1. Nel giugno del 1776 era pubblicato a Siena il primo dei diciotto volumi
che compongono la Storia filosofica e politica degli stabilimenti e del
commercio degli Europei nelle due Indie, la prima ed unica traduzione
integrale dell’opera di Raynal comparsa in Italia[1].
Prima di affrontare alcune questioni riguardanti l’edizione di quest’opera
e i criteri di traduzione, vorrei soffermarmi sui giudizi di due lettori contemporanei,
entrambi decisamente negativi. Il primo è di Giuseppe Bencivenni Pelli,
in quel periodo direttore della Reale galleria degli Uffizi e uomo chiave
della censura granducale[2]. Pelli
era un lettore assiduo di Raynal, che più volte, e a diverso titolo,
lo vedremo, ebbe occasione di esprimersi sull’Histoire des deux Indes.
Il 13 marzo 1776, pochi giorni dopo l’annuncio della traduzione, Pelli
notava sul proprio diario:
A Siena si propone di ristampare la Storia degli stabilimenti europei. Ella non può essere riprodotta in Italia se non mutilata contenendo troppe cose che offendono la teologia cristiana. Di più non importa durare la fatica di volgarizzarla. Chi è capace di gustare questo bellissimo libro deve intendere il francese e chi non lo intende non sentirà per la sua ignoranza il merito del medesimo. Le opere che non sono per il popolo o non sono per i ragazzi non conviene oggimai perdere il tempo a voltarle nella nostra lingua[3].
Una seconda critica della traduzione, posteriore alla sua pubblicazione, comparve anonima sul Giornale fiorentino istorico-politico letterario nel settembre del 1778:
L’opera dell’abate Raynal ha fatto dello strepito in Europa. Egli l’ha scritta con una penna veramente filosofica. La traduzione che ne è stata fatta in Siena due anni sono è totalmente sfigurata. Non si ha che vedere l’originale per esserne persuasi. Non ne incolpiamo per questo il celebre traduttore. Non si può talvolta tutto ciò che si vorrebbe[4].
2. I due giudizi concordano su almeno un punto fondamentale: il rigetto della
traduzione, considerata degradante per il testo di origine, a tal punto da
giustificare la diffidenza ovvero la riprovazione del pubblico colto. La condanna
della critica settecentesca fu dunque senza appello, a tal punto che ne persiste
un’eco persino nella storiografia recente. In un saggio dedicato alle
prime letture italiane di Raynal, Girolamo Imbruglia scrive che la versione
senese “n’était pas seulement très mauvaise; elle
était aussi absolument infidèle; au point que l’Histoire
y devint une chaleureuse défense du despotisme”[5].
Come vedremo, si tratta di un giudizio del tutto condivisibile. Tuttavia la
palese e scandalosa infedeltà del traduttore dell’Histoire
des deux Indes può costituire, paradossalmente, un punto di partenza
non privo di interesse quando si rifletta sul significato e sugli usi delle
traduzioni politiche nel Settecento italiano, in particolare di quelle traduzioni
che riguardano il genere dei “libri filosofici”, delle machines
de guerre, come è appunto il caso dell’opera di Raynal[6].
La traduzione integrale ma inattendibile di Raynal mette in luce, in modo
macroscopico, alcune questioni suscettibili di essere generalizzate. In primo
luogo la questione dell’opportunità e dei moventi: perché
tradurre? Perché “durare la fatica” di volgarizzare - come
osserva Pelli - se il testo tradotto risulta, come in questo caso, totalmente
“sfigurato” o “mutilato”? In secondo luogo, per chi
tradurre? Il divario esistente fra il testo di origine e il testo di arrivo,
intollerabile per il lettore colto dell’epoca, solleva il problema dello
spazio di ricezione dell’opera; in altri termini: quale tipo di lettore
è potenzialmente “capace di gustare” una versione “mutilata”,
ovvero “sfigurata” di Raynal?
3. Lo scetticismo di Pelli circa l’utilità delle traduzioni,
il disprezzo per le capacità cognitive del “popolo”, la
necessità di non divulgare indiscriminatamente contenuti e messaggi
reputati inadatti ai più, sono espressione di ideali e comportamenti
aristocratici, radicati nella repubblica settecentesca delle lettere. Si tratta
di manifestazioni di disagio intellettuale che risultano tuttavia in palese
disaccordo rispetto all’ideologia della pubblicità delle conoscenze
ufficialmente promossa dal governo toscano attraverso la legge sulle stampe
del 1743. Nel preambolo di questo testo - che riformava il regime censorio
in vigore dalla Controriforma - era espressa la volontà del sovrano
di “favorire e proteggere ... la libertà della stampa”
e “l’introduzione de’ libri forestieri come un mezzo efficace
per multiplicare le cognizioni, spargere il sapere e far sussistere una parte
del popolo” e di impedire, al tempo stesso, che tale libertà
degenerasse in “licenza” suscettibile di offendere “ciò
che si deve a Dio ed alla civil società”[7].
Se la pubblicazione di traduzioni risponde quindi pienamente allo spirito
della legge, la traduzione dell’Histoire philosophique, opera
enciclopedica e polimorfa, è uno dei luoghi in cui si manifesta, con
particolare intensità, questa volontà ambigua, così tipicamente
settecentesca e moderna, di trasmissione, di controllo e di manipolazione
delle conoscenze. Questo episodio editoriale permette insomma di comprendere
meglio in cosa realmente consistesse la “libertà di stampa”
ostentata dalla legge ed entro quali margini fosse compresa la libertà
del traduttore. Il lavoro di traduzione risulta in effetti sottoposto ad un
duplice imperativo: quello palese della comunicazione dei lumi, quello sottaciuto
del loro adattamento in funzione di un contesto che non è riducibile
all’insieme dei valori religiosi e politici dominanti ma che include,
implicitamente, anche le aspettative e i gusti potenziali di un pubblico “degradato”,
che l’ideologia della pubblicità contribuisce a rendere possibile.
Tutto questo costituisce uno stimolo a riflettere sul significato che la censura
può assumere in un’epoca di progressiva trasparenza dei pubblici
poteri e di necessaria comunicazione delle conoscenze utili[8].
Le censure del pubblico colto definiscono, per esclusione, uno spazio di ricezione
nuovo, una specie di terra di nessuno, cui le numerose e spesso infime variazioni
di senso cui è sottoposta dal suo traduttore l’Histoire des
deux Indes tentano di dare forma e contenuto. E’ a questa forma
di censura, come pratica positiva di costruzione di un nuovo senso comune
politico, che intendo dedicare le note che seguono.
4. La Storia filosofica degli stabilimenti degli Europei nelle due Indie
è anzitutto un oggetto. Le qualità materiali e intellettuali di
questo oggetto sono descritte nel manifesto editoriale dell’opera, che
gli stampatori senesi Luigi e Benedetto Bindi fecero comparire nei principali
periodici italiani nel marzo del 1776[9].
