1. Presentando il volume di Maria Pia Casalena presso l’Università
di Bologna, la storica Gisela Bock ha osservato quanto modesto appaia
il sottotitolo scelto, Bibliografia, rispetto alla densità
e all’importanza dell’opera. Infatti, se il repertorio bibliografico
costituisce un impareggiabile strumento per la ricerca, poiché
raccoglie gli scritti di argomento storico pubblicati da donne italiane
tra 1800 e 1945, nonché la ricostruzione sintetica dei percorsi
professionali di molte delle autrici, la consistente Introduzione che
lo precede si rivela un vero e proprio saggio critico sulle modalità
di sviluppo e di espressione della storiografia prodotta da donne tra
Otto e Novecento.
Alla perplessità che, ancora recentemente, le studiose avanzavano
sulla esistenza di storiche italiane – mai citate nei saggi e nelle
sintesi di storia della storiografia – e alla supposta debolezza
e marginalità della presenza femminile nell’ambito della
conoscenza e della ricostruzione del passato,[1]
il volume risponde in termini incontrovertibili: non si tratta di assenza,
quanto piuttosto di invisibilità delle donne storiche, come dimostrano
i 4915 scritti storici prodotti nel corso di un secolo e mezzo e testimoniati
dalla Bibliografia.
Preceduto da una serie di iniziative ed interventi, attuati in diversi
contesti nazionali, che hanno cercato di recuperare all’analisi
la scrittura storica delle donne in modo sistematico ed approfondito,[2]
il lavoro di Maria Pia Casalena ha tratto ispirazione, in particolare,
dalla pubblicazione del Dizionario bibliografico delle storiche americane
curato da Scanlon e Corner.[3]
Rispetto a questo, tuttavia, Scritti storici di donne italiane
si propone di fornire non solo una rappresentazione il più completa
possibile della «consistenza» della partecipazione femminile
alla scrittura storica tra 1800 e 1945, ma anche della estrema varietà
di modelli e di interessi che tale partecipazione ha assunto nel periodo
in questione.
La scelta di presentare i dati raccolti in ordine cronologico, lungi dal
dimostrare uno svolgimento incontrastato e progressivo del rapporto tra
le donne italiane e la scrittura di storia, lascia emergere la coesistenza
di molteplici dimensioni e contesti, ufficiali e meno ufficiali, accademici
ed extra accademici, legati alla produzione scientifica e a quella divulgativa:
ciò suggerisce percorsi di approfondimento basati tanto su una
impostazione sincronica quanto diacronica.
Immediata, pertanto, è la percezione della nutrita sequenza di
spunti che si offrono alla riflessione, dei quali l’Autrice fornisce,
nel corso della Introduzione, una trattazione critica ed articolata.
2. Un primo filone di indagine è volto ad appurare le condizioni
di accesso delle donne alle fonti, agli archivi e a tutti gli strumenti
della ricerca storica nel periodo considerato, e a ricostruire il processo
di specializzazione e di professionalizzazione che ha portato all’esistenza,
tra 1910 e 1940, di un piccolo e riconoscibile gruppo di storiche accademiche
e di un più largo insieme di studiose comunque specializzate.
Questa direzione di ricerca riceve ulteriore spessore problematico dall’indagine
su quella variabile fondamentale che è la soggettività femminile,
a partire dal quesito, proposto da Casalena, su «quando è
avvenuto (se è avvenuto) l’avvicendamento tra una scrittura
storica variamente amatoriale e assolutamente dilettantesca, e una produzione
nella quale ormai fattori salienti della soggettività di genere
sono impercettibili, riassorbiti dai più alti ed ufficiali standard
metodologici ed espositivi.»[4]
Sulla base di questi livelli di analisi, l’Autrice imposta la ricostruzione
della vicenda della scrittura storica femminile in Italia secondo una
periodizzazione fortemente improntata allo svolgimento della storia politica
nazionale, almeno nella misura in cui questa è responsabile, a
più riprese, di sensibili cambiamenti nel rapporto tra donne ed
istruzione, tra donne e scrittura destinata alla pubblica circolazione,
e tra donne e professioni intellettuali.[5]
Il percorso inizia nel primo Ottocento, quando le donne sono chiamate
a cooperare con la loro opera ad un vasto movimento intellettuale e culturale
strettamente legato agli ambienti liberali e democratici, e si snoda fino
alla fine della seconda guerra mondiale, e più in generale fino
a quando perdura la secolare esclusione delle donne dal pieno godimento
dei diritti di cittadinanza nonché dal mondo della cultura «alta»,
dall’insegnamento superiore e dalla ricerca scientifica.
