Delio Cantimori e la cultura politica italiana del Novecento

Francesco Vitali
Università di Roma - La Sapienza

1. La complessa parabola politica e culturale di Delio Cantimori (1904-1966), storico degli eretici e dei giacobini, è stata, a cento anni dalla sua nascita, al centro dell’analisi e della riflessione del convegno internazionale di studi organizzato dal Dipartimento di Scienze storiche e socio-politiche della Luiss e dal Dipartimento di Scienze storiche e sociali dell'Università di Salerno nelle giornate del 27 e 28 maggio. La relazione di apertura di Francesco Perfetti ha inquadrato l’itinerario politico-culturale cantimoriano focalizzandosi precipuamente sulla profonda influenza che l’elemento politico-ideologico ha esercitato sulla sua percezione e valutazione. Perfetti, infatti, ha sottolineato le gravi difficoltà della storiografia italiana all’interno di un clima di “vera e propria guerra civile storiografica” a comprendere l’itinerario politico-culturale di questo grande intellettuale passato dal fascismo al comunismo.
In primo luogo, la lunga militanza fascista cantimoriana fondata su istanze mazziniane di derivazione paterna e suggestioni fiumane, poi vissuta nel segno dell’attualismo gentiliano e dello stretto rapporto umano e accademico instaurato col filosofo di Castelvetrano a partire dagli anni universitari alla Normale di Pisa (1924-1929) e mantenuto fino alla morte di quest’ultimo. Una genealogia culturale e spirituale fortemente ridimensionata dalla storiografia su Cantimori degli anni ’60 e ’70, come sottolinea Perfetti, che rammenta al riguardo la mancata pubblicazione della voce Delio Cantimori composta da Domenico Caccamo per il XVIII volume del Dizionario Biografico degli Italiani che proprio quel rapporto descriveva in tutta la sua rilevanza. Coordinate che hanno a lungo complicato la comprensione del momento e delle modalità del passaggio di Cantimori dal fascismo al comunismo attraverso una sua prematura datazione. Infine Perfetti ricorda il sostegno cantimoriano alle ricerche sul fascismo intraprese da Renzo De Felice culminato nelle due prefazioni firmate per la Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo (1961) e per il primo volume della biografia mussoliniana, Mussolini il rivoluzionario (1965).

