Separare ed Unire.
Appunti sulle frontiere brasiliane fra Otto e Novecento:
il caso della Guiana britannica

Teresa Isenburg
Università di Milano

1. "Nel principio Iddio creò i cieli e la terra" [1]: dopo questo primo atto istitutivo, ci racconta la Genesi, (e in essa riecheggiano altri miti di fondazione[2]), inizia l'opera di separazione: delle tenebre dalla luce e delle acque dalle acque attraverso una distesa chiamata cielo. È l'importante passaggio dal caos informe e vuoto all'ordine, cioè alla possibilità di identificare dei limiti entro i quali raccogliere gli elementi (acqua e terra in particolare) e fare in seguito affiorare le diverse forme di vita, vegetali prima, animali poi. Non si dice nulla di nuovo, dunque, sottolineando il carattere costituente del dipanare confini per mettere all'interno di essi se stessi, all'esterno l'altro, identificabili entrambi solo dopo avere segnato la demarcazione. E solcare il margine stabilito può significare una scelta di porsi al di fuori della legge come ci ricorda, in una narrazione relativamente recente, la sorte di Remo. Comunque vale la pena di rileggere i primi capitoli della Genesi con le varie ricostruzioni della creazione poste in successione e di richiamare l'attenzione su quella frase "E la terra era informe e vuota"[3]: è in base a tale binomio (e soprattutto al secondo termine di esso) che si può ipotizzare di dividere. Quindi è importante non vedere o comunque non considerare l'altro (ad esempio l'indio) per potere dichiarare privo di contenuto ciò che si vuole disgiungere. Separare ed unire, dunque, anche se la Genesi non usa esplicitamente il secondo predicato che è comunque implicito nel primo: separo da te per unire, spesso in posizione subalterna, a me: la lunga strada del pensiero occidentale.
Con questi riferimenti voglio solo sottolineare il significato culturale profondo del produrre frontiere: non si potrebbe altrimenti motivare la quantità di energie - intellettuali, economiche, scientifiche, militari - investite attorno allo srotolarsi dei gomitoli di linee di spartizione che spesso passavano e passano attraverso luoghi assolutamente privi di apparente importanza e valore. Diverse filosofie stanno alle spalle delle procedure confinarie anche all'interno del pensiero occidentale, ma un filo comune le accomuna: il delirio di onnipotenza. In quel fissare frontiere si compie un gesto dal profondo valore simbolico, allargare i confini ha un significato che trascende l'estensione oggettiva e il potenziale valore dei chilometri quadrati accuratamente circoscritti.

Le potenze iberiche in America Meridionale

2. Forse è stato il primo caso storico cosciente di confine antecedente: prima ancora di avere ‘scoperto' la parte meridionale del continente americano, già il 7 giugno 1494 Castiglia e Portogallo avevano stabilito, con l'autorevole beneplacito del pontefice Alessandro VI, dove sarebbe passata la linea divisoria fra i loro possedimenti di oltre oceano, che non si ipotizzava nemmeno che altri potessero rivendicare. O meglio avevano definito le regole in base alle quali identificare il crinale fra le reciproche conquiste. La scelta fu di seguire un riferimento geometrico, cioè un meridiano posto a 370 leghe a ovest dall'arcipelago di Capo Verde: quale fosse la misura delle leghe prescelte non era specificato, né da quale punto delle isole capoverdine bisognasse iniziare il conteggio. La vaghezza nella definizione non era casuale: si sapeva che al di là dall'oceano vi erano delle terre, probabilmente i portoghesi lo sapevano già prima del 12 ottobre 1492 perché nel loro non innocente peregrinare lungo le coste africane acquisendo conoscenze e impiantando rapporti di produzione schiavisti nelle isole che incontravano lungo il loro cammino, sfiorarono o avvistarono terre lontane, verosimilmente trascinati dal gioco delle correnti. Del resto anche Cabral fece finta di perdere la strada per toccare la terra della Vera Cruz. Ma non si sapeva come fossero, quelle terre.
E ancora più complessa si presentava la situazione per la spartizione delle zone di dominio nell'area pacifica: laggiù l'opzione del meridiano avrebbe determinato la disponibilità o meno delle isole Molucche, luogo mitico di spezie. All'inizio del Cinquecento, i castigliani proprio per questo scopo pretendevano che la misurazione iniziasse dall'estremo dell'isola più occidentale, quella di Santo Antão; i portoghesi, non tenendo in considerazione quanto questo li avrebbe avvantaggiati in quel Brasile che ancora non si capiva cosa sarebbe diventato, respingevano allora tale principio con energia pari a quella con la quale in seguito lo avrebbero difeso[4]. Comunque i sogni orientali dei portoghesi si tradussero solo parzialmente in realtà: se nel 1511 essi giunsero a Malacca, delle Molucche si impadronirono nel 1521 i castigliani. E fu a caro prezzo, con il trattato di Saragoza del 22 aprile 1529, che Carlo V vendette a João III i diritti su quelle isole, conservando invece ben saldamente in pugno le Filippine.[5]

3. Continuando nell'operazione della costruzione progettuale dello spazio attraverso una proiezione concettualmente identica a quella cartografica (poco importa se poi ciò si sia o meno tradotto immediatamente in disegno, espressione materiale di un'operazione di forte astrazione), i portoghesi completarono il taglio verticale in direzione nord-sud con un fascio di tagli orizzontali in direzioni est-ovest: le donazioni concesse a sudditi scelti dal sovrano, striscie di terra che, partendo da una porzione di costa, entravano verso l'interno seguendo i paralleli fino a raggiungere il vago meridiano di Tordesillas. Così la metropoli incamerava lo spazio coloniale a lei ignoto separandolo dal resto del continente, difendendolo, con una invisibile muraglia, dalla presenza di altri possibili concorrenti europei, incurante delle mappe, accuratamente giustapposte, già elaborate dalle popolazioni native.
Poi l'occupazione reale del territorio andò in modo differente, rispetto al modello teorico tracciato dalla mente sulla carta guardata con gli occhi dell' astrazione: altri protagonisti si affacciarono in quella terra denominata a partire dal rosso nome del verzino, francesi desiderosi di gettare il seme della riforma calvinista nella baia di Guanabara, olandesi attenti al paesaggio e pronti a imparare e modernizzare i sistemi dell' engenho, ancora francesi risaliti dalla Francia Antartica[6] a quella equinoziale. E fra di essi gli indii, trascinati in alleanze che rispecchiavano le tensioni europee e messi in mezzo anche alle guerre di religione. Ma il Portogallo, questa strana metropoli dominata, o meglio condizionata, di fatto, dalla sua troppo grande colonia, riuscì a espellere queste ingerenze, creando anche un mito unitario interraziale - una identità brasiliana, forse - proprio attorno alla guerra antibatava: manipolazione ideologica assai abile se si pensa che anche gli africani vennero coinvolti nell'operazione. E tutto ciò mantenendo senza esitazione un rigido sistema schiavista[7], tra l'altro tanto solido da perdurare, in contro tendenza rispetto a quasi tutto il resto dell'America Latina divenuta indipendente e insieme investita da nuovi rapporti di produzione nel secondo decennio dell' Ottocento, fino al 1888.

