Maria Pia Casalena, Scritti storici di donne italiane.
Bibliografia 1800-1945
,
Firenze, Olschki Editore, 2003, pp. 403.
[€ 49.00 - ISBN: 88 222 5261 6]

Elena Migani
Università di Trieste

1. Presentando il volume di Maria Pia Casalena presso l’Università di Bologna, la storica Gisela Bock ha osservato quanto modesto appaia il sottotitolo scelto, Bibliografia, rispetto alla densità e all’importanza dell’opera. Infatti, se il repertorio bibliografico costituisce un impareggiabile strumento per la ricerca, poiché raccoglie gli scritti di argomento storico pubblicati da donne italiane tra 1800 e 1945, nonché la ricostruzione sintetica dei percorsi professionali di molte delle autrici, la consistente Introduzione che lo precede si rivela un vero e proprio saggio critico sulle modalità di sviluppo e di espressione della storiografia prodotta da donne tra Otto e Novecento.
Alla perplessità che, ancora recentemente, le studiose avanzavano sulla esistenza di storiche italiane – mai citate nei saggi e nelle sintesi di storia della storiografia – e alla supposta debolezza e marginalità della presenza femminile nell’ambito della conoscenza e della ricostruzione del passato,[1] il volume risponde in termini incontrovertibili: non si tratta di assenza, quanto piuttosto di invisibilità delle donne storiche, come dimostrano i 4915 scritti storici prodotti nel corso di un secolo e mezzo e testimoniati dalla Bibliografia.
Preceduto da una serie di iniziative ed interventi, attuati in diversi contesti nazionali, che hanno cercato di recuperare all’analisi la scrittura storica delle donne in modo sistematico ed approfondito,[2] il lavoro di Maria Pia Casalena ha tratto ispirazione, in particolare, dalla pubblicazione del Dizionario bibliografico delle storiche americane curato da Scanlon e Corner.[3]
Rispetto a questo, tuttavia, Scritti storici di donne italiane si propone di fornire non solo una rappresentazione il più completa possibile della «consistenza» della partecipazione femminile alla scrittura storica tra 1800 e 1945, ma anche della estrema varietà di modelli e di interessi che tale partecipazione ha assunto nel periodo in questione.
La scelta di presentare i dati raccolti in ordine cronologico, lungi dal dimostrare uno svolgimento incontrastato e progressivo del rapporto tra le donne italiane e la scrittura di storia, lascia emergere la coesistenza di molteplici dimensioni e contesti, ufficiali e meno ufficiali, accademici ed extra accademici, legati alla produzione scientifica e a quella divulgativa: ciò suggerisce percorsi di approfondimento basati tanto su una impostazione sincronica quanto diacronica.
Immediata, pertanto, è la percezione della nutrita sequenza di spunti che si offrono alla riflessione, dei quali l’Autrice fornisce, nel corso della Introduzione, una trattazione critica ed articolata.

2. Un primo filone di indagine è volto ad appurare le condizioni di accesso delle donne alle fonti, agli archivi e a tutti gli strumenti della ricerca storica nel periodo considerato, e a ricostruire il processo di specializzazione e di professionalizzazione che ha portato all’esistenza, tra 1910 e 1940, di un piccolo e riconoscibile gruppo di storiche accademiche e di un più largo insieme di studiose comunque specializzate.
Questa direzione di ricerca riceve ulteriore spessore problematico dall’indagine su quella variabile fondamentale che è la soggettività femminile, a partire dal quesito, proposto da Casalena, su «quando è avvenuto (se è avvenuto) l’avvicendamento tra una scrittura storica variamente amatoriale e assolutamente dilettantesca, e una produzione nella quale ormai fattori salienti della soggettività di genere sono impercettibili, riassorbiti dai più alti ed ufficiali standard metodologici ed espositivi.»[4]
Sulla base di questi livelli di analisi, l’Autrice imposta la ricostruzione della vicenda della scrittura storica femminile in Italia secondo una periodizzazione fortemente improntata allo svolgimento della storia politica nazionale, almeno nella misura in cui questa è responsabile, a più riprese, di sensibili cambiamenti nel rapporto tra donne ed istruzione, tra donne e scrittura destinata alla pubblica circolazione, e tra donne e professioni intellettuali.[5]
Il percorso inizia nel primo Ottocento, quando le donne sono chiamate a cooperare con la loro opera ad un vasto movimento intellettuale e culturale strettamente legato agli ambienti liberali e democratici, e si snoda fino alla fine della seconda guerra mondiale, e più in generale fino a quando perdura la secolare esclusione delle donne dal pieno godimento dei diritti di cittadinanza nonché dal mondo della cultura «alta», dall’insegnamento superiore e dalla ricerca scientifica.
Lo specifico Indice biobibliografico delle autrici e dei nomi[6] consente una rigorosa ricostruzione dello sviluppo della vicenda personale e intellettuale delle singole autrici: ciò si rivela fondamentale, ad esempio, nel caso delle patriote e delle congiunte degli eroi del Risorgimento, spinte alla scrittura di argomento storico da fattori del tutto contingenti e personali, e pertanto esenti da un confronto consapevole con le principali categorie ed interpretazioni della storiografia, o anche solo della biografia e della memorialistica.