Testo pubblicitario mirato a favorire l’associazione all’impresa
di potenziali lettori, il manifesto editoriale ha il merito di riportare fortemente
l’attenzione sullo stretto rapporto esistente tra contenuto e supporto
materiale. Questa considerazione banale è valida per ogni tipo di testo,
ma risulta particolarmente pertinente in questo caso, a causa del rilievo attribuito
alle caratteristiche materiali dell’oggetto-libro che, per molti aspetti,
predeterminano il lavoro di adattamento del senso condotto dal traduttore.
Il manifesto sottolineava il carattere economico della traduzione di Raynal:
un volume in ottavo di circa duecento pagine, pubblicato periodicamente ogni
mese, rilegato sommariamente (“alla rustica”), al prezzo definito
“tenue” di due paoli al tomo, pari a 1,33 lire toscane. Gli studi
di Renato Pasta sull’editoria italiana di questo periodo, permettono di
situare il prodotto in una fascia media, potenzialmente accessibile, per esempio,
malgrado il costo elevato della sottoscrizione dei diciotto volumi (ventiquattro
lire), alla maggioranza degli impiegati dell’amministrazione granducale,
che disponeva in media di salari mensili di circa quaranta lire[10].
Resta certo da determinare quanti in definitiva fossero veramente disposti a
consacrare il 3% del proprio reddito mensile al consumo di cultura. Per quanto
incompleti, questi dati permettono tuttavia una prima constatazione: la traduzione
di Raynal costituisce uno straordinario esempio di edizione economica di un
classico dei Lumi. Niente illustra meglio la distanza che separa la traduzione
dal testo originale di un semplice confronto fra la disadorna edizione senese
e i magnifici esemplari in quarto, rilegati in marocchino e oro, dell’edizione
ginevrina dell’Histoire philosophique (1775), che servì
di base per il lavoro di traduzione. Niente più efficacemente di questa
discrepanza estetica permette di comprendere la legittima repulsione del lettore
colto. Nessuna delle traduzioni di Raynal comparse in questi anni in Europa
sembra presentare caratteristiche analoghe o comparabili. Certamente non la
ricca e accurata edizione tedesca pubblicata fra il 1774 e il 1778 che, secondo
un giudizio recente, potrebbe servire di base per un’edizione critica
dell’Histoire[11],
né quella, pur parziale e infedele, comparsa in Spagna negli anni ottanta[12].
5. La scelta dei bassi costi di produzione, la logica della banalizzazione
di un oggetto di lusso perseguita dagli stampatori senesi, trova conferma nella
volontà di volgarizzazione e di banalizzazione del contenuto dell’opera.
Spiega infatti il manifesto editoriale che la Storia filosofica sarà
tale da “da appagare la curiosità di chicchessia”.
Le “materie” che il “dotto autore” aveva trattato con
“inesprimibile felicità” vi erano elencate in un apparente
disordine: i “climi diversi di tutto il mondo nuovamente scoperto”;
la “qualità” e “i prodotti dei terreni, dei mari e
dei fiumi”; l’“origine di tutti quei popoli”, la “religione”,
le “leggi” il “traffico”, i “costumi diversi”.
Questo inventario eteroclito di cose utili e curiose riflette, malgrado tutto,
piuttosto fedelmente il carattere dell’Histoire philosophique,
“livre bâtard et quelque peu monstrueux” secondo l’appropriata
definizione di Michèle Duchet[13].
L’Histoire des deux Indes conobbe come noto nel corso di un decennio
tre differenti edizioni (1770, 1774, 1780), risultato di una ininterrotta opera
di riscrittura. La critica novecentesca ha definitivamente chiarito il ruolo
di redattore capo svolto da Guillaume Raynal e individuato le parti spettanti
ai diversi collaboratori. Fondamentali, in particolare, i contributi di Alexandre
Deleyre[14], autore del Tableau
de l’Europe, diciannovesimo volume della seconda edizione dell’Histoire,
e di Denis Diderot, il cui apporto consiste in una serie di pensées
detachées inserite in numero crescente nelle tre successive edizioni
dell’opera[15]. Se è
certo che le pensées diderotiane formano il nucleo testuale ideologicamente
più coerente e radicale dell’Histoire, per un altro verso
l’opera di Raynal si presenta al lettore come un aggregato di estratti
e di schede in cui informazioni, descrizioni e speculazioni - sorrette spesso
da un efficace stile declamatorio[16]
- si susseguono senza soluzione di continuità. Il carattere frammentario
del testo rende quindi possibili molteplici letture, ma quasi ad ogni pagina,
l’Histoire induce il proprio lettore a prendere posizione, a interrogarsi
sul significato dell’espansione europea nel mondo, a constatare le debolezze
e le contraddizioni dei regimi e delle credenze che questa espansione hanno
giustificato e reso possibile.
6. Questo processo di progressivo e quasi ineluttabile coinvolgimento del lettore
trova testimonianza nelle note quotidiane di Giuseppe Pelli. Colui che sarà
chiamato ad esprimersi sull’Histoire in qualità di censore
del governo granducale, fu probabilmente tra i suoi primi lettori in Toscana.
Le Efemeridi indicano infatti che Pelli consultò la prima edizione
dell’Histoire. Le prime e occasionali note di lettura del giugno
1770 sono di carattere economico e demografico: Pelli si interessa alla popolazione
della Cina e mostra di apprezzare l’Histoire per il suo alto livello
di informazione; esprime tuttavia perplessità circa le posizioni ideologiche
del suo autore: “in questa bella opera si fa un bell’elogio a quest’impero,
ma quello che si aggiunge a p. 131 rispetto alle rivoluzioni che cagionano le
carestie, sconcerta la buona idea che il precedente discorso ha inspirata”[17].
L’attenzione di Pelli era stata attratta dal seguente brano: “Lorsque
les choses de première nécessité viennent à manquer
les chinois ne reconnaissent plus une puissance qui ne les nourrit pas. C’est
le devoir de conserver les peuples qui fait le droit des rois. Ni la religion,
ni la morale ne dictent d’autres maximes à la Chine”[18].
Opera “sconcertante”, l’Histoire agiva dunque con efficacia
sul suo lettore. Questa prima impressione sarà sostanzialmente confermata
nel corso di una seconda più approfondita lettura, compiuta tra maggio
e giugno del 1773. In quella occasione Pelli lesse l’Histoire in
qualità di redattore delle Novelle letterarie[19].
Pelli non si limitò in questo caso a riportare sulle Efemeridi le
proprie impressioni di lettura ma, segno certo di una profonda partecipazione,
tradusse integralmente e fedelmente i passi che più lo interessavano.