4. Il Portogallo rimaneva fedele allo spirito (non alla geografia) di Tordesillas: il continente sudamericano era questione da risolvere fra le potenze iberiche e la sua spartizione andava consolidata attraverso la proiezione ideologica ( e in seconda battuta territoriale) del confine, della separazione che dava unità all'area lusitana. Un' unità che sarebbe sopravvissuta alle rivolte a sfondo separatista degli anni 1830-1840 e che anche in questo rendeva il Brasile diverso dai suoi vicini continentali. Una unità, io credo, che ha una lunga storia, quella della costruzione dei confini secondo un progetto ideologico territoriale con una vicenda secolare e con alcuni protagonisti di spicco. Non sto dicendo che i confini hanno dato unità e creato identità, voglio semplicemente dire che è stata elaborata una teoria con una forte componente ideologica adeguata a trovare motivi e giustificazioni per imporre una forma ad uno spazio e tessere saldamente insieme il significato dello spazio stesso e della popolazione che in esso si trovava. Naturalmente molta influenza ha avuto la solida referenza portoghese; il senso di identità della metropoli è stato applicato al Brasile, in qualche modo tagliando il fondamento della matrice originale (la ‘portoghesità') e conservando il modello (il radicamento profondo). Non si può non sottolineare, e attribuire a ciò un certo significato, che il Portogallo, con la Svizzera, è la porzione d'Europa che ha i più antichi e stabili limiti non modificati nel corso del tempo.
Anche in pieno periodo di unione delle corone iberiche (1580-1640), in un passaggio particolarmente difficile della storia portoghese, il progetto della costruzione del Brasile non venne meno: Pedro Teixera prese possesso del bacino amazzonico fino al Rio Napo, cioè risalendo fino in Perú ed Equador, depositando gli atti secondo le modalità notarili tipiche dell'espansione coloniale presso la Camera del Parà, nel 1637, in nome del re di Portogallo. E quando la casa di Braganza successe, dopo una interruzione temporale, alla casa di Aviz quella parte del continente rimase con il Portogallo, senza grandi proteste da parte spagnola in quel momento interessata piuttosto alla regione temperata antartica che a quella equatoriale, cioè alla colonia di Sacramento che dal 1680 si adagiava sulla riva sinistra del Rio della Plata. Pur fra scaramucce e periodi di guerre, poi la materia venne elaborata per via diplomatica: ed ecco il trattato di Madrid, le commissioni delimitatrici, la carta delle corti. Ancora una volta fra progetto e realtà vi fu una forbice, e quell'elegante schizzo divenne rilevamenti e cippi solo per breve tempo, anche per le oggettive difficoltà, specialmente nella piana amazzonica, di muoversi fra selve, fiumi, piogge, indii e agenti patogeni di tutti i tipi. Più ridotto, il trattato di Santo Indelfonso sistemò bene o male le cose e fino agli ultimi decenni dell'ottocento la situazione rimase ferma. Anche perché nel frattempo c'erano altre cose da fare, sia nelle metropoli che nelle colonie: terremoto di Lisbona, spedizione Malaspina, invasione napoleonica, ad esempio. Ma comunque la costruzione territoriale brasiliana diede luogo a scontri militari contenuti con le giovani nazioni di lingua spagnola, a differenza di quanto avvenne fra gli stati ex spagnoli stessi.

5. Lunghi confronti diplomatici, montagne di documenti, cartografia, resoconti di viaggi, testimonianze varie; e di fronte al blocco delle trattative, l'arbitrato.Così nella seconda metà dell'Ottocento e nei primissimi anni del Ndi Domenicali Roberta ovecento, il Brasile sistemò le sue frontiere e allargò il suo territorio, portando a compimento un progetto lontano di costruzione di una nazione.
Due furono i protagonisti principali di tale processo, due figure di grandi statisti che hanno avuto le capacità, e le possibilità, di operare a vasto raggio e con notevole autonomia: Alexandre de Gusmão a metà Settecento per il Trattato di Madrid, destinato a fallire sul piano immediatamente diplomatico, ma di fatto riuscito nel promuovere un indirizzo di politica estera, e il Barone di Rio Branco fra fine Ottocento e inizio Novecento per il raggiungimento di trattati internazionali che hanno dato ordine definitivo al bordo delle federazione, ricalcando di fatto il disegno di Gusmão.

Alexandre de Gusmão

Nella sua concezione sulla acquisizione dello spazio catalogato come vuoto o considerato occupato da soggetti che, sempre in modo non innocente, attraverso lunghe dispute teologico-politiche, erano stati posti in un limbo nel quale si concedeva loro il diritto all'anima, ma non certo all'autogoverno, Gusmão si fondava su due principi: quello delle emergenze naturali e quello dell'effettivo insediamento con caposaldi militari e amministrativi e magari forme di attività economiche, in primo luogo commerciali[8]. L'accesso ai continenti, o almeno a quello americano e a quello africano nella sua porzione subsahariana, avveniva abitualmente attraverso le vie fluviali. Era quindi diffusa l'idea che chi conquistava il controllo della foce di un corso d'acqua, automaticamente conquistava il diritto all'intero bacino. Ma nella realtà un tal modo di procedere risultava impossibile da applicare per la grande, e ignota, vastità dei bacini stessi che a volte potevano essere raggiunti da due diversi versanti, come ad esempio avveniva per il Rio delle Amazzoni che i portoghesi risalivano dalla foce atlantica e gli spagnoli scendevano, nei rami dell'alto corso, provenendo da Quito e superando le Ande per scivolare verso il vasto bassopiano amazzonico.

6. Così il principio geofisico veniva da Gusmão mitigato o completato da un principio sociale, la presenza effettiva sul territorio con le proprie istituzioni e i simboli del proprio potere politico-amministrativo, con deleghe al potere religioso delle congregazioni missionarie. Certo, specie in Amazzonia la presenza degli ordini è stata significativa e il Brasile è stata la prima provincia d'oltremare della Compagnia di Gesù nel 1553, ma, nonostante il potere temporale degli ecclesiastici sui villaggi, il Portogallo aveva un' idea precisa sul ruolo dell'istanza politica e dei mandati che essa poteva concedere: concessioni che riguardavano tuttavia la società laica e nobiliare piuttosto che quella religiosa. Difficilmente nell'ambito della cultura portoghese avrebbe potuto mettere radice un fenomeno di così drastica autonomia come quello delle riduzioni gesuitiche del Paraguai; e infatti è attorno a questo nodo che giunse a maturazione la decisione dell'espulsione della Compagnia dalle terre portoghesi (3 settembre 1759).
Rappresentanti degli ordini ecclesiastici prendevano parte, con funzioni di assistenza spirituale, alle spedizioni delle tropas de resgate[9] : quelle spedizioni di truppe portoghesi e di ausiliari indii, agli ordini di un caporale militare, accompagnate da funzionari delle finanze e padri della Compagnia, che riscattavano indii prigionieri. La giustificazione morale di tali operazioni era che questi ultimi sarebbero stati schiavizzati, torturati, chissà divorati dalle tribù nemiche e che quindi era atto di misericordia - oltre che di salvezza dell'anima attraverso il battesimo - riscattarli, e ridurli poi in schiavitù. In realtà attorno a tale questione si giocava lo scontro fra coloni e ordini religiosi per il controllo della forza lavoro. L'amministrazione coloniale mediava fra i diversi interessi, ma, specialmente nel bacino amazzonico, essa era interessata a mantenere un saldo controllo militare attraverso la costruzione di forti alle imboccature dei fiumi e il pattugliamento costante, peraltro con gruppi di pochi soldati, dei corsi d'acqua e delle aree periferiche. Ma le forze disponibili erano sempre molto esigue, poche decine di uomini e per ogni azione, anche limitata, la disponibilità di indii come vogatori, trasportatori, guide, fornitori di cibo era indispensabile. Tutta la letteratura di viaggio relativa al bacino amazzonico[10] dal Cinquecento al Novecento è un lamento costante sulla infingardaggine degli indii costretti ai remi che - appena se ne presentava l'occasione - si davano alla fuga, in particolare se si trovavano in vicinanza dei loro villaggi d'origine. La notte, favoriti della conoscenza dei luoghi, sparivano senza lasciare traccia e i viaggiatori rimanevano immobilizzati, capaci solo di rivolgersi alle autorità militari perché requisissero con la forza altri rematori.

