1. La prestigiosa collana ‘Erasmus Studies’ della University of Toronto Press, nata nel 1973, ha affiancato all’analisi del pensiero di Erasmo notevoli iniziative editoriali come la traduzione inglese degli Opera omnia e dell’Epistolario di Erasmo (avviate rispettivamente nel 1978 e nel 1974), ma anche repertori essenziali come i tre volumi dei Contemporaries of Erasmus. Si tratta di iniziative parallele alla nuova edizione, avviata nel 1969, degli Opera omnia Desiderii Erasmi Roterodami: recognita et adnotatione critica instructa notisque illustrata e alla traduzione francese dell’epistolario erasmiano[1]. Il vivace interesse nei confronti di Erasmo continua a produrre molti studi e accurate edizioni e traduzioni delle sue opere: non più solo l’Elogio della Follia, classico della cultura europea, ma sempre maggiore attenzione rispetto a testi ora per la prima volta tradotti[2], talvolta, come nel recente caso dei Colloquia, di Per una libera educazione e degli Adagia, opportunamente con l’originale latino a fronte[3]. Per le prime tracce della fortuna di Erasmo si può risalire indietro fino a quando l’umanista era ancora in vita, all’immagine che di sé volle dare attraverso le opere, ma anche a quella percepita dai suoi coevi attraverso la conoscenza diretta e indiretta. La storia della fortuna della figura e del pensiero di Erasmo diventa così un frammento di primo piano della storia culturale europea: per queste ragioni, insieme allo sforzo analitico e al contempo sintetico, si deve apprezzare l’imponente lavoro di Bruce Mansfield che giunge ora a completare la trilogia, proseguendo le ricerche avviate sin dagli anni Settanta con Phoenix of his Age: Interpretations of Erasmus c. 1550-1750 (Toronto, University of Toronto Press, 1979) e poi con Man On His Own. Interpretations of Erasmus, c 1750-1920 (Toronto, University of Toronto Press, 1992). Quest’ultimo volume presenta delle differenze rispetto ai precedenti: la varietà e la vastità della produzione del Novecento hanno costretto l’autore ad operare una scelta tematica, abbandonando quindi sia la divisione ‘ideologica’ nella ricezione del pensiero erasmiano che il criterio cronologico. Accuratamente e sapientemente l’Autore sceglie l’ordito con cui dipanare la fortuna di Erasmo, ‘to bring out the main themes of Erasmus scholarship’ in un secolo che ha visto dilatarsi a dismisura il numero di studiosi: i tre anniversari erasmiani, importanti occasioni di bilanci storiografici (su cui opportunamente Mansfield si sofferma); la centralità storiografica del pensiero politico e quella -assolutamente originale del XX secolo - del rapporto con i lettori coevi, senza trascurare i temi classici della teologia e della retorica. Gli interrogativi che avevano animato anche la storiografia precedente (teologia eterodossa e rapporto con i classici, soprattutto) hanno continuato a segnare i percorsi di analisi e di ricostruzione storica. Malgrado la permanenza di questi interrogativi, nel XX secolo l’interpretazione di Erasmo è stata completamente rinnovata, secondo Mansfield, da una parte dagli originali contributi di Bataillon e di Chomarat, che hanno impresso una svolta originale nella storiografia erasmiana, e dall’altra dal recupero cattolico - favorito dal Concilio Vaticano II -, che ha caratterizzato la fortuna novecentesca dell’umanista.