Vediamo di elencarli brevemente. Senza eccezione, tutti riguardano la polemica
anticristiana condotta con coerenza in varie parti dell’opera. Si tratta
di un brano del libro III sulla conversione all’Islam di un’isola
dell'Oceano indiano[20]; di un altro
(VII, ii) sulla conversione violenta al cristianesimo dell’imperatore
degli Incas[21]; della nota apostrofe
antischiavistica presente nell’undicesimo libro, che suscita l’emotiva
reazione di Pelli contro il tentativo di trovare un fondamento religioso alla
perdita della libertà (“chiunque ha tale ardimento merita che il
filosofo gli rida in faccia e che il negro gl’immerga nel seno uno stiletto
per adottare l’enfatica espressione di Renal”)[22];
della celebre pagina diderotiana in XV, xxxv, dedicata alla “società
dei castori” e, di riflesso, al carattere innaturale e antisociale delle
istituzioni monastiche, che Pelli così commenta:
l’autore specialmente si trattiene ad ammirare il castoro, la fabbrica delle sue tane all’inverno, la forma del suo vivere. Si trova in tutta la condotta di questi animali una intelligenza che lo trasporta a paragonare i medesimi con l’uomo e con entusiasmo non lo fa con molto vantaggio del secondo. Chi lo crederebbe? Esso gli pone a confronto dei certosini e conclude: “l’uomo nella sua follia ha creduto ritrovare la sua salvezza. Una folla di esseri viventi in una sorta di società che separa sempre i due sessi l’uno dall’altro, isolati in delle cellette ove per essere felici non avrebbero a fare altro che riunirsi...[23].
7. Come è facile attendersi, un profondo divario separa questa traduzione
- e segreta appropriazione - dalla traduzione-volgarizzazione proposta dai
tipografi senesi: un divario reso possibile e necessario principalmente dal
processo di pubblicizzazione delle conoscenze utili e di dilatazione del pubblico
dei lettori. Il manifesto editoriale dei fratelli Bindi alludeva ai contenuti
polemici dell’Histoire cercando di intrattenere le aspettative
del potenziale lettore: “e ragiona di tutto [il dotto autore] con un
tal criterio che non lascia nulla da desiderare”. Il “criterio”,
appunto. Vorremmo a questo punto definire, con maggior precisione, in cosa
consiste il “criterio” adottato dal traduttore italiano di Raynal:
in altri termini, quali procedimenti e quali attori determinano la parola
legittima? Un insieme di informazioni consente di ricostruire, con sufficiente
precisione, il contesto condizionante in cui si compie la riscrittura toscana
dell’Histoire philosophique.
La prima osservazione è che la censura manifesta la propria efficacia
secondo due distinti livelli. Il primo, e il più evidente, è
il livello istituzionale, definito dalla normativa in vigore ma rielaborato,
caso per caso, dalla prassi di revisione delle stampe. Secondo il percorso
stabilito dalla legge sulle stampe del 1743, il manoscritto della traduzione
dell’Histoire, subì una prima revisione da parte dell’autorità
ecclesiastica localmente competente, il vicario del S. Uffizio di Siena, che
non vi trovò, a quanto pare, niente di contrario alla religione e alla
Santa Sede. La seconda revisione, decisiva per l’ottenimento del permesso
di stampa, fu commessa a Giuseppe Pelli. Come noto Pelli era un censore speciale,
poiché dal 1771 si occupava del settore delle stampe ‘alla macchia’,
ovvero della revisione di quelle opere che, per ragioni di prudenza, sarebbero
comparse senza data o con falsa data, con il permesso tacito del governo[24].
Nel dettagliato rapporto rivolto a Francesco Seratti, segretario della Segreteria
di Stato e suo diretto superiore gerarchico, Pelli percorreva a grandi linee
l’opera a lui familiare, ponendosi tuttavia nell’ottica nuova
della sua possibile divulgazione; un punto di vista ‘pubblico’
insomma, che contrastava in modo evidente con l’intima convinzione circa
l’inutilità di questo genere di traduzioni:
il togliere dalle mani di chi legge questa storia, come voleva fare il clero di Francia è ormai impossibile e quantunque ne siano state fatte quattro o sei edizioni in pochi mesi, credo che si ristamperà ancora altre volte con profitto dei librai, mentre essendo scritta con uno stile piacevole ed arricchita a dovizia di fatti per ogni genere di persone, non è così presto per escir di moda né per cadere in dimenticanza[25].
8. L’ufficio di censore tendeva dunque a risolversi, paradossalmente,
in una implicita ammissione dell’inefficacia della censura preventiva:
oggetto alla moda ed oggetto di largo consumo, l’Histoire philosophique
possedeva un prestigio tale da rendere le interdizioni non solo inutili ma
probabilmente controproducenti. Certo le autorità granducali non consentirono
una traduzione fedele dell’originale. Ma in un’epoca di necessaria
trasmissione e commercializzazione delle conoscenze, quale era quella inaugurata
dalla legge sulle stampe del 1743, la censura tendeva a manifestarsi attraverso
altre, meno vistose pratiche. Soprattutto nella manipolazione del discorso.
Significativamente Pelli concludeva il rapporto sulla Storia filosofica
con una delega delle proprie funzioni censorie, facendo cioè ricadere
sul traduttore le principali responsabilità di ortodossia del testo:
“molto più non posso impedire che si stampi con delle correzioni,
le quali se si impegna a farle tutte il prof. Stratico saranno le migliori
... col minor svantaggio possibile dell’opera”.
Domenico Stratico, domenicano d'origine dalmata, professore di Scrittura sacra
e di lingua greca all’Università di Siena, era un personaggio
che in diverse occasioni aveva mostrato di saper impiegare le proprie singolari
doti intellettuali al servizio del governo[26].
L’auctoritas in grado di dire la parola legittima si situa dunque
a questo livello, il livello semi-istituzionale e informale del traduttore
e delle pratiche di traduzione. Stratico si impegnò a scrivere le parti
liminari del testo in italiano e a correggere puntualmente la traduzione lineare
dell’Histoire condotta da Giuseppe Ramirez, un letterato calabrese,
interessante figura di traduttore professionista a Siena nel secondo Settecento
(sono sue, fra l’altro, le traduzioni inedite di due altre machines
de guerre: la Morale universelle di D’Holbach e il Dictionnaire
philosophique di Voltaire). Qualche anno dopo, in una lettera diretta
a Giuseppe Remondini, Ramirez avrebbe confessato di aver scritto la versione
di Raynal “in certa maniera per saggio, ed in tempo in cui era poco
versato nella lingua italiana”[27].
L’ufficio di censore svolto da Stratico non si limitò tuttavia
alle improprietà della lingua ma diede luogo ad un vero e proprio lavoro
di ricontestualizzazione che impose la riscrittura, talvolta integrale, dell’opera
di Raynal. La lettura simultanea dell’edizione senese e di quella ginevrina
del 1775 permette di comprendere i diversi significati di questa operazione.
Ma prima di esporre qualche caso concreto, è necessario soffermarsi
sulle intenzioni espresse da Stratico nelle due prefazioni della Storia
filosofica (libri I e VI).