2. I successivi interventi hanno evidenziato e analizzato le profonde oscillazioni e contraddizioni della parabola cantimoriana a partire dall’intervento svolto da Giuseppe Galasso sul rapporto tra Cantimori e la crisi dello storicismo. Galasso parte dagli Appunti sullo “storicismo” scritti e pubblicati nel 1945 su “Società” in cui Cantimori denuncia lo storicismo tedesco ed il suo rappresentante per eccellenza, Friederich Meinecke, per la prospettiva reazionaria e irrazionalistica ormai irrimediabilmente assunta, in cui i concetti si sostituiscono alla storia dei fatti. Lo stesso Carlo Antoni nonostante critichi Meinecke viene a lui accomunato da Cantimori che lo accosta per i suoi sbocchi sociologici e teologici anche ad un altro noto rappresentante del mondo culturale tedesco: Ernst Troeltsch. In questo modo, come sottolinea Galasso, Cantimori pone l’Antoni al di fuori della metodologia della storiografia razionale crociana e cerca di accreditarsi come unico depositario della prospettiva crociana. Infatti lo storico romagnolo individua nella storiografia del Croce l’unica alternativa in grado di superare l’astrattezza dell’Illuminismo e i problemi lasciati insoluti dalle ricette dello storicismo tedesco. Un’analoga impostazione di natura non esclusivamente teoretica, rileva il Galasso, emerge anche nella prefazione del ‘49 agli Eretici italiani, a lungo inedita, dove Cantimori marca fortemente l’adesione alla storiografia crociana sostenendo che il suo passaggio dalla filosofia al metodo storico positivo fondato sull’erudizione era avvenuto molti anni prima, nel 1935, a seguito della polemica sostenuta con Croce a proposito della Introduzione cantimoriana alla traduzione italiana del libro di Frederik Church, I riformatori italiani. Inoltre nello stesso scritto lo storico romagnolo evidenzia nella genesi degli Eretici, accanto al debito crociano, anche quello contratto nei confronti di Antonio Gramsci.
Il relatore si domanda criticamente fino a che punto queste asserzioni sanciscano l’effettivo distacco di Cantimori dall’attualismo e la piena adesione alle categorie crociane visti gli elementi di ben altro segno riscontrabili in altri interventi cantimoriani del secondo dopoguerra. In questa direzione, infatti, Galasso ricorda come l’interpretazione del marxismo dialettico fornita da Cantimori nei suoi scritti del ’46-’47 sia fondata sulle tesi di Giovanni Gentile e non su quelle crociane. Inoltre, gli assunti esposti negli Appunti e nella prefazione agli Eretici vengono contraddetti dalle considerazioni formulate sullo storicismo nello scritto del 1966 Storia e storiografia in Benedetto Croce. Nell’occasione lo storico romagnolo rileva che le categorie della storiografia di Croce (apparentato anche qui a Gramsci e a Togliatti), fondata sulla distinzione tra res gestae e historia rerum gestarum, impediscono di giungere alla formulazione di valutazioni generali ulteriori rispetto all’indagine filologica e all’accertamento preciso del fatto. In altri termini viene recuperata quella istanza storicistica respinta dal ’45 in poi a vantaggio del momento erudito ora nuovamente denunciato nelle sue insufficienze strutturali.

3. Un Cantimori ben più complesso di quello ufficiale emerge anche dalla relazione di Paolo Simoncelli riguardo al suo rapporto col mondo politico-culturale tedesco. Questo intervento registra la novità più rilevante sotto il profilo documentario del convegno, dando contezza del manoscritto Il movimento nazionalsocialista 1919-1933 composto da Cantimori nel ’41 e della vicenda annessa ricavata dal carteggio con Gioacchino Volpe. Il lavoro, infatti, nato nel ’39 su sollecitazione di Gioacchino Volpe che vuole pubblicarlo nei quaderni dell’Ispi rimane inedito, a causa delle sopraggiunte resistenze cantimoriane. Fin dal titolo, lo scritto cantimoriano appare focalizzato sulla galassia movimentista nazionalbolscevica, antiliberale, antiborghese, che si oppone all’ordinamento democratico di Weimar e all’assetto internazionale stabilito a Versailles. Il giovane romagnolo mazziniano suggestionato dal fiumanesimo, fascista di sinistra, del resto, aveva seguito con grande interesse quella galassia sin dalla seconda metà degli anni Venti con gli articoli su “Vita Nova”, fino alle Note sul nazionalsocialismo pubblicate nel ’34 dall’“Archivio di studi corporativi”. Una postilla aggiunta a queste Note che registra la sconfitta dell’ala di sinistra, rivoluzionaria antiborghese del nazionalsocialismo degli Strasser e delle SA di Roehm eliminate dalle SS e da Hitler nella notte dei lunghi coltelli, sancisce il distacco pubblico di Cantimori da questi temi. Simoncelli sottolinea, infatti, un marcato cambiamento di orientamento nella percezione del totalitarismo nazista rilevabile nelle voci pubblicate nel ’40 (Germania: storia e problemi politici e Nazionalsocialismo) sul Dizionario di politica. Rispetto ad esse, pertanto, il manoscritto in questione – che si inserisce all’interno delle nuove condizioni di politica internazionale determinate del patto Molotov-Ribentropp del ’39 poi definitivamente mutate dall’invasione tedesca dell’Urss nell’agosto ’41 – segna una ulteriore discontinuità.