2. Nel 1936, quarto centenario della morte di Erasmo, l’affermazione e il consolidamento dei regimi totalitari offuscarono le celebrazioni erasmiane: furono poste alcune targhe nei luoghi dove Erasmo era vissuto tra Basilea e l’Olanda, concerti e altre iniziative pubbliche e celebrazioni furono organizzate. Interessanti contributi, come quelli di Mangan e di Dolfen, si occupavano del pensiero religioso ortodosso di Erasmo o di aspetti biografici. Ma fu lo storico olandese Johan Huizinga, con il suo ritratto di Erasmo, a individuarne i caratteri di precursore dell’Illuminismo (in primis, per il rifiuto del dogmatismo e di ogni forma di coercizione), aggiungendo così un’altra caratteristica al pensiero erasmiano. L’opera fu apprezzata e tradotta in tutta Europa. Sulla scia dell’Erasmo di Huizinga, attraverso la ricostruzione del pensiero, nel 1934 Stefan Zweig (Triumph und Tragik des Erasmus von Rotterdam, opera poi tradotta in diverse lingue e continuamente edita) riviveva il suo dramma di ebreo austriaco costretto a fuggire (e poi a morire suicida in Brasile), identificandosi nell’isolamento e nell’anticonformismo dell’umanista, come emerge dalla corrispondenza con Thomas Mann e Hermann Hesse. Zweig fu testimone dell’intreccio della propria vita con la riflessione sull’autore con tutto il tragico peso di contraddizioni e delusioni. Nel primo bilancio storiografico del XX secolo, quello del 1936, dominato dall’opera di Huizinga, bisogna ricordare anche l’edizione dell’epistolario a cura di Allen, una crescente attenzione a tutte le opere erasmiane ed un rinnovato interesse per le fonti del pensiero di Erasmo (come mostrano gli studi di Seebohm e di Hyma, rispettivamente rivolti a indagare il rapporto con l’umanista inglese John Colet e con i fratelli della vita comune e quindi con la Devotio moderna). Inoltre nel corso del Novecento largo spazio è stato dedicato all’analisi del pensiero politico di Erasmo, anche per le sollecitazioni derivanti dall’insegnamento contestualista di Quentin Skinner. Dal giudizio con cui Allen, autore della Storia del pensiero politico nel Sedicesimo secolo, liquidava come ovvie le idee politiche di Erasmo all’analisi più articolata di Brendan Bradshaw che ha visto addirittura il pensiero erasmiano come precursore della teologia della liberazione, la storiografia si è occupata delle fonti, ma anche dell’influenza degli eventi contingenti sulle opere di Erasmo. In questa prospettiva analitica L.K. Born, attraverso l’edizione e traduzione della Institutio principis christiani, evidenziò il modello isocrateo, mentre fu Otto Herding (1966) a ricondurre i concetti cristiani impiegati da Erasmo, libertas, caritas e crux che distinguono la Institutio alla tradizione medievale degli specula principis. Il pensiero politico di Erasmo è stato oggetto anche degli studi di Mesnard e di Koerber: riprendendo la definizione di Maritain di umanesimo integrale, il primo sottolinea come l’umanista sia riuscito a fondere elementi antitetici (cristianesimo e sapienza antica); più arduo l’obiettivo del secondo che intende analizzare l’idea di Stato nel pensiero erasmiano. Se poi nella Querela pacis si è a lungo riconosciuta, accanto ad una convergenza di elementi cristiani e di temi classici (Bainton), anche una tensione utopistica, messa in relazione con l’influenza dell’amico Thomas More, solo nel Novecento la storiografia ha iniziato a riconsiderare quest’ultimo aspetto: come molto giustamente Mansfield suggerisce, Erasmo ‘was not unaware of the dilemmas this posed, of the exigencies of power and institutional inertia’ (p. 42).