7. Fu fra 1751 e 1759 durante il governatorato di Francisco Xavier de Mendonça Furtado, fratellastro del futuro marchese di Pombal, che la tensione fra ordini religiosi - soprattutto gesuiti, ma anche cappuccini e carmelitani - e potere politico giunse ad un punto di rottura. Nel giugno del 1755 José I, sotto influsso di Pombal a sua volta influenzato dal congiunto governatore del Maranhão-Pará, promulgava due leggi fondamentali per gli indii, leggi destinate a porre fine al potere gesuitico in materia. L'una dichiarava la liberazione degli indii, l'altra cercava di scalzare la discriminazione razziale, agevolando i matrimoni misti e l'occupazione in funzioni amministrative dei mezzosangue. Dietro questi cambiamenti dall'evidente valore morale, vi era la consapevolezza della necessità di popolare il vasto spazio di cui il trattato di Madrid aveva indicato il perimetro. Spagnoli, francesi, olandesi e magari inglesi erano pronti a fare pressione su frontiere non debitamente presidiate.
Alexandre de Gusmão[11] è il principale artefice teorico e diplomatico del processo di costruzione delle frontiere brasiliane. Nato a Santos nel 1695, a 15 anni era già a Lisbona e fra le capitali europee, in particolare Parigi e Roma, trascorse gli anni della giovinezza e della prima maturità, ritornando nelle terre lusitane, per rimanerci definitivamente, nel 1728; brasiliano nato, probabilmente sfiorato dalla nomea di cristão novo ancora legato all'antica fede nonostante l'educazione presso i gesuiti e la presenza di numerosi religiosi fra i fratelli, dal 1734 assumeva incarichi presso la segreteria di stato del Brasile, diveniva nel 1740 segretario particolare del re D. João V e veniva anche designato per il potente Conselho Ultramarino. A parte gli incarichi diplomatici come quelli ricoperti dal 1721 nella settennale permanenza a Roma che sfociò nella conquista, assai costosa sul piano economico, del titolo di Maestà fedelissima per il sovrano portoghese, la sua attività fu dedicata interamente al Brasile con cui manteneva contatti attraverso famigliari ed amici.

8. Le relazioni diplomatiche e militari fra Spagna e Portogallo erano fortemente influenzate dagli accadimenti nelle colonie, soprattutto in quelle contigue in America Meridionale. Per migliorare le relazioni fra le due corone iberiche ed evitare gli scontri, venne negoziato il ‘Matrimonio dei principi' che prevedeva l'unione fra gli eredi delle due corone con le infanti delle due case regnanti: così il 19 gennaio 1729 avveniva lo scambio delle principesse: Mariana Vitoria raggiugeva Lisbona dove avrebbe sposato il futuro José I, mentre Maria Barbara de Bragança prendeva la strada di Madrid per aspettare l'unione con il futuro Fernando VI. Ma nonostante il doppio matrimonio, i motivi di contrasto erano numerosi. In particolare in terra americana creava molta tensione la questione della colonia di Sacramento, fondata nel 1680 dal governatore di Rio de Janeiro, e riconosciuta l'anno successivo dalla Spagna, proprio di fronte a Buenos Aires, luogo di un vivace contrabbando d'argento e baricentro di un sistema per appropriarsi di mandrie di buoi e branchi di cavalli che garantivano insieme trasporti, in particolare dell'oro di Minas, e materie prime[12]. La colonia di Sacramento era una spina nel fianco nel sistema del monopolio spagnolo nella regione, tanto che per dieci anni, fra 1705 e 1715, venne occupata dagli spagnoli; solo il Trattato di Utrecht riconobbe il dominio portoghese, ma quello di Madrid lo annullava nuovamente. L'accanimento attorno a quell'insediamento è la spia del fatto che ormai il vecchio equilibrio di Tordesillas, se mai era esistito sul territorio e non solo nelle peraltro importanti carte diplomatiche, era comunque completamente superato. I portoghesi si erano spinti molto ad occidente nell'entroterra continentale, avevano fatto vaste e complesse esplorazioni guidate dai bandeirantes paolisti[13] e, soprattutto, dalla fine del Seicento era iniziato il ciclo dell'oro, elemento propulsore decisivo per il popolamento interno, la formazione di una economia regionale con interessi locali forti e il superamento del complesso produttivo tintorio e saccarifero esclusivamente costiero e volto all' esportazione, fatta eccezione - non piccola - per la importazione di schiavi africani.

9. Il Portogallo era conscio del cambiamento in atto e delle conseguenze territoriali di esso; capiva anche che la ridefinizione della spartizione con la Spagna delle terre interne del continente americano era solo questione di tempo. Lo storico portoghese Jaime Cortesão che negli anni cinquanta ha dedicato vasti studi alla formazione territoriale della colonia in relazione con la metropoli, in tutte le sue ricerche ha sempre sottolineato l'importante ed avanzata cultura geografica del Portogallo e in primo luogo dell'apparato amministrativo e della corte, che faceva di questo sapere un uso quasi esoterico. Anche lo studio in questione non fa eccezione e così si vengono a sapere alcune cose interessanti al riguardo della preoccupazione per le misurazioni astronomiche e la documentazione cartografica[14] nelle alte sfere della diplomazia portoghese proprio in rapporto alla necessità di identificare e attribuire gli spazi dell'America meridionale.
La rinascita dell'interesse geografico e cartografico in Portogallo fu determinata dalla lettura che Guillaume Delisle l'Ainé, geografo del re, fece il 24 novembre 1720 davanti all'Accademia reale delle Scienze di Parigi. In quella sede l'eminente scienziato, basandosi sulla misurazione della longitudine all'isola di Santo Antão nell'arcipelago di Capo Verde, fissata a 27º 40', cioè assai vicino alla posizione esatta, concludeva che il Cabo do Norte, immediatamente a settentrione della foce amazzonica, e la Colônia do Sacramento erano al di fuori della linea di spettanza portoghese di Tordesillas, mentre le Molucche si trovavano all'interno della porzione orientale di essa. La notizia, che di fatto metteva a nudo una certa frode probabilmente cosciente nella produzione cartografica di parte portoghese nel dislocare eccessivamente verso oriente il continente sudamericano, era pessima per la corona lusitana che vedeva fortemente indebolita qualunque possibilità di trattativa diplomatica, mentre nel frattempo in Brasile lo spostamento verso Occidente attraverso le bandeiras, lungo le strade fluviali delle monsões e nei nuovi insediamenti minerari era giunta fino a Cuiabá, cioè oltre tutti i limiti stabiliti dai trattati. E di questo travalicare i portoghesi, e ancora di più i brasiliani, erano assolutamente consapevoli. D. Luiz da Cunha, per molti lustri abile ambasciatore portoghese a Parigi, informava di queste importanti novità il sovrano D. Jõao V, e gli inviava, su sua richiesta, atlanti e notizie, mentre si cercava di promuovere i contatti fra Delisle e il suo omologo portoghese Manuel Serrão Pimentel.

