1. Negli ultimi due o tre decenni, come più volte ha osservato Giuseppe Ricuperati, si è verificato, con particolare intensità a proposito dell'Illuminismo, un fenomeno comune nella storiografia: una straordinaria dilatazione della ricerca, magari su singoli autori o su ambienti sinora ritenuti marginali, che ha prodotto una "crisi del modello cassireriano, che aveva dominato fino a metà degli anni settanta e che aveva consentito le ultime grandi ricostruzioni unitarie dell'Illuminismo". A quelle grandi "immagini unitarie" sono subentrate, gradualmente, "identità settoriali", come il "radical Enlightenment" di Margaret Candee Jacob - che, lo vedremo, è un approccio interpretativo diverso da quello di Israel - o il "conservative Enlightenment delineato da Pocock intorno a Gibbon e alla specificità inglese". Quest'ultimo filone interpretativo, quello di Pocock, che accentua il carattere nazionale o locale, "rovescia la prospettiva con la quale il movimento illuminista guardava a se stesso e alla sua funzione storica: esso infatti concepiva il senso della propria discussione come un contributo a un processo caratterizzato dalla universalità e dal cosmopolitismo, dalla comunicazione transnazionale, dalla contaminazione di generi letterari e dalla scoperta dell'altro" (Tortarolo).
2. John G. A. Pocock è Professore Emerito di Storia presso la Johns Hopkins University. I suoi principali interessi di ricerca hanno riguardato la storia del pensiero giuridico inglese del XVII secolo (The Ancient Constitution and the Feudal Law, 1957) e l'influenza del tomismo sul pensiero politico fiorentino e sulle teorie repubblicane anglo-americane di età moderna (The Machiavellian Moment: Florentine Political Thought and the Atlantic Republican Tradition, 1975). Dagli anni '70 teorizza la necessità di concettualizzare una storia propriamente britannica. Nel 1999 egli ha pubblicato i primi due volumi di una serie intitolata Barbarism and Religion (un terzo, appena pubblicato e intitolato The First Decline and Fall, presenta un'ampia introduzione storica ai primi quattordici capitoli dell'opera di Edward Gibbon). Il titolo della serie allude al trionfo sull'impero romano dapprima delle popolazioni barbariche, poi del cristianesimo, allude cioè al "millennio cristiano", che assopì la virtù civica degli antichi romani, finché essa non ebbe finalmente a ridestarsi nell'Europa illuminata: un percorso orgogliosamente ricostruito dalla storiografia illuminista, ma appena accennato nella celebre opera in sei volumi di Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire (1776-1788), che dei volumi di Pocock costituisce il pretesto e lo sfondo. Il primo volume, intitolato The Enlightenments of Edward Gibbon, è dedicato alla memoria di Franco Venturi, del quale Pocock rilegge con intento polemico alcuni passaggi di Utopia e riforma nell'Illuminismo. Pocock contesta la tesi venturiana dell'estraneità inglese all'Illuminismo europeo, ritenendo invece che l'Illuminismo, pur mosso da comuni aspirazioni ideali, si sia poi tradotto, nei diversi contesti nazionali, in movimenti intellettuali distinti. In Inghilterra, diversamente che in Francia, non si formò una classe intellettuale estranea alle strutture statuali: l'Illuminismo inglese fu "clerical and conservative". E' dunque opportuno, secondo Pocock, che si parli piuttosto di "Illuminismi" ("arminiano, o protestante", "francese, o montesquieuiano", "scozzese", ...) e si colgano di ognuno i tratti salienti. Pocock li introduce gradualmente, seguendo l'itinerario europeo di Gibbon, il quale, acquisita privatamente una straordinaria cultura classica, dopo una breve permanenza a Oxford, fu esiliato dal padre a Losanna, a espiare la sua inattesa conversione al cattolicesimo. In Svizzera egli frequentò esponenti di primo piano di quello che Pocock definisce l'"Illuminismo arminiano" o altrimenti "protestante". Si dissero "arminiani" quanti professavano la tesi - invisa ai calvinisti rigidamente predestinazionisti - che l'uomo partecipasse con le sue azioni al suo destino di salvezza. L'arminianesimo si diffuse ampiamente nei luoghi di approdo della diaspora ugonotta e, in Inghilterra, tra i "latitudinari", quei chierici anglicani che rivendicavano posizioni teologiche e politiche moderate. L'insistenza di questi ultimi sulla responsabilità personale e sull'impegno morale, unita ad una insolita enfasi, di ascendenza sociniana, sulla missione più che sulla natura divina di Cristo, sortiva l'effetto di ridimensionare il ruolo profetico e sacramentale dell'istituzione ecclesiastica, per farne invece un importante strumento di legittimazione del potere monarchico e di educazione all'obbedienza dei sudditi.