9. Il lavoro di traduzione è qui concepito come adattamento ad un tempo culturale ed estetico: “è ufficio del buon traduttore ... usare quelle equivalenti maniere che più all’idioma si convengono ed al gusto di coloro per i quali scrive”[28]. Scopo della traduzione, si legge nella seconda prefazione “era somministrare agli italiani una lettura utile e sicura, donde nessun ordine di persone potesse trarne scandalo ed offesa”[29]. La dilatazione dello spazio di ricezione dell’opera implicava quindi la comparsa di nuove e meno apparenti coazioni: se la volontà della trasparenza risultava prioritaria rispetto alle necessarie cautele del discorso politico (“crediamo plausibile il giudizio intorno alle cose economiche e politiche del mondo sapendo che ciò piace anche a coloro che ne regolano quaggiù le vicende”), l’obbligo principale del traduttore consisteva in definitiva nel dare forma ad un prodotto medio e politicamente corretto, suscettibile di non “dispiacere ... ad un castigato lettore”. Risultato possibile, questo, a condizione di predisporre il giudizio stesso dei lettori. Il lettore italiano di Raynal doveva dunque essere in grado di riconoscere e di evitare due inconvenienti maggiori che rendevano l’opera francese potenzialmente inadatta al gusto, all’opinione dei più. Il primo era di natura stilistica e consisteva nell’artificio dello straniamento, più volte utilizzato, specie da Diderot, per denunciare le assurdità dei sistemi politici e religiosi occidentali: “preverremo i nostri lettori - scriveva Stratico - che quando parlisi di false religioni e superstiziose pratiche ... che sembrano avere qualche relazione esterna con alcuni de’ nostri Santi Riti, non vogliano con maligno animo crederle allusioni viziose”[30]. Il secondo grave difetto che ostacolava una utile fruizione dell’opera era il penchant raynaliano per l’utopia. In molte parti l’Histoire philosophique era storia viziata dalla filosofia e i filosofi scriveva Stratico con schietti accenti machiavelliani, immaginano “per lo più gli uomini non come sono, ma come esser dovrebbero”[31]. Ridurre la possibilità di letture non conformi, richiamare il lettore ad un necessario ed elementare realismo, significava privare l’Histoire philosophique della sua complessità e fare della Storia filosofica un oggetto unidimensionale, liscio ed innocuo, pronto ad appagare le esigenze di un ampio pubblico di lettori. A queste indispensabili istruzioni si sommavano gli interventi diretti sul testo che, a dire del traduttore, sarebbero stati leggeri e marginali: “abbiam fatto ciò con somma parsimonia - rassicurava Stratico - e senza detrarre cosa alcuna dall’originale”. Uno studio ravvicinato dei due testi permette di valutare le intenzioni reali del traduttore-censore.
10. Stratico mentì al proprio pubblico su almeno un punto: il rilievo dell’intervento censorio. La lettura simultanea delle due edizioni mette in luce trecentottantadue passi variamente riveduti o espunti. L’impegno censorio del traduttore fu dunque cospicuo e comportò probabilmente un’intensa volontà di dissimulazione, di cui resta una singolare traccia. Un manoscritto anonimo, attribuibile allo Stratico, conservato presso l’Accademia delle Scienze di Mantova, getta una luce sulle riserve morali e ideologiche del traduttore[32]. La forma criptica di comunicazione scelta in questo caso da Stratico era l’esatto contrario di quella che egli aveva assunto in veste di traduttore-divulgatore: non a caso, riaffioravano in queste note le remore aristocratiche verso la “moltitudine, abbastanza felice se è sopita nel suo letargo, degna di compassione se conoscendolo il dissimula”. Questa dissertazione consacrata al “secolo filosofico”, scritta contemporaneamente alla traduzione di Raynal, costituisce una violenta requisitoria contro l’ideologia del progresso delle conoscenze sotto l’egida di governanti illuminati. Raynal era qui implicitamente convocato da Stratico non già, come nella Storia filosofica, per esaltarne artificiosamente le riforme (cfr. app. V) ma per denunciare l’immobilismo dei regimi politici italiani e la condizione di servile subordinazione degli intellettuali che vi operavano[33]. E’ difficile immaginare una sconfessione più esauriente del finale fittizio della Storia filosofica che si chiudeva con questa fantasiosa apologia dei sovrani riformatori:
Rendasi la dovuta giustizia al nostro secolo ... Regnano a’ nostri tempi sovrani che investigando diligentemente qualunque abuso delle passate legislazioni, sono giornalmente intenti a riformarlo. La voce della filosofia è penetrata fino al loro trono; talché può francamente dirsi che l’epoca felice in cui possa verificarsi che avendo tutti i popoli dell’Europa buoni governi, abbiano tutti ancora buoni costumi, sia molto vicina[34].
11. Quali procedimenti testuali resero plausibile questa conclusione immaginaria?
E in che misura il lavoro di riscrittura del testo pervenne ad un risultato
conforme alle intenzioni ufficiali del traduttore? L’ingente materiale
costituito dalle censure dell’Histoire, richiede di essere classificato
e interpretato. Una possibile distinzione si basa sul tipo di intervento operato
sul testo. Senza dubbio, la prima alternativa che si presentò al traduttore
fu di cassare o di riscrivere. Stratico optò per una soluzione radicale
in una minoranza di casi: solo venti passaggi (5,2%) risultano integralmente
non tradotti. Si tratta essenzialmente di brani di argomento religioso, attribuibili
a Diderot o da lui ispirati, nei quali viene sviluppato il tema del carattere
innaturale e antisociale del Cristianesimo e svelato il fondamento religioso
della subordinazione politica. Senza sorpresa ritroviamo nella lista due dei
brani integralmente tradotti da Giuseppe Pelli (XI, lxxiv sui rapporti tra
cristianesimo e schiavismo; XV, xxxv sulla società dei castori).
Definire le modalità e il senso dell’intervento di riscrittura
è più complesso. Stratico dovette confrontarsi molto spesso
con il problema di modificare il senso evitando di trasformare profondamente
il testo d’origine. Nella maggioranza dei casi la censura si realizzò
in forma ravvicinata, non come soppressione, ma come aggiustamento semantico
e stilistico dell’enunciato iniziale. La traduzione ridondante di III,
lxiv (app. I) o di IV, lxx (app. II), costituisce un artificio largamente
impiegato: in entrambi i casi l’aggiunta della localizzazione geografica
(“Asia”) consente di circoscrivere e di depotenziare il carattere
assoluto delle affermazioni raynaliane. In XIX, cvii (Tableau de l’Europe,
app. III), la semplice variazione del tempo di un verbo (“affectent/mostrarono”)
modifica completamente l’orizzonte d’attesa del testo. Lo stesso
risultato è ottenuto talvolta attraverso una traduzione antinomica,
testualmente molto più gravosa, come è il caso di XIX, cvii
(app. IV e V), dove il senso del testo di origine è parzialmente o
totalmente contraddetto. La funzione ideologica della riscrittura risulta
complessivamente chiara: non solo arginare la critica nei confronti dei regimi
assoluti ma individuare, attraverso esperienze politiche diverse e coeve,
delle possibili prospettive del processo riformatore; esemplare a questo riguardo
un brano in XIX, cvii: “la diversità di massime politiche ha
rese sospette o odiose le costituzioni popolari ad alcuni principi, per timore
che lo spirito repubblicano le comunichi a’ loro sudditi; ma i più
illuminati di essi le approvano e le lodano” (app. VI).
