1. Tra i tanti dibattiti che percorsero l’Europa
del Settecento, quello sulle lingue appare uno dei più estesi e duraturi:
vi parteciparono intellettuali di formazione e convinzioni diversissime, dai
philosophes
come Voltaire, Condillac e D’Alembert, a poeti quali Cesarotti, fino
ai gesuiti spagnoli espulsi in Italia. Pur nella varietà delle opinioni,
vennero allora isolati con chiarezza i due criteri guida essenziali che qualsiasi
traduttore può adottare nell’adattare un testo, ossia la traduzione
letterale e quella interpretativa. La necessità di utilizzare un metodo
libero venne avvertita ad esempio da quei letterati che si cimentarono a
divulgare nella propria lingua la poesia
stranieri. A questo riguardo Cesarotti, nel presentare la sua traduzione in
italiano di Ossian
(1772), esprime con chiarezza il suo criterio guida: “ho seguito costantemente
lo stesso metodo di tradurre, cioè d’esser più fedele
allo spirito che alla lettera del mio originale, e di studiarmi di tener un
personaggio di mezzo tra il traduttore e l’autore”.
Di fatto, però, lo stesso identico metodo
enunciato dal poeta italiano era stato da tempo adottato anche da coloro che
si impegnarono nello stesso periodo a tradurre testi che oggi definiremmo
“tecnici”, come ad esempio i manuali di mercatura o testi di argomento
giuridico ed economico. Infatti l’obiettivo politico e strumentale che
solitamente sottendeva la traduzione di questo tipo di opere rendeva insufficiente
e inadeguato il filtro indicato da Cesarotti: oltre alla traduzione del testo
in sé occorreva ad esempio fornire al lettore della lingua d’arrivo
una serie di coordinate giuridiche e storiche sul contesto di partenza, spesso
poco conosciuto. Non è infatti l’imparzialità - concetto
così tipicamente settecentesco - che questi traduttori cercano, ma
bensì l’esatto contrario: i mediatori della letteratura “tecnico-pratica”,
in particolare di quella di orientamento riformistico, adottano immediatamente
uno stile disinvolto, divulgativo e “selettivo”, anche quando
condividono le idee dell’autore tradotto: poiché quello a cui
aspirano non è tanto conquistare una visibilità della repubblica
letteraria, quanto piuttosto trasmettere delle idee per inserirsi nella lotta
politica contingente del proprio paese. In questo senso anche il plagio è
permesso, poiché appropriarsi delle idee altrui viene considerato non
solo un riconoscimento della efficacia dell’originale, ma anche uno
dei tanti strumenti della lotta politica e ideologica.
Una sorta di “imprinting” idealista
ha molto spesso portato gli studiosi a sottostimare il contributo fornito
alla pratica e alla teoria della traduzione da parte di quegli scrittori che,
non essendo strictu
sensu dei letterari, si occuparono della
veicolazione di una cultura che sembrava qualitativamente inferiore all’“alta”
letteratura. Eppure i traduttori del Settecento - specialmente di opere d’argomento
economico - dovettero confrontarsi con una serie di difficoltà linguistiche
ignote ai loro colleghi “letterati”. L’incertezza sullo
statuto scientifico dell’economia si rifletteva innanzitutto sul vocabolario
da utilizzare poiché appariva fino da allora evidente che l’ossatura
di questa nuova scienza scaturiva da una semantica appropriata. Il contributo
fornito in tutta Europa dai traduttori settecenteschi alla nascita della scienza
economica fu da questo punto di vista determinante: il confronto tra linguaggi
diversi non stimolava solamente la riflessione sulle leggi dell’economia
politica, ma sulla terminologia da utilizzare per sciogliere determinati concetti
nel passaggio da una lingua all’altra.
2. Il testo che meglio compendia le difficoltà
metodologiche che i traduttori della trattatistica economico-politica del
Settecento dovettero risolvere ce lo fornisce F. Véron de Forbonnais,
uno dei grandi divulgatori nella Francia dell’Encyclopédie
della trattatistica economica spagnola e britannica coeva. Nella préface
du traducteur che precede la sua traduzione
(1753) della Theórica
y Práctica de comercio y de marina
di G. de Uztáriz, Forbonnais illustra i criteri che lo hanno guidato
nella trasmissione del testo scritto in castigliano al francese: “J’ai
peu de chose à dire de ma traduction; j’ai cherché à
y mettre la clarté et la précision qui conviennent à
ces matières, et que je n’ai pas toujours rencontrées
dans mon auteur [Uztáriz]: la langue espagnole est très-noble,
mais un peu verbeuse; et des conjonctions répétées pendant
des pages entières forment souvent des transitions. ... J’ose
répondre de la fidélité du sens et des choses; mais je
me suis quelquefois dispensé de rendre les tours, les longueurs et
le répétitions inutiles. Don Geronymo écrivoit sur une
metière inconnue et parmi des hommes prévenus; il ne laissoit
échapper aucune occasion de rappeller ses principes et ses maximes,
même aux dépens de l’ordre et de l’économie
du discours: j’ai cru n’avoir pas besoin des mêmes précautions,
et je suis sûr que’elles auroient déplu au plus grand nom
bre des lecteurs. ... J’ai joint quelques chapitres ensemble, lorsque
j’ai cru que l’ordre et la clarté l’exigeoient. Je
n’ai pas non plus copié servilement plusieurs de nos tarifs ...