Lo specifico Indice biobibliografico delle autrici e dei nomi[6]
consente una rigorosa ricostruzione dello sviluppo della vicenda personale
e intellettuale delle singole autrici: ciò si rivela fondamentale,
ad esempio, nel caso delle patriote e delle congiunte degli eroi del Risorgimento,
spinte alla scrittura di argomento storico da fattori del tutto contingenti
e personali, e pertanto esenti da un confronto consapevole con le principali
categorie ed interpretazioni della storiografia, o anche solo della biografia
e della memorialistica.
3. I profili biobibliografici si dimostrano di una vitalità inesauribile
nel suggerire nuove ricerche, mentre il prospetto sulla presenza femminile
nei luoghi istituzionali della ricerca[7]
è utile per caratterizzare altri soggetti, i quali, relegati nelle
retrovie del laboratorio storiografico nazionale o in bilico tra più
versanti disciplinari, hanno comunque vissuto il contatto, spesso timoroso,
con interessi, tradizioni, magisteri e sistemi di valori sempre estremamente
rigidi nei loro confronti.
Escluse come erano dai più alti contesti della sociabilità
culturale ottocentesca, in cui si consumava quasi per intero e si definiva
la nuova produzione storiografica nazionale, le donne riuscirono ad inserirsi
tuttavia ad un livello più basso, percepito come popolare, deputato
alla produzione di opere che rappresentassero con semplicità ed
efficacia eventi e personaggi fondamentali per l’educazione nazionale,
civica e sociale del pubblico borghese. Si configurava così una
produzione modellata più sulla letteratura, in particolare su quella
moraleggiante ancora prevalente nel panorama librario italiano, nella
quale spiccano per quantità le biografie ed i plutarchi. Individuate
inizialmente quali lettrici, le donne «vennero per ciò stesso
ammesse anche come autrici (...) di profili e aneddoti destinati prevalentemente
al pubblico femminile.»[8]
Nel ricostruire questa parte del percorso appare fondamentale l’importanza
attribuita alle differenze che intercorrono tra i vari stati della penisola:
ulteriori indagini potrebbero approfondire l’influenza esercitata
da tradizioni culturali, ma soprattutto da ragioni strutturali ed organizzative
relative alla incipiente configurazione di «un nuovo tipo di industria
editoriale, attenta alle ragioni del mercato, pressoché uniforme
nell’appartenenza liberale, ed abile nel formulare strategie differenziate
di proposta e diffusione.»[9]
Un altro, cospicuo fuoco di interesse risiede nella significativa presenza,
in molti dei «medaglioni» pubblicati da donne ad inizio e a
metà Ottocento, di alcune caratteristiche riconducibili all’approccio
di genere verso la scrittura storica, nella quale si riflette, a volte
molto esplicitamente, la coscienza della contraddizione tra il ruolo di
storiche e testimoni e l’esclusione dagli ambienti forti, «virili»
delle decisioni e dell’azione che si sta narrando: si tratta di
un importante sintomo della specificità femminile nella scrittura
di storia, presente nelle biografie di età unitaria e ancora in
opere del pieno Novecento.
Se la progressiva opera di celebrazione del passato prossimo dello Stato
nazionale, realizzata da contributi di vario livello, anche divulgativo
e popolare, costituisce una caratteristica di continuità tra l’età
liberale ed il periodo post-unitario, nuovi e imponenti fattori determinano
il percorso della scrittura storica femminile italiana nel periodo compreso
tra il 1861 ed il 1922: la nascita e l’affermazione del sistema
scolastico femminile e l’accesso delle donne all’istruzione
superiore, ma anche la moltiplicazione dei laboratori storiografici, soprattutto
a carattere locale.
