Traduzioni e circolazione della letteratura economico-politica nell'Europa settecentesca

Premessa

Niccolò Guasti
Rolando Minuti

1. Tra i tanti dibattiti che percorsero l’Europa del Settecento, quello sulle lingue appare uno dei più estesi e duraturi: vi parteciparono intellettuali di formazione e convinzioni diversissime, dai philosophes come Voltaire, Condillac e D’Alembert, a poeti quali Cesarotti, fino ai gesuiti spagnoli espulsi in Italia. Pur nella varietà delle opinioni, vennero allora isolati con chiarezza i due criteri guida essenziali che qualsiasi traduttore può adottare nell’adattare un testo, ossia la traduzione letterale e quella interpretativa. La necessità di utilizzare un metodo libero venne avvertita ad esempio da quei letterati che si cimentarono a divulgare nella propria lingua la poesia stranieri. A questo riguardo Cesarotti, nel presentare la sua traduzione in italiano di Ossian (1772), esprime con chiarezza il suo criterio guida: “ho seguito costantemente lo stesso metodo di tradurre, cioè d’esser più fedele allo spirito che alla lettera del mio originale, e di studiarmi di tener un personaggio di mezzo tra il traduttore e l’autore”.
Di fatto, però, lo stesso identico metodo enunciato dal poeta italiano era stato da tempo adottato anche da coloro che si impegnarono nello stesso periodo a tradurre testi che oggi definiremmo “tecnici”, come ad esempio i manuali di mercatura o testi di argomento giuridico ed economico. Infatti l’obiettivo politico e strumentale che solitamente sottendeva la traduzione di questo tipo di opere rendeva insufficiente e inadeguato il filtro indicato da Cesarotti: oltre alla traduzione del testo in sé occorreva ad esempio fornire al lettore della lingua d’arrivo una serie di coordinate giuridiche e storiche sul contesto di partenza, spesso poco conosciuto. Non è infatti l’imparzialità - concetto così tipicamente settecentesco - che questi traduttori cercano, ma bensì l’esatto contrario: i mediatori della letteratura “tecnico-pratica”, in particolare di quella di orientamento riformistico, adottano immediatamente uno stile disinvolto, divulgativo e “selettivo”, anche quando condividono le idee dell’autore tradotto: poiché quello a cui aspirano non è tanto conquistare una visibilità della repubblica letteraria, quanto piuttosto trasmettere delle idee per inserirsi nella lotta politica contingente del proprio paese. In questo senso anche il plagio è permesso, poiché appropriarsi delle idee altrui viene considerato non solo un riconoscimento della efficacia dell’originale, ma anche uno dei tanti strumenti della lotta politica e ideologica.
Una sorta di “imprinting” idealista ha molto spesso portato gli studiosi a sottostimare il contributo fornito alla pratica e alla teoria della traduzione da parte di quegli scrittori che, non essendo strictu sensu dei letterari, si occuparono della veicolazione di una cultura che sembrava qualitativamente inferiore all’“alta” letteratura. Eppure i traduttori del Settecento - specialmente di opere d’argomento economico - dovettero confrontarsi con una serie di difficoltà linguistiche ignote ai loro colleghi “letterati”. L’incertezza sullo statuto scientifico dell’economia si rifletteva innanzitutto sul vocabolario da utilizzare poiché appariva fino da allora evidente che l’ossatura di questa nuova scienza scaturiva da una semantica appropriata. Il contributo fornito in tutta Europa dai traduttori settecenteschi alla nascita della scienza economica fu da questo punto di vista determinante: il confronto tra linguaggi diversi non stimolava solamente la riflessione sulle leggi dell’economia politica, ma sulla terminologia da utilizzare per sciogliere determinati concetti nel passaggio da una lingua all’altra.