10. Intanto nel settembre 1722, chiaramente sull'onda dell'emozione prodotta dalle dichiarazioni di Delisle, si facevano giungere dall'Italia due gesuiti matematici, Domenico Capassi e Giovan Battista Carbone, entrambi napoletani, con il compito di realizzare misurazioni di longitudini in Portogallo e di attrezzare laboratori moderni a Lisbona. A Parigi venivano acquistate attrezzature scientifiche all'avanguardia con la consulenza di Jacques Cassini, il secondo della famosa dinastia. Dal 1725 iniziava, sempre attraverso l'accorta tessitura di relazioni di Luiz da Cuhna, la collaborazione con Jean Baptiste Bourguignon D'Anville, che dapprima sovraintese agli acquisti cartografici per il sovrano e poi costruì, su richiesta del sollecito ambasciatore che gli fornì anche molta documentazione di prima mano, verso il 1742, la carta d'America meridionale[15]. Alla sua autorità si rifaceva ancora, con piena fiducia, qualche decennio dopo Alexander von Humboldt e diceva espressamente: "D'Anville[16], che aveva il raro talento di indovinare la verità dietro semplici combinazioni, indicò con molta precisione sulla sua bella carta dell'America meridionale il Cassiquiare come ramo dell'Orinoco"[17] .
Nel 1729, infatti, i padri matematici Capassi e Diogo Soares erano stati inviati in Brasile per redigere, attraverso misurazioni dirette, un nuovo atlante della colonia. Il primo morì di febbri maligne nel 1736, il secondo continuò la propria missione fino al 1748. E attraverso i loro lavori, uniti ad altri di amministratori e residenti nella colonia, giunsero a Lisbona abbondanti notizie, nonché schizzi cartografici, tenuti in buona parte segreti per quell' aura esoterica che ancora circondava l'informazione sui luoghi e per prudenza strategica. Comunque, sull'onda della preoccupazione che nasceva dalla contraddizione fra l'occupazione concreta del territorio interno del continente e i vincoli dell'obsoleta stretta gabbia di Tordesillas, i portoghesi preparavano gli strumenti per una iniziativa diplomatica che permettesse di dare precisione mutuamente accettata alla faglia di frizione fra le potenze iberiche in terre americane, al fine di evitare il ricorso al primitivo mezzo del confronto violento.

11. Dopo contatti diretti da corte a corte, il 29 settembre 1746 giungeva a Madrid, con l'incarico di trattare la questione dei confini in America, Tomaz da Silva Teles e il giorno seguente arrivava a Lisbona, con lo stesso compito, Jaime Mazores de Lima. Il 13 febbraio 1750 veniva firmato il trattato. Fra quelle due date, lungo l'arco di tre anni e mezzo, si svolsero le trattative di cui furono attori di scena, oltre al già citato Silva Teles, D. José de Carvajal, entrambi persone di elevato profilo, e dietro le quinte, per parte portoghese, il ministro degli esteri Marco Antonio de Azevedo Coutinho, che firmava le istruzioni per il visconte-ambasciatore, ma in realtà, come risulta dalle minute dei documenti d'archivio, Alexandre de Gusmão che portava avanti con metodo una politica economica e territoriale per la colonia: economica con l'introduzione della tassazione dell'oro procapite per schiavo posseduto invece che attraverso il quinto della corona che veniva ampiamente evaso alimentando un copioso flusso di contrabbando, territoriale con il progetto diplomatico che sfruttava la favorevole congiuntura dei legami di sangue fra le corone iberiche.
Il documento chiave per capire il progetto portoghese, o meglio di Gusmão, sulla questione dei confini è la minuta di trattato che Lisbona, per firma del ministro degli esteri e per estensione, come si è detto, del segretario regio, inviava al suo ambasciatore il 28 novembre 1748. Gran parte dell' impostazione di tale minuta passò poi nel trattato finale, anche se naturalmente vi furono aggiustamenti reciproci e alcune importanti aggiunte, di cui parlerò in seguito, volute da Carvajal. Nell'esordio si invocava il rafforzamento dell'amicizia fra Spagna e Portogallo, alla quale il chiarimento dei dubbi sui confini coloniali avrebbe recato giovamento. Si avanzava poi subito un punto pregiudiziale: il fatto cioè che nell'area asiatica la Spagna aveva superato di molto gli ipotetici limiti di Tordesillas, molto di più di quanto i portoghesi avessero potuto fare in America meridionale. Era bene quindi prescindere, si diceva nel primo articolo, dalla demarcazione di quell'antico trattato, che peraltro non veniva affatto abolito, ma solo ignorato per le indicazioni territorialmente puntuali e non più realistiche alla luce delle nuove conoscenze geografiche, delle quali tuttavia non si esprimeva esplicito richiamo e di cui anzi si faceva, come si vedrà, un uso assai disinvolto. Si proponeva invece ( ancora nel preambolo) di assumere per fondamento della divisione il possedimento e l'occupazione in corso, scegliendo anche come riferimento monti e fiumi, cioè elementi naturali, chiaramente identificabili, per evitare future controversie.

12. Stabiliva poi la bozza che appartenevano alla corona di Spagna, senza possibilità di future pretese portoghesi, le isole Filippine e reciprocamente spettavano alla parte lesa, senza speranza di successive rivendicazioni spagnole, le terre occupate dall'autorità portoghese nell'area del Rio delle Amazzoni e nei distretti di Cuiabá e Mato Grosso; anche alla Colonia del Sacramento e alla navigazione del Rio de la Plata João V rinunciava, ricevendo in cambio le distese all'est del fiume Uruguai. Con un grande sforzo di identificazione territoriale, si tracciavano poi i confini richiamandosi a corsi d'acqua ed elevazioni e si prevedeva la nomina e l'invio di commissioni delimitatrici destinate ad operare sul terreno apponendo cippi e segni di demarcazione nelle zone in cui le emergenze naturali erano meno evidenti; ovviamente si vietava il commercio fra i vassalli delle due potenze iberiche, considerandolo alla stregua del contrabbando.
Con un certo ritardo rispetto all'invio della bozza di trattato, l'8 febbraio 1749 veniva inviata da Lisbona una carta, poi nota come Mapa das Cortes, in quanto approvata dalle due corti iberiche, che sarebbe poi dovuta servire anche da guida alle commissioni demarcatrici[18] .
Secondo Jaime Cortesão l'unione della bozza di trattato e della carta è la massima espressione della competenza diplomatica di Alexandre de Gusmão. La rappresentazione cartografica voleva inviare un messaggio di rigorosa rassicurazione alla controparte spagnola; nella realtà essa alterava profondamente la collocazione del Brasile attraverso due deformazioni complementari. Da un lato infatti spostava decisamente verso oriente il margine oceanico del Brasile, dall'altro riduceva ancora più drasticamente l'estensione del Brasile interno. In questo modo i possedimenti spagnoli sembravano assai più estesi rispetto alla realtà, quelli brasiliani più ridotti e di conseguenza i portoghesi avevano buon gioco nel fare accettare l'innovativo principio dell' uti possidetis. E la deformazione non era frutto di incomplete conoscenze, ma piuttosto di una scelta di occultare le conoscenze acquisite. Ormai infatti le misurazioni della longitudine in vari punti del pianeta fornivano diversi riferimenti precisi e la carta di D'Anville, costruita in buona parte con materiale fornito dall'ambasciatore Luís da Cunha, era molto più realistica. Essa, tuttavia, sebbene porti la data del 1748, fu pubblicata e resa nota al pubblico più vasto solo nel 1750, a Trattato di Madrid ormai firmato.

13. La versione finale del trattato rifletteva abbastanza fedelmente la minuta di Alexandre de Gusmão, con tuttavia una importante integrazione voluta da Carvajal: quella che prevedeva la non belligeranza nelle colonie in caso di guerra fra le potenze iberiche, completata dalla previsione del mutuo aiuto fra le colonie stesse in caso di aggressione.
Nonostante la firma, contro la traduzione in pratica - soprattutto per le clausole relative alla parte meridionale - del trattato si muovevano forze assai potenti: in Spagna i gesuiti del Paraguai, che avrebbero dovuto abbandonare parte delle loro riduzioni, in Portogallo settori commerciali legati all'Inghilterra che traevano grandi vantaggi dal contrabbando nel Plata, oltre al governatore che per mezzo secolo aveva avuto un vasto potere nell'insediamento di Sacramento. Ma soprattutto l'astro sorgente di Sebastião de Calvalho e Melo, in fase di ascesa dopo la morte di João V e l'incoronazione di José I e la parallela eclissi di Alexandre de Gusmão, non vedeva affatto di buon occhio il nuovo trattato, tanto che nell'arco di un decennio esso venne abrogato. Anche le commissioni incaricate di delimitare materialmente le linee divisorie procedettero con difficoltà sia nel sud, per dove partirono nel settembre 1751, che nel nord, dove si recarono a metà del 1752.
Nel sud la resistenza armata degli indii dei Sete Povos, cioè dei sette insediamenti gesuitici a est del fiume Uruguai, rese la regione teatro di scontri molto cruenti, in cui gli eserciti iberici congiunti sterminarono le milizie guaranitiche: una prima applicazione della clausola voluta da Carvajal[19]? Infatti, in base agli impegni di Madrid, quella terra che andava consegnata ai portoghesi in sostituzione della fortezza di Sacramento con le sue pertinenze, doveva essere libera dagli insediamenti gesuitico-guaranitici filospagnoli e militarmente competenti. Ma gli indii guarani non concordavano e si difesero con tutte le loro forze.
Sebbene nell'immediato il Trattato di Madrid non potè essere realizzato secondo i progetti del suo principale ideatore, esso tuttavia pose le fondamenta dello schizzo politico-territoriale dell'America Meridionale. Quando, fra XIX e XX secolo, per il convergere di diversi fattori, il Brasile si impegnò nel regolare i propri confini, il principale artefice di tale impresa, il Barão do Rio Branco, si rifece direttamente alla tradizione di metà '700 e al modo di operare e ragionare di Alexandre de Gusmão.