4. Tra gli spunti che questa nuova fase propone allo studio, mi preme
qui sottolineare una manifestazione peculiare, per cui le donne, progressivamente
inseritesi nel mondo della scuola, diventano anche autrici di manuali.
Come nota l’Autrice, l’importanza di questa produzione, che
raggiunge il suo culmine in età giolittiana, risiede nel fatto
che si tratta del primo caso in cui il mondo istituzionale e culturale
italiano riconobbe alle donne la prerogativa di partecipare a pieno titolo
ad un genere storiografico comunque importante e al centro dell’attenzione
del mondo politico.
Grazie a figure come Maria Cleofe Pellegrini, autodidatta, esperta di
pedagogia, estremamente aggiornata sulle più moderne teorie di
didattica della storia e vicina ad uno storico insigne come Corrado Barbagallo,[10]
la manualistica di argomento storico vive una stagione, destinata a prolungarsi
nell’epoca successiva, di grande emancipazione. Estremamente interessante
sarebbe analizzare questa produzione, approfondendone le caratteristiche
in termini di scelte tematiche ma anche di soluzioni didattiche e stilistiche,
ed insieme contestualizzando eventuali apporti di genere nel più
ampio discorso sull’uso sociale e pubblico della storia[11]
e sulla costruzione di canoni di conoscenze veicolati dalla manualistica.[12]
Nella rassegna sui laboratori individuali della produzione storica femminile
e sulle esperienze di ricerca professionale ed amatoriale, non si può
prescindere dall’importanza rivestita dal grande tema del Risorgimento
nelle opere delle donne. La storia del Risorgimento consente ad un vasto
numero di italiane di diversa età, percorso formativo ed orientamento
politico, di rendersi visibili a vari livelli come custodi di memorie
pubbliche e private e come studiose di un certo spessore.[13]
Tuttavia, i casi individuali e gli esempi proposti nel corso della Introduzione
dimostrano che anche questa larga e visibile partecipazione ad un determinato
settore storico-biografico si svolge nel segno di preclusioni tacite e
quasi assolute, di subalternità conclamate, di inclusioni decisamente
parziali, che diverranno appariscenti con la fondazione della storia del
Risorgimento come vera e propria disciplina e con la comparsa delle prime
cattedre stabili, intorno al 1936.[14]
E proprio durante il periodo fascista, nell’ambito della politica
scolastica del regime, sembra registrarsi una netta inversione di tendenza
nel rapporto tra le italiane e lo studio e la scrittura della storia:
escluse, come imposto dalla riforma Gentile, dalle cattedre di storia
e filosofia dei licei,[15]
dopo aver partecipato, in età liberale, alla costruzione di una
memoria prevalentemente risorgimentale dello Stato nazionale, le donne
vengono sollecitate ad occuparsi preferibilmente delle glorie della Roma
imperiale, ed in generale della storia antica. Ed è all’interno
di quest’ultima che, nel corso degli anni Trenta, le donne potranno
accedere all’insegnamento superiore e alla ricerca «alta»,
nonché ad importanti riviste specialistiche ed organi accademici,
mentre continua ad essere una regola la loro esclusione dai livelli più
alti della ricerca storica di argomento non antico.
5. Per quanto riguarda, invece, il settore della divulgazione, va considerata
l’apertura di nuovi spazi per la produzione femminile di argomento
storico: tra il 1925 ed il 1945 le figure degli eroi delle esplorazioni
e della fede cattolica contendono il primato a quelle pur sempre attuali
dei protagonisti del Risorgimento e della Grande Guerra, mentre la produzione
agiografica, promossa dallo «Stato educatore» a sostegno del
processo di nation building, diviene una delle più forti
«vocazioni» della scrittura femminile. Incisiva, per questa
fase, è la presenza «di attori relativamente nuovi ma già
importanti e soprattutto “indipendenti” del panorama editoriale
nazionale, e del mondo culturale e politico»: il riferimento è
alle maggiori presenze dell’iniziativa culturale ed editoriale cattolica,
affermatesi prima e dopo il Concordato.[16]
Le riflessioni svolte dall’Autrice nel corso della corposa Introduzione
la portano a formulare alcune constatazioni conclusive, ma nello stesso
tempo propositive per ulteriori studi.