3. Già nell'85, in un saggio apparso in una miscellanea di studi offerti
a Franco Venturi, Pocock aveva teorizzato un Illuminismo inglese conservatore
e clericale, promosso dai "teologi latitudinari" come argine alla temuta
ritorsione degli "entusiasti", sconfitti con la restaurazione degli Stuart.
Se dunque gli apologeti anglicani insistevano, ad esempio, su di un ruolo
importante, se pur insufficiente, della ragione, fu perché era loro necessario
contrastare l'anti-razionalismo, l'antinomismo e il fanatismo religioso
degli "entusiasti", cui si doveva in buona parte l'esperienza drammatica
delle guerre civili e che ora sembravano riaffiorare negli scritti e nelle
prediche dei dissenters.
A dispetto di una lunga tradizione storiografica, oggi discussa, i "latitude-men"
furono strenui fautori dell'uniformità del culto entro i confini dello
Stato: "one misinterprets the Anglican divines of later seventeenth century
if one does not understand that their insistence on the reasonableness
of Christianity was an iron grip not on a deistic future but on a traditional
past" (Reedy). Ma è tra quei chierici, ormai distratti dalla teologia
nicena, assai versati nelle belle lettere e nelle buone maniere e accorti
interlocutori delle nuove oligarchie mercantili, che Pocock riconosce
la specifica identità dell'Illuminismo inglese, plasmata dunque non su
un retroterra deista e radicale, ma piuttosto su radici sociniane ed erastiane.
John Robertson, in un'ampia e stimolante discussione delle conclusioni
di Pocock, recentemente apparsa su Storia della Storiografia (ma
ancor prima, in formato elettronico, su Cromohs, e in una versione
più breve su Eighteenth-Century Scotland) ha osservato come la
tesi che le radici dell'Illuminismo siano sociniane significa escludere
dalla sua storia lo spinozismo ed il naturalismo epicureo: "Pocock's Enlightenment
is directly opposed to that with which Jonathan Israel has just presented
us ... in Radical Enlightenment. Philosophy and the Making of Modernity
1650-1750 (Oxford 2001)". E a Pocock allude, in polemica diretta,
lo stesso Israel, quando scrive: "The Early Enlightenment was an impressively
unified process across Europe, indeed a remarkable demonstration of the
essential cohesion of European history. Nothing could be more mistaken
than to suppose that national arenas evolved in relative isolation from
each other or that national contexts were decisive in shaping the broad
pattern of intellectual development (p. 137; cfr. pp. v, 715 e Sutcliffe,
Judaism and Enlightenment, pp. 11-15)".
Jonathan I. Israel, già Professore di Storia Olandese all'University College
di Londra, dal gennaio 2001 insegna a Princeton. I suoi studi precedenti,
The Dutch Primacy in World Trade 1585-1740 (Oxford, 1989) e The
Dutch Republic. Its Rise, Greatness, and Fall 1477-1806 (Oxford 1995),
avevano già mostrato la sua straordinaria erudizione poliglotta, la sua
familiarità con gli archivi e le biblioteche più remote e la sua aspirazione
a rappresentare i suoi temi su sfondi spazio-temporali amplissimi. Nei
suoi studi egli ha ricercato le ragioni del primato commerciale olandese,
riconoscendole non tanto nell'egemonia sui traffici del Baltico, quanto
nella conquista del mercato dello zucchero, delle spezie, della seta e
dell'argento americano. Ma all'Olanda - ed è quanto interessa noi qui
- egli ha anche riconosciuto un ruolo essenziale nella concezione e nella
promozione dei valori costitutivi della modernità, anzitutto la libertà
di pensiero, l'uguaglianza e il primato della legge.