Barão do Rio Branco

14. Fra gli arbitrati che vennero realizzati fra la fine del Ottocento e l'inizio del Novecento e che modificarono assai, ampliandoli, i confini del Brasile, uno venne affidato alle cure di Vittorio Emanuele III. Si trattava di stabilire la demarcazione fra la Repubblica federativa del Brasile e la colonia della Guyana britannica. Per diversi decenni, a partire dalla prima metà dell'Ottocento, si era trascinato un contenzioso fra i due paesi per una piccola porzione di territorio. Lo spazio oggetto di disputa era appunto di modeste dimensioni, ma coincideva con una parte del bacino del Rio delle Amazzoni: l'attribuzione a l'uno o all'altro dei pretendenti significava includere o escludere altri soggetti nell'area amazzonica.
Il Brasile aveva già percorso con notevole successo la strada degli arbitrati internazionali sotto la ferma guida del Barão do Rio Branco, José Maria da Silva Paranhos[20]. In particolare aveva avuto ragione nel confronto con l'Argentina giudicato dal presidente degli Stati Uniti d'America Grover Cleveland in data 5 febbraio 1895[21]; l'area contestata di Palmas, ultima porzione della più vasta zona delle riduzioni guaranitiche dei Sete Povos, era di 30.621 chilometri quadrati, con una popolazione di 5.793 abitanti, tutti brasiliani tranne 30 stranieri e fra questi un solo argentino. La discussione fra area portoghese e area castigliana lungo il percorso del Rio della Plata era secolare. La pretesa argentina di ampliare verso Oriente quel peduncolo del suo territorio che si incuneava profondamente fra Brasile e Paraguai era per il Brasile difficile da accettare. Al di là del merito delle questioni presentate rispettivamente da parte argentina e brasiliana, è interessante notare il metodo di lavoro di Rio Branco: facendo leva sulla sua grande conoscenza storica e delle fonti, egli fu in grado, in quest'occasione, di sostenere la fondatezza delle posizioni brasiliane ritrovando i documenti originali: una copia autentica della Mapas das cortes del 1749, rinvenuta presso il deposito geografico del Ministero degli affari esteri francese, e l'originale delle istruzioni del 27 luglio 1758 ai commissari demarcatori delle due corone trovata negli archivi di Simancas. Con questi documenti Rio Branco riuscì a dimostrare la non autentiticità della mappa presentata da Estanislao Zeballos e fornita al negoziatore argentino direttamente dal presidente generale Bartolomé Mitre.

15. Anche nel diverbio con la Francia al riguardo della Guyana[22] lo stesso esperto diplomatico ottenne un verdetto ampiamente favorevole pronunciato dal Walter Hauser quale presidente del Consiglio federale svizzero il 1° dicembre 1900. Il Brasile rivendicava "1° Come «fronteira marittima», il fiume Japoc o Vincent Pinçon, designato nell'articolo 8 del Trattato di Utrecht, che è incontestabilmente l'Oyapoc, il solo fiume che fino ad oggi è stato conosciuto con il nome di Oyapoc; 2° Come «frontiera interna» , la linea del parallelo di 2° 24', dall'Oyapoc fino alla frontiera olandese, limite accettato dal Governo Francese nel 1817 e che deve essere mantenuto"[23]. In questo caso la materia del contendere riguardava un'area compresa fra Capo Nord e il fiume Oyapoc. Si trattava di un territorio per il quale il diverbio fra Portogallo e Francia risaliva al 1668, ma con l'articolo del Trattato di Utrecht dell'11 aprile 1713 la Francia riconosceva la sovranità portoghese sulle due sponde del Rio delle Amazzoni e su tutta la terra fra Capo Nord e il fiume Japoc o Vicente Pinzon. Tuttavia già nel 1745 Charles Marie de La Condamine avanzava l'ipotesi che la doppia denominazione indicasse due corsi d'acqua differenti; così la linea divisoria, collocata dalla diplomazia francese in diversi momenti a varie latitudini, venne alla fine rivendicata da Parigi lungo il fiume Araguari, affermando che questo era il vero Vicente Pinzon. Si trattava di una posizione di diversi gradi più meridionale e soprattutto tale da affacciarsi sull'imboccatura settentrionale del grande estuario amazzonico. Nella romanzesca vicenda era stata creata anche una fantomatica Repubblica di Cunani per giustificare la richiesta territoriale[24].
Se pure le vicende delle metropoli o del giovane impero fecero rinviare la chiarificazione della questione lungo l'arco dell'ottocento, essa esplose nel clima di rinnovato espansionismo coloniale di fine secolo. Per evitare il confronto armato, il 10 aprile 1897 venne concordemente scelta la strada dell'arbitrato. Una volta di più Rio Branco, difensore della posizione brasiliana, poteva avvalersi delle sue vaste conoscenze storiche, geografiche e cartografiche, confortate dagli scritti di Alexander von Humboldt sulla regione e dagli scambi di informazioni che egli aveva sviluppato a Parigi con Emile Levasseur e Elisée Réclus. Anche in questo caso il supporto decisivo per Rio Branco provenne da un documento trovato con grande fatica e quasi fuori tempo massimo nella biblioteca del re di Portogallo al palazzo dell'Ajuda a Lisbona: si trattava di un manoscritto del 1682 di memorie del padre gesuita, nativo di Costanza, Ludwig Conrad Pfeil[25], missionario in nome del re di Portogallo nella Capitaneria del Capo del Nord e nel territorio reclamato dalla Francia; in esso il religioso indicava con grande chiarezza i confini e l'idrografia del territorio nel quale operava, avendo anche cura di esplicitare i diversi nomi che soggetti diversi davano agli stessi incidenti geografici e in particolare al fiume Vicente Pinzon che risultava essere proprio quello più a settentrione indicato dai brasiliani. È interessante notare che in questo arbitrato per la parte francese scese in campo anche Paul Vidal de la Blache che, dopo il verdetto, scriveva nel 1901: "forse, dopo tutto, non è increscioso per la scienza che la questione sia sbarazzata dagli interessi politici che avevano contribuito a oscurarla. Essa ritorna ormai sul suo vero terreno"[26].