3. I profili biobibliografici si dimostrano di una vitalità inesauribile nel suggerire nuove ricerche, mentre il prospetto sulla presenza femminile nei luoghi istituzionali della ricerca[7] è utile per caratterizzare altri soggetti, i quali, relegati nelle retrovie del laboratorio storiografico nazionale o in bilico tra più versanti disciplinari, hanno comunque vissuto il contatto, spesso timoroso, con interessi, tradizioni, magisteri e sistemi di valori sempre estremamente rigidi nei loro confronti.
Escluse come erano dai più alti contesti della sociabilità culturale ottocentesca, in cui si consumava quasi per intero e si definiva la nuova produzione storiografica nazionale, le donne riuscirono ad inserirsi tuttavia ad un livello più basso, percepito come popolare, deputato alla produzione di opere che rappresentassero con semplicità ed efficacia eventi e personaggi fondamentali per l’educazione nazionale, civica e sociale del pubblico borghese. Si configurava così una produzione modellata più sulla letteratura, in particolare su quella moraleggiante ancora prevalente nel panorama librario italiano, nella quale spiccano per quantità le biografie ed i plutarchi. Individuate inizialmente quali lettrici, le donne «vennero per ciò stesso ammesse anche come autrici (...) di profili e aneddoti destinati prevalentemente al pubblico femminile.»[8]
Nel ricostruire questa parte del percorso appare fondamentale l’importanza attribuita alle differenze che intercorrono tra i vari stati della penisola: ulteriori indagini potrebbero approfondire l’influenza esercitata da tradizioni culturali, ma soprattutto da ragioni strutturali ed organizzative relative alla incipiente configurazione di «un nuovo tipo di industria editoriale, attenta alle ragioni del mercato, pressoché uniforme nell’appartenenza liberale, ed abile nel formulare strategie differenziate di proposta e diffusione.»[9]
Un altro, cospicuo fuoco di interesse risiede nella significativa presenza, in molti dei «medaglioni» pubblicati da donne ad inizio e a metà Ottocento, di alcune caratteristiche riconducibili all’approccio di genere verso la scrittura storica, nella quale si riflette, a volte molto esplicitamente, la coscienza della contraddizione tra il ruolo di storiche e testimoni e l’esclusione dagli ambienti forti, «virili» delle decisioni e dell’azione che si sta narrando: si tratta di un importante sintomo della specificità femminile nella scrittura di storia, presente nelle biografie di età unitaria e ancora in opere del pieno Novecento.
Se la progressiva opera di celebrazione del passato prossimo dello Stato nazionale, realizzata da contributi di vario livello, anche divulgativo e popolare, costituisce una caratteristica di continuità tra l’età liberale ed il periodo post-unitario, nuovi e imponenti fattori determinano il percorso della scrittura storica femminile italiana nel periodo compreso tra il 1861 ed il 1922: la nascita e l’affermazione del sistema scolastico femminile e l’accesso delle donne all’istruzione superiore, ma anche la moltiplicazione dei laboratori storiografici, soprattutto a carattere locale.

