1. Ad oltre quarant’anni dalla morte di Federico Chabod sembra
giunto il momento per operare una pacata riflessione critica sul complesso
lascito culturale dello storico valdostano. Un dato preliminare emerge
chiaramente dall’analisi della rassegna degli scritti a lui
dedicati che, almeno quantitativamente, non corrispondono al valore
scientifico dell’opera chabodiana: i temi, le idee forza e le
parole chiave oggetto dei suoi poliedrici interessi di ricerca rappresentano,
pur tuttavia, elementi ancora oggi nodali nell’interpretazione
dei caratteri peculiari del mondo moderno. Numerose pubblicazioni,
concentrate per lo più nel periodo immediatamente successivo
alla sua scomparsa, hanno, invero, tentato di tratteggiare, per grandi
linee, i contorni del pensiero e dell’opera dello storico valdostano.
Nel tracciare, infatti, il Profilo di Federico Chabod, l’allievo
Gennaro Sasso (ora in Il guardiano della storiografia, Napoli,
Guida ed., 1985) ha indicato gli elementi di permanenza, sia pur in
forme carsiche, del pensiero chabodiano: ‘il filo della continuità
è costituito dalla lunga ricerca sulle idee di nazione e d’Europa.
E non si tratta dunque, soltanto della continuità del metodo,
del gusto, dello stile storiografico, che, in uno studioso di così
forte personalità, è cosa ovvia. Si tratta della continuità
dei pensieri, - della continuità dei contenuti’ (p. 158).
Sulla scia di queste indicazioni generali si colloca il volume che
raccoglie, in occasione della ricorrenza dei quarant’anni dalla
morte, gli atti del convegno aostano dedicato, giustappunto, a Nazione,
nazionalismi ed Europa nell’opera di Federico Chabod, a
cura di Marta Herling e Pier Giorgio Zunino.
In verità la storiografia europea del secondo Novecento ha
dedicato numerose riflessioni critiche ai complessi problemi interpretativi
sul tema delle identità che, solo ora, si affacciano nel dibattito
culturale italiano, costretto nell’angusto confronto sulla presunta
debolezza del tessuto nazionale. Temi chabodiani a tutto tondo che
vengono recuperati quasi “a dispetto” del contributo offerto
dallo storico valdostano la cui fortuna, tranne qualche significativo
momento rievocativo, non sembra uscire dal cliché del “classico
datato”. Pertanto, limitatamente alla rassegna delle opere che,
nell’ultimo decennio, hanno affrontato gli snodi storiografici
così cari a Chabod - la formazione dello stato moderno, il
ruolo e il destino dello stato nazionale modernamente inteso, gli
scontri determinati da antiche e nuove forme di nazionalismo, la storia
d’Europa e il suo incerto futuro-, occorre ravvisare una vera
e propria, tardiva proliferazione pubblicistica in materia, non accompagnata,
d’altronde, da un’adeguata riflessione interpretativa
sul testamento critico e metodologico chabodiano.
2. Alcune delle più interessanti analisi storiche dedicate al percorso di emersione del sentimento nazionale italiano, le sue radici civili e culturali, adottano, apparentemente in forma del tutto incidentale, il metodo critico individuato da Chabod nelle sue lezioni dedicate a L’idea di nazione (Bari, Laterza, 1961), vero e proprio classico in materia, relegato al rango di superata testimonianza storiografica; non a caso alcune preziose indicazioni, relative allo studio delle origini e dei percorsi peculiari del sentimento nazionale in Europa, che Chabod aveva proposto, a mo’ di provocazione metodologica, non avevano prodotto, prima dei contributi più recenti, risultati di un qualche rilievo. Interrogandosi proprio sull’intreccio tra gli eventi storico-politici e l’analisi della temperie culturale, vera e propria cartina tornasole dei variegati percorsi evolutivi delle identità nazionali europee, lo storico valdostano sosteneva che ‘... la ricerca del carattere nazionale induce assai più alla storia dei costumi e delle tradizioni morali e, come si cominciò a dire giusto allora, alla histoire de la civilisation o Kulturgeschicht o storia della civiltà, che non alla storia politica, stricto sensu; più a studiare le idee ed i sentimenti che non i fatti, gli accadimenti politico-militari tanto cari alla storiografica politica del '500 e '600. La poesia stessa fa rivivere lo ‘spirito dei tempi’ assai più e meglio che non un trattato politico o una vicenda diplomatica ...’ (p. 36). Quest’affascinante sortita nei campi della produzione culturale in generale e letteraria in particolare era però accompagnata da una severa avvertenza, in cui si ribadivano chiaramente gli elementi metodologici di fondo dello storicismo chabodiano, che, nello specifico, si traducevano nella ferma convinzione che la nazione, modernamente intesa, fosse l’esito più tangibile dei rivolgimenti rivoluzionari settecenteschi. I percorsi pre-settecenteschi, (istituzionali o culturali che fossero) andavano pertanto correttamente inquadrati in una cornice schiettamente protonazionale scevra da quelle inopportune forzature interpretative che caratterizzavano la storiografia interessata più agli esiti che non ai reali, tortuosi percorsi di definizione e affermazione delle identità nazionali.
