nella Congregazione dell’Indice agli inizi del Seicento, e di Giulio Antonio Santoro, il cardinale più influente del Sant’Ufficio alla fine del Cinquecento, papa mancato, di cui tuttavia è stata studiata l’autobiografia e non l’operato inquisitoriale.[17]
Ovviamente sono stati studiati anche i cardinali coinvolti nel processo a Galileo Galilei. Una ricerca pubblicata nel 1992, e quindi realizzata prima dell’apertura ufficiale dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, passa in rassegna la loro frequentazione delle sedute durante trentadue anni, dal 1611 al 1642 – da quattro anni prima delle denunce a nove anni dopo la sentenza contro Galilei –, per capire il motivo della differenza tra il numero dei cardinali presenti alla promulgazione della sentenza (dieci) e quelli che la firmarono (sette) e per verificare la presenza o l’assenza alle sedute del mercoledì e del giovedì dei cardinali Centini, Gallamino e Zapata, i soli che ricoprirono l’incarico sia all’inizio che alla fine del processo. L’analisi delle circa tremila sedute ha prodotto dei dati interessanti sui luoghi dove si svolsero le sedute stesse e su alcune caratteristiche dei cardinali (paese d’origine, studi, carriera, servizio episcopale); ma soltanto il primo quesito ha trovato grazie a questa indagine la sua risposta: era normale che nel documento, preparato in anticipo, venissero indicati tutti i cardinali teoricamente presenti a Roma, e che poi firmassero solo quelli effettivamente presenti all’atto.[18]
Oggi comunque disponiamo di una prima delineazione delle competenze della Congregazione del Sant’Ufficio per materia e per territorio, delle sue strutture burocratiche e del loro funzionamento. Al vertice della Congregazione stava il papa, coadiuvato da un numero variabile di cardinali, dai sei dell’origine, ai diciassette sotto Paolo IV fino ai ventitré di Pio IV, poi ridotti a nove, ma sempre comunque fissati dai singoli pontefici: ad esempio sotto Clemente X dal 1670 al 1676 i cardinali designati furono quindici. Essi non gestivano mai i processi in senso stretto, ma ne decidevano le questioni procedurali più rilevanti e la sentenza finale. Uno di loro portava la responsabilità primaria del funzionamento ordinario, rispondendo tra l’altro alle lettere degli inquisitori locali; dal Seicento ebbe il titolo di cardinale segretario. Il lavoro giudiziario diretto era svolto normalmente dal commissario generale, sempre un domenicano. Il primo commissario generale fu Michele Ghislieri, che venne nominato il 3 giugno 1551; nel 1553 fu istituita un’altra figura, quella dell’assessore, che era spesso un vescovo, con il compito di controllare il lavoro dei funzionari inferiori e di predisporre il materiale per le sedute dei cardinali. La serie dei Decreta Sancti Officii, quasi del tutto integra, permette di analizzare le decisioni del papa e dei cardinali inquisitori nel corso dei secoli.[19]
Una prima lettura dei Decreta nei primi decenni mi ha fatto individuare alcune spie che indicano come probabilmente i cardinali del Sant’Ufficio non equiparassero sempre senza problemi l’eresia, cioè un reato di opinione, ad un reato criminale e come la comminazione della tortura diventasse negli anni cinquanta un assillo, un’inquietudine persistente, tanto che il 29 aprile 1557 Paolo IV diede loro facoltà di emettere «voti e sentenze che comportassero tortura, mutilazioni e spargimento di sangue, fino alla morte inclusa, senza per questo incorrere in censura o in irregolarità», e la stessa dispensa fu concessa il 28 ottobre ai ministri demandati all’applicazione della tortura.[20]