4. Tra gli spunti che questa nuova fase propone allo studio, mi preme qui sottolineare una manifestazione peculiare, per cui le donne, progressivamente inseritesi nel mondo della scuola, diventano anche autrici di manuali. Come nota l’Autrice, l’importanza di questa produzione, che raggiunge il suo culmine in età giolittiana, risiede nel fatto che si tratta del primo caso in cui il mondo istituzionale e culturale italiano riconobbe alle donne la prerogativa di partecipare a pieno titolo ad un genere storiografico comunque importante e al centro dell’attenzione del mondo politico.
Grazie a figure come Maria Cleofe Pellegrini, autodidatta, esperta di pedagogia, estremamente aggiornata sulle più moderne teorie di didattica della storia e vicina ad uno storico insigne come Corrado Barbagallo,[10] la manualistica di argomento storico vive una stagione, destinata a prolungarsi nell’epoca successiva, di grande emancipazione. Estremamente interessante sarebbe analizzare questa produzione, approfondendone le caratteristiche in termini di scelte tematiche ma anche di soluzioni didattiche e stilistiche, ed insieme contestualizzando eventuali apporti di genere nel più ampio discorso sull’uso sociale e pubblico della storia[11] e sulla costruzione di canoni di conoscenze veicolati dalla manualistica.[12]
Nella rassegna sui laboratori individuali della produzione storica femminile e sulle esperienze di ricerca professionale ed amatoriale, non si può prescindere dall’importanza rivestita dal grande tema del Risorgimento nelle opere delle donne. La storia del Risorgimento consente ad un vasto numero di italiane di diversa età, percorso formativo ed orientamento politico, di rendersi visibili a vari livelli come custodi di memorie pubbliche e private e come studiose di un certo spessore.[13] Tuttavia, i casi individuali e gli esempi proposti nel corso della Introduzione dimostrano che anche questa larga e visibile partecipazione ad un determinato settore storico-biografico si svolge nel segno di preclusioni tacite e quasi assolute, di subalternità conclamate, di inclusioni decisamente parziali, che diverranno appariscenti con la fondazione della storia del Risorgimento come vera e propria disciplina e con la comparsa delle prime cattedre stabili, intorno al 1936.[14]
E proprio durante il periodo fascista, nell’ambito della politica scolastica del regime, sembra registrarsi una netta inversione di tendenza nel rapporto tra le italiane e lo studio e la scrittura della storia: escluse, come imposto dalla riforma Gentile, dalle cattedre di storia e filosofia dei licei,[15] dopo aver partecipato, in età liberale, alla costruzione di una memoria prevalentemente risorgimentale dello Stato nazionale, le donne vengono sollecitate ad occuparsi preferibilmente delle glorie della Roma imperiale, ed in generale della storia antica. Ed è all’interno di quest’ultima che, nel corso degli anni Trenta, le donne potranno accedere all’insegnamento superiore e alla ricerca «alta», nonché ad importanti riviste specialistiche ed organi accademici, mentre continua ad essere una regola la loro esclusione dai livelli più alti della ricerca storica di argomento non antico.