4. Nel 1981 Margaret Candee Jacob aveva pubblicato a Londra un libro
destinato a grande fortuna e intitolato The Radical Enlightenment.
Pantheists, Freemasons and Republicans. Vi aveva sostenuto come nella
prima età moderna e nell'Europa pre-industriale fosse diffusa la consapevolezza
di una stretta relazione tra la concezione della natura e l'ordine sociale
e morale: quanti, panteisti, credevano che Dio dimorasse nella Natura,
propugnavano la necessità di un livellamento sociale; quanti invece, newtoniani
ortodossi, immaginavano un Dio controllore della natura dall'esterno,
legittimavano gli ordini gerarchici costituiti. Le implicazioni rivoluzionarie
del panteismo emersero per la prima volta in Inghilterra, tra il 1640
e il 1660: ma i radicali dell'Interregno furono solo i precursori dei
repubblicani del XVIII secolo, "intellettuali dissidenti, uomini, e forse
qualche donna, spesso con una vita di rifugiati alle spalle, che non condividevano
il progetto dei maggiori philosophes come Voltaire e D'Alembert,
o degli uomini di chiesa liberali, come i newtoniani in Inghilterra, propensi
alla realizzazione della propria fede nell'ambito di una monarchia illuminata".
Gli illuministi radicali della Jacob hanno la loro genesi sociale in Inghilterra,
tra i whig radicali che, delusi dalla rivoluzione del 1688-9, scelsero
l'esilio olandese e qui formularono una nuova religione della natura,
cui diedero espressione nei riti massonici. Oggi l'indagine della Jacob
appare riduttiva e settoriale. L'"Illuminismo radicale" di Jonathan I.
Israel rivendica origini diverse e una dimensione europea ben più ampia
e durevole.
Con il suo libro Israel si propone tre obiettivi. Il primo è quello di
tentare di offrire l'immagine dell'Illuminismo europeo quale un singolo
movimento intellettuale e culturale, ovunque interessato agli stessi problemi,
spesso agli stessi libri, dal Portogallo alla Russia, dall'Irlanda alla
Sicilia: nei decenni a cavallo tra il '600 e il '700 l'Europa centrale
e occidentale divenne un mondo integrato dove la circolazione fittissima
delle idee fu resa possibile dal pullulare di giornali e periodici, salotti
privati e sale da caffè, periodici letterari e biblioteche di concezione
finalmente universale. Il secondo obiettivo è appunto di mostrare che
l'"Illuminismo radicale", lungi dall'essere uno sviluppo marginale, periferico,
fu al contrario una parte vitale dell'Illuminismo, e forse più coerentemente
diffuso e coeso a livello internazionale di quanto non fu l'"Illuminismo
moderato". L'ultimo e il più importante obiettivo è quello di dimostrare
come ovunque l'ossatura intellettuale dell'Illuminismo radicale europeo,
non soltanto in Olanda (libertorum Africa, secondo Buddeus), Germania,
Francia, Italia e Scandinavia, ma anche in Inghilterra e in Irlanda, fu
il pensiero di Spinoza e lo spinozismo.
5. Israel riprende l'immagine di Paul Hazard di una crisi della coscienza
(mind) europea avvenuta, per Hazard, nel tardo XVII secolo e intesa
come una fase cruciale di passaggio dall'era confessionale all'Illuminismo,
ma gli obietta la necessità di spostare più indietro nel tempo l'inizio
di quella crisi e di indagarne matrici ed effetti al di là dei confini
francesi. Se la Riforma protestante aveva demolito il monolite di un'unica
Chiesa occidentale europea, essa tuttavia ne aveva riprodotto e conservato
nelle nuove confessioni cristiane il tradizionale impianto aristotelico.
Occorse il terremoto illuminista e soprattutto i suoi teorici più radicali,
perché sulla tirannia dei teologi prevalesse la libertas philosophandi.