3. Riferendosi proprio ai lemmi del “vocabolario nazionale” Chabod avvertiva che ‘uno dei pericoli più gravi cui può soggiacere lo storico è costituito dal valersi di termini moderni, anzi di oggi, per designare pensieri ed idee, sentimenti e dottrine di età passate, trasferendo, spesso inconsciamente, il significato odierno di questi termini a quelle età passate, quando invece o il contenuto della parola era diverso, o, addirittura, era espresso – e s’intende, essendo diverso almeno di sfumature – con altre parole, poi cadute in disuso proprio perché l’evoluzione del concetto richiedeva altra espressione. Con una simile trasposizione di termini, nel loro significato odierno, al passato, noi finiamo spesso con l’alterare (ammodernandola a torto) la reale fisionomia storica di un’età ormai lontana’ (p.139). Questo richiamo è contenuto in un breve saggio posto in una Appendice al volume sull’ Idea di nazione (op. cit.) dal titolo Alcune questioni di terminologia: stato, nazione, patria nel linguaggio del Cinquecento (estratto dal corso romano del 1956-57 sulle Origini dello Stato moderno) che si concludevano con una perentoria indicazione di metodo: ‘Ora, il primum per uno storico è, precisamente, questo: sapere afferrare il preciso valore dei termini di cui si valevano gli uomini di una determinata età, per cogliere, attraverso le espressioni, il mondo interiore – idee, passioni, sentimenti – di quegli uomini, senza snaturarlo con una sovrapposizione di idee, sentimenti ecc. dell’età nostra. Perché, altrimenti, e sia pur di animo non deliberato, lo storico finirà con l’alterare poco o molto, quella lontana età’ (p. 141). Chabod conosceva bene ed era piuttosto sensibile ai decisi richiami di Croce che a più riprese aveva ribadito l’assoluta estraneità della funzione della critica storica dalle creazioni mitografiche, definite spregiativamente false credenze che sorreggono e danno vita alle storie nazionali (B. Croce, Teoria e storia della storiografia, Bari, Laterza, 1917; edizione di riferimento a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano 1989: Marginalia. Le storie nazionalistiche, pp. 375-7).
4. Queste interessanti valutazioni suscitarono scarsa attenzione, e trovarono ancor più limitata applicazione nella storiografia italiana degli anni sessanta e settanta del Novecento (Marco Cuaz, Sulla fortuna dell’Idea di nazione, pp. 141-167, in particolare pp.165 e ss.); non solo: ‘mentre nella cultura italiana latitava il dibattito e si ristampava l’opera di Chabod, un vasto revisionismo storiografico rifondava l’approccio al tema della nazione, confermandone la modernità, ma spostando l’analisi dal piano della storia delle idee e degli intellettuali a quella delle politiche di “Nation Building” e delle “forme di sociabilità” ’ (p. 154). Soltanto la storiografia più recente ha tentato di indagare i temi delle identità nazionale ed il tema delle radici storiche di un comune sentimento europeo avventurandosi nel mare magno della ricerca di impianto multidisciplinare e comparativistico, conseguenza quasi scontata delle intuizioni chabodiane. Sul versante della storia delle idee la linea chabodiana incarnata da Galante Garrone, Gennaro Sasso e Spadolini ha trovato nuova linfa nell’opera di Maurizio Viroli, non a caso appassionato studioso delle tematiche e del linguaggio del patriottismo e del nazionalismo. Mentre sul versante dell’approccio interdisciplinare, e solo in chiave esemplificativa, occorrerà richiamare almeno due volumi che vanno oltre le controverse interpretazioni sulla “morte della patria” (“la vittoria mutilata”, fascismo-antifascismo, l’8 settembre, la Resistenza, la Costituzione Repubblicana, le “due Italie”...): Gli italiani in Europa di Carlo Tullio-Altan (Bologna, Il Mulino, 1999) e La nazione del Risorgimento di Alberto M. Banti (Torino, Einaudi, 2000). Nonostante l’impianto analitico si presenti affatto difforme - analisi storico sociologica per Altan, orizzonte storico letterario per Banti - entrambe le opere esplorano l’emergere del sentimento nazionale a partire da elementi fondativi oggettivamente obliati dalla storiografia più recente, offrendo, tra l’altro, un’analisi originale delle radici e dei valori, dei simboli e delle immagini fondanti il tessuto identitario italiano ed europeo. Queste opere, pertanto, sembrano riscoprire il ruolo cruciale esercitato -tanto in Italia quanto in Europa- dalla storia delle idee e della cultura nei proteiformi processi di affermazione,nel XIX secolo, delle identità nazionali.