In primo luogo, Casalena rileva come la produzione femminile di argomento
storico non sembri aver dato luogo ad alcuna tradizione o comunità
esclusiva, ad alcun dibattito originato dalla autopercezione delle autrici
della propria specificità di interpreti originali e peculiari della
ricostruzione delle vicende storiche: sempre dominante appare infatti
l’esigenza del confronto con i referenti tradizionali, che siano
la comunità locale o nazionale interessata al recupero di glorie
remote o risorgimentali, il mondo politico, la dimensione dell’insegnamento
superiore della disciplina. Questa constatazione funge anche da avvertenza
per le ricerche future, nelle quali sarà opportuno non forzare
troppo l’analisi alla luce di categorie interpretative o aspettative
consolidate, ed allenarsi a cogliere la singolarità negli scarti
forse meno percettibili ed esibiti rispetto alla «norma».
Funzionale a queste direttrici di ricerca è l’integrazione
della produzione storica delle autrici con la bibliografia generale di
ciascuna di esse, per fare emergere il significato ed il valore che esse
attribuivano all’attività di ricostruzione del passato e
quindi al lavoro storiografico. Le bibliografie specifiche rivelano un
altro dato significativo, ovvero la presenza femminile della totalità
degli ambiti disciplinari, e nell’ambito di luoghi e spazi, editoriali
e scientifici, diversi e spesso non pienamente specializzati ed accreditati:
importante sarebbe definire l’entità di questa partecipazione,
tenendo conto anche delle ricadute a livello di acquisizione di competenze
alternative rispetto a quelle storiografiche particolari, ma rivelatesi
altrettanto valide ai fini dell’elaborazione e della interpretazione
della scrittura storica stessa – come dimostra l’esperienza
di quante avevano familiarità con le materie dell’analisi
e della critica letteraria, filologica e stilistica.
6. In conclusione, le molteplici dimensioni presenti nella lunga vicenda
presa in considerazione la rendono irriducibile ad interpretazioni univoche
e a generalizzazioni. Se, infatti, la scrittura storica delle donne italiane
conobbe un incremento imponente anche ai livelli più alti, non
fu così per la possibilità di fare ricerca e di avviare
stabili carriere nei ranghi accademici e professionistici. Prima del 1945
molti luoghi della conoscenza storica rimasero ostili alla femminilizzazione
– è il caso della storia medievale – mentre altri diventarono
sedi di «forzata» specializzazione di genere. Una vera progressione
nell’accesso delle donne ai livelli più alti del mondo della
storiografia si verificò davvero solo nell’ambito della storia
antica, e limitatamente a precisi spazi di ricerca, quali la numismatica,
l’archeologia, la paleontologia.
Altre contraddizioni e discontinuità esigono un approfondimento
critico: il decadimento dell’interesse femminile per il genere biografico,
e al contrario l’affermazione, tutta novecentesca, degli scritti
agiografici, oppure l’abbandono delle tematiche di storia nazionale
per la propensione a vicende di realtà molto remote, come i paesi
balcanici o l’Asia; infine, la coesistenza tra una frequentazione,
relativamente modesta, di interessi particolari di genere – la storia
della moda o delle donne – e l’intervento in ambiti tradizionalmente
e decisamente più maschili, come la politica estera o la storia
finanziaria.[17]
È impossibile, pertanto, non condividere la speranza formulata
dall’Autrice stessa in conclusione al proprio saggio introduttivo,
e in apertura del repertorio bibliografico: l’incremento delle indagini
e delle ricostruzioni critiche relativamente all’attività
intellettuale e storiografica femminile, ma anche alla valorizzazione
di esperienze e prodotti nati in situazioni di estraneità o di
marginalità rispetto alla storiografia «ufficiale» o
dominante, è ora non più solo desiderabile, ma ormai anche
concretamente supportato da uno strumento di alto profilo e di inesauribile
fecondità.
[1] Cfr. I. Porciani e A. Scattigno,
Donne, ricerca e scrittura di storia in Italia tra Otto e Novecento.
Uno sguardo d’insieme, «Annali dell’Istituto storico
italo-germanico in Trento», 1997, p. 268.