L'Illuminismo moderato - spiega Israel -, che fu comprensibilmente sostenuto
da numerosi governi e fazioni influenti delle principali Chiese, aspirava
a vincere l'ignoranza e la superstizione, a stabilire la tolleranza, a
rivoluzionare per mezzo della filosofia le idee, l'educazione, i costumi,
ma in una maniera che preservasse e salvaguardasse gli elementi giudicati
essenziali delle strutture esistenti, attuando una sintesi tra vecchio
e nuovo, tra ragione e fede. Al contrario l'Illuminismo radicale, ateo
o deista, rigettava ogni compromesso con il passato, rifiutava la Creazione
quale era tradizionalmente intesa nella tradizione giudaico-cristiana,
l'intervento di un Dio provvidente nelle vicende umane, la possibilità
dei miracoli, la prospettiva di una ricompensa o di una condanna in un'altra
vita, soprattutto rifiutava di accettare che esistesse una gerarchia sociale
ordinata da Dio ed una sanzione divina del potere monarchico e dei privilegi
nobiliari. Fin dalle sue origini negli anni '50 e '60 del '600, l'Illuminismo
radicale europeo combinò un'immensa riverenza per la scienza e per la
logica matematica con posizioni deiste, quando non apertamente materialiste
ed atee, e tendenze indiscutibilmente repubblicane, perfino democratiche.
Le tendenze livellatrici ed egalitarie più radicali generarono anche un
impulso verso l'emancipazione della donna e della stessa libido umana.
Se la crisi filosofica del '600 fu innescata dal cartesianesimo - una
dottrina che riconosceva la verità della Scrittura in res fidei,
ma non in relazione alla cronologia, alla cosmologia o alla scienza naturale
e che sosteneva che la Bibbia usasse un linguaggio consono all'ignoranza
della gente comune - essa tuttavia fu ingigantita dal diffondersi dello
spinozismo, che non riconosceva a Dio libertà o potere alcuno e rifiutava
il dualismo cartesiano. La sostanza della tradizione intellettuale radicale,
da Spinoza a Diderot, consiste nel rifiuto filosofico di una religione
rivelata e nella sostituzione all'idea di salvezza nell'aldilà del perseguimento
del bene più alto hic et nunc. Diderot, come Spinoza, enfatizza
il bisogno di inculcare l'obbedienza alle leggi della società, definendo
vera religione la venerazione per quelle leggi e vera pietas l'obbedienza
al bene comune. Israel ripercorre la diffusione, spesso clandestina, delle
opere spinoziane e spinoziste e i dibattiti che in tutta Europa esse innescarono,
al fine di dimostrarne l'influenza, ad esempio, sulla filosofia della
storia di Giambattista Vico o sugli attacchi contro la superstizione di
John Toland. Nelle opere degli apologeti cristiani Israel rileva la percezione
diffusa che le più audaci e pericolose rivendicazioni intellettuali fossero
da ricondursi a Spinoza. La stessa censura si volse ad arginare non più
opere eterodosse di argomento teologico, ma testi filosofici, di cui era
avvertito il potenziale sovversivo. Fu infatti premura di numerosi esponenti
dell'Illuminismo radicale di "illuminare" la gente comune, rendendola
partecipe delle lezioni della filosofia ricorrendo talora all'espediente
della novella o dell'apologo. Teorici di spicco del "Popular Enlightenment"
furono, tra gli altri, Van den Enden, i fratelli Koerbagh, Lodewijk Meyer,
autore quest'ultimo di un'opera contestatissima, Philosophia S. Scripturae
Interpres.