4. Dalla sotterranea persistenza di queste pulsioni appare inoltre, secondo Simoncelli, abbastanza comprensibile il passaggio dal fascismo al comunismo compiuto da Delio Cantimori in chiave anticapitalistica, antiborghese e antiliberale. Scelta sulla quale sotto il profilo culturale si sofferma l’ultima relazione di questa prima giornata tenuta da Giuseppe Bedeschi. Riferimento privilegiato dell’intervento di Bedeschi sono le Interpretazioni e studi intorno al pensiero di Marx e di Engels 1919-1939 che costituiscono l’oggetto del corso tenuto da Cantimori nel ’46-’47 all’università di Pisa. La caratteristica prevalente di queste considerazioni consiste nell’attenzione alle posizioni eretiche nel marxismo. Emblematica in tal senso è la distinzione tra Marx ed Engels che lo storico romagnolo sviluppa, prendendo le distanze dalla formazione teologica di Engels e dalla sua dialettica della natura vera e propria Bibbia dell’ortodossia marxista. Lo storico romagnolo rimarca l’alterità rispetto alla prospettiva di Engels del pensiero formulato da Marx, storico, specifico, non ideologico, soffermandosi lungamente sui suoi scritti giovanili del 1844-48. Inoltre, in linea con quanto accennato da Galasso, Bedeschi evidenzia come pur citando sia Croce sia Gentile quali paradigmi storiografici e capisaldi nell’interpretazione marxista, Cantimori segua decisamente l’impostazione gentiliana del Marx antinaturalista e dialettico rispetto alla prospettiva crociana di Marx sociologo e storico realista. In questa direzione, sottolinea il Bedeschi è estremamente indicativo anche l’apprezzamento cantimoriano per un altro testo tacciato dal marxismo ufficiale di idealismo e revisionismo: Storia e coscienza di classe di Gyorgy Lucaks del 1923, che sostiene appunto il carattere schiettamente dialettico ed immanentistico del marxismo in totale dissenso con le tesi di Engels. Proprio la persistenza dell’interpretazione gentiliana della dialettica marxista come “rovesciamento della prassi” nella visione cantimoriana, conclude problematicamente il Bedeschi, alimenta una mai risolta contraddizione nel marxismo dello storico romagnolo tra istanza dialettica e analisi di situazioni specifiche e concrete avulse da qualsiasi presupposto.

5. Nella seconda giornata, con la relazione d’apertura di Domenico Caccamo, riprende l’analisi del rapporto tra Delio Cantimori ed il mondo politico-culturale tedesco, con particolare attenzione alla Germania weimariana. Caccamo sottolinea l’interesse con cui Cantimori guarda ai giovani delle formazioni politiche antidemocratiche, sensibile alle loro rivendicazioni nazionali anti-Versailles ed ai loro toni populistici volti a conciliare rivoluzione nazionale e sociale. Suggestioni documentate, sia dagli articoli scritti su “Vita Nova” nel ’28-’29, sia dalla tesi di laurea Ulrico von Hutten e i rapporti tra Rinascimento e Riforma in cui Cantimori individua proprio in Hutten la concreta espressione storica dei concetti di rivoluzione nazionale e sociale nella sua opposizione a principi e potenze straniere. Caccamo inoltre sottolinea la cesura rappresentata dalle Note sul nazionalsocialismo del ’34, rispetto alla quale i tre saggi apparsi sul primo numero di “Studi Germanici” del ’35 su Ernst Junger, Moeller Van der Bruck, Carl Schmitt, costituiscono una sorta di ultimo sussulto peraltro consapevole dell’esaurirsi delle speranze rivoluzionarie riposte nella Germania giovane, prima delle voci del ’40. Le simpatie cantimoriane vanno a Moeller van der Bruck, il meno sistematico dei tre, che ripropone l’asse tedesco-russo e l’opzione antioccidentalista. Nonostante Cantimori sia interessato alle istanze di organizzazione di una società fondata sulle macchine  proposte da Junger, considera quest’ultimo un semplice “letterato”. In chiave totalmente negativa infine lo storico romagnolo giudica Schmitt a causa della prevalenza nel suo pensiero dell’istanza conservatrice del militarismo prussiano e della logica nemico-amico in forte contrasto con la sua impostazione storicista ed hegeliana. Caccamo ricorda in conclusione come ancora nella prefazione del ’60 a I cospiratori del 20 luglio ’44 di Gerhard Ritter Cantimori critichi l’autore per l’incapacità ad uscire dalla sua mentalità prussiana che gli impedisce di valutare adeguatamente i meriti e le motivazioni del nazionalbolscevico Niekisch.