L'arbitrato per la Guiana Britannica

16 Da una prima serie di letture relative a Rio Branco è nata in me l'idea di approfondire lo studio dell'arbitrato relativo alla Guyana britannica affidato a Vittorio Emanuele III. L'ipotesi iniziale era di esaminare il modo di trattare la questione da parte brasiliana, da parte britannica ed in fine da parte degli esperti italiani e di trarre, dal confronto delle tre posizioni, qualche considerazione sulle differenti concezioni dello spazio e della sua ripartizione. Mi sembrava un lavoro semplice e lineare, realizzabile con alcune letture e verifiche d'archivio mirate.
Naturalmente le cose sono andate in modo diverso e in questa sede posso in realtà dare conto di un lavoro parziale.
Come ho cominciato a prendere in mano i documenti, mi sono subito accora che era assolutamente impossibile limitare lo scavo agli anni fra Ottocento e Novecento in cui l'arbitrato ebbe luogo. E nella regressione nel tempo si doveva risalire ai trattati di Santo Ildelfonso, del Prado, di Madrid, di Utrecht, di Tordesillas, al problema della misurazione del meridiano. E tutto ciò che gravitava attorno a ciascuno di tali problemi rivelava una concezione spaziale complessa e apriva una prospettiva di riflessione ampia soprattutto per quanto riguardava il Portogallo. Mi sono limitata a leggere qualche cosa, in modo incompleto, e a ordinare qualche appunto al riguardo.
Ma anche il lavoro specifico sull'arbitrato ha posto non pochi problemi. Ho rintracciato presso la Società geografica di Roma le memorie di parte brasiliana e inglese, ho localizzato alcuni incartamenti relativi all'operato italiano presso l'Archivio centrale dello stato e presso l'Archivio storico del Ministero degli affari esteri, ma non sono riuscita a trovare le relazioni dei sei esperti che svolsero funzione di consulenza per Vittorio Emanuele III. Il quadro è quindi claudicante, e privo del terzo perno, ma espongo egualmente il punto delle riflessioni al quale sono giunta, che completerò se la buona sorte mi farà trovare le carte che cerco. Per quanto riguarda la documentazione brasiliana, ho consultato le memorie specifiche e parecchia bibliografia complementare, ma non il materiale d'archivio dell'Itamarati che probabilmente permetterebbe di seguire le relazioni Nabuco-Rio Branco; per quanto attiene la produzione britannica, mi sono limitata alle memorie specifiche e certamente a Londra ci sarebbe molto da vedere.

17. La questione dei confini fra Guyana britannica e Brasile è una classica storia coloniale, quasi un prototipo o un modello. Vale la pena di ripercorrerne rapidamente le tappe[27].
Dal Seicento gli olandesi avevano cominciato ad occupare la costa caraibica dall'attuale Surinam verso occidente in direzione del confine del vicereame di Nuova Granada, popolandola con schiavi tratti dall'Africa. Gli insediamenti portavano il nome di colonie d'Essequibo, Demerara e Berbice dalla denominazione dei principali corsi d'acqua che le solcavano. Già nei primi lustri della seconda metà del XVII secolo coloni inglesi provenienti dalle Barbados e forze militari avevano cercato di scalzare o almeno affiancare i batavi in quell'area caraibica meridionale. Ma inutilmente. Infine quelle terre, prese dall'Inghilterra nel 1781 e dalla Francia nel 1782, furono restituite all'Olanda nel 1783. Ma nel 1796 esse ricaddero in mani inglesi ed il loro statuto venne definito dal trattato di Amiens del 1802[28], che prevedeva di nuovo la restituzione; ma già l'anno successivo l'Inghilterra riconquistava la Guyana olandese[29] e da allora ne mantenne definitivamente il dominio, pur senza fissarne i confini nella convenzione di Londra del 1814. Solo nel 1810-1811 gli inglesi risalirono l'alto corso dell'Essequibo, ma trovarono la regione di Pirara, futuro fulcro di contenzioso, e la riva sinistra del Repununi presidiate da soldati portoghesi provenienti dal forte di São Joaquim, collocato nel punto in cui il Tacutu incontra l'Uraricuera e insieme formano il Rio Branco e costruito sotto il governo di Francisco Xavier de Mendonça per ordine regione del 16 aprile 1753, quando la fine delle tropas de resgate aveva diminuito di fatto il controllo sul territorio.
Ma ecco che nel 1835 sullo scenario delle Guyane si affacciano nuovi attori: non va dimenticato che si trattava di un palcoscenico assolutamente particolare e intensamente illuminato dai riflettori del mito e della storia: su di esso, infatti, localizzò la descrizione del El Dorado sir Walter Raleigh[30] e Alexander von Humboldt[31], viaggiatore e opinion maker (diremmo oggi) fra i più accreditati del suo tempo ( cioè dei primi decenni del XIX secolo)costruì parte del suo metodo scientifico di rappresentare il paesaggio visitanto, misurando, descrivendo proprio quei luoghi.

18. Nel 1835 Robert Hermann Schomburgk, suddito prussiano al servizio del Regno Unito, riceveva incarico dalla Reale Società Geografica di compiere un viaggio nella Guyana britannica per investigare la geografia fisica e astronomica della porzione interna (la fascia costiera era nota e popolata da parte olandese dal Seicento) , compiendo anche un confronto con le misurazioni di Humboldt[32]. Nella prima e seconda spedizione (1835-1836), in partenza da Georgetown, Schomburgk risalì l'Essequibo fino all'imboccatura del Repununi e raggiunse il modesto affluente di sinistra Annay, considerato frontiera fra i possedimenti britannici e portoghesi[33] e il villaggio di Pirara dove erano presenti soldati brasiliani. Fra 1837 e 1838 Schomburgk, sempre su mandato della Reale Società Geografica per una semplice indagine sulla catena di montagne, compiva una terza spedizione e cominciava a modificare il proprio atteggiamento da esploratore a occupante.
Una congiuntura particolare favoriva questo cambiamento: dal 1835 tutta l'Amazzonia brasiliana era incendiata dal vasto movimento di rivolta popolare di indii e meticci nota con il nome di cabanagem: per cinque anni, fino al 1840, scontri armati di grande violenza opposero gli strati popolari locali alle forze legate agli interessi centrali delle Reggenze imperiali, in un movimento profondo e molto avanzato. Solo una repressione militare e poliziesca riuscì, con crudeltà e stermini, ad avere ragione di questa onda innovatrice e rivoluzionaria che ebbe altri importanti fuochi nella cabanada nordestina (1832-1835) e nella guerra dos farrapos nel sud del Brasile (1835-1845).
In tale frangente i presidi militari delle periferie, e in particolare delle imboccature fluviali, che erano stati tipici del colonialismo portoghese e che vennero conservati nel Brasile indipendente, erano rimasti sguarniti. Certamente avvantaggiandosi di questa debolezza del giovane impero, Schomburgk pensò di trasformarsi da esploratore in agente della corona. E scelse la strada classica per queste operazioni: quella di strumentalizzare le popolazioni locali, in particolare in questo caso gli indii Macuxis di Pirara, chiamando religiosi per destabilizzare la loro identità culturale già ampiamente aggredita nei secoli precedenti. Così il 21 marzo 1838 Schomburgk si istallava nel villaggio di Pirara e il 15 maggio era raggiunto da un missionario di stanza a Bartica, cioè nell'immediato entroterra della costa lungo il fiume Essequibo, Thomas Youd, che come prima cosa spinse gli indii Macuxis a non mandare più fornitori di servizi al forte di São Joaquim. Di conseguenza Youd venne espulso e spostò la propria missione sull'altra riva del fiume Rupununi. Intanto Schomburgk continuava la sua opera di espansione, prendendo possesso delle sorgenti dell'Essequibo. In un libro pubblicato a Londra nel 1840, A Description of British Guiane, accludeva una mappa nella quale spostava decisamente le frontiere britanniche verso occidente, fissandole lungo i fiumi Tacutu e Cotingo, cioè all'interno del bacino amazzonico, raggiungibile via Rio Branco. Partendo dalle indicazioni, forse volutamente inesatte, del viaggiatore, che il Brasile non aveva mai avanzato rivendicazioni su Pirara e che lì si trovavano tribù indigene indipendenti ( e non sudditi del Brasile) , l'Inghilterra affidava nel 1841 al solito Schomburgk (che di lì a poco avrebbe ricevuto il titolo di sir) il compito di esplorare e delimitare le frontiere fra Guiana britannica e Brasile. Nel frattempo, nel febbraio 1841, da Demerara venne inviato un ufficiale a Pirara con il compito di consegnare un dispaccio in cui si dichiarava la presenza brasiliana in quel villaggio causa di contenzioso. Si apriva il confronto per i confini fra i due paesi, accompagnato da trattative diplomatiche fra Londra e Rio de Janeiro che orientavano a loro volta le autorità locali.

