1. "Nel principio Iddio creò i cieli e la terra"
[1]: dopo questo primo atto
istitutivo, ci racconta la Genesi, (e in essa riecheggiano altri miti
di fondazione[2]), inizia l'opera
di separazione: delle tenebre dalla luce e delle acque dalle acque attraverso
una distesa chiamata cielo. È l'importante passaggio dal caos informe
e vuoto all'ordine, cioè alla possibilità di identificare
dei limiti entro i quali raccogliere gli elementi (acqua e terra in particolare)
e fare in seguito affiorare le diverse forme di vita, vegetali prima,
animali poi. Non si dice nulla di nuovo, dunque, sottolineando il carattere
costituente del dipanare confini per mettere all'interno di essi se stessi,
all'esterno l'altro, identificabili entrambi solo dopo avere segnato la
demarcazione. E solcare il margine stabilito può significare una
scelta di porsi al di fuori della legge come ci ricorda, in una narrazione
relativamente recente, la sorte di Remo. Comunque vale la pena di rileggere
i primi capitoli della Genesi con le varie ricostruzioni della creazione
poste in successione e di richiamare l'attenzione su quella frase "E la
terra era informe e vuota"[3]:
è in base a tale binomio (e soprattutto al secondo termine di esso)
che si può ipotizzare di dividere. Quindi è importante non
vedere o comunque non considerare l'altro (ad esempio l'indio) per potere
dichiarare privo di contenuto ciò che si vuole disgiungere. Separare
ed unire, dunque, anche se la Genesi non usa esplicitamente il secondo
predicato che è comunque implicito nel primo: separo da te per
unire, spesso in posizione subalterna, a me: la lunga strada del pensiero
occidentale.
Con questi riferimenti voglio solo sottolineare il significato culturale
profondo del produrre frontiere: non si potrebbe altrimenti motivare la
quantità di energie - intellettuali, economiche, scientifiche,
militari - investite attorno allo srotolarsi dei gomitoli di linee di
spartizione che spesso passavano e passano attraverso luoghi assolutamente
privi di apparente importanza e valore. Diverse filosofie stanno alle
spalle delle procedure confinarie anche all'interno del pensiero occidentale,
ma un filo comune le accomuna: il delirio di onnipotenza. In quel fissare
frontiere si compie un gesto dal profondo valore simbolico, allargare
i confini ha un significato che trascende l'estensione oggettiva e il
potenziale valore dei chilometri quadrati accuratamente circoscritti.
2. Forse è stato il primo caso storico cosciente
di confine antecedente: prima ancora di avere ‘scoperto' la
parte meridionale del continente americano, già il 7 giugno 1494
Castiglia e Portogallo avevano stabilito, con l'autorevole beneplacito
del pontefice Alessandro VI, dove sarebbe passata la linea divisoria fra
i loro possedimenti di oltre oceano, che non si ipotizzava nemmeno che
altri potessero rivendicare. O meglio avevano definito le regole in base
alle quali identificare il crinale fra le reciproche conquiste. La scelta
fu di seguire un riferimento geometrico, cioè un meridiano posto
a 370 leghe a ovest dall'arcipelago di Capo Verde: quale fosse la misura
delle leghe prescelte non era specificato, né da quale punto delle
isole capoverdine bisognasse iniziare il conteggio. La vaghezza nella
definizione non era casuale: si sapeva che al di là dall'oceano
vi erano delle terre, probabilmente i portoghesi lo sapevano già
prima del 12 ottobre 1492 perché nel loro non innocente peregrinare
lungo le coste africane acquisendo conoscenze e impiantando rapporti di
produzione schiavisti nelle isole che incontravano lungo il loro cammino,
sfiorarono o avvistarono terre lontane, verosimilmente trascinati dal
gioco delle correnti. Del resto anche Cabral fece finta di perdere la
strada per toccare la terra della Vera Cruz. Ma non si sapeva come
fossero, quelle terre.
E ancora più complessa si presentava la situazione per la spartizione
delle zone di dominio nell'area pacifica: laggiù l'opzione del
meridiano avrebbe determinato la disponibilità o meno delle isole
Molucche, luogo mitico di spezie. All'inizio del Cinquecento, i castigliani
proprio per questo scopo pretendevano che la misurazione iniziasse dall'estremo
dell'isola più occidentale, quella di Santo Antão; i portoghesi,
non tenendo in considerazione quanto questo li avrebbe avvantaggiati in
quel Brasile che ancora non si capiva cosa sarebbe diventato, respingevano
allora tale principio con energia pari a quella con la quale in seguito
lo avrebbero difeso[4]. Comunque
i sogni orientali dei portoghesi si tradussero solo parzialmente in realtà:
se nel 1511 essi giunsero a Malacca, delle Molucche si impadronirono nel
1521 i castigliani. E fu a caro prezzo, con il trattato di Saragoza del
22 aprile 1529, che Carlo V vendette a João III i diritti su quelle
isole, conservando invece ben saldamente in pugno le Filippine.[5]
3. Continuando nell'operazione della costruzione progettuale dello
spazio attraverso una proiezione concettualmente identica a quella cartografica
(poco importa se poi ciò si sia o meno tradotto immediatamente
in disegno, espressione materiale di un'operazione di forte astrazione),
i portoghesi completarono il taglio verticale in direzione nord-sud
con un fascio di tagli orizzontali in direzioni est-ovest: le donazioni
concesse a sudditi scelti dal sovrano, striscie di terra che, partendo
da una porzione di costa, entravano verso l'interno seguendo i paralleli
fino a raggiungere il vago meridiano di Tordesillas. Così la
metropoli incamerava lo spazio coloniale a lei ignoto separandolo dal
resto del continente, difendendolo, con una invisibile muraglia, dalla
presenza di altri possibili concorrenti europei, incurante delle mappe,
accuratamente giustapposte, già elaborate dalle popolazioni native.
Poi l'occupazione reale del territorio andò in modo differente,
rispetto al modello teorico tracciato dalla mente sulla carta guardata
con gli occhi dell' astrazione: altri protagonisti si affacciarono in
quella terra denominata a partire dal rosso nome del verzino, francesi
desiderosi di gettare il seme della riforma calvinista nella baia di
Guanabara, olandesi attenti al paesaggio e pronti a imparare e modernizzare
i sistemi dell' engenho, ancora francesi risaliti dalla Francia
Antartica[6] a quella equinoziale.
E fra di essi gli indii, trascinati in alleanze che rispecchiavano le
tensioni europee e messi in mezzo anche alle guerre di religione. Ma
il Portogallo, questa strana metropoli dominata, o meglio condizionata,
di fatto, dalla sua troppo grande colonia, riuscì a espellere
queste ingerenze, creando anche un mito unitario interraziale - una
identità brasiliana, forse - proprio attorno alla guerra antibatava:
manipolazione ideologica assai abile se si pensa che anche gli africani
vennero coinvolti nell'operazione. E tutto ciò mantenendo senza
esitazione un rigido sistema schiavista[7],
tra l'altro tanto solido da perdurare, in contro tendenza rispetto a
quasi tutto il resto dell'America Latina divenuta indipendente e insieme
investita da nuovi rapporti di produzione nel secondo decennio dell'
Ottocento, fino al 1888.
4. Il Portogallo rimaneva fedele allo spirito (non alla geografia)
di Tordesillas: il continente sudamericano era questione da risolvere
fra le potenze iberiche e la sua spartizione andava consolidata attraverso
la proiezione ideologica ( e in seconda battuta territoriale) del confine,
della separazione che dava unità all'area lusitana. Un' unità
che sarebbe sopravvissuta alle rivolte a sfondo separatista degli anni
1830-1840 e che anche in questo rendeva il Brasile diverso dai suoi
vicini continentali. Una unità, io credo, che ha una lunga storia,
quella della costruzione dei confini secondo un progetto ideologico
territoriale con una vicenda secolare e con alcuni protagonisti di spicco.
Non sto dicendo che i confini hanno dato unità e creato identità,
voglio semplicemente dire che è stata elaborata una teoria con
una forte componente ideologica adeguata a trovare motivi e giustificazioni
per imporre una forma ad uno spazio e tessere saldamente insieme il
significato dello spazio stesso e della popolazione che in esso si trovava.
Naturalmente molta influenza ha avuto la solida referenza portoghese;
il senso di identità della metropoli è stato applicato
al Brasile, in qualche modo tagliando il fondamento della matrice originale
(la ‘portoghesità') e conservando il modello (il
radicamento profondo). Non si può non sottolineare, e attribuire
a ciò un certo significato, che il Portogallo, con la Svizzera,
è la porzione d'Europa che ha i più antichi e stabili
limiti non modificati nel corso del tempo.
Anche in pieno periodo di unione delle corone iberiche (1580-1640),
in un passaggio particolarmente difficile della storia portoghese, il
progetto della costruzione del Brasile non venne meno: Pedro Teixera
prese possesso del bacino amazzonico fino al Rio Napo, cioè risalendo
fino in Perú ed Equador, depositando gli atti secondo le modalità
notarili tipiche dell'espansione coloniale presso la Camera del Parà,
nel 1637, in nome del re di Portogallo. E quando la casa di Braganza
successe, dopo una interruzione temporale, alla casa di Aviz quella
parte del continente rimase con il Portogallo, senza grandi proteste
da parte spagnola in quel momento interessata piuttosto alla regione
temperata antartica che a quella equatoriale, cioè alla colonia
di Sacramento che dal 1680 si adagiava sulla riva sinistra del Rio della
Plata. Pur fra scaramucce e periodi di guerre, poi la materia venne
elaborata per via diplomatica: ed ecco il trattato di Madrid, le commissioni
delimitatrici, la carta delle corti. Ancora una volta fra progetto e
realtà vi fu una forbice, e quell'elegante schizzo divenne rilevamenti
e cippi solo per breve tempo, anche per le oggettive difficoltà,
specialmente nella piana amazzonica, di muoversi fra selve, fiumi, piogge,
indii e agenti patogeni di tutti i tipi. Più ridotto, il trattato
di Santo Indelfonso sistemò bene o male le cose e fino agli ultimi
decenni dell'ottocento la situazione rimase ferma. Anche perché
nel frattempo c'erano altre cose da fare, sia nelle metropoli che nelle
colonie: terremoto di Lisbona, spedizione Malaspina, invasione napoleonica,
ad esempio. Ma comunque la costruzione territoriale brasiliana diede
luogo a scontri militari contenuti con le giovani nazioni di lingua
spagnola, a differenza di quanto avvenne fra gli stati ex spagnoli stessi.