5. Alla luce di questa evoluzione dei temi storiografici contemporanei, l’itinerario culturale ed umano di Chabod assume una rinnovata centralità, testimoniata appunto da una serie di iniziative, convegnistiche ed editoriali, che tentano di richiamare le questioni cruciali relative alla nascita e formazione del mondo moderno. Il convegno di studi, tenutosi a quarant’anni dalla morte di Chabod, sembra rappresentare, pertanto, un ulteriore, necessario avanzamento critico nonché un momento di riflessione sull’opera ed il più generale lascito culturale e scientifico dello storico valdostano, almeno per i temi a lui più cari. Un punto di partenza interpretativo può essere certamente individuato nell’importante bipartizione operata da Claudio Rosso rispetto ai variegati interessi di ricerca di Chabod, (Fra Stati e piccole patrie: note sulla “modernità” del Cinquecento nell’opera di Chabod, pp. 41-51): quello dei ‘grandi lavori di ricerca su fonti di prima mano, che dominano la produzione chabodiana degli anni venti e soprattutto degli anni trenta (stiamo parlando dei lavori sul Cinquecento e, più in generale, dei secoli di transizione fra medioevo e prima età moderna), e quello delle sintesi concettuali, dei bilanci critici e delle ricerche lessicali, che percorrono tutto l’arco della sua attività ma si intensificano negli anni cinquanta” (p. 42). Alcuni di questi temi corrono lungo l’incerta linea di demarcazione che divide le due fasi dell’impegno critico dello storico valdostano; in particolare le riflessioni su Machiavelli e sullo stato rinascimentale, o per dirla con Croce sulla politica, rappresentano la vera e propria chiave di volta per giungere al cuore degli interessi chabodiani: ‘la genesi del mondo moderno; ossia, di ciò che negli interessi intellettuali e storiografici di Chabod costituiva il mondo moderno: lo stato, la nazione, l’Europa’ (Emanuele Cutinelli- Rèndina, Rileggendo gli scritti su Machiavelli di Chabod, p. 20). Dall’approfondita lettura del pensiero del Segretario fiorentino (dall’originale motivo della ‘immaginazione politica’ alle oscillazioni interpretative che oggi è possibile rimarcare), sino all’analisi della costruzione teorica dello stato moderno, per approdare, quasi d’inerzia, ai temi dell’unità politica, o meglio -anche qui crocianamente- delle cause del mancato raggiungimento dell’unità politica italiana: ‘Così è che questa storia d’Italia, a volerne cercare la linea unitaria, in sede politica [corsivo mio], fra Dugento e Cinquecento, vi sfugge da ogni parte, irriducibile ad un’inquadratura precisa; nessun criterio di giudizio si è rivelato capace di serrarla tutta in un’unità armonica, l’antica idea di libertà e nemmeno la più nuova di classe, non l’idea di nazione, non l’idea di Papato e Impero che sono nella storia italiana ma a lor volta non la esauriscono e, ad affidarsi solo in loro, si perderebbero di vista proprio i fatti più caratteristici, e vale a dire la vita delle città, la storia dei Comuni e poi delle Signorie’ (F. Chabod, Studi di storia del Rinascimento, p. 185). E’ quindi in particolare nel Principe che Chabod individua il viatico per approdare alla storia europea intesa come storia di nazioni, in un contesto in cui spicca la sua radicata dedizione alla storia d’Italia ‘frutto di una scelta civile, quasi il doveroso superamento del regionalismo originario, a servizio dell’Europa’ (Chabod, Federico, voce del D.B.I. a cura di F. Venturi, vol. XXIV, Roma, 1980, p. 344).