19. Nel febbraio 1842 un distaccamento inglese, insieme a Schomburgk con l'incarico di delimitare le frontiere, occupava Pirara. Ma rapidamente il governo inglese nella persona di Aberdeen dava ordine di ritirarsi da un'impresa che rischiava di aprire un conflitto con un alleato da non disprezzare. Si arrivava ad una provvisoria neutralizzazione del territorio, mentre all'inizio dell'aprile 1843 anche le impronte formali lasciate dall'ormai visionario Schomburgk, cioè " le tracce e le legende da lui iscritte sugli alberi in segno di una presa di possesso che il Brasile non poteva riconoscere"[34], vennero cancellate. Nonostante i tentativi di trattative fra Araujo Ribeiro e Aberdeen nell'autunno del 1843, i negoziati si spensero, altri interessi di politica internazionale - e soprattutto le questioni commerciali - avevano la precedenza, le selve amazzoniche potevano aspettare.
Sebbene nel 1854 e di nuovo nel 1875 sembrasse che vi fosse interesse da parte brasiliana di riaprire la questione, essa venne di fatto affrontata solo nell'ottobre 1888[35]. A quella data il governo brasiliano, fedele in questo alla tradizione portoghese, proponeva di nominare una commissione mista che compisse una ricognizione sul terreno lungo i fiumi Rupununi, Tacutu, Mahu e loro adiacenze. Intanto gli accadimenti interni del Brasile coinvolgevano intensamente la classe dirigente, rallentando l'impegno sul versante internazionale: infatti il 15 novembre 1889, sull'onda della tardiva abolizione della schiavitù firmata dalla principessa Isabella il 13 maggio 1888, veniva proclamata la Repubblica e si apriva un periodo di forti tensioni e scontri fra poteri militari, civili e locali.
Le trattative, che sarebbero poi sfociate nell'arbitrato, iniziarono di fatto il 12 settembre 1891, quando il governo britannico dichiarò ufficiosamente la disponibilità a prendere in considerazione una linea divisoria lungo i fiumi Mahu-Tacutu invece di quella Cotingo-Tacutu avanzata da Schomburgk, escludendo naturalmente quella rivendicata da parte brasiliana che si spingeva verso oriente lungo il fiume Rupununi e verso settentrione sul crinale della Serra Pacaraima ( e che era considerata già riduttiva rispetto alla situazione settecentesca che spaziava molto più a est). Le sopraricordate difficoltà interne brasiliane fecero arrestare il dialogo, ripreso solo nel novembre 1895 e proseguito nel marzo 1897; ma il 20 dicembre 1897 la parte brasiliana rifiutava definitivamente di accogliere la linea Mahu-Tacutu, ritenendo accettabile al massimo il divortium aquarum[36], rinunciando quindi alla richiesta del 1843 che giungeva fino al Rupununi e ritraendosi in questa parte verso occidente, ma mantenendo saldamente il riferimento alla Serra Pacaraima . Il 7 dicembre 1899 il Brasile accettava il principio dell'arbitrato, avanzato da parte britannica nell'impossibilità di trovare un punto di mediazione. Di fronte all' ipotesi di un arbitrato, le due parti avanzavano rivendicazioni estreme: la Gran Bretagna sosteneva di avere diritto di giungere fino al Rio Branco, il Brasile voleva accostarsi all'Essequibo. Si trattava di posizioni inaccettabili e di conseguenza con il trattato del 6 novembre 1901[37] la zona sottoposta a giudizio veniva contenuta ad un corridoio delimitato dai fiumi Rupununi, Tacutu, Cotingo e dalla Serra Pacaraima.

20. I documenti accumulati dalle due parti per difendere le proprie rivendicazioni formano molti volumi di molte pagine. Sono di estremo interesse e offrono un ottimo spaccato per conoscere la storia del popolamento della regione. E non mancano i frequenti riferimenti cartografici, nonchè l'inclusione fra gli stampati di atlanti. Non è mia intenzione dare conto di questa mole considerevole di carte: mi soffermerò soltanto su alcuni punti che mi sembrano interessanti per caratterizzare la concezione territoriale dei due paesi.
Le posizioni brasiliane sono riassunte nella memoria di Rio Branco del 1897, nel saggio di Joaquim Nabuco[38], difensore del Brasile in tale controversia, sul Diritto del Brasile e nell' Esposto finale, sempre di Nabuco. La prima rivendicava non solo il diritto a tutto il bacino del Rio Branco, ma anche di parte dell'alto bacino del Rupununi e dell'Essequibo: questo in base a ciò che gli olandesi stessi riconoscevano come proprio territorio nel corso del Settecento, che si fermava attorno al 4º di latitudine nord. Nabuco, qualche anno più tardi, e in vista di una soluzione più realista, ripercorrendo la situazione fino al 1840, si rifaceva alla unità fisica dei bacini idrografici:

"Il Brasile pretende, in assenza di occupazione contraria, la quale non è mai esistita, che il Portogallo, signore del Rio delle Amazzoni, aveva un titolo per il Rio Negro, signore del Rio Negro, aveva un titolo per il Rio Branco, signore del Rio Branco aveva un titolo per tutti i suoi affluenti"[39].

E quale giustifcazione a tale titolo, Nabuco ricordava l'opera dei missionari, in primo luogo i gesuiti, il viaggio e la presa di possesso di Pedro Teixeira, la costante opera di contenimento alla penetrazione degli ordini spagnoli provenienti da Quito, in particolare del padre boemo Samuel Fritz. E poi la costruzione del forte di São Joaquim, voluto da Francisco Xavier de Mendonça, la diffusione dell'allevamento e insomma tutta un'opera di amministrazione e controllo. A conclusione della sua dissertazione di taglio assai giuridico, Nabuco riteneva di avere dimostrato il possedimento immemorabile portoghese sul territorio contestato, anche astraendo dalla conquista e occupazione del Rio delle Amazzoni, del Rio Negro e del Rio Branco. Questa occupazione localizzata era dimostrata

"I. Dall'inizio del Settecento al 1775 dalle truppe di riscatto, sotto le bandiere regie, e a carico del Reale Erario; dalle continue entrate dei portoghesi in quei territori, e dalla serie di Ordini Regi, che li designavano come parte dei Reali Domini e che ordinavano di impedire in tal modo ogni comunicazione con le nazioni straniere; II. Dal 1775 al 1840, dalla espulsione a mano armata degli spagnoli, dalla fortificazione del Tacutu .... dall'occupazione del villaggio di Pirara ... dall'assenza completa di qualunque competenza o rivalità dal lato opposto, l' assoluto deserto, la foresta impenetrabile e affamata che si estendeva dal Forte fino quasi alla foce dell' Essequibo"[40].

21. E mai, prima dell'invasione inglese del 1842, nessuna nazione vicina aveva contestato tale sovranità. E concludeva nell'Esposto finale[41]:

"La pretesa brasiliana è stata espressa da circa centotrenta anni nella sua forma attuale: lo spartiacque e il Rupununi, come un fatto, come una consegna data al Comandante del Forte di S. Joaquim, e, se ci si tiene alla linea divisoria, da oltre centocinquanta anni, a datare solo dal Trattato del 1750 con la Spagna, mentre l'Inghilterra non ha come durata del suo titolo altro che la durata del litigio stesso. E non solo questo, quando suscitò il conflitto, essa ha riconosciuto di non avere nessun diritto al territorio, perché ne ha attribuito il possesso alle tribù indipendenti che l'abitavano, proponendosi di crearsi un titolo attraverso un protettorato su queste tribù mediante la sospensione forzata del possesso brasiliano".