12. Un caso estremo di riscrittura è la traduzione letterale. In un
numero imprecisato di situazioni il traduttore stimò opportuno trascrivere
fedelmente il testo d’origine, anche a costo di produrre delle profonde
incoerenze in quello d’arrivo. A titolo di esempio, mi limito a segnalare
un brano in V, cxvii in cui si sostiene polemicamente, contro le privazioni
dettate dalla morale cristiana, il fondamento materiale delle pulsioni individuali
e della sociabilità e di un altro simile in XV, xxxi dove l’interdizione
cristiana della poligamia e del divorzio è considerata contraria “alle
leggi della natura e della ragione” (app. VII e VIII). In questi casi
è lecito sollevare la questione di volontarie sviste da parte di Stratico,
noto chierico e libertino, forse azzardare l’ipotesi di messaggi rari
e isolati, radicalmente contraddittori, in cui si esprimerebbe la parola autentica
del traduttore.
Assai più spesso, la traduzione letterale contribuisce alla costruzione
di un lessico e di un discorso conforme agli orientamenti generali assunti
dalle riforme leopoldine nella seconda metà degli anni settanta: mi
riferisco, per esempio, alle parti economiche del Tableau de l’Europe,
dove si sostiene la causa del liberismo annonario, dell’imposta unica
sulla terra, della rappresentanza diretta dei proprietari nelle questioni
di carattere fiscale. Come è noto, si tratta di temi già presenti
nella pubblicistica comparsa in Toscana nei primi anni settanta, sotto forma
di puntuali traduzioni di testi fisiocratici, sulla quale esiste una cospicua
letteratura[35].
Ma nuovo e non occasionale fu il rilievo attribuito attraverso la riscrittura
di Raynal a due concetti chiave della cultura illuministica: ‘tolleranza’
e ‘opinione pubblica’. Riguardo alla tolleranza, come ha notato
Piero Del Negro, la traduzione di Stratico è senza dubbio da considerarsi
più disinvolta delle due traduzioni parziali di Raynal comparse a Venezia
tra 1778 e 1780, opera rispettivamente di Vincenzo Formaleoni e di Domenico
Caminer[36]. Cito a questo proposito
un brano in XVIII, ci, p. 441 (app. IX), in cui vengono descritte le disposizioni
adottate nelle colonie inglesi d’America contro i cattolici renitenti
al giuramento di fedeltà nei confronti dello Stato: le correzioni apportate
da Stratico non bastano a smentire questa dura denuncia del carattere intrinsecamente
intollerante del Cattolicesimo. L’opinione pubblica, sostenuta da un
piena libertà di stampa, è considerata nella traduzione senese,
fedele anche in questo caso all’originale, come la necessaria controparte
di ogni regime, perfino di quelli caratterizzati dall’autorità
assoluta del sovrano. Gianfranco Folena rileva la prima occorrenza del termine
‘opinione pubblica’ nel 1768, nel carteggio dei fratelli Verri[37].
L’occorrenza senese, più tarda di quasi dieci anni, era tuttavia
seguita da un’importante serie di occorrenze identiche o analoghe presenti
in un gruppo di traduzioni, pubblicate sempre a Siena tra il 1778 e il 1779,
talune attraverso la consueta procedura delle stampe ‘alla macchia’
(i Principi della legislazione universale di Schmidt d’Avenstein,
la Costituzione dell’Inghilterra di De Lolme, i Principi del
diritto della natura e delle genti di Burlamaqui)[38].
E’ dunque ipotizzabile l’esistenza di un rapporto fra queste emergenze
concettuali, le prospettive costituzionali del regime leopoldino, le esigenze
e i disegni della propaganda granducale.
13. Per concludere, preme tuttavia sottolineare un altro aspetto. Lo studio delle traduzioni settecentesche permette di situare la genesi dei concetti e del discorso politico nel loro contesto reale. L’operazione promossa a Siena dai librai Bindi contribuiva alla banalizzazione di concetti in uso nel dibattito colto, alla loro trasformazione in oggetti d’uso di un nuovo senso politico, condiviso da un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo. Da questo punto di vista, il cerchio apparentemente si chiude, la traduzione conseguiva lo scopo di uniformare il discorso politico intorno a parole e luoghi comuni, di ridurre la distanza tra il giudizio dei pochi e quello dei più. La “fatica di volgarizzare”, che suscitava tante perplessità in Giuseppe Pelli, trova su questo terreno la risposta forse più efficace. Ma il costo di questa operazione intellettuale era elevato: da un punto di vista testuale, l’‘opinione pubblica’ era un artificio del traduttore, il risultato paradossale di una pervicace opera di tradimento del testo e di autocensura. Tutto questo pone indirettamente la questione della menzogna come elemento costitutivo di uno spazio pubblico che tendeva, proprio in quel momento, a includere nuove fasce di lettori e di consumatori.
I
HP, III, lxiv
Conquête du Bengale. Avantages que les Anglois tirent de cette acquisition et la conduite qu'ils y ont tenue jusqu'ici
p. 347: “...Cette administration vicieuse à beaucoup d'égards, avoit du moins cela de favorable aux peuples, que les fermiers ne changeant point, le prix des fermes étoit toujours le même; parce que la moindre augmentation, en ébranlant cette chaîne où chacun trouvoit graduellement son profit, auroit infailliblement causé une révolte, ressource terrible mais la seule qui reste en faveur de l'humanité, dans les pays opprimés par le despotisme.”
SF, III, xxii
Conquista di Bengala. Vantaggi che gl'Inglesi ritirano da tale conquista e condotta dai medesimi finora tenuta.
p. 208: “Questo governo vizioso per molti riguardi era almeno in questo favorevole a' popoli, che non cangiandosi gli appaltatori, il prezzo degli appalti era sempre il medesimo; perocché il più leggiero aumento, scuotendo la catena in cui ciascuno provava gradatamente la propria utilità, cagionata avrebbe infallibilmente una rivoluzione; impresa per verità terribile e disperata, ma adottata assai spesso dai popoli dell'Asia.”
II
HP, IV, lxx
Etablissement des François à Siam. Leurs vues sur le Tonquin et sur la Cochinchine
p. 405 : “...Ce sont les suite et les restes du gouvernement des six premiers rois de la Cochinchine, et du contrat social qui se fit entre la nation et son conducteur, avant de passer le fleuve qui sépare les Cochinchinois du Tonquin. C'étaient des hommes las d'oppression. Ils prévirent un malheur qu'ils avoient éprouvé et voulurent se prémunir contre les abus de l'autorité qui, d'elle même transgresse ses limites.”
SF, IV, vi
Stabilimento dei Francesi in Siam. Loro mire sopra Tonquin e sopra la Cocincina
p. 68: “...Questi sono effetti e reliquie del governo de' primi sei Re della Cocincina, e del contratto sociale fatto tra la nazione ei suo conduttore prima di passare il fiume che la divide dal Tonquin. Quelli erano uomini stanchi dell'oppressione, i quali, prevedendo una disgrazia che avevano già provata vollero premunirsi contro gli abusi dell'autorità, che sotto i climi dell'Asia, oltrepassa sempre i suoi giusti limiti.”