2. Il testo che meglio compendia le difficoltà metodologiche che i traduttori della trattatistica economico-politica del Settecento dovettero risolvere ce lo fornisce F. Véron de Forbonnais, uno dei grandi divulgatori nella Francia dell’Encyclopédie della trattatistica economica spagnola e britannica coeva. Nella préface du traducteur che precede la sua traduzione (1753) della Theórica y Práctica de comercio y de marina di G. de Uztáriz, Forbonnais illustra i criteri che lo hanno guidato nella trasmissione del testo scritto in castigliano al francese: “J’ai peu de chose à dire de ma traduction; j’ai cherché à y mettre la clarté et la précision qui conviennent à ces matières, et que je n’ai pas toujours rencontrées dans mon auteur [Uztáriz]: la langue espagnole est très-noble, mais un peu verbeuse; et des conjonctions répétées pendant des pages entières forment souvent des transitions. ... J’ose répondre de la fidélité du sens et des choses; mais je me suis quelquefois dispensé de rendre les tours, les longueurs et le répétitions inutiles. Don Geronymo écrivoit sur une metière inconnue et parmi des hommes prévenus; il ne laissoit échapper aucune occasion de rappeller ses principes et ses maximes, même aux dépens de l’ordre et de l’économie du discours: j’ai cru n’avoir pas besoin des mêmes précautions, et je suis sûr que’elles auroient déplu au plus grand nom bre des lecteurs. ... J’ai joint quelques chapitres ensemble, lorsque j’ai cru que l’ordre et la clarté l’exigeoient. Je n’ai pas non plus copié servilement plusieurs de nos tarifs ... Ces libertés sont en très-petit nombre, et j’espere que’elles ne seront pas desapprouvées”.
Forbonnais quindi ammette che il confronto con una lingua che non ha ancora sviluppato un vocabolario specifico per definire tanti concetti economici lo ha costretto a interpretrare, spesso con “courage”, il testo originale nel tentativo di tradurre, oltre che le parole, anche il messaggio intimo di Uztáriz; la rielaborazione della struttura del testo viene reputata un’operazione di adattamento temporale e contestuale necessaria. Di fatto la metodologia enunciata qui da Forbonnais è la stessa di tanti suoi contemporanei, anche di coloro che protestano di aver seguito una traduzione letterale.
L'incontro di Firenze - organizzato nell'ambito del progetto nazionale di ricerca "La cultura dell'Illuminismo europeo" (Miur, Cofin 2000; responsabile nazionale, Vincenzo Ferrone; coordinatore dell'unit operativa di Firenze, Rolando Minuti) - si prefiggeva di analizzare in primo luogo le tante variabili della tecnica traduttoria adottata da coloro che si impegnarono a veicolare tra le vaie culture europee la letteratura di argomento politico-economico.
La scelta di privilegiare tre contesti specifici non è stata casuale. Si è infatti cercato di analizzare gli scambi culturali tra due centri riconosciuti del movimento dei Lumi e della politca riformatrice, la Francia e l’Italia (con particolare attenzione alla Toscana lepoldina) e la Spagna, troppo spesso considerata al margine non solo della cultura illuministica, ma anche “europea”. Crediamo che i risultati del colloquio siano stati in certa misura soprendenti poiché il luogo comune della perifericità della Spagna rispetto ai Lumi ne è risultato fortemente indebolito.

3. Il contributo di Jesús Astigarraga sulla diffusione spagnola dei tre scrittori di punta della cultura napoletana nel secondo Settecento (Genovesi, Galiani e Filangieri) ha dimostrato la centralità che le loro opere ebbero non solo sul movimento riformatore e nei dibattiti iberici, quanto sulla definizione delle regole e della strutturazione accademica della nuova disciplina economica in Spagna. Il saggio di Llombart illustra invece le regole che sottesero la trasmissione di testi d’argomento economico stranieri nella Spagna del Settecento; il catalogo - che rappresenta il primo serio tentativo di quantificare il fenomeno della trasmissione dei testi d’argomento economico dall’Europa alla Spagna e viceversa - con il quale egli correda il suo saggio, mostra la ricchezza di quel flusso di idee e progetti di riforma che legò la Spagna di Carlo III al “Settecento Riformatore” europeo. Vieri Becagli ha quindi offerto una prospettiva speculare a quella dello studioso spagnolo; emerge, in particolare, la difficoltà di definire le regole della trasmissione di testi economici stranieri - in particolare di quelli fisiocratici - nelle tante realtà italiane. I lavori di Antonella Alimento e Niccolò Guasti si propongono invece di analizzare la tecnica utilizzata da Forbonnais nel piegare testi stranieri - la Relazione di Neri e la Theórica di Uztáriz - alle convinzioni teoriche personali e alle battaglie riformistiche in cui lo scrittore francese di trovò coinvolto. L’articolo di Sandro Landi analizza con precisione l’operazione di traduzione/adattamento di una delle principali “machine de guerre” dell’Illuminismo francese nella Toscana di Pietro Leopoldo, e cioè l’ Histoire des deux Indes di Raynal-Diderot; infine José Miguel Delgado Barrado, partendo da un caso specifico di plagio del progettista spagnolo Argumosa, riflette sul diverso significato che tale concetto possedeva nel corso Settecento.
Dai risultati dell'incontro è emersa complessivamente la necessità di un'analisi più attenta del problema della circolazione dei testi e delle traduzioni in ambiti non esclusivamente letterari, tale da offrire materiale utile ad una riflessione più generale sul rapporto tra centri e periferie culturali dell'Europa settecentesca, ed è emersa in particolare l'opportunità di uno sviluppo significativo delle occasioni di scambio tra contesti universitari ed ambiti disciplinari propri delle diverse realtà universitarie europee, che può costituire un terreno fertile per la maturazione della riflessione su quell'identità condivisa che costituisce uno dei grandi temi dell'attuale fase storica della civiltà europea.