[2] Oltre al contributo ormai
paradigmatico di B.G. Smith, The Gender of History: Men, Women and
Historical Practice, Harvard University Press, Cambridge Mass., 1996,
si vedano gli atti del primo convegno tenutosi in Italia su questo tema,
Storiche e storiografia femminile europea nella prima metà del
Novecento, in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico
in Trento», 1996, pp. 347-468. Del secondo convegno, Gender in
the production of history, cfr. gli atti pubblicati dall’Istituto
Universitario Europeo di Firenze a cura di L. Passerini e P. Voglis.
[3] J. Scanlon, S. Corner, American
Women Historians 1700s-1990s: a biografical Dictionary, Westport,
Greenwood Press, 1996.
[4] M. P. Casalena, Scritti
storici..., p. X.
[5] Sui criteri di periodizzazione
scelti cfr. p. XCV.
[6] Alle pp. 229-363.
[7] Alle pp. 393-403.
[8] Cfr. p. XIX.
[9] Ibidem.
[10] Si veda infatti l’articolo
dedicato dallo storico, fondatore della «Nuova Rivista Storica»,
alla studiosa:
C. Barbagallo, Maria Cleofe Pellegrini, in «Rivista pedagogica»,
1912.
[11] Sul concetto di uso pubblico
della storia si veda: M. Vaudagna, (a c. di), Gli usi pubblici della
storia, «Contemporanea», n° 2, 2002, pp. 327-64; G.
Ricuperati, Uso pubblico della storia. Sull’utilità e
sull’abuso di un concetto banalizzato, «Rivista Storica
Italiana», 2001, fasc. III, pp. 703-45.
[12] Tra i contributi dedicati
alla fonte manualistica e alla sua importanza, si vedano, tra gli altri:
I. Porciani, Il libro di testo come oggetto di ricerca. I manuali scolastici
dell’Italia postunitaria, in A. Santoni Rugiu, (a c. di), Storia
della scuola e storia d’Italia dall’unità ad oggi,
De Donato, Bari, 1982, pp. 237-70; U. Baldocchi, I manuali italiani
tra rinnovamento e continuità, «Passato e presente»,
n° 55, 2002, pp. 42-52. Considerazioni interessanti sulla forma-manuale
si trovano in G. Pomata, Storia particolare e storia universale. In
margine ad alcuni manuali di storia delle donne, «Quaderni Storici»,
n° 2, 1990, pp. 341-85.
[13] Sull’importanza
del Risorgimento in quanto «mito di fondazione dello stato-nazione»
cfr. I. Porciani, La festa della nazione, Bologna, Il Mulino, 1997.
Sullo spostamento significativo verso la storia risorgimentale avvenuto
anche nella scuola tra la fine degli anni ottanta e gli anni novanta dell’Ottocento
si veda: S. Soldani,
Il Risorgimento a scuola, in E. Dirani, (a c. di), Alfredo Oriani
e la cultura del suo tempo, Ravenna, Longo, 1985, pp. 133-72.
[14] Per la ricostruzione
della storia dell’università nel periodo postunitario sono
fondamentali: I. Porciani, (a c. di), L’università italiana.
Repertorio di atti e provvedimenti ufficiali (1859-1915), Firenze,
Olschki Editore, 2001; I. Porciani, M. Moretti, (a c. di), L’università
italiana. Bibliografia (1848-1914), Firenze, Olschki Editore, 2002.
Sul reclutamento dei docenti in generale cfr. M. Moretti, I. Porciani,
Il reclutamento accademico in Italia. Uno sguardo retrospettivo,
in «Annali di storia delle università italiane», 1997,
n° 1, pp. 11-39. Sull’organizzazione specifica della cattedre
di discipline storiche cfr. M. Moretti, Storici accademici e insegnamento
superiore della storia nell’Italia unita. Dati e questioni preliminari,
in «Quaderni Storici», n° 82, 1993, pp. 61-98.
[15] Sul sistema scolastico
fascista si veda J. Charnitzky, Fascismo e scuola, Firenze, La
Nuova Italia, 1996.
[16] M. P. Casalena, op. cit.
p. LXXXVIII.
[17] Sulla varietà
dei campi e settori di intervento e di ricerca femminili cfr. pp. LXIV-LXXXIV.