III
HP, XIX, cvii
Du gouvernement
p. 470: “Les Anglois pour mettre fin aux vengeances, aux défiances qui, après la fin tragique de Charles I, se seroient éternisées entre le trône et la nation, choisirent dans une race étrangère un prince qui dût accepter enfin ce pacte social, que tous les rois héréditaires affectent de méconnoître. Guillaume III reçut des conditions avec le sceptre et se contenta d'une autorité sur la même base que les doits du peuple.”
SF, XVIII, iii
Governo
p. 31: “Gl'Inglesi per impor fine alle vendette ed alle diffidenze, che dopo la tragica morte di Carlo Primo si sarebbero perpetuate fra il trono e la nazione, scelsero in una famiglia straniera un Principe che dové finalmente accettare quel patto sociale che tutti i re ereditari mostrarono di non conoscere. Guglielmo Terzo ricevé condizionatamente lo scettro e si contentò di un'autorità stabilita sull'istessa base dei diritti del popolo.”
IV
HP, XIX, cvii
Du gouvernement
p. 462 : “Cependant vous entendrez dire que le gouvernement le plus heureux seroit celui d'un despote juste et éclairé. Quelle extravagance! Il pourroit aisément arriver que la volonté de ce maître absolu fût en contradiction avec la volonté de ses sujets. Alors malgré toute sa justice et toute ses lumières il auroit tort de les dépouiller des es droits, même pour leur avantage. Il n'est jamais permis à un homme, quel qu'il soit, de traiter ses commettants comme un troupeau de bêtes. On force celles-ci à quitter un mauvais pâturage pour passer à un plus gras: mais ce seroit une tyrannie d'employer la même violence avec une société d'hommes. S'il disent, nous sommes bien ici, s'ils disent même, d'accord, nous y sommes mal, mais nous voulons y rester, il faut tâcher de les éclairer de les détromper, de les amener à des vues saines par la voie de la persuasion mais jamais par celle de la force. Le meilleur des princes qui auroit fait le bien contre la volonté générale seroit criminel, par le seule raison qu'il auroit outrepassé ses droits. Il seroit criminel pour le présent et pour l'avenir car s'il es éclairé et juste, son successeur sans héritier de sa raison et de sa vertu, héritera sûrement de son autorité dont la nation sera la victime. Peuples ne permettez donc à vos prétendus maîtres de faire même le bien contre votre volonté générale. Songez que la condition de celui qui vous gouverne n'est pas autre que celle de ce cacique à qui l'on demandoit s'il avoit des esclaves et qui répondit: des esclaves? Je n'en connoit qu'un dans toute ma contrée et cet esclave-là c'est moi.”
SF, XVIII, ii
Governo
p. 18: “Frattanto corre la massima il governo più felice sia quello di un Sovrano assoluto, giusto e illuminato. Si accorda. Quando la volontà di questo padrone assoluto non si oppone a quella de' suoi sudditi: quando colla scorta della sua giustizia de de' suoi lumi, egli si astiene dal privargli de' loro diritti anche per loro vantaggio, quando procura d'illuminargli, di disingannargli e di condurgli alle sane vedute per la via della persuasione e non mai per quella della forza, chi potrebbe negare essere questo il migliore de' governi?”
V
HP, XIX, cvii
Du gouvernement
p. 478 : “Plus absolus encore ont été les gouvernemens d'Espagne et de Portugal, de Naples et de Piémont; toutes les petites principautés d'Italie. Les peuples du Midi, soit paresse d'esprit ou faiblesse de corps, semblent être nés pour le despotisme. L'Espagne avec beaucoup d'orgueil; l'Italie malgré tout les dons du génie , ont perdu tous les droits, toutes les traces de la liberté. Par tout où la monarchie est illimité, on ne peut assigner la forme du gouvernement, puisqu'elle varie non seulement avec le caractère de chaque souverain, mais à chaque âge même du prince. Ces états ont des lois écrites, ont des usages et des corps privilégiés: mais quand le législateur peut bouleverser les droits et les tribunaux, quand son autorité n'a plus d'autre base que la force et qu'il invoque Dieu pour se faire craindre, au lieu de l'imiter pour se faire aimer, quand le droit originel de la société, le droit inaliénable de la propriété des citoyens, les conventions nationales, les engagemens du prince sont en vain réclamés, enfin quand le gouvernement est arbitraire, il n'y a plus d'état: ce n'est plus que la terre d'un seul homme.”
SF, XVIII, iii
Governo
p. 44: “Anche più indipendenti sono i sovrani della Spagna, del Portogallo, di Napoli, del Piemonte e di tutti gli altri dominii dell'Italia. Questo, per la verità, è il governo che più sembra proprio a' popoli del Mezzogiorno. La Spagna dopo aver tanto sofferto sotto i mori, l'Italia dopo essere stata oppressa dalle replicate irruzioni de' popoli barbari, sono rimaste soggette; ma gustano i beni e gli agi che i loro sovrani, quanto indipendenti altrettanto provvidi e moderati, ad esse procurano. Dapper tutto dove l'autorità è illimitata, non si può determinare una forma stabile di governo, perocché varia secondo le circostanze del tempo e la volontà del Sovrano. Questi stati hanno hanno leggi scritte, usi e corpi privilegiati, ma si vedono talvolta ne' medesimi cangiamenti e riforme; frattanto i popoli, senza cercare né anche d'istruirsi de' pubblici affari, abbandonandone tutta la cura al governo, godono d'una dolce quiete.”
VI
HP, XIX, cvii
p. 496 : “Ce contraste de maximes politiques a rendu suspectes ou odieuses les constitutions populaires à tous les souverains absolus. Ils ont crainte que l'esprit républicain n'arrivât jusqu'à leurs sujets, dont tous les jours ils appesantissent de plus en plus les fers. Aussi s'aperçoit-t-on d'une conspiration secrète entre toutes les monarchies, pour détruire et saper insensiblement les états libres. Mais la liberté naîtra du sein de l'oppression. Elle est dans tous les cœurs: elle passera, par les écrits publics, dans les âmes éclairées; et par la tyrannie dans l'âme du peuple. Tous les hommes sentiront enfin, et le jour du réveil n'est pas loin, ils sentiront que la liberté est le premier don du ciel, comme le premier germe de la vertu. Les instrumens du despotisme en deviendront les destructeurs; et les ennemis de l'humanité ceux qui semblent aujourd'hui n'être armés que pour le combattre, combattront pour sa défense.”
SF, XVIII, iii
p. 74: “Questa diversità di massime politiche ha rese sospette o odiose le costituzioni popolari ad alcuni Principi, per timore che lo spirito repubblicano le comunichi a' loro sudditi; ma i più illuminati fra essi le approvano e le lodano.”