3. Nel Novecento s’infrange l’immagine di Erasmo come di una figura solitaria, grazie alla crescente attenzione nei confronti dei suoi contemporanei: Mansfield dedica un capitolo agli studi sui lettori e interlocutori dell’umanista. La fortuna di Erasmo va di pari passo con i sentimenti diffusi di riforma e di rifiuto delle forme tradizionali di spiritualità. In quest’ottica il saggio di Augustin Renaudet sulla preriforma ha esercitato un certo fascino sugli storici ed è diventato una base di partenza per molti: un esempio significativo di quell’originale approccio interpretativo è Erasme et l’Espagne di Marcel Bataillon. L’Erasmo di Bataillon era molto diverso da quello dei precedenti: era infatti l’Erasmo dei piccoli testi devozionali, immerso nella riscoperta e nel rinnovamento del cristianesimo, una sorta di testimone di impulsi e fermenti vivi nella Spagna del XVI secolo. Il libro riusciva anche a ridimensionare la portata della Historia de los heterodoxos di Menendez y Pelayo secondo cui l’erasmismo in Spagna era stato un movimento esclusivamente eterodosso. Al contrario, secondo Bataillon, influenti esponenti ecclesiastici abbracciarono la spiritualità erasmiana, una considerazione che anticipò il recupero da parte cattolica di Erasmo. Alle critiche mosse alla sua interpretazione, Bataillon reagì difendendo la sua persuasione del carattere profondamente religioso di Erasmo (dunque né scettico, né razionalista) e della centralità del pensiero erasmiano nella crisi spirituale del Cinquecento. Tra le critiche all’interpretazione di Bataillon sulla diffusione dell’erasmismo, si ricordi almeno quella di Nieto, per il quale il pensiero di Juan de Valdés non dipese affatto da Erasmo, ma aveva caratteri autoctoni spagnoli, ovvero discendeva da una corrente di pensiero che, prima di Lutero, su base scritturale, aveva affermato la giustificazione ex sola fide. A questa interpretazione, che intendeva sottolineare e valorizzare la matrice riformatrice spagnola e la sua autonomia rispetto a influenze diverse, ha risposto Carlos Gilly, dimostrando come tra le fonti di Valdés ci fossero Lutero e altri riformatori (pp. 50-51). Dopo Bataillon, diversi studi si sono occupati della fortuna erasmiana in contesti nazionali, come la Germania - dove Holinczek ha evidenziato una diffusione popolare delle opere erasmiane - l’Olanda (Hoenderdaal, Gerlo), l’Inghilterra (McConica, Fox, Dowling), l’Europa orientale (Cytowska, Backvis). Più complessi i rapporti tra Erasmo e l’Italia: qui l’antinomia Erasmo-riformatori sembra, infatti, quasi svanire e Erasmo rientra piuttosto nell’area dell’eresia. Dopo i saggi di Pierre de Nolhac e Renaudet, con Erasmo in Italia (1987), Silvana Seidel Menchi si è confrontata con le ricerche di Bataillon passando però dalla storia intellettuale a quella sociale, ossia dalla storia della fortuna di Erasmo rintracciata in fonti letterarie alla storia della diffusione delle idee erasmiane nella società, ‘dalla letteratura alla vita’, seguendo così il percorso indicato da Delio Cantimori. L’obiettivo di Seidel - di leggere “Erasmus ex Erasmi lectore” attraverso fonti diverse, come quelle archivistiche inquisitoriali (per la prima volta usate per indagare questo rapporto) -, riesce e innova profondamente gli studi erasmiani. Seidel ha così delineato pertanto un nuovo profilo dell’umanista e ha dato un forte impulso alla storiografia italiana a riprendere il dialogo con Erasmo.
4. Il quinto centenario della nascita di Erasmo ricorse in un momento effervescente della storia europea distratta dalle novità culturali e dalle contestazioni studentesche di quegli anni 1967-70. Mentre l’anniversario precedente, quello del 1936, era stato segnato da alcuni importanti ritrovamenti archivistici che chiarivano la biografia erasmiana, questo secondo fu contraddistinto dalla pubblicazione del primo volume degli Opera omnia, dall’avvio della traduzione francese dell’epistolario, e dalla monografia di Roland Bainton, Erasmo della cristianità, che accoglieva i risultati della migliore storiografia erasmiana, moderando i toni polemici. Alcuni temi, come quello del rapporto di Erasmo con i padri della Chiesa, furono sviluppati nei convegni celebrativi: a Mons, con due notevoli relazioni antitetiche, Béné e Godin anticiparono i loro fondamentali studi rispettivamente su Agostino e Origene, come fonti privilegiate[4]. Malgrado la incontestabile prevalenza di fonti agostiniane nelle citazioni esplicite di Erasmo, è impossibile stabilire l’assoluta esclusività di una fonte sull’altra, come giustamente hanno ammesso entrambi gli studiosi, anche se poi hanno rivendicato il merito di aver individuato la matrice prima e l’impronta diffusa del pensiero erasmiano. Negli stessi anni Kohls, Massaut e Payne hanno discusso del rapporto tra Erasmo e Tommaso d’Aquino attraverso l’analisi di alcune opere erasmiane. Ma l’occasione dell’anniversario consente anche di tracciare uno status questionis: spazio è stato dedicato a Basilea (Bietenholz), alla fortuna di Erasmo nei diversi paesi europei (Bataillon, Crahay, Screech, Seidel Menchi...), ma anche alla teologia erasmiana (sia da parte cattolica che protestante).