6. A conclusione di questa lettura necessariamente selettiva, un po' sommaria e farraginosa di un'opera tanto imponente e complessa, è forse opportuno ricordare un concetto-chiave, quello di tolleranza, perché attraverso di esso Israel esemplifica con chiarezza mirabile la modernità di Spinoza e la distanza che lo separa, ad esempio, da Locke, il teorico della tolleranza più rappresentativo dell'ala moderata dell'Illuminismo. Per Locke la tolleranza si configura essenzialmente come libertà di religione, riconoscendo egli all'individuo il diritto di perseguire la sua salvezza aderendo alla confessione religiosa che in coscienza più lo persuada. Difatti Locke esclude l'ateo dalla possibilità della tolleranza. La società immaginata da Locke vede dunque la pacifica coesistenza di blocchi confessionali, di comunità chiuse. Non vi è dunque possibilità alcuna per un individuo di trarsi fuori da tutte le comunità religiose senza perdere i diritti civili e politici. Al contrario Spinoza nel Tractatus theologico-politicus sostiene che ogni individuo debba essere libero di esprimere pubblicamente quanto crede, mentre va inibita o arginata la formazione di larghe e influenti gerarchie ecclesiastiche: l'individuo infatti è tanto più libero quanto meno è legato o influenzato dai dettami di una chiesa organizzata. Il concetto di tolleranza di Spinoza è parte della più ampia tradizione del pensiero politico repubblicano olandese. E la visione di Israel riconosce alla repubblica olandese un ruolo centrale nella formulazione e nella diffusione dei valori della modernità, non solo in termini di contributi filosofici, ma in un senso culturale più ampio: in essa approdò numerosa la diaspora intellettuale ugonotta, nacquero i periodici letterari in lingua francese e si organizzò un efficiente mercato librario che consentì una rapida trasmissione dei Lumi in tutta Europa.
Franco Venturi, Utopia e riforma nell'Illuminismo, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 1970; Margaret C. Jacob, The Radical Enlightenment. Pantheists, Freemasons and Republicans, London, George Allen & Unwin, 1981 [trad. it. Il Mulino 1983]; G. C. Gibbs, The Radical Enlightenment, "British Journal for the History of Science", 18, 1984, pp. 67-79; Giuseppe Ricuperati, Paul Hazard e la storiografia dell'illuminismo, "Rivista Storica Italiana", 76, 1974, pp. 372-404; ID. Le categorie di periodizzazione e il Settecento. Per un'introduzione storiografica, "Studi settecenteschi", 14, 1994, pp. 9-106; ID., Illuminismo e Settecento dal dopoguerra ad oggi, in La reinvenzione dei Lumi. Percorsi storiografici del Novecento, a cura di Giuseppe Ricuperati, Firenze, Olschki, 2000, pp. 201-222; Gerard Reedy, The Bible and the Reason. Anglicans and Scripture in late Seventeenth Century England, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1985; Richard Ashcraft, Latitudinarianism and Toleration: Historical Myth versus Political History, in R. Kroll, R. Ashcraft & P. Zagorin (eds.), Philosophy, Science and Religion in England, 1640-1700, Cambridge University Press, 1992, pp. 151-177; Edoardo Tortarolo, L'Illuminismo. Ragioni e dubbi della modernità, Roma, Carocci, 1999; Jonathan I. Israel, Locke, Spinoza and the Philosophical Debate Concerning Toleration in the Early Enlightenment (c.1670-c.1750), "Mededelingen van de Afdeling Letterkunde", Koninklijke Nederlandse Akademie van Wetenschappen, New series, 62, 1999, pp. 5-19; John G. A. Pocock, Clergy and Commerce. The Conservative Enlightenment in England, in L'età dei Lumi. Studi storici sul Settecento europeo in onore di Franco Venturi, Napoli, Jovene Editore, 1985, I, pp. 523-562; ID., Gran Bretagna, in L'Illuminismo. Dizionario storico, a cura di Vincenzo Ferrone e Daniel Roche, Bari, Editori Laterza, 1997, Parte quarta, Spazi, pp. 478-497; ID., Barbarism and Religion, I, The Enlightenments of Edward Gibbon, II, Narratives of Civil Society, Cambridge, Cambridge University Press, 1999; The Enlightenments of J. G. A. Pocock, Two reviews of John G. A. Pocock, Barbarism and Religion (Cambridge University Press, 1999, 2 vols), by M.C. CARHART and John Robertson, "Storia della Storiografia", 39 ["Cromohs", 6], 2001; Anthony Grafton, Where It All Began. Spinoza and the Dutch Roots of the Enlightenment, "Times Literary Supplement", Nov 9 2001; Adam Sutcliffe, Judaism and Enlightenment, Cambridge University Press, 2003.