VII
HP, V, cxvii
L'Europe doit-elle continuer son commerce avec les Indes
p. 595 : “On a mal vu l'homme quand on a imaginé que pour le rendre heureux, il falloit l'accoutumer aux privations. Il est vrai que l'habitude des privations diminue la somme de nos malheurs; mais en retranchant encore plus sur nos plaisirs que sur nos peines, elle conduit l'homme à l'insensibilité plutôt qu'au bonheur. S'il a reçu de la nature un cœur qui demande à sentir; si son imagination le promène sans cesse malgré lui sur des projets ou des fantômes de félicité qui le flattent; laissez à son âme inquiète un vaste champ de jouissances à parcourir. Que notre intelligence nous apprenne à voir dans les biens dont nous jouissons des motifs de ne pas regretter ceux auxquels nous ne pouvons atteindre: c'est là le fruit de la sagesse. Mais exiger que la raison nous persuade de rejeter ce que nous pourrions ajouter à ce que nous possédons, c'est contredire la nature, c'est anéantir, peut-être, les premiers principes de la sociabilité [...]. Désir de jouir, liberté de jouir, il n'y a que ces deux ressorts d'activité que ces deux principes de sociabilité, parmi les hommes.”
SF, V, xxvii
L'Europa deve essa continuare il suo commercio coll'Indie
p. 165: “S'è male esaminato l'uomo, quando s'è creduto che per renderlo felice bisognasse accostumarlo alle privazioni. E' vero che la consuetudine delle privazioni diminuisce il peso delle nostre disgrazie, ma diminuendo anche più i nostri piaceri, che le nostre pene essa riduce l'uomo piuttosto all'insensibilità che alla felicità. Se questi è stato dotato dalla natura di un cuore sensibile: se la sua imaginativa lo trasporta continuamente, suo malgrado, ad alcuni progetti o fantasmi di felicità, che lo lusingano, concedasi all'inquieto suo animo un vasto campo di delizie per il quale possa esso spaziare. Ci accostumi la nostra intelligenza a distinguere nei beni de' quali godiamo, le ragioni di non desiderare quelli che non possiamo conseguire; e questo sarà il frutto della sapienza. Ma pretendere che la ragione ci persuada di ricusare ciocché potrebbe aggiungersi di bene a quello che noi possediamo è un contraddire alla natura, e forse un distruggere i primi principi della società [...]. Il desiderio di godere e la libertà di poterlo fare sono le due uniche sorgenti d'attività ed i due soli principi di sociabilità tra gli uomini tutti.”
VIII
HP, XV, xxxi
Gouvernement, habitudes, vertus, vices, guerres des sauvages qui habitent le Canada
p. 115 : “Plusieurs de ces nations ont l'usage de la pluralité des femmes. Les peuples même qui ne pratiquent pas la polygamie se sont du moins réservé le divorce. L'idée d'un lien indissoluble n'est pas encore rentrée dans l'esprit de ces hommes libres jusqu'à la mort. Quand les gens mariés ne se conviennent pas, ils se séparent de concert et partagent entre eux les enfants. Rien ne leur paroit plus contraire aux lois de la nature et de la raison que le système opposé des chrétiens.”
SF, XV, iv
Governo, costumi, virtù, vizi, guerre de' selvaggi che abitavano il Canadà
p. 33: “Molte di queste nazioni hanno l'uso della pluralità delle mogli. I popoli istessi che non praticano la poligamia si sono almeno riservati il divorzio. L'idea di un legame indissolubile non è ancora entrata nello spirito di quegli uomini liberi fino alla morte. Quando le persone maritate non vivono bene insieme si separano concordemente e si dividono i figli fra loro. Non v'è cosa che riguardino come tanto contraria alle leggi della natura e della ragione quanto l'opposto sistema de' Cristiani.”
IX
HP, XVIII, ci
La métropole a voulu établir des impôts dans les colonies d'Amérique septentrionale. En avoit-elle le droit?
p. 441 : “On oppose aux colonies, que les catholiques qui vivent en Angleterre y sont exclus du droit de suffrage et que leurs terres y sont assujetties à une double taxe. Pourquoi répondent-elles, les papistes refusent-ils de prêter le serment de fidélité que l'état exige? Dès-lors suspects au gouvernement, par la défiance qu'ils inspirent, justifient la rigueur qu'ils éprouvent. Que n'abjurent-ils une religion si contraire à la constitution libre de leur patrie; si cruellement favorable aux prétentions du despotisme, aux attentats de la royauté sur les droits des peuples? Quelle est leur obstination aveugle pour une église ennemie de toutes les autres? Ils méritent la peine qui impose à des sujets intolérants l'état qui consent à les tolérer.”
SF, XVII, xxix
La metropoli ha voluto stabilire alcune imposizioni nelle colonie dell'America settentrionale. Aveva essa il diritto di farlo?
p. 197: “Si oppone alle colonie che i cattolici, i quali vivono nell'Inghilterra, sono ivi esclusi dal diritto del suffragio e che le loro terre sono sottoposte a una doppia tassa. I Cattolici, rispondono le colonie, ricusano di prestare il giuramento di fedeltà ch'esige lo stato. Resi perciò sospetti al governo, giustificano colla diffidenza che inspirano il rigore a cui sono soggetti. Perché non abbandonare una religione cosi contraria alla libera costituzione della loro patria e così favorevole alle pretensioni della Monarchia ed all'autorità dei Sovrani sopra i diritti dei popoli? Perché sono così ostinatamente attaccati ad una Chiesa nemica di tutte le altre? Meritano adunque la pena che impone a' sudditi intolleranti lo stato che consente a tollerargli.”
Abbreviazioni: ANVM: Accademia Nazionale Virgiliana, Mantova; ASF: Archivio di Stato, Firenze; ASS: Archivio di Stato, Siena; BCB: Biblioteca Civica, Bassano del Grappa; Efemeridi: Giuseppe Pelli Bencivenni, Efemeridi, Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze, NA 050, I e II serie.
[1] Sul frontespizio dell’opera, privo di indicazione tipografica, si legge: “opera dell’abate Raynal, tradotta dal francese da Remigio Pupares”.
[2] Su Pelli esiste una vasta bibliografia; sul suo ruolo di censore si veda in particolare R. Pasta, “Profilo di un lettore”, in Id., Editoria e cultura nel Settecento, Firenze, Olschki, 1997, pp. 193-223 e S. Landi, Il governo delle opinioni. Censura e formazione del consenso nella Toscana del Settecento, Bologna, Il Mulino, 2000.
[3] Efemeridi, II serie, vol. IV, c. 593, corsivo mio; Pelli si era espresso una prima volta sulla traduzione di Raynal il tre marzo 1776 (ivi, c. 588): “io non credo che questa opera possa stamparsi qua senza essere castrata e perciò non faccio stima di tale impresa, prescindendo ancora che in Italiano il libro farà meno spicco che nel suo idioma originale”.
[4] Giornale fiorentino istorico-politico letterario, 1778, pp. 356-359; su questo periodico si veda C. Capra, Giovanni Ristori da illuminista a funzionario, Firenze, La Nuova Italia, 1968, pp. 28-29.
[5] G. Imbruglia, “Les premières lectures italiennes de Raynal”, in H. J. Lüsebrink, M. Tietz, a cura di, Lectures de Raynal. L’Histoire des Deux Indes en Europe et en Amérique au XVIIIe siècle, Oxford, The Voltaire Foundation, 1991, pp. 235-251, alla p. 235.