5. Per quanto riguarda, invece, il settore della divulgazione, va considerata l’apertura di nuovi spazi per la produzione femminile di argomento storico: tra il 1925 ed il 1945 le figure degli eroi delle esplorazioni e della fede cattolica contendono il primato a quelle pur sempre attuali dei protagonisti del Risorgimento e della Grande Guerra, mentre la produzione agiografica, promossa dallo «Stato educatore» a sostegno del processo di nation building, diviene una delle più forti «vocazioni» della scrittura femminile. Incisiva, per questa fase, è la presenza «di attori relativamente nuovi ma già importanti e soprattutto “indipendenti” del panorama editoriale nazionale, e del mondo culturale e politico»: il riferimento è alle maggiori presenze dell’iniziativa culturale ed editoriale cattolica, affermatesi prima e dopo il Concordato.[16]
Le riflessioni svolte dall’Autrice nel corso della corposa Introduzione la portano a formulare alcune constatazioni conclusive, ma nello stesso tempo propositive per ulteriori studi.
In primo luogo, Casalena rileva come la produzione femminile di argomento storico non sembri aver dato luogo ad alcuna tradizione o comunità esclusiva, ad alcun dibattito originato dalla autopercezione delle autrici della propria specificità di interpreti originali e peculiari della ricostruzione delle vicende storiche: sempre dominante appare infatti l’esigenza del confronto con i referenti tradizionali, che siano la comunità locale o nazionale interessata al recupero di glorie remote o risorgimentali, il mondo politico, la dimensione dell’insegnamento superiore della disciplina. Questa constatazione funge anche da avvertenza per le ricerche future, nelle quali sarà opportuno non forzare troppo l’analisi alla luce di categorie interpretative o aspettative consolidate, ed allenarsi a cogliere la singolarità negli scarti forse meno percettibili ed esibiti rispetto alla «norma».
Funzionale a queste direttrici di ricerca è l’integrazione della produzione storica delle autrici con la bibliografia generale di ciascuna di esse, per fare emergere il significato ed il valore che esse attribuivano all’attività di ricostruzione del passato e quindi al lavoro storiografico. Le bibliografie specifiche rivelano un altro dato significativo, ovvero la presenza femminile della totalità degli ambiti disciplinari, e nell’ambito di luoghi e spazi, editoriali e scientifici, diversi e spesso non pienamente specializzati ed accreditati: importante sarebbe definire l’entità di questa partecipazione, tenendo conto anche delle ricadute a livello di acquisizione di competenze alternative rispetto a quelle storiografiche particolari, ma rivelatesi altrettanto valide ai fini dell’elaborazione e della interpretazione della scrittura storica stessa – come dimostra l’esperienza di quante avevano familiarità con le materie dell’analisi e della critica letteraria, filologica e stilistica.

6. In conclusione, le molteplici dimensioni presenti nella lunga vicenda presa in considerazione la rendono irriducibile ad interpretazioni univoche e a generalizzazioni. Se, infatti, la scrittura storica delle donne italiane conobbe un incremento imponente anche ai livelli più alti, non fu così per la possibilità di fare ricerca e di avviare stabili carriere nei ranghi accademici e professionistici. Prima del 1945 molti luoghi della conoscenza storica rimasero ostili alla femminilizzazione – è il caso della storia medievale – mentre altri diventarono sedi di «forzata» specializzazione di genere. Una vera progressione nell’accesso delle donne ai livelli più alti del mondo della storiografia si verificò davvero solo nell’ambito della storia antica, e limitatamente a precisi spazi di ricerca, quali la numismatica, l’archeologia, la paleontologia.
Altre contraddizioni e discontinuità esigono un approfondimento critico: il decadimento dell’interesse femminile per il genere biografico, e al contrario l’affermazione, tutta novecentesca, degli scritti agiografici, oppure l’abbandono delle tematiche di storia nazionale per la propensione a vicende di realtà molto remote, come i paesi balcanici o l’Asia; infine, la coesistenza tra una frequentazione, relativamente modesta, di interessi particolari di genere – la storia della moda o delle donne – e l’intervento in ambiti tradizionalmente e decisamente più maschili, come la politica estera o la storia finanziaria.[17]
È impossibile, pertanto, non condividere la speranza formulata dall’Autrice stessa in conclusione al proprio saggio introduttivo, e in apertura del repertorio bibliografico: l’incremento delle indagini e delle ricostruzioni critiche relativamente all’attività intellettuale e storiografica femminile, ma anche alla valorizzazione di esperienze e prodotti nati in situazioni di estraneità o di marginalità rispetto alla storiografia «ufficiale» o dominante, è ora non più solo desiderabile, ma ormai anche concretamente supportato da uno strumento di alto profilo e di inesauribile fecondità.