5. Lunghi confronti diplomatici, montagne di documenti, cartografia,
resoconti di viaggi, testimonianze varie; e di fronte al blocco delle
trattative, l'arbitrato.Così nella seconda metà dell'Ottocento
e nei primissimi anni del Ndi Domenicali Roberta ovecento, il Brasile
sistemò le sue frontiere e allargò il suo territorio,
portando a compimento un progetto lontano di costruzione di una nazione.
Due furono i protagonisti principali di tale processo, due figure di
grandi statisti che hanno avuto le capacità, e le possibilità,
di operare a vasto raggio e con notevole autonomia: Alexandre de Gusmão
a metà Settecento per il Trattato di Madrid, destinato a fallire
sul piano immediatamente diplomatico, ma di fatto riuscito nel promuovere
un indirizzo di politica estera, e il Barone di Rio Branco fra fine
Ottocento e inizio Novecento per il raggiungimento di trattati internazionali
che hanno dato ordine definitivo al bordo delle federazione, ricalcando
di fatto il disegno di Gusmão.
Nella sua concezione sulla acquisizione dello spazio catalogato come
vuoto o considerato occupato da soggetti che, sempre in modo non innocente,
attraverso lunghe dispute teologico-politiche, erano stati posti in
un limbo nel quale si concedeva loro il diritto all'anima, ma non certo
all'autogoverno, Gusmão si fondava su due principi: quello delle
emergenze naturali e quello dell'effettivo insediamento con caposaldi
militari e amministrativi e magari forme di attività economiche,
in primo luogo commerciali[8].
L'accesso ai continenti, o almeno a quello americano e a quello africano
nella sua porzione subsahariana, avveniva abitualmente attraverso le
vie fluviali. Era quindi diffusa l'idea che chi conquistava il controllo
della foce di un corso d'acqua, automaticamente conquistava il diritto
all'intero bacino. Ma nella realtà un tal modo di procedere risultava
impossibile da applicare per la grande, e ignota, vastità dei
bacini stessi che a volte potevano essere raggiunti da due diversi versanti,
come ad esempio avveniva per il Rio delle Amazzoni che i portoghesi
risalivano dalla foce atlantica e gli spagnoli scendevano, nei rami
dell'alto corso, provenendo da Quito e superando le Ande per scivolare
verso il vasto bassopiano amazzonico.
6. Così il principio geofisico veniva da Gusmão mitigato
o completato da un principio sociale, la presenza effettiva sul territorio
con le proprie istituzioni e i simboli del proprio potere politico-amministrativo,
con deleghe al potere religioso delle congregazioni missionarie. Certo,
specie in Amazzonia la presenza degli ordini è stata significativa
e il Brasile è stata la prima provincia d'oltremare della Compagnia
di Gesù nel 1553, ma, nonostante il potere temporale degli ecclesiastici
sui villaggi, il Portogallo aveva un' idea precisa sul ruolo dell'istanza
politica e dei mandati che essa poteva concedere: concessioni che riguardavano
tuttavia la società laica e nobiliare piuttosto che quella religiosa.
Difficilmente nell'ambito della cultura portoghese avrebbe potuto mettere
radice un fenomeno di così drastica autonomia come quello delle
riduzioni gesuitiche del Paraguai; e infatti è attorno a questo
nodo che giunse a maturazione la decisione dell'espulsione della Compagnia
dalle terre portoghesi (3 settembre 1759).
Rappresentanti degli ordini ecclesiastici prendevano parte, con funzioni
di assistenza spirituale, alle spedizioni delle tropas de resgate[9]
: quelle spedizioni di truppe portoghesi e di ausiliari indii, agli
ordini di un caporale militare, accompagnate da funzionari delle finanze
e padri della Compagnia, che riscattavano indii prigionieri. La giustificazione
morale di tali operazioni era che questi ultimi sarebbero stati schiavizzati,
torturati, chissà divorati dalle tribù nemiche e che quindi
era atto di misericordia - oltre che di salvezza dell'anima attraverso
il battesimo - riscattarli, e ridurli poi in schiavitù. In realtà
attorno a tale questione si giocava lo scontro fra coloni e ordini religiosi
per il controllo della forza lavoro. L'amministrazione coloniale mediava
fra i diversi interessi, ma, specialmente nel bacino amazzonico, essa
era interessata a mantenere un saldo controllo militare attraverso la
costruzione di forti alle imboccature dei fiumi e il pattugliamento
costante, peraltro con gruppi di pochi soldati, dei corsi d'acqua e
delle aree periferiche. Ma le forze disponibili erano sempre molto esigue,
poche decine di uomini e per ogni azione, anche limitata, la disponibilità
di indii come vogatori, trasportatori, guide, fornitori di cibo era
indispensabile. Tutta la letteratura di viaggio relativa al bacino amazzonico[10]
dal Cinquecento al Novecento è un lamento costante sulla infingardaggine
degli indii costretti ai remi che - appena se ne presentava l'occasione
- si davano alla fuga, in particolare se si trovavano in vicinanza dei
loro villaggi d'origine. La notte, favoriti della conoscenza dei luoghi,
sparivano senza lasciare traccia e i viaggiatori rimanevano immobilizzati,
capaci solo di rivolgersi alle autorità militari perché
requisissero con la forza altri rematori.
7. Fu fra 1751 e 1759 durante il governatorato di Francisco Xavier
de Mendonça Furtado, fratellastro del futuro marchese di Pombal,
che la tensione fra ordini religiosi - soprattutto gesuiti, ma anche
cappuccini e carmelitani - e potere politico giunse ad un punto di rottura.
Nel giugno del 1755 José I, sotto influsso di Pombal a sua volta
influenzato dal congiunto governatore del Maranhão-Pará,
promulgava due leggi fondamentali per gli indii, leggi destinate a porre
fine al potere gesuitico in materia. L'una dichiarava la liberazione
degli indii, l'altra cercava di scalzare la discriminazione razziale,
agevolando i matrimoni misti e l'occupazione in funzioni amministrative
dei mezzosangue. Dietro questi cambiamenti dall'evidente valore morale,
vi era la consapevolezza della necessità di popolare il vasto
spazio di cui il trattato di Madrid aveva indicato il perimetro. Spagnoli,
francesi, olandesi e magari inglesi erano pronti a fare pressione su
frontiere non debitamente presidiate.
Alexandre de Gusmão[11]
è il principale artefice teorico e diplomatico del processo di
costruzione delle frontiere brasiliane. Nato a Santos nel 1695, a 15
anni era già a Lisbona e fra le capitali europee, in particolare
Parigi e Roma, trascorse gli anni della giovinezza e della prima maturità,
ritornando nelle terre lusitane, per rimanerci definitivamente, nel
1728; brasiliano nato, probabilmente sfiorato dalla nomea di cristão
novo ancora legato all'antica fede nonostante l'educazione presso
i gesuiti e la presenza di numerosi religiosi fra i fratelli, dal 1734
assumeva incarichi presso la segreteria di stato del Brasile, diveniva
nel 1740 segretario particolare del re D. João V e veniva anche
designato per il potente Conselho Ultramarino. A parte gli incarichi
diplomatici come quelli ricoperti dal 1721 nella settennale permanenza
a Roma che sfociò nella conquista, assai costosa sul piano economico,
del titolo di Maestà fedelissima per il sovrano portoghese, la
sua attività fu dedicata interamente al Brasile con cui manteneva
contatti attraverso famigliari ed amici.
8. Le relazioni diplomatiche e militari fra Spagna e Portogallo erano
fortemente influenzate dagli accadimenti nelle colonie, soprattutto
in quelle contigue in America Meridionale. Per migliorare le relazioni
fra le due corone iberiche ed evitare gli scontri, venne negoziato il
‘Matrimonio dei principi' che prevedeva l'unione fra gli
eredi delle due corone con le infanti delle due case regnanti: così
il 19 gennaio 1729 avveniva lo scambio delle principesse: Mariana Vitoria
raggiugeva Lisbona dove avrebbe sposato il futuro José I, mentre
Maria Barbara de Bragança prendeva la strada di Madrid per aspettare
l'unione con il futuro Fernando VI. Ma nonostante il doppio matrimonio,
i motivi di contrasto erano numerosi. In particolare in terra americana
creava molta tensione la questione della colonia di Sacramento, fondata
nel 1680 dal governatore di Rio de Janeiro, e riconosciuta l'anno successivo
dalla Spagna, proprio di fronte a Buenos Aires, luogo di un vivace contrabbando
d'argento e baricentro di un sistema per appropriarsi di mandrie di
buoi e branchi di cavalli che garantivano insieme trasporti, in particolare
dell'oro di Minas, e materie prime[12].
La colonia di Sacramento era una spina nel fianco nel sistema del monopolio
spagnolo nella regione, tanto che per dieci anni, fra 1705 e 1715, venne
occupata dagli spagnoli; solo il Trattato di Utrecht riconobbe il dominio
portoghese, ma quello di Madrid lo annullava nuovamente. L'accanimento
attorno a quell'insediamento è la spia del fatto che ormai il
vecchio equilibrio di Tordesillas, se mai era esistito sul territorio
e non solo nelle peraltro importanti carte diplomatiche, era comunque
completamente superato. I portoghesi si erano spinti molto ad occidente
nell'entroterra continentale, avevano fatto vaste e complesse esplorazioni
guidate dai bandeirantes paolisti[13]
e, soprattutto, dalla fine del Seicento era iniziato il ciclo dell'oro,
elemento propulsore decisivo per il popolamento interno, la formazione
di una economia regionale con interessi locali forti e il superamento
del complesso produttivo tintorio e saccarifero esclusivamente costiero
e volto all' esportazione, fatta eccezione - non piccola - per la importazione
di schiavi africani.
9. Il Portogallo era conscio del cambiamento in atto e delle conseguenze
territoriali di esso; capiva anche che la ridefinizione della spartizione
con la Spagna delle terre interne del continente americano era solo
questione di tempo. Lo storico portoghese Jaime Cortesão che
negli anni cinquanta ha dedicato vasti studi alla formazione territoriale
della colonia in relazione con la metropoli, in tutte le sue ricerche
ha sempre sottolineato l'importante ed avanzata cultura geografica del
Portogallo e in primo luogo dell'apparato amministrativo e della corte,
che faceva di questo sapere un uso quasi esoterico. Anche lo studio
in questione non fa eccezione e così si vengono a sapere alcune
cose interessanti al riguardo della preoccupazione per le misurazioni
astronomiche e la documentazione cartografica[14]
nelle alte sfere della diplomazia portoghese proprio in rapporto alla
necessità di identificare e attribuire gli spazi dell'America
meridionale.