5. Nel corso del Novecento, ma con maggior insistenza dalla metà degli anni Sessanta, la lettura di Erasmo come patrimonio della Chiesa cattolica di Roma andò affermandosi, pur dovendo superare notevoli ostacoli. Alla vicenda del recupero cattolico ‘in the penombra of Vatican 2’, Mansfield dedica il quinto capitolo. Già durante le celebrazioni del 1966-1970, Jozef Coppens sosteneva che il pensiero di Erasmo avesse ispirato alcune conclusioni del Vaticano II e gli studi sulle fonti patristiche e sull’ecclesiologia erasmiana andavano nella stessa direzione. Sul rapporto di Erasmo con la Riforma e sulla controversia sul libero arbitrio, la storiografia, vastissima, si spacca: rappresentativi di queste opposte tendenze Oelrich e Augustijn[5]. Basandosi sulla corrispondenza erasmiana, Oelrich considerava la reazione di Erasmo alla Riforma come empirico-induttiva, condizionata dagli eventi basileesi, mentre Augustijn si soffermava, in linea con l’interpretazione liberale, sullo spirito d’indipendenza di Erasmo che si era rifiutato di schierarsi con entrambi i fronti contrapposti. Presiede la diversa interpretazione di Erasmo, nota Mansfield, la scelta delle opere prese in considerazione: se l’Erasmo di Huizinga era basato sostanzialmente sui Colloqui e sull’Elogio della Follia e quello di Bataillon sulle opere devozionali, negli anni Settanta si comincia a prestare sempre maggior attenzione soprattutto all’ermeneutica scritturale e alla Ratio verae theologiae del 1518. La teologia cristocentrica di Erasmo è vivamente sottolineata da Chantraine e Boyle che iniziano anche a rilevare il ruolo della retorica come elemento classico. A Erika Rummel, poi, si devono molti studi che hanno riportato al centro dell’interpretazione di Erasmo la sua innovativa ermeneutica scritturale che rompe con la tradizione, soprattutto con le Annotationes[6]: la sua interpretazione ha ottenuto un generale consenso sul ruolo della patristica per Erasmo, mentre ancora si discute del rapporto dell’umanista con Valla (pp. 144-148).
6. Insieme all’Erasmo e la Spagna di Bataillon, che aveva aperto il fertile terreno di confronto storiografico dei lettori coevi di Erasmo, il libro di Chomarat (Grammaire et rhetorique chez Erasme, 1981), ha rappresentato un polo di attrazione per gli studiosi erasmiani, avendo entrambi individuato due aspetti fondamentali del pensiero di Erasmo, l’uno della ricezione e l’altro del rapporto con la retorica. Già nel 1946 Walter Rüegg, in uno studio sulla traduzione umanistico-rinascimentale delle opere di Cicerone, aveva richiamato l’importanza del linguaggio e della retorica, anticipando alcune delle conclusioni di Chomarat e stabilendo una linea interpretativa antitetica rispetto a quella che voleva l’Erasmo teologo prevalere sul filologo[7]. Con un’attenta lettura delle opere, Chomarat dimostrava la natura di ‘pieux philologue’ di Erasmo, il quale proprio dalla retorica e dalla grammatica ricavava strumenti e armi per affrontare la teologia: la discussa traduzione di logos in sermo (e non più in verbum) primo verso del Vangelo di Giovanni avrebbe così assunto un altro significato. Nell’analisi sintetica di Chomarat e del dibattito seguito nei primi anni ’90, Mansfield riesce a guidare il lettore con abile competenza sui punti in discussione, senza perdersi in dettagli.
7. Nell’ultimo decennio del Novecento altri contributi hanno messo
in luce aspetti fino ad allora trascurati del pensiero erasmiano. Ad esempio
Lisa Jardine ha evidenziato la costruzione elaborata a tavolino della
figura di Erasmo a fini promozionali attraverso la pubblicazione di autoritratti,
ma anche l’ordine da lui dato alla raccolta di lettere che poi le
edizioni di Allen e quella della traduzione inglese hanno vanificato[8].