I papi

I giudici di fede dell’Inquisizione romana meno studiati in assoluto, per quanto possa sembrare strano, restano comunque i papi, anche quelli che svolsero un ruolo cruciale nel promuovere o dirigere la Congregazione del Sant’Ufficio. Non c’è un libro o un articolo autonomo o una ricerca specifica su Paolo IV, Pio V, Sisto V, né su Clemente VIII, Urbano VIII, Benedetto XIV o Pio X come responsabili dell’Inquisizione. Solo perché gli archivi centrali erano chiusi? Forse. C’è comunque in corso uno studio su Pio V, in particolare l’edizione critica delle lettere che egli scrisse dal 1551 al 1565 come commissario generale e poi cardinale all’inquisitore di Genova fra Girolamo Franchi, in servizio dal 1548 al 1567, e alcune al vicario arcivescovile Egidio Falcetta, ma esse si trovano in un codice conservato nella Biblioteca universitaria di Genova,[21] dunque in una sede accessibile da molto tempo.
In conclusione, i problemi degli studiosi nell’affrontare la storia istituzionale del Sant’Ufficio non sono solo quelli connessi alla disponibilità degli archivi, ma anche ad altre questioni essenziali, spesso di natura storiografica. Vorrei concludere con una di queste questioni: come mai in Italia l’Inquisizione è rimasta a lungo un oggetto abbastanza sconosciuto, non solo in riferimento ai semplici inquisitori, ma anche ai papi?

Note

[*] Ringrazio sinceramente Andrea Del Col per aver discusso con me il presente contributo e per alcune preziose indicazioni.

[1] Cfr. S. SEIDEL MENCHI, Erasmo in Italia, 1520-1580, Torino, Bollati Boringhieri, 1987.

[2] S. SEIDEL MENCHI, “I tribunali dell’Inquisizione in Italia: le tappe dell’esplorazione documentaria”, in L’Inquisizione romana in Italia nell’età moderna. Archivi, problemi di metodo e nuove ricerche, Atti del seminario internazionale (Trieste, 18-20 maggio 1988), a cura di A. DEL COL e G. PAOLIN, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1991, pp. 76-77.

[3] Cfr. C. GINZBURG, “L’inquisitore come antropologo”, in Studi in onore di Armando Saitta dei suoi allievi pisani, a cura di R. POZZI e A. PROSPERI, Pisa, Giardini, 1989, pp. 23-33.

[4] Cfr. S. SEIDEL MENCHI, I tribunali dell’Inquisizione in Italia cit., pp. 80-85, citazione p. 77.

[5] Cfr. A. JACOBSON SCHUTTE, “Un inquisitore al lavoro: fra Marino da Venezia e l’Inquisizione veneziana”, in I francescani in Europa tra Riforma e Controriforma. Atti del XIII Convegno della Società internazionale di studi francescani (Assisi, 17-19 ottobre 1985), Perugia, Università di Perugia, Centro di studi francescani, 1987, pp. 167-195.

[6] Cfr. A. DEL COL, “Organizzazione, composizione e giurisdizione dei tribunali dell’Inquisizione romana nella repubblica di Venezia (1500-1550)”, Critica storica, XXV, 1988, pp. 244-294; ID., “L’Inquisizione romana e il potere politico nella repubblica di Venezia (1540-1560)”, Critica storica, XXVIII, 1991, pp. 189-250.

[7] Cfr. R. BONETTI, “L’attività dell’inquisitore di Aquileia e Concordia fra Felice Passeri da Montefalco (1580-1584): ricognizione cronologica e analisi quantitativa”, Metodi e ricerche, n.s., XXI, n. 2, 2002, pp. 101-143.

[8] Cfr. G. ROMEO, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controriforma, Firenze, Sansoni, 1990; A. PROSPERI, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996.

[9] Cfr. A. DEL COL, L’Inquisizione nel patriarcato e diocesi di Aquileia, 1557-1559, prefazione di A. Jacobson Schutte, Trieste - Montereale Valcellina, Edizioni Università di Trieste - Centro Studi Storici Menocchio, 1998.

[10] Cfr. E. BRAMBILLA, Alle origini del Sant’Uffizio. Penitenza, confessione e giustizia spirituale dal medioevo al XVI secolo, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 441-466, 528-540, 555-565.