6. Una linea di ricerca sicuramente influenzata dall’esplorazione giovanile, negli anni Venti del Novecento, dell’Archivio di Simancas in compagnia del maestro Pietro Egidi e di Vittorio Di Tocco; quest’ultimo in particolare, e proprio in quegli anni, andava pubblicando una serie di opere sugli ideali di indipendenza e sui progetti protonazionali nell’Italia moderna che Chabod doveva conoscere certamente molto bene. Le frequentazioni di quegli anni influenzarono (e molto più di quanto non si è ritenuto fino ad ora) la formazione storica e culturale di Chabod nella fase di passaggio alle grandi voci dell’Enciclopedia italiana, che determinarono, d’altronde, innovative ‘messe a punto lessicali (...) e sistemazioni concettuali’, (C. Rosso, p. 47). In questa complessiva temperie politica e culturale Chabod fu tra i protagonisti del dibattito degli anni Trenta del secolo scorso incentrato sulla dicotomia Illuminismo-Romanticismo nella determinazione degli elementi fondativi della nazione modernamente intesa (Girolamo Imbruglia, Idea di nazione e Illuminismo in Chabod. A proposito di una polemica del 1959 con Arnaldo Momigliano, pp. 53-76); da un lato Volpe, che definiva il Settecento come acceleratore di temi già presenti, e Antoni (fedele interprete di Meinecke), che rintracciava i caratteri originari dello Stato nazionale nel retaggio individualistico e antigiusnaturalistico del Rinascimento, dall’altro Omodeo (la cui riflessione è costantemente richiamata da Chabod) per cui l’Illuminismo, con il suo cosmopolitismo, rappresentava l’unica via percorribile per difendere un livello sovranazionale di civiltà e, conseguentemente, per combattere le derive radicalmente nazionalistiche. Su questa linea interpretativa si assestò, nel corso degli anni, l’impostazione chabodiana nel distinguere ‘le due linee, della sovranità politica, antecedente alla formazione degli stati nazionali, da un lato, e della formazione delle nazionalità, intesa come fenomeno post-rivoluzionario, dall’altro lato’ (ivi, p. 69). Un approccio che consentì allo storico valdostano di seguire i percorsi evolutivi senza mai perdere di vista i drammatici problemi posti dalla contemporaneità: ‘ritrovare le origini della nazione e dello Stato nazione nell’Illuminismo significò quindi per Chabod, di fronte alla degenerazione pratica e teorica del nazionalismo (...), rinvenire l’origine del suo antidoto che stava nel cosmopolitismo’, (p. 57).
7. Nei difficili e tormentati mesi che anticiparono la fine del II conflitto mondiale, il lavoro critico di Chabod ebbe ad intrecciarsi con l’impegno civile e politico negli ambienti lombardi di “Giustizia e Libertà”. Se, almeno a livello prettamente stilistico e formale, il Machiavelli di Chabod poteva aver risentito di echi retorici, di intersezioni, ‘di una correlazione non negativa tra opera e contesto’ (P.G. Zunino, Tra stato autoritario e coscienza nazionale, pp. 111-115), il corso tenuto a Milano nell’anno accademico 1943-44 rispondeva esplicitamente ad alcune sollecitazioni offerte dai ‘tempi eccezionalissimi quali furono quelli dopo l’8 settembre 1943’ (A. Saitta e E. Sestan, Introduzione in F. Chabod, L’idea di nazione, op. cit. p. 8). Lo Chabod, infatti, andava esplicitando la sua lettura dei fenomeni collegati alla nascita e all’evoluzione della nazione modernamente intesa definendo la dicotomia volontarismo-naturalismo, radice filosofico-politica che traduce il più prosaico scontro tra libertà (costruzione volontaristica) e totalitarismo (esito di ideologie di impianto deterministico), soprattutto grazie alla personificazione della polarizzazione: Mazzini (più che la successiva teorizzazione di Renan) e Herder. L’idea d’Europa, o meglio della coscienza d’Europa -vero antidoto alle degenerazioni ed esasperazioni del nazionalismo illiberale- si sviluppava, invece, attraverso gli orizzonti di lunga durata propri della storia delle idee. Il collegamento, non certo agevole, tra i due temi, rinvia, anche in esplicita polemica, ai congressi fascisti del 1932 e del 1942 dedicati al tema dell’Europa (Stuart Woolf, Reading Federico Chabod’s ‘Storia dell’idea d’Europa’ half a century later, in particolare pp. 205-206). Nel delineare il percorso verso l’autocoscienza d’Europa sembrano, inoltre, trovare immediata e feconda applicazione quelle preziose indicazioni metodologiche poste a corollario dell’Idea di nazione: il passaggio dalla ‘ricerca dei “fatti” (...) alla ricerca della “coscienza di tali fatti’ (F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, cit., p. 21), l’orizzonte critico storico-politico che si arricchisce di innumerevoli contributi culturali e, in questo caso, morali. Proprio questi elementi preliminari, di inconfondibile impronta chabodiana, rappresentano un contributo originale nel dibattito, avviato tra le due guerre, inerente i caratteri della costituzione di uno spazio politico europeo: da un lato le iniziative diplomatiche e politiche (tra il realismo di Briand e l’utopia di Coudenhove-Kalergi), dall’altro la pubblicistica storica, ma non solo, impegnata nelle interpretazioni della crisi della civiltà europea (da Pirenne a Croce, da Dawson a Fisher).