La rinascita dell'interesse geografico e cartografico in Portogallo
fu determinata dalla lettura che Guillaume Delisle l'Ainé, geografo
del re, fece il 24 novembre 1720 davanti all'Accademia reale delle Scienze
di Parigi. In quella sede l'eminente scienziato, basandosi sulla misurazione
della longitudine all'isola di Santo Antão nell'arcipelago di
Capo Verde, fissata a 27º 40', cioè assai vicino alla posizione
esatta, concludeva che il Cabo do Norte, immediatamente a settentrione
della foce amazzonica, e la Colônia do Sacramento erano al di
fuori della linea di spettanza portoghese di Tordesillas, mentre le
Molucche si trovavano all'interno della porzione orientale di essa.
La notizia, che di fatto metteva a nudo una certa frode probabilmente
cosciente nella produzione cartografica di parte portoghese nel dislocare
eccessivamente verso oriente il continente sudamericano, era pessima
per la corona lusitana che vedeva fortemente indebolita qualunque possibilità
di trattativa diplomatica, mentre nel frattempo in Brasile lo spostamento
verso Occidente attraverso le bandeiras, lungo le strade fluviali
delle monsões e nei nuovi insediamenti minerari era giunta
fino a Cuiabá, cioè oltre tutti i limiti stabiliti dai
trattati. E di questo travalicare i portoghesi, e ancora di più
i brasiliani, erano assolutamente consapevoli. D. Luiz da Cunha, per
molti lustri abile ambasciatore portoghese a Parigi, informava di queste
importanti novità il sovrano D. Jõao V, e gli inviava,
su sua richiesta, atlanti e notizie, mentre si cercava di promuovere
i contatti fra Delisle e il suo omologo portoghese Manuel Serrão
Pimentel.
10. Intanto nel settembre 1722, chiaramente sull'onda dell'emozione
prodotta dalle dichiarazioni di Delisle, si facevano giungere dall'Italia
due gesuiti matematici, Domenico Capassi e Giovan Battista Carbone,
entrambi napoletani, con il compito di realizzare misurazioni di longitudini
in Portogallo e di attrezzare laboratori moderni a Lisbona. A Parigi
venivano acquistate attrezzature scientifiche all'avanguardia con la
consulenza di Jacques Cassini, il secondo della famosa dinastia. Dal
1725 iniziava, sempre attraverso l'accorta tessitura di relazioni di
Luiz da Cuhna, la collaborazione con Jean Baptiste Bourguignon D'Anville,
che dapprima sovraintese agli acquisti cartografici per il sovrano e
poi costruì, su richiesta del sollecito ambasciatore che gli
fornì anche molta documentazione di prima mano, verso il 1742,
la carta d'America meridionale[15].
Alla sua autorità si rifaceva ancora, con piena fiducia, qualche
decennio dopo Alexander von Humboldt e diceva espressamente: "D'Anville[16],
che aveva il raro talento di indovinare la verità dietro semplici
combinazioni, indicò con molta precisione sulla sua bella carta
dell'America meridionale il Cassiquiare come ramo dell'Orinoco"[17]
.
Nel 1729, infatti, i padri matematici Capassi e Diogo Soares erano stati
inviati in Brasile per redigere, attraverso misurazioni dirette, un
nuovo atlante della colonia. Il primo morì di febbri maligne
nel 1736, il secondo continuò la propria missione fino al 1748.
E attraverso i loro lavori, uniti ad altri di amministratori e residenti
nella colonia, giunsero a Lisbona abbondanti notizie, nonché
schizzi cartografici, tenuti in buona parte segreti per quell' aura
esoterica che ancora circondava l'informazione sui luoghi e per prudenza
strategica. Comunque, sull'onda della preoccupazione che nasceva dalla
contraddizione fra l'occupazione concreta del territorio interno del
continente e i vincoli dell'obsoleta stretta gabbia di Tordesillas,
i portoghesi preparavano gli strumenti per una iniziativa diplomatica
che permettesse di dare precisione mutuamente accettata alla faglia
di frizione fra le potenze iberiche in terre americane, al fine di evitare
il ricorso al primitivo mezzo del confronto violento.
11. Dopo contatti diretti da corte a corte, il 29 settembre 1746 giungeva
a Madrid, con l'incarico di trattare la questione dei confini in America,
Tomaz da Silva Teles e il giorno seguente arrivava a Lisbona, con lo
stesso compito, Jaime Mazores de Lima. Il 13 febbraio 1750 veniva firmato
il trattato. Fra quelle due date, lungo l'arco di tre anni e mezzo,
si svolsero le trattative di cui furono attori di scena, oltre al già
citato Silva Teles, D. José de Carvajal, entrambi persone di
elevato profilo, e dietro le quinte, per parte portoghese, il ministro
degli esteri Marco Antonio de Azevedo Coutinho, che firmava le istruzioni
per il visconte-ambasciatore, ma in realtà, come risulta dalle
minute dei documenti d'archivio, Alexandre de Gusmão che portava
avanti con metodo una politica economica e territoriale per la colonia:
economica con l'introduzione della tassazione dell'oro procapite per
schiavo posseduto invece che attraverso il quinto della corona che veniva
ampiamente evaso alimentando un copioso flusso di contrabbando, territoriale
con il progetto diplomatico che sfruttava la favorevole congiuntura
dei legami di sangue fra le corone iberiche.
Il documento chiave per capire il progetto portoghese, o meglio di Gusmão,
sulla questione dei confini è la minuta di trattato che Lisbona,
per firma del ministro degli esteri e per estensione, come si è
detto, del segretario regio, inviava al suo ambasciatore il 28 novembre
1748. Gran parte dell' impostazione di tale minuta passò poi
nel trattato finale, anche se naturalmente vi furono aggiustamenti reciproci
e alcune importanti aggiunte, di cui parlerò in seguito, volute
da Carvajal. Nell'esordio si invocava il rafforzamento dell'amicizia
fra Spagna e Portogallo, alla quale il chiarimento dei dubbi sui confini
coloniali avrebbe recato giovamento. Si avanzava poi subito un punto
pregiudiziale: il fatto cioè che nell'area asiatica la Spagna
aveva superato di molto gli ipotetici limiti di Tordesillas, molto di
più di quanto i portoghesi avessero potuto fare in America meridionale.
Era bene quindi prescindere, si diceva nel primo articolo, dalla demarcazione
di quell'antico trattato, che peraltro non veniva affatto abolito, ma
solo ignorato per le indicazioni territorialmente puntuali e non più
realistiche alla luce delle nuove conoscenze geografiche, delle quali
tuttavia non si esprimeva esplicito richiamo e di cui anzi si faceva,
come si vedrà, un uso assai disinvolto. Si proponeva invece (
ancora nel preambolo) di assumere per fondamento della divisione il
possedimento e l'occupazione in corso, scegliendo anche come riferimento
monti e fiumi, cioè elementi naturali, chiaramente identificabili,
per evitare future controversie.
12. Stabiliva poi la bozza che appartenevano alla corona di Spagna,
senza possibilità di future pretese portoghesi, le isole Filippine
e reciprocamente spettavano alla parte lesa, senza speranza di successive
rivendicazioni spagnole, le terre occupate dall'autorità portoghese
nell'area del Rio delle Amazzoni e nei distretti di Cuiabá e
Mato Grosso; anche alla Colonia del Sacramento e alla navigazione del
Rio de la Plata João V rinunciava, ricevendo in cambio le distese
all'est del fiume Uruguai. Con un grande sforzo di identificazione territoriale,
si tracciavano poi i confini richiamandosi a corsi d'acqua ed elevazioni
e si prevedeva la nomina e l'invio di commissioni delimitatrici destinate
ad operare sul terreno apponendo cippi e segni di demarcazione nelle
zone in cui le emergenze naturali erano meno evidenti; ovviamente si
vietava il commercio fra i vassalli delle due potenze iberiche, considerandolo
alla stregua del contrabbando.
Con un certo ritardo rispetto all'invio della bozza di trattato, l'8
febbraio 1749 veniva inviata da Lisbona una carta, poi nota come Mapa
das Cortes, in quanto approvata dalle due corti iberiche,
che sarebbe poi dovuta servire anche da guida alle commissioni demarcatrici[18]
.
Secondo Jaime Cortesão l'unione della bozza di trattato e della
carta è la massima espressione della competenza diplomatica di
Alexandre de Gusmão. La rappresentazione cartografica voleva
inviare un messaggio di rigorosa rassicurazione alla controparte spagnola;
nella realtà essa alterava profondamente la collocazione del
Brasile attraverso due deformazioni complementari. Da un lato infatti
spostava decisamente verso oriente il margine oceanico del Brasile,
dall'altro riduceva ancora più drasticamente l'estensione del
Brasile interno. In questo modo i possedimenti spagnoli sembravano assai
più estesi rispetto alla realtà, quelli brasiliani più
ridotti e di conseguenza i portoghesi avevano buon gioco nel fare accettare
l'innovativo principio dell' uti possidetis. E la deformazione
non era frutto di incomplete conoscenze, ma piuttosto di una scelta
di occultare le conoscenze acquisite. Ormai infatti le misurazioni della
longitudine in vari punti del pianeta fornivano diversi riferimenti
precisi e la carta di D'Anville, costruita in buona parte con materiale
fornito dall'ambasciatore Luís da Cunha, era molto più
realistica. Essa, tuttavia, sebbene porti la data del 1748, fu pubblicata
e resa nota al pubblico più vasto solo nel 1750, a Trattato di
Madrid ormai firmato.
13. La versione finale del trattato rifletteva abbastanza fedelmente
la minuta di Alexandre de Gusmão, con tuttavia una importante
integrazione voluta da Carvajal: quella che prevedeva la non belligeranza
nelle colonie in caso di guerra fra le potenze iberiche, completata
dalla previsione del mutuo aiuto fra le colonie stesse in caso di aggressione.
Nonostante la firma, contro la traduzione in pratica - soprattutto per
le clausole relative alla parte meridionale - del trattato si muovevano
forze assai potenti: in Spagna i gesuiti del Paraguai, che avrebbero
dovuto abbandonare parte delle loro riduzioni, in Portogallo settori
commerciali legati all'Inghilterra che traevano grandi vantaggi dal
contrabbando nel Plata, oltre al governatore che per mezzo secolo aveva
avuto un vasto potere nell'insediamento di Sacramento. Ma soprattutto
l'astro sorgente di Sebastião de Calvalho e Melo, in fase di
ascesa dopo la morte di João V e l'incoronazione di José
I e la parallela eclissi di Alexandre de Gusmão, non vedeva affatto
di buon occhio il nuovo trattato, tanto che nell'arco di un decennio
esso venne abrogato. Anche le commissioni incaricate di delimitare materialmente
le linee divisorie procedettero con difficoltà sia nel sud, per
dove partirono nel settembre 1751, che nel nord, dove si recarono a
metà del 1752.