[6] Sulla circolazione clandestina dell’Histoire philosophique, cfr. ad esempio R. Darnton, L’intellettuale clandestino, Milano, Garzanti, 1990 [1982], p. 152; in particolare sulla circolazione dell’Histoire negli Stati italiani cfr. Pasta, Editoria e cultura cit., pp. 225 e ss.
[7] Landi, Il governo delle opinioni cit., pp. 49 e ss.; per il testo della legge cfr. ivi, pp. 345-350.
[8] Per un tentativo recente di storicizzazione dell’ideologia della trasparenza si veda J.P. Cavaillé, Dis/simulations. Religion, morale et politique au XVIIe siècle. Jules-César Vanini, François La Mothe Le Vayer, Gabriel Naudé, Louis Machon et Torquato Accetto, Paris, Éditions Champion, 2002.
[9] Il manifesto comparve il cinque marzo 1776 sulla Gazzetta universale (XIX, p. 152), il nove marzo su Notizie del Mondo (XXI, p. 167), il sedici giugno sul Novellista veneto (CDLXXXVIII, p. 2).
[10] Cfr. Pasta, Editoria e cultura cit. pp. 80-85.
[11] M. Fontius, “L’Histoire des deux Indes de Raynal vue par les Allemands”, in Lüsebrink, Tietz, a cura di, Lectures de Raynal cit., pp. 155-187, in part. p. 177.
[12] M. Tietz, “L’Espagne et l’Histoire des deux Indes de l’abbé Raynal”, ibid., pp. 99-130.
[13] M. Duchet, “L’Histoire philosophique: sources et structures d’un texte polyphonique”, ibid., pp. 9-15, in part. p. 11.
[14] Cfr. F. Venturi, Un encyclopédiste: Alexandre Deleyre, in Id., Europe des Lumières. Recherches sur le 18ème siècle, Paris-La Haye, Mouton, 1971, pp. 51 e ss.
[15] Nella vasta bibliografia si vedano in particolare H. Dieckmann, “Les contributions de Diderot à la Correspondance littéraire et à l’Histoire des deux Indes”, Revue d’Histoire littéraire de la France, LX, 1951, pp. 417-440; M. Duchet, “Diderot collaborateur de Raynal: à propos des ‘Fragments imprimés’ du Fonds Vandeul”, Revue d’Histoire littéraire de la France, LXX, 1960, pp. 341-356; D. Diderot, Pensées détachées. Contributions à l’Histoire des deux Indes, a cura di G. Goggi, Siena, Tip. del Rettorato, 1976.
[16] Cfr M. Delon, “L’appel au lecteur dans l’Histoire des deux Indes”, in Lüsebrink, Tietz, a cura di, Lectures de Raynal cit., pp. 53-66, alla p. 65.
[17] Efemeridi, I serie, XXVI, c. 29, undici giugno 1770: Pelli precisa che l’edizione dell’Histoire philosophique da lui consultata è quella di “Amsterdam 1770 in dodicesimo”.
[18] Histoire philosophique et politique des établissemens et du commerce des Européens dans les deux Indes, I, Genève, Libraires associés, 1775, p. 90.
[19] Efemeridi, II serie, I, c. 48, tre maggio 1773: “mi è stata accomodata per leggere un’opera che ha fatto in questi mesi e farà gran seguito. Il titolo è Histoire philosophique et politique des établissemens et du commerce des Européens dans les deux Indes, Nouvelle édition corrigée, Amsterdam 1773, in dodicesimo, vol. VI. Dicesi un’opera di un abate Renal, ex-gesuita francese che ha scritto con somma libertà. Anderò leggendola e forse noterò di tempo in tempo quello che v’incontrerò di più rimarcabile”. La recensione dell’Histoire philosophique comparve sulle Novelle letterarie del tredici agosto 1773, XXXIV, pp. 524-528.
[20] Efemeridi, II serie, I, c. 55, dieci maggio 1773; “l’uomo onesto ha molto in ciò da meditare e da confondersi”, commentava Pelli; cfr. Histoire philosophique et politique des établissemens et du commerce des Européens dans les deux Indes, Nouvelle édition corrigée, II, Amsterdam 1773, pp. 222-223.
[21] Efemeridi, II serie, I, c. 64, diciannove maggio 1773 e Histoire philosophique cit., VII, pp. 170-171.
[22] Efemeridi, II serie, I, cc. 73-74, ventiquattro maggio 1773 e Histoire philosophique cit., XI, pp. 167 e 239-40.
[23] Efemeridi, II serie, I, cc. 90-91, trenta maggio 1773 e Histoire philosophique cit., XI, pp. 513-514.
[24] Cfr. Landi, Il governo delle opinioni cit., p. 243 e ss.
[25] ASF, Consiglio di Reggenza, 625, ins. I, Pelli a Seratti, Dalla R. Galleria, diciasette aprile 1776.
[26] Cfr. S. Landi, “Scrivere per il principe. La carriera di Domenico Stratico in Toscana (1761-1776)”, Rivista storica italiana, CIV, 1992, pp. 90-154.
[27] BCB, Carteggio Remondini, XVIII. xxxvi, Ramirez a Remondini, Venezia, ventitre febbraio 1784.
[28] Storia filosofica cit., I, p. 11.
[29] Ibidem, VI, pp. 11-12.
[30] Ibidem, I, pp. 12-13.
[31] Ibidem, VI, pp. 8.
[32] ANMV, Dissertazioni mandate a concorso, fascio II, xxxvi. La dissertazione di Stratico, che reca l’epigrafe Numquam aliud sapientia aliud sapientia dicit, consta di otto carte non numerate; sulla prima in alto si legge Risoluzione del problema proposto all’Accademia delle Scienze di Mantova nel 1776. Se questo possa dirsi il secolo filosofico; sull’attribuzione di questo scritto cfr. Landi, Il governo delle opinioni cit., p. 312.
[33] [D. Stratico], Risoluzione del problema cit., c. 2: “L’Italia soggiace ai medesimi antifilosofici incommodi [delle altre parti d’Europa] ed anche maggiori, parendo non potersi per noi sperare l’aurora della filosofia, finché essa non sia sul meridiano degli altri paesi”. Sulla visione negativa degli Stati italiani veicolata dall’Histoire philosophique cfr. app. V.
[34] Storia filosofica cit., XVIII, p. 222.
[35] Cfr. la sintesi di A. Alimento, “La réception des idées physiocratiques à travers les traductions: le cas toscan et vénitien” in, B. Delmas, T. Demals, P. Steiner, a cura di, La diffusion internationale de la physiocratie (XVIIIe-XIXe), Grenoble, P.U.G., 1995, p. 297-313.
[36] P. Del Negro, Il mito americano nella Venezia del Settecento, Padova, Liviana, 1986, pp. 81-111.
[37] G. Folena, L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino, Einaudi, 1983, p. 35.
[38] Cfr. Landi, Il governo delle opinioni cit., pp. 283-286.