6. La relazione di Michel Ostenc si sofferma nuovamente sul rapporto storico-culturale di Cantimori con Giovanni Gentile. Un rapporto iniziato in realtà fin dalle lezioni liceali a Ravenna di Galvano della Volpe. Certo, precisa l’Ostenc, Cantimori conosce prima il Gentile storico dell’eresia e della storiografia e l’interprete mazziniano. Soltanto dopo il suo ingresso in Normale nel '24, infatti, Cantimori approfondisce l’attualismo, secondo l’indirizzo immanentistico e anticlericale di Giuseppe Saitta suo professore nell’ateneo pisano e direttore della già menzionata “Vita Nova”. Il relatore evidenzia come tutte le tappe del suo fascismo sono vissute secondo la prospettiva dell’attualismo, a partire dal corporativismo. In questa direzione appare emblematica la recensione a Die socialistiche idee di Hendrik De Man, pubblicata nel ’33 su “Leonardo”, in cui sono affermate le tesi gentiliane dello stato etico corporativo, secondo un approccio che manca di un accurato sviluppo analitico e rimane filosofico e dottrinario. Coordinate gentiliane che lo storico romagnolo mantiene come attesta la critica manifestata a Spirito nella recensione, apparsa sul “Giornale critico della filosofia italiana” nel ’37, a La vita come ricerca  per l’uscita dall’attualismo e per l’approdo al problematicismo. Ostenc conclude, rilevando che il legame accademico con Giovanni Gentile rimane fondamentale per Cantimori ancora in pieno ’43 come conferma la sua intenzione del giugno di diventare vice-direttore della Normale di Pisa.

7. In ideale continuità con una parte della relazione di Michel Ostenc, Giuseppe Parlato affronta il rapporto tra Cantimori e Ugo Spirito, rimarcando i differenti tempi e la diversa ispirazione del loro corporativismo. In Cantimori, secondo Parlato, agisce costantemente la componente mazziniana antimonarchica, e negli interventi del ’29, ancora non corporativi, sul settimanale cagliaritano “Pattuglia” affiora l’influenza di Camillo Pellizzi. Solo con gli articoli di “Vita Nova” del ’29-’31 Cantimori sviluppa un’istanza corporativa secondo l’impronta del sindacalismo rivoluzionario tipica della sinistra fascista. In Spirito invece, che sviluppa compiutamente la sua prospettiva intorno al ’30, non agisce un empito rivoluzionario, anzi vi è una chiara opposizione ai motivi populistici antiborghesi della sinistra fascista ed alle suggestioni movimentiste antistatuali del fiumanesimo e della carta del Carnaro. La tesi della corporazione proprietaria, infatti, ricorda Parlato, riceve attacchi tanto da destra, quanto dalla sinistra sindacalista. Nel ’35, la convergenza con le teorie spiritiane si registra soprattutto sulla pars destruens e comunque in polemica con Fanelli ed i fascisti monarchici. Un accordo soprattutto tattico ed episodico visto il ben diverso giudizio, positivo quello di Cantimori, negativo quello di Spirito, espresso nello stesso anno sulle pagine dell’”Archivio di Studi corporativi” a proposito della pianificazione economica di Hendrik De Man. Inconciliabilità che emerge anche sulle riforme sociali attuate dal regime nazionalsocialista. Cantimori infatti parla di una legislazione conservatrice a livello sociale e sindacale mentre Spirito apprezza le misure antisindacali naziste e lo sviluppo avuto in Germania dalla corporazione aziendale che considera una degna alternativa alla corporazione proprietaria. Parlato poi ribadisce l’infondatezza della tesi per cui Cantimori tra il ’34 ed il ’37 sarebbe uscito dall’attualismo richiamando la già menzionata recensione cantimoriana del ’37 a La vita come ricerca. Infine il relatore a conferma di questa distanza ricorda l’assenza del gentiliano Cantimori al convegno dell’Ispi organizzato nel ’42 da Pelizzi per definire la nuova struttura politico-spirituale dell’Europa in cui Spirito propone un’economia di stato. 