Ces libertés sont en très-petit nombre, et j’espere que’elles
ne seront pas desapprouvées”.
Forbonnais quindi ammette che il confronto
con una lingua che non ha ancora sviluppato un vocabolario specifico per definire
tanti concetti economici lo ha costretto a interpretrare, spesso con “courage”,
il testo originale nel tentativo di tradurre, oltre che le parole, anche il
messaggio intimo di Uztáriz; la rielaborazione della struttura del
testo viene reputata un’operazione di adattamento temporale e contestuale
necessaria. Di fatto la metodologia enunciata qui da Forbonnais è la
stessa di tanti suoi contemporanei, anche di coloro che protestano di aver
seguito una traduzione letterale.
L'incontro di Firenze - organizzato nell'ambito del progetto nazionale di
ricerca "La cultura dell'Illuminismo europeo" (Miur, Cofin 2000;
responsabile nazionale, Vincenzo Ferrone; coordinatore dell'unit operativa
di Firenze, Rolando Minuti) - si prefiggeva di analizzare in primo luogo le
tante variabili della tecnica traduttoria adottata da coloro che si
impegnarono a veicolare tra le vaie culture europee la letteratura di
argomento politico-economico.
La scelta di privilegiare tre contesti specifici
non è stata casuale. Si è infatti cercato di analizzare gli
scambi culturali tra due centri riconosciuti del movimento dei Lumi e della
politca riformatrice, la Francia e l’Italia (con particolare attenzione
alla Toscana lepoldina) e la Spagna, troppo spesso considerata al margine
non solo della cultura illuministica, ma anche “europea”. Crediamo
che i risultati del colloquio siano stati in certa misura soprendenti poiché
il luogo comune della perifericità della Spagna rispetto ai Lumi ne
è risultato fortemente indebolito.
3. Il contributo di Jesús Astigarraga
sulla diffusione spagnola dei tre scrittori di punta della cultura napoletana
nel secondo Settecento (Genovesi, Galiani e Filangieri) ha dimostrato la centralità
che le loro opere ebbero non solo sul movimento riformatore e nei dibattiti
iberici, quanto sulla definizione delle regole e della strutturazione accademica
della nuova disciplina economica in Spagna. Il saggio di Llombart illustra
invece le regole che sottesero la trasmissione di testi d’argomento
economico stranieri nella Spagna del Settecento; il catalogo - che rappresenta
il primo serio tentativo di quantificare il fenomeno della trasmissione dei
testi d’argomento economico dall’Europa alla Spagna e viceversa
- con il quale egli correda il suo saggio, mostra la ricchezza di quel flusso
di idee e progetti di riforma che legò la Spagna di Carlo III al “Settecento
Riformatore” europeo. Vieri Becagli ha quindi offerto una prospettiva
speculare a quella dello studioso spagnolo; emerge, in particolare, la difficoltà
di definire le regole della trasmissione di testi economici stranieri - in
particolare di quelli fisiocratici - nelle tante realtà italiane. I
lavori di Antonella Alimento e Niccolò Guasti si propongono invece
di analizzare la tecnica utilizzata da Forbonnais nel piegare testi stranieri
- la Relazione di
Neri e la Theórica
di Uztáriz - alle convinzioni teoriche personali e alle battaglie riformistiche
in cui lo scrittore francese di trovò coinvolto. L’articolo di
Sandro Landi analizza con precisione l’operazione di traduzione/adattamento
di una delle principali “machine de guerre” dell’Illuminismo
francese nella Toscana di Pietro Leopoldo, e cioè l’
Histoire des deux
Indes di Raynal-Diderot; infine José
Miguel Delgado Barrado, partendo da un caso specifico di plagio del progettista
spagnolo Argumosa, riflette sul diverso significato che tale concetto possedeva
nel corso Settecento.
Dai risultati dell'incontro è emersa
complessivamente la necessità di un'analisi più attenta del
problema della circolazione dei testi e delle traduzioni in ambiti non esclusivamente
letterari, tale da offrire materiale utile ad una riflessione più generale
sul rapporto tra centri e periferie culturali dell'Europa settecentesca, ed
è emersa in particolare l'opportunità di uno sviluppo significativo
delle occasioni di scambio tra contesti universitari ed ambiti disciplinari
propri delle diverse realtà universitarie europee, che può costituire
un terreno fertile per la maturazione della riflessione su quell'identità
condivisa che costituisce uno dei grandi temi dell'attuale fase storica della
civiltà europea.