Nel sud la resistenza armata degli indii dei Sete Povos, cioè
dei sette insediamenti gesuitici a est del fiume Uruguai, rese la regione
teatro di scontri molto cruenti, in cui gli eserciti iberici congiunti
sterminarono le milizie guaranitiche: una prima applicazione della clausola
voluta da Carvajal[19]?
Infatti, in base agli impegni di Madrid, quella terra che andava consegnata
ai portoghesi in sostituzione della fortezza di Sacramento con le sue
pertinenze, doveva essere libera dagli insediamenti gesuitico-guaranitici
filospagnoli e militarmente competenti. Ma gli indii guarani non concordavano
e si difesero con tutte le loro forze.
Sebbene nell'immediato il Trattato di Madrid non potè essere
realizzato secondo i progetti del suo principale ideatore, esso tuttavia
pose le fondamenta dello schizzo politico-territoriale dell'America
Meridionale. Quando, fra XIX e XX secolo, per il convergere di diversi
fattori, il Brasile si impegnò nel regolare i propri confini,
il principale artefice di tale impresa, il Barão do Rio Branco,
si rifece direttamente alla tradizione di metà '700 e al modo
di operare e ragionare di Alexandre de Gusmão.
14. Fra gli arbitrati che vennero realizzati fra la fine del Ottocento
e l'inizio del Novecento e che modificarono assai, ampliandoli, i confini
del Brasile, uno venne affidato alle cure di Vittorio Emanuele III.
Si trattava di stabilire la demarcazione fra la Repubblica federativa
del Brasile e la colonia della Guyana britannica. Per diversi decenni,
a partire dalla prima metà dell'Ottocento, si era trascinato
un contenzioso fra i due paesi per una piccola porzione di territorio.
Lo spazio oggetto di disputa era appunto di modeste dimensioni, ma coincideva
con una parte del bacino del Rio delle Amazzoni: l'attribuzione a l'uno
o all'altro dei pretendenti significava includere o escludere altri
soggetti nell'area amazzonica.
Il Brasile aveva già percorso con notevole successo la strada
degli arbitrati internazionali sotto la ferma guida del Barão
do Rio Branco, José Maria da Silva Paranhos[20].
In particolare aveva avuto ragione nel confronto con l'Argentina giudicato
dal presidente degli Stati Uniti d'America Grover Cleveland in data
5 febbraio 1895[21]; l'area
contestata di Palmas, ultima porzione della più vasta zona delle
riduzioni guaranitiche dei Sete Povos, era di 30.621 chilometri
quadrati, con una popolazione di 5.793 abitanti, tutti brasiliani tranne
30 stranieri e fra questi un solo argentino. La discussione fra area
portoghese e area castigliana lungo il percorso del Rio della Plata
era secolare. La pretesa argentina di ampliare verso Oriente quel peduncolo
del suo territorio che si incuneava profondamente fra Brasile e Paraguai
era per il Brasile difficile da accettare. Al di là del merito
delle questioni presentate rispettivamente da parte argentina e brasiliana,
è interessante notare il metodo di lavoro di Rio Branco: facendo
leva sulla sua grande conoscenza storica e delle fonti, egli fu in grado,
in quest'occasione, di sostenere la fondatezza delle posizioni brasiliane
ritrovando i documenti originali: una copia autentica della Mapas das
cortes del 1749, rinvenuta presso il deposito geografico del
Ministero degli affari esteri francese, e l'originale delle istruzioni
del 27 luglio 1758 ai commissari demarcatori delle due corone trovata
negli archivi di Simancas. Con questi documenti Rio Branco riuscì
a dimostrare la non autentiticità della mappa presentata da Estanislao
Zeballos e fornita al negoziatore argentino direttamente dal presidente
generale Bartolomé Mitre.
15. Anche nel diverbio con la Francia al riguardo della Guyana[22]
lo stesso esperto diplomatico ottenne un verdetto ampiamente favorevole
pronunciato dal Walter Hauser quale presidente del Consiglio federale
svizzero il 1° dicembre 1900. Il Brasile rivendicava "1° Come
«fronteira marittima», il fiume Japoc o Vincent Pinçon,
designato nell'articolo 8 del Trattato di Utrecht, che è incontestabilmente
l'Oyapoc, il solo fiume che fino ad oggi è stato conosciuto con
il nome di Oyapoc; 2° Come «frontiera interna» , la linea
del parallelo di 2° 24', dall'Oyapoc fino alla frontiera olandese,
limite accettato dal Governo Francese nel 1817 e che deve essere mantenuto"[23].
In questo caso la materia del contendere riguardava un'area compresa
fra Capo Nord e il fiume Oyapoc. Si trattava di un territorio per il
quale il diverbio fra Portogallo e Francia risaliva al 1668, ma con
l'articolo del Trattato di Utrecht dell'11 aprile 1713 la Francia riconosceva
la sovranità portoghese sulle due sponde del Rio delle Amazzoni
e su tutta la terra fra Capo Nord e il fiume Japoc o Vicente Pinzon.
Tuttavia già nel 1745 Charles Marie de La Condamine avanzava
l'ipotesi che la doppia denominazione indicasse due corsi d'acqua differenti;
così la linea divisoria, collocata dalla diplomazia francese
in diversi momenti a varie latitudini, venne alla fine rivendicata da
Parigi lungo il fiume Araguari, affermando che questo era il vero Vicente
Pinzon. Si trattava di una posizione di diversi gradi più meridionale
e soprattutto tale da affacciarsi sull'imboccatura settentrionale del
grande estuario amazzonico. Nella romanzesca vicenda era stata creata
anche una fantomatica Repubblica di Cunani per giustificare la richiesta
territoriale[24].
Se pure le vicende delle metropoli o del giovane impero fecero rinviare
la chiarificazione della questione lungo l'arco dell'ottocento, essa
esplose nel clima di rinnovato espansionismo coloniale di fine secolo.
Per evitare il confronto armato, il 10 aprile 1897 venne concordemente
scelta la strada dell'arbitrato. Una volta di più Rio Branco,
difensore della posizione brasiliana, poteva avvalersi delle sue vaste
conoscenze storiche, geografiche e cartografiche, confortate dagli scritti
di Alexander von Humboldt sulla regione e dagli scambi di informazioni
che egli aveva sviluppato a Parigi con Emile Levasseur e Elisée
Réclus. Anche in questo caso il supporto decisivo per Rio Branco
provenne da un documento trovato con grande fatica e quasi fuori tempo
massimo nella biblioteca del re di Portogallo al palazzo dell'Ajuda
a Lisbona: si trattava di un manoscritto del 1682 di memorie del padre
gesuita, nativo di Costanza, Ludwig Conrad Pfeil[25],
missionario in nome del re di Portogallo nella Capitaneria del Capo
del Nord e nel territorio reclamato dalla Francia; in esso il religioso
indicava con grande chiarezza i confini e l'idrografia del territorio
nel quale operava, avendo anche cura di esplicitare i diversi nomi che
soggetti diversi davano agli stessi incidenti geografici e in particolare
al fiume Vicente Pinzon che risultava essere proprio quello più
a settentrione indicato dai brasiliani. È interessante notare
che in questo arbitrato per la parte francese scese in campo anche Paul
Vidal de la Blache che, dopo il verdetto, scriveva nel 1901: "forse,
dopo tutto, non è increscioso per la scienza che la questione
sia sbarazzata dagli interessi politici che avevano contribuito a oscurarla.
Essa ritorna ormai sul suo vero terreno"[26].
16 Da una prima serie di letture relative a Rio Branco è nata
in me l'idea di approfondire lo studio dell'arbitrato relativo alla
Guyana britannica affidato a Vittorio Emanuele III. L'ipotesi iniziale
era di esaminare il modo di trattare la questione da parte brasiliana,
da parte britannica ed in fine da parte degli esperti italiani e di
trarre, dal confronto delle tre posizioni, qualche considerazione sulle
differenti concezioni dello spazio e della sua ripartizione. Mi sembrava
un lavoro semplice e lineare, realizzabile con alcune letture e verifiche
d'archivio mirate.
Naturalmente le cose sono andate in modo diverso e in questa sede posso
in realtà dare conto di un lavoro parziale.
Come ho cominciato a prendere in mano i documenti, mi sono subito accora
che era assolutamente impossibile limitare lo scavo agli anni fra Ottocento
e Novecento in cui l'arbitrato ebbe luogo. E nella regressione nel tempo
si doveva risalire ai trattati di Santo Ildelfonso, del Prado, di Madrid,
di Utrecht, di Tordesillas, al problema della misurazione del meridiano.
E tutto ciò che gravitava attorno a ciascuno di tali problemi
rivelava una concezione spaziale complessa e apriva una prospettiva
di riflessione ampia soprattutto per quanto riguardava il Portogallo.
Mi sono limitata a leggere qualche cosa, in modo incompleto, e a ordinare
qualche appunto al riguardo.
Ma anche il lavoro specifico sull'arbitrato ha posto non pochi problemi.
Ho rintracciato presso la Società geografica di Roma le memorie
di parte brasiliana e inglese, ho localizzato alcuni incartamenti relativi
all'operato italiano presso l'Archivio centrale dello stato e presso
l'Archivio storico del Ministero degli affari esteri, ma non sono riuscita
a trovare le relazioni dei sei esperti che svolsero funzione di consulenza
per Vittorio Emanuele III. Il quadro è quindi claudicante, e
privo del terzo perno, ma espongo egualmente il punto delle riflessioni
al quale sono giunta, che completerò se la buona sorte mi farà
trovare le carte che cerco. Per quanto riguarda la documentazione brasiliana,
ho consultato le memorie specifiche e parecchia bibliografia complementare,
ma non il materiale d'archivio dell'Itamarati che probabilmente permetterebbe
di seguire le relazioni Nabuco-Rio Branco; per quanto attiene la produzione
britannica, mi sono limitata alle memorie specifiche e certamente a
Londra ci sarebbe molto da vedere.
17. La questione dei confini fra Guyana britannica e Brasile è
una classica storia coloniale, quasi un prototipo o un modello. Vale
la pena di ripercorrerne rapidamente le tappe[27].
Dal Seicento gli olandesi avevano cominciato ad occupare la costa caraibica
dall'attuale Surinam verso occidente in direzione del confine del vicereame
di Nuova Granada, popolandola con schiavi tratti dall'Africa. Gli insediamenti
portavano il nome di colonie d'Essequibo, Demerara e Berbice dalla denominazione
dei principali corsi d'acqua che le solcavano. Già nei primi
lustri della seconda metà del XVII secolo coloni inglesi provenienti
dalle Barbados e forze militari avevano cercato di scalzare o almeno
affiancare i batavi in quell'area caraibica meridionale. Ma inutilmente.