8. Il quarto intervento, quello di Claudio Cesa, invece, si ricollega al problema affrontato da Giuseppe Galasso sul rapporto tra storicismo e storiografia nella prospettiva cantimoriana. Cesa rileva una sostanziale e non risolta oscillazione tra fatti e teorie che permane negli scritti dello storico romagnolo. Cantimori nel tempo non abbandona mai l’uso del termine storicismo a dimostrazione di una percezione della sua sempre viva carica di problematicità che non si esaurisce certo con gli Appunti del ’45. Se infatti, nella recensione del ’37 alla Vita come ricerca lo storico romagnolo da buon gentiliano ed hegeliano difende dagli attacchi di Spirito la riforma scolastica e lo storicismo gentiliano, parimenti considera la fase di produzione teoretica dell’idealismo italiano iniziata nel 1920 definitivamente esaurita nel 1931(riferimenti che corrispondono rispettivamente, alla nascita del “Giornale storico della filosofia italiana” ed alla pubblicazione della Filosofia dell’Arte). Inoltre Cesa ricorda come Cantimori parli di decadenza dello storicismo tedesco e dei suoi esponenti dell’età guglielmina con analoghi rilievi critici già nella recensione al libro di Carlo Antoni Dallo storicismo alla sociologia del ’40. Dove il ben diverso giudizio espresso sull’Antoni (allora positivo) conferma ulteriormente le considerazioni di Galasso sulla natura non esclusivamente teoretica degli Appunti del ‘45. Questi due piani teoretico e politico-culturale, interagiscono, secondo Cesa, anche successivamente nella Commemorazione di Adolfo Omodeo agli studenti della Normale di Pisa del ’47. In questo intervento, infatti, Cantimori sottolinea come le polemiche affrontate nel ’26 e ’28 dall’Omodeo e nate dalla critica allo storicismo gentiliano valorizzino uno storicismo fondato essenzialmente sul momento erudito e filologico propugnato dal modello crociano che evita la degenerazione dello storicismo in “filosofia della storia”. Asserzioni peraltro, come rilevato anche dai precedenti contributi, in contraddizione sia con gli scritti su Marx del ’46-’47 debitori delle interpretazioni di Gentile e Labriola, sia con le formulazioni del ’66 in memoria di Croce inequivocabile estrema certificazione di una tensione irrisolta.