Note

[1] Cfr. I. Porciani e A. Scattigno, Donne, ricerca e scrittura di storia in Italia tra Otto e Novecento. Uno sguardo d’insieme, «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», 1997, p. 268.
[2] Oltre al contributo ormai paradigmatico di B.G. Smith, The Gender of History: Men, Women and Historical Practice, Harvard University Press, Cambridge Mass., 1996, si vedano gli atti del primo convegno tenutosi in Italia su questo tema, Storiche e storiografia femminile europea nella prima metà del Novecento, in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», 1996, pp. 347-468. Del secondo convegno, Gender in the production of history, cfr. gli atti pubblicati dall’Istituto Universitario Europeo di Firenze a cura di L. Passerini e P. Voglis.
[3] J. Scanlon, S. Corner, American Women Historians 1700s-1990s: a biografical Dictionary, Westport, Greenwood Press, 1996.
[4] M. P. Casalena, Scritti storici..., p. X.
[5] Sui criteri di periodizzazione scelti cfr. p. XCV.
[6] Alle pp. 229-363.
[7] Alle pp. 393-403.
[8] Cfr. p. XIX.
[9] Ibidem.
[10] Si veda infatti l’articolo dedicato dallo storico, fondatore della «Nuova Rivista Storica», alla studiosa:
C. Barbagallo, Maria Cleofe Pellegrini, in «Rivista pedagogica», 1912.
[11] Sul concetto di uso pubblico della storia si veda: M. Vaudagna, (a c. di), Gli usi pubblici della storia, «Contemporanea», n° 2, 2002, pp. 327-64; G. Ricuperati, Uso pubblico della storia. Sull’utilità e sull’abuso di un concetto banalizzato, «Rivista Storica Italiana», 2001, fasc. III, pp. 703-45.
[12] Tra i contributi dedicati alla fonte manualistica e alla sua importanza, si vedano, tra gli altri: I. Porciani, Il libro di testo come oggetto di ricerca. I manuali scolastici dell’Italia postunitaria, in A. Santoni Rugiu, (a c. di), Storia della scuola e storia d’Italia dall’unità ad oggi, De Donato, Bari, 1982, pp. 237-70; U. Baldocchi, I manuali italiani tra rinnovamento e continuità, «Passato e presente», n° 55, 2002, pp. 42-52. Considerazioni interessanti sulla forma-manuale si trovano in G. Pomata, Storia particolare e storia universale. In margine ad alcuni manuali di storia delle donne, «Quaderni Storici», n° 2, 1990, pp. 341-85.
[13] Sull’importanza del Risorgimento in quanto «mito di fondazione dello stato-nazione» cfr. I. Porciani, La festa della nazione, Bologna, Il Mulino, 1997. Sullo spostamento significativo verso la storia risorgimentale avvenuto anche nella scuola tra la fine degli anni ottanta e gli anni novanta dell’Ottocento si veda: S. Soldani,
Il Risorgimento a scuola, in E. Dirani, (a c. di), Alfredo Oriani e la cultura del suo tempo, Ravenna, Longo, 1985, pp. 133-72.

[14] Per la ricostruzione della storia dell’università nel periodo postunitario sono fondamentali: I. Porciani, (a c. di), L’università italiana. Repertorio di atti e provvedimenti ufficiali (1859-1915), Firenze, Olschki Editore, 2001; I. Porciani, M. Moretti, (a c. di), L’università italiana. Bibliografia (1848-1914), Firenze, Olschki Editore, 2002.
Sul reclutamento dei docenti in generale cfr. M. Moretti, I. Porciani, Il reclutamento accademico in Italia. Uno sguardo retrospettivo, in «Annali di storia delle università italiane», 1997, n° 1, pp. 11-39. Sull’organizzazione specifica della cattedre di discipline storiche cfr. M. Moretti, Storici accademici e insegnamento superiore della storia nell’Italia unita. Dati e questioni preliminari, in «Quaderni Storici», n° 82, 1993, pp. 61-98.
[15] Sul sistema scolastico fascista si veda J. Charnitzky, Fascismo e scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1996.
[16] M. P. Casalena, op. cit. p. LXXXVIII.
[17] Sulla varietà dei campi e settori di intervento e di ricerca femminili cfr. pp. LXIV-LXXXIV.