[11] P. SCARAMELLA, «Con la croce al core». Inquisizione ed eresia in Terra di Lavoro (1551-1564), Napoli, La Città del Sole, 1995; A. FERRAIUOLO, “Pro exoneratione sua propria coscientia”. Le accuse per stregoneria nella Capua del XVII-XVIII secolo, Milano, Angeli, 2000; D. GENTILCORE, From Bishop to Witch. The System of the Sacred in Early Modern Terra d’Otranto, Manchester-New York, Manchester University Press, 1992; M. SEMERARO, Il tribunale del Sant’Officio di Oria. Inediti processi di stregoneria per la storia dell’Inquisizione in età moderna, Milano, Giuffrè, 2003. Per Sarno cfr. Guida degli archivi diocesani d’Italia, II, Archiva Ecclesiae, 36-37, 1993-1994, p. 239.

[12] Cfr. T. DEUTSCHER, “The Role of the Episcopal Tribunal of Novara in the Suppression of Heresy and Witchcraft, 1563-1615”, Catholic Historical Review, 77, 1991, pp. 403-421; Guida degli archivi diocesani d’Italia, III, Archiva Ecclesiae, p. 332; R. MASPER, “Cultura popolare nel territorio intemelio nel XVI e XVII secolo”, Bollettino della Associazione culturale di Riva Ligure, VI-VIII, 1995-1997, pp. 109-116; M. G. CASALI, “I documenti lodigiani dell’Inquisizione romana. Inventario generale e descrizione delle fonti”, Archivio storico lombardo, CXXVIII, 2001, pp. 367-378.

[13] Cfr. M. FIRPO, S. PAGANO, I processi inquisitoriali di Vittore Soranzo (1550-1558). Edizione critica, Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2004, pp. XLIII-XLIV; A. JACOBSON SCHUTTE, Pier Paolo Vergerio e la Riforma a Venezia, 1498-1549, Roma, Il Veltro, 1988, pp. 361-362; P. MOZZATO, Jacopo Nacchianti un vescovo riformatore (Chioggia 1544-1569), Chioggia, Edizioni Nuova Scintilla, 1993, pp. 65-71, 113-194 (trascrizione del fascicolo processuale del 1549); A. DEL COL, L’Inquisizione nel patriarcato e diocesi di Aquileia cit., pp. XXXII-XXXVIII.

[14] E. BRAMBILLA, Alle origini del Sant’Uffizio cit., pp. 354-355, 449, e 563-564, propone di considerare commissari fra Felice Peretti da Montalto a Venezia, l’inquisitore della Toscana e il ministro dell’Inquisizione a Napoli; ma i primi due furono semplicemente inquisitori con competenza su tutto lo Stato e il terzo ebbe una competenza e una funzione del tutto propria. Non sono in grado di valutare se fossero effettivamente commissari il vicario vescovile di Lucca nel 1549, fra Tommaso Stella a Lucca nel 1553 e il domenicano inviato a Siena nel 1559, pp. 457-460.

[15] Cfr. G. FRAGNITO, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605), Bologna, Il Mulino, 1997.

[16] Cfr. A. DEL COL, “Organizzazione, composizione e giurisdizione dei tribunali dell’Inquisizione romana” cit.

[17] Cfr. P. GODMAN, The Saint as Censor. Robert Bellarmine between Inquisition and Index, Leiden-Boston-Köln, Brill, 2000; S. RICCI, Il sommo inquisitore. Giulio Antonio Santori tra autobiografia e storia (1532-1602), Roma, Salerno Editrice, 2002.

[18] Cfr. P.-N. MAYAUD, “Les «Fuit congregatio sancti officii in ... coram ...» de 1611 à 1642. 32 ans de vie de la Congrégation du Saint Office”, Archivum Historiae Pontificiae, 30, 1992, pp. 231-289. 

[19] Cfr A. BORROMEO, “La congregazione cardinalizia dell’inquisizione (XVI-XVIII secolo)”, in L’Inquisizione. Atti del Simposio internazionale (Città del Vaticano, 29-31 ottobre 1998), a cura di ID., Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2003, pp. 323-344.

[20] Cfr. S. SEIDEL MENCHI, “Origine e origini del Santo Uffizio dell’inquisizione romana (1542-1559)”, in L’Inquisizione cit., pp. 291-321, in particolare 308-312.

[21] Cfr. la relazione di S. FECI al convegno internazionale Pio V nella società e nella politica del suo tempo, Bosco Marengo-Alessandria, 12-14 febbraio 2004.