Infine quelle terre, prese dall'Inghilterra nel 1781 e dalla Francia
nel 1782, furono restituite all'Olanda nel 1783. Ma nel 1796 esse ricaddero
in mani inglesi ed il loro statuto venne definito dal trattato di Amiens
del 1802[28], che prevedeva
di nuovo la restituzione; ma già l'anno successivo l'Inghilterra
riconquistava la Guyana olandese[29]
e da allora ne mantenne definitivamente il dominio, pur senza fissarne
i confini nella convenzione di Londra del 1814. Solo nel 1810-1811 gli
inglesi risalirono l'alto corso dell'Essequibo, ma trovarono la regione
di Pirara, futuro fulcro di contenzioso, e la riva sinistra del Repununi
presidiate da soldati portoghesi provenienti dal forte di São
Joaquim, collocato nel punto in cui il Tacutu incontra l'Uraricuera
e insieme formano il Rio Branco e costruito sotto il governo di Francisco
Xavier de Mendonça per ordine regione del 16 aprile 1753, quando
la fine delle tropas de resgate aveva diminuito di fatto il controllo
sul territorio.
Ma ecco che nel 1835 sullo scenario delle Guyane si affacciano nuovi
attori: non va dimenticato che si trattava di un palcoscenico assolutamente
particolare e intensamente illuminato dai riflettori del mito e della
storia: su di esso, infatti, localizzò la descrizione del El
Dorado sir Walter Raleigh[30]
e Alexander von Humboldt[31],
viaggiatore e opinion maker (diremmo oggi) fra i più accreditati
del suo tempo ( cioè dei primi decenni del XIX secolo)costruì
parte del suo metodo scientifico di rappresentare il paesaggio visitanto,
misurando, descrivendo proprio quei luoghi.
18. Nel 1835 Robert Hermann Schomburgk, suddito prussiano al servizio
del Regno Unito, riceveva incarico dalla Reale Società Geografica
di compiere un viaggio nella Guyana britannica per investigare la geografia
fisica e astronomica della porzione interna (la fascia costiera era
nota e popolata da parte olandese dal Seicento) , compiendo anche un
confronto con le misurazioni di Humboldt[32].
Nella prima e seconda spedizione (1835-1836), in partenza da Georgetown,
Schomburgk risalì l'Essequibo fino all'imboccatura del Repununi
e raggiunse il modesto affluente di sinistra Annay, considerato frontiera
fra i possedimenti britannici e portoghesi[33]
e il villaggio di Pirara dove erano presenti soldati brasiliani. Fra
1837 e 1838 Schomburgk, sempre su mandato della Reale Società
Geografica per una semplice indagine sulla catena di montagne, compiva
una terza spedizione e cominciava a modificare il proprio atteggiamento
da esploratore a occupante.
Una congiuntura particolare favoriva questo cambiamento: dal 1835 tutta
l'Amazzonia brasiliana era incendiata dal vasto movimento di rivolta
popolare di indii e meticci nota con il nome di cabanagem: per
cinque anni, fino al 1840, scontri armati di grande violenza opposero
gli strati popolari locali alle forze legate agli interessi centrali
delle Reggenze imperiali, in un movimento profondo e molto avanzato.
Solo una repressione militare e poliziesca riuscì, con crudeltà
e stermini, ad avere ragione di questa onda innovatrice e rivoluzionaria
che ebbe altri importanti fuochi nella cabanada nordestina
(1832-1835) e nella guerra dos farrapos nel sud del Brasile (1835-1845).
In tale frangente i presidi militari delle periferie, e in particolare
delle imboccature fluviali, che erano stati tipici del colonialismo
portoghese e che vennero conservati nel Brasile indipendente, erano
rimasti sguarniti. Certamente avvantaggiandosi di questa debolezza del
giovane impero, Schomburgk pensò di trasformarsi da esploratore
in agente della corona. E scelse la strada classica per queste operazioni:
quella di strumentalizzare le popolazioni locali, in particolare in
questo caso gli indii Macuxis di Pirara, chiamando religiosi per destabilizzare
la loro identità culturale già ampiamente aggredita nei
secoli precedenti. Così il 21 marzo 1838 Schomburgk si istallava
nel villaggio di Pirara e il 15 maggio era raggiunto da un missionario
di stanza a Bartica, cioè nell'immediato entroterra della costa
lungo il fiume Essequibo, Thomas Youd, che come prima cosa spinse gli
indii Macuxis a non mandare più fornitori di servizi al forte
di São Joaquim. Di conseguenza Youd venne espulso e spostò
la propria missione sull'altra riva del fiume Rupununi. Intanto Schomburgk
continuava la sua opera di espansione, prendendo possesso delle sorgenti
dell'Essequibo. In un libro pubblicato a Londra nel 1840, A Description
of British Guiane, accludeva una mappa nella quale spostava decisamente
le frontiere britanniche verso occidente, fissandole lungo i fiumi Tacutu
e Cotingo, cioè all'interno del bacino amazzonico, raggiungibile
via Rio Branco. Partendo dalle indicazioni, forse volutamente inesatte,
del viaggiatore, che il Brasile non aveva mai avanzato rivendicazioni
su Pirara e che lì si trovavano tribù indigene indipendenti
( e non sudditi del Brasile) , l'Inghilterra affidava nel 1841 al solito
Schomburgk (che di lì a poco avrebbe ricevuto il titolo di sir)
il compito di esplorare e delimitare le frontiere fra Guiana britannica
e Brasile. Nel frattempo, nel febbraio 1841, da Demerara venne inviato
un ufficiale a Pirara con il compito di consegnare un dispaccio in cui
si dichiarava la presenza brasiliana in quel villaggio causa di contenzioso.
Si apriva il confronto per i confini fra i due paesi, accompagnato da
trattative diplomatiche fra Londra e Rio de Janeiro che orientavano
a loro volta le autorità locali.
19. Nel febbraio 1842 un distaccamento inglese, insieme a Schomburgk
con l'incarico di delimitare le frontiere, occupava Pirara. Ma rapidamente
il governo inglese nella persona di Aberdeen dava ordine di ritirarsi
da un'impresa che rischiava di aprire un conflitto con un alleato da
non disprezzare. Si arrivava ad una provvisoria neutralizzazione del
territorio, mentre all'inizio dell'aprile 1843 anche le impronte formali
lasciate dall'ormai visionario Schomburgk, cioè " le tracce e
le legende da lui iscritte sugli alberi in segno di una presa di possesso
che il Brasile non poteva riconoscere"[34],
vennero cancellate. Nonostante i tentativi di trattative fra Araujo
Ribeiro e Aberdeen nell'autunno del 1843, i negoziati si spensero, altri
interessi di politica internazionale - e soprattutto le questioni commerciali
- avevano la precedenza, le selve amazzoniche potevano aspettare.
Sebbene nel 1854 e di nuovo nel 1875 sembrasse che vi fosse interesse
da parte brasiliana di riaprire la questione, essa venne di fatto affrontata
solo nell'ottobre 1888[35].
A quella data il governo brasiliano, fedele in questo alla tradizione
portoghese, proponeva di nominare una commissione mista che compisse
una ricognizione sul terreno lungo i fiumi Rupununi, Tacutu, Mahu e
loro adiacenze. Intanto gli accadimenti interni del Brasile coinvolgevano
intensamente la classe dirigente, rallentando l'impegno sul versante
internazionale: infatti il 15 novembre 1889, sull'onda della tardiva
abolizione della schiavitù firmata dalla principessa Isabella
il 13 maggio 1888, veniva proclamata la Repubblica e si apriva un periodo
di forti tensioni e scontri fra poteri militari, civili e locali.
Le trattative, che sarebbero poi sfociate nell'arbitrato, iniziarono
di fatto il 12 settembre 1891, quando il governo britannico dichiarò
ufficiosamente la disponibilità a prendere in considerazione
una linea divisoria lungo i fiumi Mahu-Tacutu invece di quella Cotingo-Tacutu
avanzata da Schomburgk, escludendo naturalmente quella rivendicata da
parte brasiliana che si spingeva verso oriente lungo il fiume Rupununi
e verso settentrione sul crinale della Serra Pacaraima ( e che era considerata
già riduttiva rispetto alla situazione settecentesca che spaziava
molto più a est). Le sopraricordate difficoltà interne
brasiliane fecero arrestare il dialogo, ripreso solo nel novembre 1895
e proseguito nel marzo 1897; ma il 20 dicembre 1897 la parte brasiliana
rifiutava definitivamente di accogliere la linea Mahu-Tacutu, ritenendo
accettabile al massimo il divortium aquarum[36],
rinunciando quindi alla richiesta del 1843 che giungeva fino al Rupununi
e ritraendosi in questa parte verso occidente, ma mantenendo saldamente
il riferimento alla Serra Pacaraima . Il 7 dicembre 1899 il Brasile
accettava il principio dell'arbitrato, avanzato da parte britannica
nell'impossibilità di trovare un punto di mediazione. Di fronte
all' ipotesi di un arbitrato, le due parti avanzavano rivendicazioni
estreme: la Gran Bretagna sosteneva di avere diritto di giungere fino
al Rio Branco, il Brasile voleva accostarsi all'Essequibo. Si trattava
di posizioni inaccettabili e di conseguenza con il trattato del 6 novembre
1901[37] la zona sottoposta
a giudizio veniva contenuta ad un corridoio delimitato dai fiumi Rupununi,
Tacutu, Cotingo e dalla Serra Pacaraima.
20. I documenti accumulati dalle due parti per difendere le proprie
rivendicazioni formano molti volumi di molte pagine. Sono di estremo
interesse e offrono un ottimo spaccato per conoscere la storia del popolamento
della regione. E non mancano i frequenti riferimenti cartografici, nonchè
l'inclusione fra gli stampati di atlanti. Non è mia intenzione
dare conto di questa mole considerevole di carte: mi soffermerò
soltanto su alcuni punti che mi sembrano interessanti per caratterizzare
la concezione territoriale dei due paesi.
Le posizioni brasiliane sono riassunte nella memoria di Rio Branco del
1897, nel saggio di Joaquim Nabuco[38],
difensore del Brasile in tale controversia, sul Diritto del Brasile
e nell' Esposto finale, sempre di Nabuco. La prima rivendicava non solo
il diritto a tutto il bacino del Rio Branco, ma anche di parte dell'alto
bacino del Rupununi e dell'Essequibo: questo in base a ciò che
gli olandesi stessi riconoscevano come proprio territorio nel corso
del Settecento, che si fermava attorno al 4º di latitudine nord.