Ogni tomo aveva, infatti, un suo obiettivo determinato. Ancora sulla corrispondenza
di Erasmo, e nella prospettiva di indagare l’immagine che Erasmo
volle costruire di sé stesso, è tornato James D. Tracy che,
riprendendo un’indicazione di Halkin, ha suggerito di tenere conto
anche delle lettere che l’umanista aveva deciso di non pubblicare:
attraverso queste si potrebbe infatti comprendere meglio la logica che
presiedeva la scelta e l’individuazione di quelle per la pubblicazione[9].
Se l’anniversario del 1936 fu oscurato dall’ascesa di Hitler
e quello del 1966-1970 offuscato dalle proteste studentesche, nel 1986
si celebrò ampiamente Erasmo: Mansfield riserva ampio spazio all’Erasmus
Prize - istituito dalla corona olandese e assegnato all’intellettuale
ceco, Vaclav Havel, poi presidente della Repubblica, che non poté
ritirarlo personalmente -, all’intitolazione dell’Università
di Rotterdam ad Erasmo, e al fiorire di iniziative convegnistiche, soprattutto
quella di Tours, lamentando però la scarsa rappresentanza americana.
Si riaffacciò, in quell’occasione, il tentativo di leggere
il pensiero di Erasmo come sistematico, anche se permanevano spunti interpretativi
di direzione contraria. Cornelius Augustijn[10]
evidenziò la dialogicità della teologia erasmiana riprendendo
l’interpretazione di James D. Tracy che, attraverso tappe cronologiche,
aveva messo in risalto il progressivo sviluppo intellettuale di Erasmo:
contestando quegli studi che interpretavano Erasmo dalle fonti scelte
e anche quelli che limitavano i risultati al contesto contingente, Tracy
aveva sottolineato come gli esiti teorici derivassero dalle esperienze
personali dell’umanista[11].
In generale negli anni Ottanta numerose pubblicazioni mostrarono la persistenza
di un interesse vivace e vitale intorno all’umanista: l’intento
di superare le tante dicotomie che erano state individuate nel pensiero
erasmiano ha animato la maggior parte di questa produzione storiografica,
talvolta con la riscoperta di temi che avevano appassionato la generazione
di storici dell’Ottocento come il rapporto di Erasmo con l’Europa
e con gli stati nazionali (Buck, Margolin, Hägglund...).
8. Nella pluralità di prospettive e soprattutto nello sforzo di allargare lo sguardo all’intero corpus erasmiano, la storiografia del Novecento ha comunque risolto alcuni nodi interpretativi: in particolar modo si è riusciti a conciliare la apparentemente lacerante dicotomia del cristianesimo e della sapienza classica, a chiarire il rapporto tra il teologo e il retore e a indagare la percezione e ricezione delle opere erasmiane tra i lettori coevi. Così l’immagine di Erasmo ha raggiunto una maggiore complessità. Lo sforzo sintetico di Mansfield costringe ad alcune approssimazioni analitiche, forse inevitabili. Talvolta l’Autore procede più per accumulazione che per oculata scelta analitica: questo rende faticosa la lettura di un volume che è comunque destinato a diventare un essenziale strumento di lavoro: non soltanto una sorta di repertorio sulla fortuna storiografica di Erasmo e della cultura del primo Cinquecento, ma anche un profilo della storiografia del Novecento, un primo e chiaro orientamento critico nella vasta letteratura europea e nord-americana su Erasmo.