9. La relazione di Sergio Bertelli si è svolta, invece, sul filo testimoniale della memoria. In primo luogo Bertelli ha ricordato che l’incontro di Cantimori con Donini a Parigi viene determinato dalla preoccupazione di sua moglie Emma Mezzamonti per l’adesione del marito all’associazione tedesca del Patto d’Acciaio. Tuttavia, le notazioni più significative del Bertelli riguardano il Cantimori del secondo dopoguerra, ed in particolare la sua fase marxista. In questa direzione Bertelli rammenta i tentativi di svincolare l’istituto Gramsci dallo stretto controllo del PCI attraverso l’apertura del suo comitato direttivo ai socialisti, compiuti nel momento in cui Mario Alicata subentra nell’istituto, su indicazione di Togliatti, a Colombi. Inoltre, a conferma ulteriore delle propensioni non propriamente dogmatiche del marxismo cantimoriano Bertelli accenna ai rapporti epistolari intrattenuti dallo storico romagnolo con Giuseppe Berti sempre osteggiato all’interno del PCI da Togliatti. Nella seconda parte del suo intervento infine Bertelli ricorda il periodo in cui si ritrova all’istituto Croce con Cantimori dopo la morte di Chabod, negli anni ’60. In particolare di quegli anni Bertelli ha menzionato gli incontri con Pietro Craveri in cui Cantimori parla della costante incomunicabilità emersa nei rapporti con il filosofo. 

10. Il Convegno si chiude con l’intervento di Eugenio Di Rienzo il quale fornisce nuovi significativi elementi sulla parabola cantimoriana. In primo luogo il Di Rienzo legge una lettera inedita di Sestan del ’44, che testimonia dello stupore generale sulla breve durata della transizione di Cantimori dal fascismo al comunismo. Del resto, Di Rienzo ricorda in proposito anche la collaborazione cantimoriana a “Civiltà fascista” durante il secondo conflitto mondiale. Tuttavia, precisa Di Rienzo è proprio lo stesso Cantimori a favorire e generare equivoci e confusioni sulla propria evoluzione politico-culturale attraverso un’opera di vera e propria “scomposizione e ricomposizione della tradizione intellettuale italiana successiva al 1918” attuata nel volume Studi di Storia del ’59. In questo rifacimento a posteriori, Cantimori rinnega ed espunge la grande genealogia culturale formata da Gentile e Gioacchino Volpe che presiede alla composizione degli Eretici a vantaggio del metodo storico positivista, della storiografia gramsciana, togliattiana e crociana. Genealogia la cui reale preminenza in relazione agli Eretici, del resto, Di Rienzo asserisce sulla base di vari elementi documentari, tra cui la ben nota lettera del ’38 inviata da Cantimori a Gentile mentre attende alla correzione delle bozze di una nuova edizione della Teoria dell’atto puro. Genealogia peraltro, sconfessata ben prima degli Studi di Storia, nella prefazione del ’49 agli Eretici già menzionata ed in altri interventi con riguardo specialmente a Gioacchino Volpe. Fin dal ’49, infatti, Cantimori lo definisce un “bruto naturalista” e nel ’52 addirittura un “cattivo maestro” fino all’accusa di fascismo rivoltagli nel ’60 nello scritto che commemora Chabod. Quindi una disarticolazione operata dall’interno e consapevolmente non capace tuttavia di nascondere tutte le tracce di segno contrario. Di Rienzo in proposito ricorda le Divagazioni profane su Marsilio Ficino del ’54 dove alla “esattezza bibliografica, l’acribia filologico-esegetica” degli studi di Kristeller su Ficino “uomo del Rinascimento”, viene opposta e in parte preferita la prospettiva storica del Saitta che evidenzia i caratteri di modernità e di originalità del pensiero di Ficino quale uomo dell’Umanesimo. Soprattutto poi, conclude Di Rienzo terminato il “lungo viaggio nel comunismo”, Cantimori nel ’62 anche se soltanto con una lettera privata restituisce a Volpe i suoi meriti ed il suo ruolo di grande maestro.
La partecipazione di storici e di storici della filosofia con analisi puntigliose, nuovi documenti e testimonianze dirette ha mostrato pertanto quanto sia ancor vivo il magistero cantimoriano e l’esigenza di riconsiderarlo criticamente alla luce dell’incidenza su di esso esercitata da tanti grandi maestri della cultura italiana secondo suggestioni e problematiche che evidentemente non possono esaurirsi in due sole giornate di convegno.