Nabuco, qualche anno più tardi, e in vista di una soluzione più
realista, ripercorrendo la situazione fino al 1840, si rifaceva alla
unità fisica dei bacini idrografici:
"Il Brasile pretende, in assenza di occupazione contraria, la quale non è mai esistita, che il Portogallo, signore del Rio delle Amazzoni, aveva un titolo per il Rio Negro, signore del Rio Negro, aveva un titolo per il Rio Branco, signore del Rio Branco aveva un titolo per tutti i suoi affluenti"[39].
E quale giustifcazione a tale titolo, Nabuco ricordava l'opera dei
missionari, in primo luogo i gesuiti, il viaggio e la presa di possesso
di Pedro Teixeira, la costante opera di contenimento alla penetrazione
degli ordini spagnoli provenienti da Quito, in particolare del padre
boemo Samuel Fritz. E poi la costruzione del forte di São Joaquim,
voluto da Francisco Xavier de Mendonça, la diffusione dell'allevamento
e insomma tutta un'opera di amministrazione e controllo. A conclusione
della sua dissertazione di taglio assai giuridico, Nabuco riteneva di
avere dimostrato il possedimento immemorabile portoghese sul territorio
contestato, anche astraendo dalla conquista e occupazione del Rio delle
Amazzoni, del Rio Negro e del Rio Branco. Questa occupazione localizzata
era dimostrata
"I. Dall'inizio del Settecento al 1775 dalle truppe di riscatto, sotto le bandiere regie, e a carico del Reale Erario; dalle continue entrate dei portoghesi in quei territori, e dalla serie di Ordini Regi, che li designavano come parte dei Reali Domini e che ordinavano di impedire in tal modo ogni comunicazione con le nazioni straniere; II. Dal 1775 al 1840, dalla espulsione a mano armata degli spagnoli, dalla fortificazione del Tacutu .... dall'occupazione del villaggio di Pirara ... dall'assenza completa di qualunque competenza o rivalità dal lato opposto, l' assoluto deserto, la foresta impenetrabile e affamata che si estendeva dal Forte fino quasi alla foce dell' Essequibo"[40].
21. E mai, prima dell'invasione inglese del 1842, nessuna nazione
vicina aveva contestato tale sovranità. E concludeva nell'Esposto
finale[41]:
"La pretesa brasiliana è stata espressa da circa centotrenta anni nella sua forma attuale: lo spartiacque e il Rupununi, come un fatto, come una consegna data al Comandante del Forte di S. Joaquim, e, se ci si tiene alla linea divisoria, da oltre centocinquanta anni, a datare solo dal Trattato del 1750 con la Spagna, mentre l'Inghilterra non ha come durata del suo titolo altro che la durata del litigio stesso. E non solo questo, quando suscitò il conflitto, essa ha riconosciuto di non avere nessun diritto al territorio, perché ne ha attribuito il possesso alle tribù indipendenti che l'abitavano, proponendosi di crearsi un titolo attraverso un protettorato su queste tribù mediante la sospensione forzata del possesso brasiliano".
E concludeva: "Il Brasile sostiene che l'Inghilterra non ha alcun titolo ad attraversare il Rupununi e a stabilirsi nel bacino del Rio delle Amazzoni", indicando con questa frase il vero obiettivo brasiliano, già elaborato da Alexandre de Gusmão, quando ancora la conoscenza dei luoghi era assai sommaria: tenere in pugno nel modo più completo la rete idrografica amazzonica, rinunciando solo a quei corsi d'acqua più prossimi alle origini andine e inesorabilmente incorporati in area spagnola.
Nelle memorie britanniche [42]
i punti di forza per difendere le richieste della corona erano fondamentalmente
due: da un lato dimostrare l'antecedenza temporale degli olandesi (dei
quali i britannici avevano ereditato i diritti) nello sviluppare relazioni
commerciali con le popolazioni indie nella regione in contenzioso, dall'altro
sostenere l'infondatezza giuridica della concezione che sosteneva il
diritto al dominio unitario sul bacino fluviale. In posizione di secondo
piano, inoltre, si metteva in luce la richiesta delle popolazioni indie
di essere sudditi britannici.
"La principale questione che deve essere definita al riguardo di questa porzione di territorio è quale dei due poteri, l'olandese e il portoghese, avanzando da parti opposte dello spartiacque, abbia acquisito il diritto previo, per occupazione o controllo, o per atti che suggeriscono l'intenzione di occupazione e controllo, a questa particolare area di territorio"[43].
22. Ovviamente gli inglesi non avevano dubbi: erano stati gli olandesi
che, dal 1640, commerciavano nella zona e per generazioni l'avevano
tenuta sotto controllo. Del resto anche le memorie brasiliane riconoscevano
l'attività commerciale olandese, ma distinguevano fra essa, gestita
da una compagnia monopolistica privata, e l'amministrazione politico-militare
della regione che solo i portoghesi avevano realizzato con diverse espressioni
di potere. Dicevano ancora gli inglesi che i portoghesi non avevano
mai risalito i fiumi di quella zona "prima di avere imparato la strada
da un olandese nel 1740"[44].
Si riferivano, in questo caso, al chirurgo tedesco Nicolas Hortsman
che nel 1740, per incarico del governatore Storm van's Gravezande aveva
risalito l'Essequibo fino alla confluenza con il Rupununi, poi questo
corso d'acqua fino al portage di Pirara, poi via Mahu, Tacutu,
Rio Branco era giunto a Belém dove si era dato al commercio e
avrebbe incontrato anche La Condamine. Ma secondo Rio Branco e Nabuco,
Hortsman aveva semplicemente percorso in senso inverso il cammino che
Manoel da Silva Rosa, quadro dell'amministrazione portoghese, aveva
seguito anni prima fuggendo verso Essequibo dopo avere commesso un assassinio.
Ma il corpo diplomatico britannico fondava le proprie motivazioni soprattutto
sulla confutazione del principio brasiliano dell'unità del bacino
idrografico, cioè della "dottrina della linea di divisione delle
acque".
"Il Governo brasiliano - si poteva leggere nella memoria britannica[45] - si crede in ogni caso giustificato, in diritto, a reclamare una frontiera che si confonde con la linea di divisione fra gli affluenti dell'Essequibo e quello dell'Amazzone. ... L'idea alla quale tutte le proposte fatte al Governo britannico ... si sono ispirate, è la pretesa che in virtù del solo possesso di una parte del Rio Negro il Brasile avrebbe acquisito un diritto assoluto agli affluenti di questo fiume come a qualunque corso d'acqua che si getta in uno o nell'altro dei suoi affluenti".
Il capitolo IX della memoria in questione confutava l' ipotesi che il possesso della foce di un fiume comportasse automaticamente il diritto al possesso dell'intero bacino. E a sostegno di essa portava diversi interessanti esempi nei quali la dottrina della linea di divisione delle acque era stata ampiamente mitigata dalla reale situazione di occupazione del suolo: dalla Louisiana (1805) all'Oregon (1824), dall'alto Zambesi disputato fra Gran Bretagna e Portogallo (1889) all'alto Nilo conteso fra Gran Bretagna e Francia (1898) fino al contenzioso fra Gran Bretagna e Venezuela (il quale ultimo chiedeva e chiede[46] di giungere fino all'Essequibo). E concludeva :
" Il Governo del Re della Gran Bretagna, dunque, afferma che la rivendicazione del Brasile, come limite del suo territorio, della linea divisoria che separa le acque che scorrono verso l'Essequibo da quelle che si gettano nell'Amazzone, non può prevalere contro l'occupazione effettiva di una parte del bacino dell'Amazzone da parte olandese"[47].
La linea Cotingo-Takutu veniva poi presentata come una frontiera naturale,
facilmente identificabile anche dalle primitive tribù indie che
avrebbero così potuto evitare di rimanere sotto dominio portoghese.
Infatti fra i motivi che venivano addotti per ridurre l'espansione brasiliana
vi era anche la presunta richiesta da parte delle tribù locali
di divenire sudditi britannici; l'intero capitolo VII della memoria
in esame documentava tale richiesta, ma con i soli documenti del missionario
Youd e di Schomburgk: quindi delle testimonianze piuttosto di parte.
23. Su questo diverso modo di vedere le cose era chiamato a giudicare
il re d'Italia[48]. Il trattato
che accettava l'arbitrato venne firmato a Rio de Janeiro il 28 gennaio
1902; la nomina degli esperti avvenne oltre un anno dopo, nell'aprile
1904. Essi erano il tenente generale cavaliere Giovanni Goiran, comandante
della Divisione militare di Livorno, il tenenete generale C. Giuseppe
Viganò, comandante delle divisione militare di Ancona, il nobile
Carlo Porro dei conti di Santa Maria della Bicocca, colonnello di Stato
maggiore a Roma, il comandante cavalier Giovanni Roncagli, capitano
di corvetta e segretario generale della Sociatà geografica di
Roma[49], il professor Giulio
Cesare Buzzati docente di diritto internazionale presso l'ateneo di
Pavia[50], il professor
Pasquale Fiore[51] anch'egli
docente di diritto internazionale a Napoli. Chissà se qualcuno
di loro avrà preso contatto con il conte Ermanno Stradelli, da
anni residente in Parà e grande esperto per conoscenza diretta
dei fiumi amazzonici o con Luigi Buscalioni, dell'orto botanico di Pavia,
che proprio all'inizio del secolo aveva svolto un'escursione botanica
in Amazzonia. I consulenti inviarono una prima relazione fra maggio
e agosto 1903, una seconda fra dicembre 1903 e gennaio 1904, una terza
ad aprile del 1904. Il 25 maggio 1904 venne tenuta una riunione generale,
alla quale mancava solo Buzzati impegnato come rappresentante del governo
alla Conferenza de L'Aia. I collegamenti tra i vari personaggi coinvolti
e il re erano tenuti dal generale Ugo Brusati, primo aiutante di campo
del re. L'unica cosa non procedurale che emerge dagli incartamenti è
la richiesta di Roncagli di cercare negli archivi di Lisbona documentazione
al riguardo di Manoel da Silva Rosa, segretario del governatore di Pernambuco,
al riguardo del suo viaggio all'Essequibo, che Rio Branco e Nabuco consideravano
antecedente a quello di Hortsman. Il fatto che si verifichi che la morte
di Silva Rosa sia avvenuta a Recife nel 1727, e che quindi non possano
esserci stati contatti fra il portoghese e il chirurgo tedesco, spingeva
Roncagli a considerare non valide le motivazioni brasiliane.