8. Analizzare l’autocoscienza degli europei di appartenere all’Europa, significava, inoltre, avventurarsi in campi di ricerca inesplorati: l’idea dell’altro e il rapporto civiltà-barbarie; il canone della contrapposizione come premessa alla costruzione identitaria; le questioni terminologiche collegate al vocabolario civile. Il tentativo di conciliare, prima concettualmente e poi storicamente, l’idea di nazione con le aspirazioni europeiste ha rappresentato una vera e propria costante dell’intera riflessione di Chabod (S. Woolf, cit., in particolare il paragrafo The difficulties of reconciling the ideas of the nation and Europe, pp. 224-232). Non a caso anche attorno a questi temi si consumò il distacco dello storico aostano dall’ambiente della Rivista storica italiana, da lui diretta per molti anni, fino al 1957, e il successivo, polemico contrasto con Arnaldo Momigliano (in particolare G. Imbruglia, cit., pp. 53-76). Per Chabod il trait d’union che individua una possibile relazione tra l’asimmetria dei percorsi di formazione delle identità nazionali in Europa e della coscienza d’appartenere all’Europa stessa, è rappresentato dal principio di equilibrio, reale antidoto alle politiche di potenza che hanno attraversato la plurisecolare vicenda continentale. Il tema classico del principio di equilibrio e le collegate aspirazioni alla pace, vengono pertanto riformulati da Chabod rispetto alle canoniche indicazioni operate dalla scuola giuridica tedesca di inizio Novecento. Giacché la piena consapevolezza, per dirla con Chabod, la coscienza, della funzione dell’equilibrio -sia per i destini delle nazioni che per l’assetto continentale- si delinea nel Settecento con Voltaire e soprattutto Montesquieu, nel corso degli anni Chabod arricchisce i temi presenti nel corso milanese del 1943-44 con varianti che tentano di rafforzare il binomio nazione-Europa; in particolare il pensiero di Rousseau ma anche Alfieri, e soprattutto Montesquieu e l’Esprit des lois: ‘le libertà germaniche, il cristianesimo, il ruolo della religione rispetto allo Stato e nella società civile, il Medioevo, tutti elementi che nel 1943-’44 erano indicati di scorcio (o in una diversa prospettiva), grazie all’Esprit assumono il massimo risalto. Montesquieu assicura anche un legame più solido con l’800’ (Brunello Vigezzi, Federico Chabod e l’idea di Europa. Tra politica e storia, p. 196).
9. L’antagonismo che negli anni Trenta del Novecento vide contrapposte le idee di equilibrio da un lato e sicurezza collettiva dall’altro (in proposito si veda in particolare L. Azzolini, Federico Chabod, il principio di equilibrio e la storiografia italiana fra le due guerre, pp. 93-105) non venne certo meno alla fine del II conflitto mondiale, si trasferì piuttosto ai delicati temi del destino dell’Europa, del suo vero o presunto declino determinato dalla perdita di peso politico nella competizione bipolare, della marginalizzazione nei processi di modernizzazione in atto. Temi che lo stesso Chabod analizzò con straordinaria modernità, lungimiranza e pragmatismo, spesso polemicamente distante dalle affascinanti ma inconcludenti costruzioni di un certo europeismo malato di utopismo e sempre consapevole dei rischi e delle difficoltà che la storia dell’Europa consegna ad ogni generazione; per dirla con le profetiche parole di Chabod un continente ‘con gli occhi rivolti più al suo passato che al suo presente’ (F. Chabod, Corso di storia moderna. 1943-44, p. 66). Problemi e pericoli involutivi che accompagnano ancora oggi il tormentato e esaltante percorso di costituzione di un nuovo profilo geografico (dove si estende lo spazio europeo?) e soprattutto di una più efficace cornice politico-istituzionale per il vecchio continente. Queste ultime considerazioni arricchiscono di certo il novero delle ragioni che debbono indurre con maggior forza persuasiva la prospettiva di un ‘ritorno a Chabod’ (C. Rosso, cit., p. 51): il metodo e le intuizioni sui temi della nazione e dell’Europa, il rigore e il pragmatismo nel definire i caratteri della modernità. Un magistero rivolto al futuro.