1. La scomparsa di Richard W. Southern, avvenuta nel 2001, è stata loccasione
per la comparsa di questo libro. La fama del medievista è legata da lungo
tempo a The making of the Middle Ages del 1953, ma molti dei temi
a lui più cari si ritrovano anche nelle conferenze che presentò come presidente
della Royal Historical Society tra 1969 e 1972. Si tratta dei quattro
saggi dotti e intensi che Marino Zabbia ha raccolto corredandoli di
unintroduzione - nel volume di cui ci occupiamo. Nei vari contributi,
linteresse di Southern per gli storiografi e la cultura storiografica
emerge in forme diverse, ma rappresenta comunque il tratto comune ai vari
scritti. In ciascuno di essi la continuità col passato affiora come chiave
di volta per la comprensione del presente, in analisi che privilegiano
il periodo medievale inglese ma che non mancano di toccare diversi ambiti
geografici e cronologici.
Nel primo saggio (La tradizione classica da Eginardo a Goffredo di
Monmouth, pp. 39-82) Southern prende in esame gli autori del periodo
820-1140. In quale misura la lezione classica condizionò lopera di storici
e storiografi di quellarco di tempo? La tendenza a fare della storia
una forma darte non ne costituiva che laspetto più evidente. Il dovere
storico di suscitare sentimenti portò la storiografia ad abusare della
retorica, privilegiando la ricchezza formale a danno della verità storica.
La storia divenne una branca della letteratura e il ricorso allimmaginazione
ne costituì una componente imprescindibile. Per Southern, il capofila
del nuovo modo di fare storia era stato Eginardo; con la sua Vita Karoli
aveva fatto del suo meglio per riattualizzare i modelli storico-artistici
classici. Ripercorrendo la strada che aveva portato alla trasformazione
della storia in retorica, lautore non dimentica Widuchindo, Dudone e
Richer. Il loro legame con le storie nazionali sulla scia degli storici
romani ne aveva costituito il tratto distintivo. Chiudeva il cerchio
la Historia regum Britanniae di Goffredo di Monmouth, che - pur
non senza differenze aveva quelle stesse caratteristiche.
2. Il secondo contributo (Ugo di San Vittore e lidea dello sviluppo storico, pp. 83-127) tocca il tema del rapporto tra storiografia e teologia. Lattenzione di Southern si concentra sulla figura di Ugo di San Vittore, canonico e autore multiforme del secolo XII. Fu lui a mettere in discussione il modello cronologico proposto da Beda, che sulla scorta del primo capitolo della Genesi individuava una scansione temporale fondata sulle sei età della storia. Laspetto più anomalo e suggestivo è rappresentato dal fatto che le opere che ci tramandano il modello storico di Ugo sono testi di esegesi biblica, teologia sistematica e religiosità personale. Ad esempio, il suo De sacramentis si fonda su una tripartizione della storia umana in età, anticipando un modello di scansione cronologica che verrà esteso dallautore anche allo sviluppo delle arti. Letà della legge naturale aveva dovuto cedere il passo a quella della legge scritta e infine a quella della grazia. Il modello del passaggio tra le varie fasi era caratterizzato da un movimento evolutivo comune a tutti i settori della vita. Lo faranno proprio Anselmo di Havelberg e Ottone di Frisinga, ma forse è una storia universale londinese di metà Settecento lo scritto che realizza più compiutamente il sogno di Ugo da San Vittore di una storia sistematica dellumanità.
Nel terzo saggio (Storiografia e profezia, pp. 129-174) Southern si occupa dellinfluenza della profezia sullevoluzione del pensiero storiografico. I condizionamenti non sono mancati, ma cè da credere che siano stati sottovalutati. Lo storiografo inglese sottolinea la convinzione diffusa che la profezia fosse la fonte di conoscenza storica più sicura, e comunque lunica che consentiva di sapere qualcosa del futuro. Nel Medioevo le profezie bibliche erano quelle più chiare e più esplicite, ma alcune di esse come quelle relative al libro di Daniele o allApocalisse erano ancora tutte da esplorare. Tra le fonti non bibliche che segnarono il pensiero del secolo XII, le profezie delle Sibille, quelle di Merlino e quelle astrologiche più di tutte consentivano di individuare una continuità tra il mondo pagano del passato e quello cristiano. Lidea del rapporto tra eventi passati e futuri non può non rimandare a una lettura profetica legata allindividuazione di un ordine storico; una concezione sviluppata proprio nel secolo XII da Anselmo di Havelberg e altri. Lautore prosegue con una riflessione sulla figura di Gioacchino da Fiore. Il monaco calabrese in qualche modo riorganizzò la storiografia profetica, sistematizzando i metodi per linterpretazione del passato. Per primo introdusse il tema della fine del mondo, influenzando enormemente tutto il pensiero successivo. Prima che tutto il modello della storiografia profetica a fine Seicento entrasse in crisi, ci fu spazio anche per il sussulto di Newton: siamo proprio sicuri che la sua accettazione profetica fosse incompatibile con il suo approccio scientifico?
3. Nellultimo contributo (Il senso del passato, pp. 175-219) si parla dello studio e della conservazione del passato in due contesti storici particolarmente significativi: quello dei monasteri inglesi del secolo XI e quello dellInghilterra della seconda metà del Cinquecento. In entrambi i casi si attuarono delle rinascite storiografiche che combinavano rottura e unione con il passato. Soffermiamoci sulla prima situazione: i monaci sentivano minacciata la loro cultura e si diedero da fare per garantirne la conservazione. Si ebbero così trascrizioni di documenti, raccolte di scritti, repertori di materiali e edizioni di testi, che rappresentarono nel loro insieme il germe della storiografia inglese. Più degli altri eruditi, si fece notare Guglielmo di Malmesbury, che superò il diffuso ricorso alla retorica ricostruendo il passato con continui riferimenti alle fonti. Per quanto riguarda il processo storiografico cinquecentesco, Southern si occupa della figura di William Lambarde. Questi si dedicò a studi sulla storia del Kent, sullufficio del giudice di pace e sulla giustizia inglese. Analizzando sistematicamente cronache e documenti, accumulò unenorme quantità di materiale che non seppe come utilizzare. Anche lui - come i monaci inglesi del secolo XI aspirava a rendere il presente comprensibile attraverso la conoscenza del passato; solo la continuità storiografica poteva consentire di superare il senso di rottura con il passato che luno e gli altri avevano percepito.