Una volta ancora sottolineo che solo le relazioni originali degli esperti
permetterebbero di capire il ragionamento che portò il re d'Italia
a pronunciare l'arbitrato in data 6 luglio 1904 accogliendo sostanzialmente
la posizione britannica, quella cioè di fissare il confine lungo
il Tacutu e il Mahu. Così al Brasile toccarono 13.372 kmq comprendenti
l'intero bacino del Cotingo e metà di quelli del Mahu e del Tacutu;
alla Gran Bretagna 13.234 kmq con metà dei bacini del Mahu e
del Tacutu e interamente quello del Yrengui. In una lettera del 17 giugno
1904, inviata da Petropolisi alla Farnesina dall'ambasciatore italiano,
si riferiva di un colloquio avuto con Rio Branco, a quell'epoca ministro
degli esteri: sosteneva, il vecchio statista, che sarebbe stato meglio
seguire lo spartiacque fra Rio delle Amazzoni e Essequibo, ma che non
vedeva nella decisione presa nessun pericolo e che era soddisfatto.
[1] Genesi, I, 1.
[2] JOSEPH CAMPBELL, L'eroe
dai mille volti, Milano, Feltrinelli, 1958.
[3] Genesi, I, 2
[4] BASÍLIO DE MAGALHÃES,
Expansão geográfica do Brasil Colonial, São
Paulo, Companhia Editora Nacional, 1978, p. 9. Cito dall'edizione del
1978 di questa classica opera il cui nucleo iniziale risale al 1914
e che ha conosciuto diversi successivi incrementi e revisioni. In questo
come negli altri casi, le citazioni in lingue straniere sono state tradotte.
[5] B.W.DIFFIE, G.D.WINIUS,
Alle origini dell'espansione europea. La nascita dell'impero portoghese
1415/1580, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 427 e sgg.
[6] ANDRÉ THEVET, Le
singolarità della Francia Antartica, Reggio Emilia, Diabasis,
1997; JEAN DE LÉRY, Histoire d'un voyage fait en terre du
Brésil, Paris, Livre de Poche, 1994.
[7] KÁTIA DE QUEIRÓS
MATTOSO, Ser escravo no Brasil, São Paulo, Editora Brasiliense,
1988; STUART B. SCHWARTZ, Sugar Plantations in the Formation of Brazilian
Society. Bahia 1550-1835, Cambridge, Cambridge University Press,
1985.
[8] Come ricorda Hemming nel
suo bel saggio sul popolamento del Brasile, le tribù indie fin
dal tempo dei tempi avevano seguito principi analoghi a quelli adottati
dai negoziatori regi a Madrid: i territori erano divisi in base alle
caratteristiche naturali e alla effettiva occupazione. JOHN HEMMING,
Storia della conquista del Brasile. Alla ricerca dell'«oro rosso»:
gli indios brasiliani, Milano, Rizzoli, 1982, p. 510.
[9] JOAQUIM NABUCO, O direito
do Brasil, São Paulo, Instituto Progresso Editoriale SA,
1949. Obras completas de Joaquim Nabuco, vol. VIII, pp. 33 e
sgg.
[10] TERESA ISENBURG, Viaggiatori
naturalisti italiani in Brasile nell'ottocento, Milano, Angeli,
1989.
[11] Per l'opera di Alexandre
de Gusmão e il significato territoriale della sua concezione
mi baso sul saggio di JAIME CORTESÃO, O tratado de Madrid,
Brasilia, Senado Federal, 2001, 2 voll. Si tratta della riproduzione
in facsimile della prima edizione del 1953. Opera ovviamente segnata
dal tempo, rimane insostituibile per l'ampiezza delle conoscenze cartografiche
e per la sensibilità ai fatti territoriali di Cortesão
e per la vastità dell'esplorazione archivistica nei fondi portoghesi
e nelle mappoteche brasiliane (in primo luogo quella dell'Itamarati).
Va sottolineato che nel decennio successivo alla fine della seconda
guerra mondiale il Ministero degli esteri promosse una serie di studi
e di pubblicazione di fonti - come l'opera completa di Rio Branco e
di Joaquim Nabuco o il lavoro di Cortesão per il bicentenario
del Trattato di Madrid - nel contesto della politica volta a rafforzare
l'identità nazionale e continentale della Federazione, da cui
la fondazione di Brasilia fra il 1957 e il 1960.
[12] ALFRED W. CROSBY, Lo
scambio colombiano. Conseguenze biologiche e culturali del 1492, Torino,
Einaudi, 1992 (1972).
[13] AFONSO DE E.TAUNAY,
História das bandeiras paulistas, São Paulo, Edições
melhoramentos, 1975 (1951), 3 voll.
[14] MAPA. Images da
formação territorial do Brasil, Rio de Janeiro, Fundação
Emilio Odebrecht, 1993.
[15] Scrive JAIME CORTESÃO,
O tratado de Madrid cit., vol. II, p.234: " Se Deslisle (sic)
aveva servito, nel 1722, la politica franco-spagnola contro il Portogallo,
questa volta il grande Ambasciatore lusitano poneva il "Primo Geografo"
di Luigi XV al servizio delle pretese portoghesi contro la Spagna. Verso
il 1742, e certamente per incarico di D. Luis da Cunha, D'Anville tracciava
una carta dell'America del Sud, in cui apparivano delineati i limiti
del Brasile, in obbedienza a tre obiettivi: a sud avvicinarsi alla proposta,
già qui riferita, di Mr. de Orry, fatta nel 1714, durante i negoziati
del Trattato di Utrecht, e che ammetteva il prolungamento del Brasile,
esclusivamente fino alla imboccatura del Prata, attraverso una lingua
di terra di 10 leghe di profondità, a partire dalla capitania
di San Paolo; preservare la strada fluviale della monções,
che legava quella città a Cuiabá; ed infine, unire Mato
Grosso ai territori dell'Amazzonia. Se nel sud, e grazie ad una mappa
di José da Silva Pais, dichiaratamente utilizzata dal cartografo
francese, i contorni del litorale erano tracciati con relativa esattezza,
nella parte rimanente e principalmente a ovest, la linea dei confini,
formata da una curva molto ampia e molto regolare, tagliava un vago
sertão, vergine di accidenti e di nomenclatura, riflettendo
la grande mancanza di conoscenze geografiche su quelle regioni. In ogni
modo, il progetto di D. Luis da Cunha-D'Anville rappresenta, per così
dire, il grezzo e incerto embrione del futuro piano di Alexandre de
Gusmão, che, è lecito supporre, aveva aiutato nelle sue
congetture".
[16] E a conferma della
conoscenza approfondita del lavoro di D'Anville Humboldt affermava:
"Ho trovato nei manoscritti di D'Anville, dei quali gli eredi mi hanno
gentilmente concesso l'esame...". ALEXANDER VON HUMBOLDT, "Sur
quelques points importants de la géographie de la Guyane",
Nouvelles annales des voyages, 1837, II, p. 137-180.
[17] ALEXANDER VON HUMBOLDT,
Nota sulla comunicazione che esiste fra l'Orenoco e il fiume delle
Amazzoni, in Nuova raccolta di autori italiani che trattano il
moto delle acque, tomo VII, Bologna, Tipografia governativa alla
volpe, 1845, p. 89 e sgg.
[18] Le lettere di accompagnamento
alla carta davano conto delle fonti di informazione utilizzate: oltre
alla carta di padre Diogo Soares, basata su misurazioni dirette, era
stata consultata la cartografia di missionari spagnoli, di alcuni residenti
lusitani del centro e del nord del paese ed infine di La Condamine.
[19] DÉCIO FREITAS,
O socialismo missioneiro, Porto Alegre, Editora Movimento, 1982;
MOACYR FLORES, Colonialismo e missões jesuíticas, Porto
Alegre, ND/EST, 19862, pp. 81 e sgg.; JOSÉ LUIZ DEL
ROIO e ALFREDO LUIS SOMOZA, Tupac Amaru. Frammenti di resistenza
indigena, Milano, Clup Guide, 1993, pp. 68 e sgg.
[20] José Maria Da
Silva Paranhos, barão do Rio Branco (Rio de Janeiro 1845 - 1912),
diplomatico e storico, fu per molti anni console a Londra. Difese e
vinse gli arbitrati per Palmas con l'Argentina e per l'Amapá
con la Francia; come ministro degli esteri dal 1902 al 1912 risolse
le dispute di confine con la Bolivia realtivamente all'Acre, con il
Venezuela, la Colombia, l'Equador, il Peru e l'Uruguai.
[21] HELIO VIANNA, Historia
diplomática do Brasil, São Paulo, Edições
Melhoramentos, s.d. (1951 circa), p. 146; ALVARO LINS, Rio Branco,
Rio de Janeiro, José Olympo, 1945, 2 voll., pp. 265 e sgg.; Ministério
das relações exteriores, Obras do Barão do Rio-Branco,
(in seguito Obras do Rio-Branco), I , Questões
de limites. República Argentina, Rio de Janeiro, Imprensa
Nacional, 1945.
[22] Obras do Rio-Branco,
III-IV, Questões de limites. Guiana Francesa.
[23] Ibid., vol.
IV, p. 144.
[24] SÉBASTIEN BENOIT,
Henri Anatole Coudreau (1859-1899). Dernier explorateur français
en Amazonie, Paris, L'Harmattan, 2000
[25] Ibid., vol.
IV, p. 91
[26] MICHEL FOUCHER, Fronts
et frontières, un tour du monde géopolitique, Paris,
Fayard, 1988, p. 551.
[27] Obras do Rio-Branco,
II, Questões de limites. Guiana Britânica. Nelle
sue memorie Rio Branco dimostra sempre una grande conoscenza cartografica;
la base cartografica delle diverse epoche, spesso faticosaamente reperita
nelle copie originali negli archivi europei, viene infatti da lui utilizzata
come prova a sostegno delle sue tesi. Molto del materiale cartografico
raccolto da Rio Branco, assieme a quello di poco successivo riunito
da Nabuco, costituisce un nucleo importante della mappoteca dell'Itamarati,
il ministero degli esteri della Federazione brasiliana.
[28] "Prima del 1802, il
limite meridionale delle colonie olandesi d'Essequibo, Demerary e Berbice
era costituito dalla catena di Pacaraima e da una linea tracciata dal
nord-ovest verso il sud-est a partire dal monte e dal fiume Annay. Questa
delimitazione olandese lasciava al Brasile, oltre ai territori del Rio
Branco, quello delle due rive del Rupunauini o Rupunani, dalla sua sorgente
fino alla confluenza dell'Annay, a est del punto in cui il Rupunani,
formando un gomito, cambia di direzione. Il Tacutú con il Cotingo
e il Mahú, suoi affluenti, così come il Pirara, tributario
di quest'ultimo, e il lago Amacu o Pirara si trovavano così al
di fuori della frontiera olandese, sul territorio del Brasile" (ibid.,
p.1).