9. Nella storiografia erasmiana del XX secolo, è ancora dominante
la predilezione per le lettere come fonte primaria per la comprensione
del pensiero di Erasmo. In questa prospettiva, la traduzione inglese delle
lettere con i nuovi apparati critici che tengono ovviamente conto dei
risultati storiografici recenti, rappresenta un’iniziativa della
massima importanza che supera l’ancor utile lavoro di Allen. Dell’Epistolario
è uscito nel 2003 il dodicesimo volume, The Correspondence of Erasmus:
Letters 1658-1801 (1526-1527), che raccoglie le lettere dal 1526 al marzo
1527. La traduzione si deve ad Alexander Dalzell, mentre l’annotazione
è di Charles G. Nauert, ma il volume è arricchito anche
dalla traduzione del primo testamento di Erasmo, da alcune lettere di
Juan de Vergara e Juan Luis Vives in cui si tratta di Erasmo e soprattutto
da un interessante appendice di John H. Munro su Money, wages, and real
incomes in the Age of Erasmus (pp. 551-698). La prefazione di Nauert colloca
le lettere di Erasmo nel panorama storico-politico che vede Francesco
I prigioniero in Spagna. Le lettere qui pubblicate, che documentano le
vibranti critiche alle posizioni di Erasmo non solo dei Riformatori (Lutero
con il De servo arbitrio, pubblicato a ridosso della fine del 1525), ma
anche dei cattolici (principalmente Lovanio, la facoltà di teologia
di Parigi e Valladolid), sono di argomento vario: da quella al medico
Cigalini, che aveva criticato la traduzione erasmiana di Luca, 2.14, in
cui Erasmo affronta la questione della traduzione delle Sacre Scritture
(ep. 1680), a quella a Torresani per proporre l’edizione a Venezia
di alcune opere di argomento religioso (ep. 1746). Nel saggio di Munro,
le entrate di Erasmo sono efficacemente messe a confronto con i coevi
redditi medi, al fine di evidenziare la florida situazione economica dell’umanista,
che poteva contare su ingenti doni, gratifiche e compensi per la sua attività
editoriale.
In conclusione, il Novecento ha segnato il risveglio dell’interesse
per Erasmo, padre d’Europa per essere riuscito a trovare la migliore
e più profonda conciliazione delle autentiche radici classiche
e cristiane. Opere importanti, come quella di Mansfield insieme alla nuova
diffusione (e maggiore accessibilità) delle opere erasmiane, consentono
che quel patrimonio culturale continuamente reinvestito continui a dare
frutti.
[1] La correspondance d'Erasme: traduite et annotée d'après l'Opus epistolarum de P. S. Allen, H. M. Allen et H. W. Garrod, traduction intégrale en 12 volumes réalisée avec le concours du Fonds de la recherche, Bruxelles, Presses académiques européennes, 1967-1984.
[2] Antibarbari, a cura di L. D’Ascia, Torino, Aragno, 2002 e Scritti religiosi e morali, a cura di C. Asso, Torino, Einaudi, 2004.
[3] Colloquia. Testo originale a fronte, a cura di C. Asso, Torino, Einaudi, 2002; Per una libera educazione, a cura di L. D’Ascia, Milano, Rizzoli, 2004 e Adagia, a cura di D. Canfora, Roma, Salerno, 2002.
[4] C. Béné, Érasme et Saint Augustin ou Influence de Saint Augustin sur l'humanisme d'Érasme, Genève, Droz, 1969; A. Godin, Érasme, lecteur d'Origène, Genève, Droz, 1982.
[5] Der Späte Erasmus und die Reformation, Münster-Westfalen, Aschendorff, 1961; C. Augustijn, Erasmus en de Reformatie. Een onderzoek naar de houding die Erasmus ten opzichte van de Reformatie heeft aangenomen Amsterdam, H. J. Paris, 1962.
[6] Erasmus' "Annotations" on the New Testament: From Philologist to Theologian, Toronto-London, University of Toronto Press, 1986.
[7] Cicero und der Humanismus: formale Untersuchungen über Petrarca und Erasmus, Zürich, Rheinverlag, 1946.
[8] Erasmus, Man of Letters: The Construction of Charisma in Print, Princeton, Princeton University Press, 1993.
[9] Erasmus among the Postmodernists: Dissimulatio, Bonae Litterae, and Docta Pietas Revisited, in Erasmus' vision of the Church, ed. by Hilmar M. Pabel, Kirksville, Sixteenth Century Journal Publishers, 1995, pp. 1-40.
[10] Erasmus und seine Theologie. Hatte Luther Recht?, in Colloque érasmien de Liège: commémoration du 450e anniversaire de la mort d'Erasme, 1986, Liège, études rassemblées par Jean-Pierre Massaut, Paris, Les Belles lettres, 1987, pp. 49-68. Augustijn scrisse poi una monografia nel 1986 tradotta nelle principali lingue europee (Erasmo da Rotterdam: la vita e l'opera, Brescia, Morcelliana, 1989).
[11] Erasmus: the Growth of a Mind, Genève, Librairie Droz, 1972.