[29] "Al momento della conquista
di queste colonie da parte dell'Inghilterra, nel 1803, gli insediamenti
olandesi formavano solo una striscia stretta sul litorale, che comprendeva
appena la parte inferiore dei fiumi che si gettano su questa costa.
A monte di Bonasika River, vicino alle bocche dell'Essequibo, non c'erano
né abitazioni olandesi, né alcun genere di coltivazione
o di utilizzazione" (ibid. p. 13).
[30] WALTER RALEIGH, La
ricerca dell'Eldorado con relazione del secondo viaggio di Guiana di
Laurence Keymis, a cura di Franco e Flavia Marenco, Milano, Il Saggiatore,
1982.
[31] ALEXANDER VON HUMBOLDT,
Rélation historique du voyage aux régions équinoxiales
du nouveau continent fait en 1799, 1800, 1801, 1802, 1803 et 1804 par
Al. de Humboldt et A. Bonpland, rédigé par Alexandre de
Humboldt, Stuttgart, 1970, 3 voll.
[32] ALEXANDER VON HUMBOLDT,
"Sur quelques points importants de la géographie de la Guyane",
Nouvelles Annales de Voyages, 1837, t. II, p. 173 e sgg.
[33] I resoconti di tali
spedizioni si trovano nel Journal of the Royal Geographical Society,
ampiamente citato, con precise indicazioni bibliografiche, nella memoria
di Rio Branco.
[34] Obras do Rio-Branco,
II, Questões de limites. Guiana Britânica, p. 46.
[35] Per la ricostruzione
delle trattative fino alla decisione dell'arbitrato si veda, oltre allo
scritto di Rio Branco già più volte citato, Question
de la frontière entre la Guyane britannique et le Brésil,
Mémoire présenté par le gouvernement de
Sa Majesté Britannique, Londres, Imprimé au Foreign
office, par Harrison and Sons, 1903, pp.125 e sgg.
[36] Rispondendo al progetto
di trattato presentato nel marzo 1897 da A. de Souza Corrêa, ministro
brasiliano a Londra, e che faceva riferimento al classico modello del
divortium aquarum, lord Salisbury motivava il suo rifiuto con
le seguenti parole: " Quali possano essere i vantaggi che presenta una
linea di divisione delle acque come frontiera in un paese civilizzato
e nel caso in cui la linea divisoria è ben segnata, è
importante che, in una regione abitata da tribù ignoranti, il
limite fra i territori rispettivi delle due Potenze sia segnato, se
si può fare, da una frontiera naturale, nettamente visibile e
facile da riconscere. Sono solo le alte catene di montagne o, in loro
assenza, i corsi di fiumi conosciuti, che possono offrire una tale frontiera.
Nel caso attuale, sembra certo che ... sarebbero circondate da minori
difficoltà se ci si servisse dei corsi d'acqua per determinare
la frontiera" (ibid. p. 129).
[37] Da parte britannica
e da parte brasiliana venne raccolta e pubblicata una vasta massa di
memorie e documenti che ho potuto consultare presso la Società
geografica italiana di Roma dove sono depositati in quanto uno dei consulenti
del re d'Italia era Giovanni Roncagli, segretario della società
stessa. Riporto l'indicazione bibliografica dei volumi, tutti in quarto:
British Guiana Boundary, "Arbitration with the United States
of Brazil, The case on behalf of the Government of his Britannic Majesty",
London, Printed at the Foreign Office, by Harrison and Sons, 1903; id.,
id., "The Counter-case on behalf of the Government of his Britannic
Majesty", London, Printed at the Foreign Office, by Harrison and
Sons, 1903; id., id., "Notes to the Counter-case on behalf of
the Government of his Britannic Majesty", London, Printed at the
Foreign Office, by Harrison and Sons, 1903; "Question de la frontière
entre la Guyane britannique et le Brésil, Mémoire présenté
par lo gouvernement de sa Majesté britannique", Londres,
Imprimé au Foreign Office par Harrison and Sons, 1903 (traduzione
francese di The Case); id.,"Annexe au mémoire présenté
par le gouvernement de sa Majesté bitannique", vol.I,
1596-1822, Londres, Imprimé au Foreign Office par Harrison and
Sons, 1903; id., id, vol. II, 1827-1902, Londres, Imprimé au
Foreign Office par Harrison and Sons, 1903; id., id, vol. III, 1835-1843,
Londres, Imprimé au Foreign Office par Harrison and Sons, 1903;
id., id, vol. IV, Londres, Imprimé au Foreign Office par Harrison
and Sons, 1903; British Guiana Boundary, "Arbitration with
the United States of Brazil, The argument on behalf of the Government
of his Britannic Majesty", London, Printed at the Foreign
Office, by Harrison and Sons, 1904; Atlas annexé au contre-memoire
présenté par le gouvernement de sa Majesté Britannique
à sa Majesté le roi d'Italie dans sa qualité d'arbitre
entre la Grande Bretagne et les États Unis du Brésil selon
les articles d'un traité ratifié à Rio de Janeiro,
le 28 janvier 1902, dressé par major E.H.Hills, C.M.G.,
R.E., Intelligence Division, War Office, Lieut-général
sir W.G. Nicholson, K.C.B., directeur-général of Military
Intelligence, s.l., s.d, cm 22x29.
Premier mémoire," Le droit du Brésil",
présenté a Rome le 27 février 1903 par Joaquim
Nabuco, Paris, Lahure, s.d.( esiste anche una versione portoghese, poi
ristampata dall'Itamarati, cioè dal Ministero degli affari esteri);
Annexes du premier mémoire du Brésil, vol.I, "Documents
d'origine portugaise "(texte portugais), première
série, s.l., 1903; id., vol. II, id., deuxième série,
s.l., 1903; id., vol. III, id. (traduction), première
série, s.l., 1903; id., vol. IV, id., (traduction), deuxième
série, s.l., 1903; id., vol. V, "Documents divers",
s.l., 1903; Second mémoire, vol. I," La prétention
anglaise", présenté a Rome le 26 septembre 1903
par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure, s.d.; id., vol. II, "Notes
sur la parti historique du premier mémoir anglais", présenté
à Rome le 26 septembre 1903 par Joaquim Nabuco Paris, Lahure,
s.d.; id., vol. III, "La preuve cartographique", présenté
à Rome le 26 septembre 1903 par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure,
s.d.; "Annexes du second mémoire du Brésil,"
vol. I, "Documents faisant suite au tome premier du second
mémoir", première série, s.l, 1903;
id., id., seconde série (période de la neutralisation
du territroire), sl., 1903; id., vol. III, "Documents faisant
suite au tome second du second mémoir", s.l., 1903;
Troisième mémoire, vol.I,"
La construction des mémoires anglais", présenté
à Rome le 25 février 1904 par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure,
s.d.; id. vol. II, "Histoire de la zone contestée selon
lo contre-mémoire anglais", présenté
a Rome le 26 septembre 1903 par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure, s.d.;
id., vol. III, "Reproduction des documents anglais suivis
de brèves observations", présenté à
Rome le 26 septembre 1903 par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure, s.d.; id.,
vol. IV, "Exposé final", présenté
à Rome le 26 septembre 1903 par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure,
s.d. Da documenti d'archivio (v. oltre) risulta l'esistenza di un atlante
di parte brasiliana che però non ho trovato per il momento.
[38] Joaquim Aurélio
Barreto Nabuco De Araujo (Recife 1849 - Washington 1910), deputato nel
1878 e poi per un decennio, è stato politico, diplomatico e storico.
È noto soprattutto per la sua battaglia abolizionista e per le
sue posizioni liberali. Fa parte di quel qualificato gruppo di uomini
politici legati all'impero, che non aderirono alla Repubblica, mantenendo
esplicitamente la propria fede monarchica, ma che ugualmente, per il
loro prestigio, operarono soprattutto in campo internazionale come rappresentanti
del governo republicano. Le sue Obras completas, come quelle
di Rio Branco, vennero publicate per conto dell'Itamarati nel 1949,
in un periodo politico in cui intenso fu lo sforzo di rinsaldare l'identità
nazionale, (cfr. MARCO AURÉLIO NOGUEIRA, As Desventuras do
Liberalismo. Joaquim Nabuco, a monarquia e a república, Rio de Janeiro,
Paz e terra, 1984).
[39] JOAQUIM NABUCO, O
direito do Brasil , São Paulo, Instituto Progresso Editorial,
1949, p. 125.
[40] Ibid., p. 284.
[41] p. 412.
[42] A differenza che per
i testi brasiliani, per quelli britannici non ho identificato l'estensore
e desumo che si tratti di pagine redatte collegialmente all'interno
del Foreign Office. Chargé d'affaires a Roma era comunque sir
Rennell Rodd, già responsabile per questioni di frontiere in
Somalia.
[43] The Counter-case
cit., p. 8.
[44] Ibidem, p. 188.
[45] Mémoire
cit., p. 134
[46] J.R.V. PRESCOTT, Political
frontiers and boundaries, London, Allen &Unwin, 1987, p. 211.
[47] Mémoire
cit., p. 151.
[48] Ho trovato il seguente
materiale di archivio: Archivio centrale dello stato, Real casa, Casa
militare di S.M. il Re, Ufficio del 1º aiutante di campo generale,
anni 1865-1946, 1904, busta 104, fasc. 260; Ministero degli affari esteri,
Archivio storico, "Carteggio della serie politica", p. 1891-1916.
"Arbitrato di Sua Maestà il re sulla vertenza anglo-brasiliana
sui confini tra la Guyana inglese e gli stati del Brasile", pacco
682, pos. 876. Questi due incartamenti contengono soltanto lettere di
ricevuta, consegna e richiesta di documenti. Essi ci consentono di sapere
chi sono gli esperti coinvolti come consulenti nell'arbitrato, i tempi
con cui si sviluppano i lavori, qualche altra notizia sparsa, ma non
ci restituiscono le relazioni che gli esperti via via fecero a commento
delle memorie di parte britannica e brasiliana.
[49] Presso la Società
geografica di Roma non vi è documentazione di archivio sull'argomento
in questione.
[50] Presso l'Università
di Pavia non ho trovato documentazione e anche la famiglia Buzzati mi
ha detto che le carte dell'internazionalista sono andate distrutte nella
villa del Bellunese durante la Prima guerra mondiale.
[51] Con l'aiuto del professor
Benedetto Conforti, che qui ringrazio, ho potuto verificare che non
vi è documentazione su tale materia presso l'ateneo napoletano.