E concludeva: "Il Brasile sostiene che l'Inghilterra non ha alcun titolo ad attraversare il Rupununi e a stabilirsi nel bacino del Rio delle Amazzoni", indicando con questa frase il vero obiettivo brasiliano, già elaborato da Alexandre de Gusmão, quando ancora la conoscenza dei luoghi era assai sommaria: tenere in pugno nel modo più completo la rete idrografica amazzonica, rinunciando solo a quei corsi d'acqua più prossimi alle origini andine e inesorabilmente incorporati in area spagnola.

Nelle memorie britanniche [42] i punti di forza per difendere le richieste della corona erano fondamentalmente due: da un lato dimostrare l'antecedenza temporale degli olandesi (dei quali i britannici avevano ereditato i diritti) nello sviluppare relazioni commerciali con le popolazioni indie nella regione in contenzioso, dall'altro sostenere l'infondatezza giuridica della concezione che sosteneva il diritto al dominio unitario sul bacino fluviale. In posizione di secondo piano, inoltre, si metteva in luce la richiesta delle popolazioni indie di essere sudditi britannici.

"La principale questione che deve essere definita al riguardo di questa porzione di territorio è quale dei due poteri, l'olandese e il portoghese, avanzando da parti opposte dello spartiacque, abbia acquisito il diritto previo, per occupazione o controllo, o per atti che suggeriscono l'intenzione di occupazione e controllo, a questa particolare area di territorio"[43].

22. Ovviamente gli inglesi non avevano dubbi: erano stati gli olandesi che, dal 1640, commerciavano nella zona e per generazioni l'avevano tenuta sotto controllo. Del resto anche le memorie brasiliane riconoscevano l'attività commerciale olandese, ma distinguevano fra essa, gestita da una compagnia monopolistica privata, e l'amministrazione politico-militare della regione che solo i portoghesi avevano realizzato con diverse espressioni di potere. Dicevano ancora gli inglesi che i portoghesi non avevano mai risalito i fiumi di quella zona "prima di avere imparato la strada da un olandese nel 1740"[44]. Si riferivano, in questo caso, al chirurgo tedesco Nicolas Hortsman che nel 1740, per incarico del governatore Storm van's Gravezande aveva risalito l'Essequibo fino alla confluenza con il Rupununi, poi questo corso d'acqua fino al portage di Pirara, poi via Mahu, Tacutu, Rio Branco era giunto a Belém dove si era dato al commercio e avrebbe incontrato anche La Condamine. Ma secondo Rio Branco e Nabuco, Hortsman aveva semplicemente percorso in senso inverso il cammino che Manoel da Silva Rosa, quadro dell'amministrazione portoghese, aveva seguito anni prima fuggendo verso Essequibo dopo avere commesso un assassinio.
Ma il corpo diplomatico britannico fondava le proprie motivazioni soprattutto sulla confutazione del principio brasiliano dell'unità del bacino idrografico, cioè della "dottrina della linea di divisione delle acque".

"Il Governo brasiliano - si poteva leggere nella memoria britannica[45] - si crede in ogni caso giustificato, in diritto, a reclamare una frontiera che si confonde con la linea di divisione fra gli affluenti dell'Essequibo e quello dell'Amazzone. ... L'idea alla quale tutte le proposte fatte al Governo britannico ... si sono ispirate, è la pretesa che in virtù del solo possesso di una parte del Rio Negro il Brasile avrebbe acquisito un diritto assoluto agli affluenti di questo fiume come a qualunque corso d'acqua che si getta in uno o nell'altro dei suoi affluenti".

Il capitolo IX della memoria in questione confutava l' ipotesi che il possesso della foce di un fiume comportasse automaticamente il diritto al possesso dell'intero bacino. E a sostegno di essa portava diversi interessanti esempi nei quali la dottrina della linea di divisione delle acque era stata ampiamente mitigata dalla reale situazione di occupazione del suolo: dalla Louisiana (1805) all'Oregon (1824), dall'alto Zambesi disputato fra Gran Bretagna e Portogallo (1889) all'alto Nilo conteso fra Gran Bretagna e Francia (1898) fino al contenzioso fra Gran Bretagna e Venezuela (il quale ultimo chiedeva e chiede[46] di giungere fino all'Essequibo). E concludeva :

" Il Governo del Re della Gran Bretagna, dunque, afferma che la rivendicazione del Brasile, come limite del suo territorio, della linea divisoria che separa le acque che scorrono verso l'Essequibo da quelle che si gettano nell'Amazzone, non può prevalere contro l'occupazione effettiva di una parte del bacino dell'Amazzone da parte olandese"[47].

La linea Cotingo-Takutu veniva poi presentata come una frontiera naturale, facilmente identificabile anche dalle primitive tribù indie che avrebbero così potuto evitare di rimanere sotto dominio portoghese. Infatti fra i motivi che venivano addotti per ridurre l'espansione brasiliana vi era anche la presunta richiesta da parte delle tribù locali di divenire sudditi britannici; l'intero capitolo VII della memoria in esame documentava tale richiesta, ma con i soli documenti del missionario Youd e di Schomburgk: quindi delle testimonianze piuttosto di parte.

23. Su questo diverso modo di vedere le cose era chiamato a giudicare il re d'Italia[48]. Il trattato che accettava l'arbitrato venne firmato a Rio de Janeiro il 28 gennaio 1902; la nomina degli esperti avvenne oltre un anno dopo, nell'aprile 1904. Essi erano il tenente generale cavaliere Giovanni Goiran, comandante della Divisione militare di Livorno, il tenenete generale C. Giuseppe Viganò, comandante delle divisione militare di Ancona, il nobile Carlo Porro dei conti di Santa Maria della Bicocca, colonnello di Stato maggiore a Roma, il comandante cavalier Giovanni Roncagli, capitano di corvetta e segretario generale della Sociatà geografica di Roma[49], il professor Giulio Cesare Buzzati docente di diritto internazionale presso l'ateneo di Pavia[50], il professor Pasquale Fiore[51] anch'egli docente di diritto internazionale a Napoli. Chissà se qualcuno di loro avrà preso contatto con il conte Ermanno Stradelli, da anni residente in Parà e grande esperto per conoscenza diretta dei fiumi amazzonici o con Luigi Buscalioni, dell'orto botanico di Pavia, che proprio all'inizio del secolo aveva svolto un'escursione botanica in Amazzonia. I consulenti inviarono una prima relazione fra maggio e agosto 1903, una seconda fra dicembre 1903 e gennaio 1904, una terza ad aprile del 1904. Il 25 maggio 1904 venne tenuta una riunione generale, alla quale mancava solo Buzzati impegnato come rappresentante del governo alla Conferenza de L'Aia. I collegamenti tra i vari personaggi coinvolti e il re erano tenuti dal generale Ugo Brusati, primo aiutante di campo del re. L'unica cosa non procedurale che emerge dagli incartamenti è la richiesta di Roncagli di cercare negli archivi di Lisbona documentazione al riguardo di Manoel da Silva Rosa, segretario del governatore di Pernambuco, al riguardo del suo viaggio all'Essequibo, che Rio Branco e Nabuco consideravano antecedente a quello di Hortsman. Il fatto che si verifichi che la morte di Silva Rosa sia avvenuta a Recife nel 1727, e che quindi non possano esserci stati contatti fra il portoghese e il chirurgo tedesco, spingeva Roncagli a considerare non valide le motivazioni brasiliane.
Una volta ancora sottolineo che solo le relazioni originali degli esperti permetterebbero di capire il ragionamento che portò il re d'Italia a pronunciare l'arbitrato in data 6 luglio 1904 accogliendo sostanzialmente la posizione britannica, quella cioè di fissare il confine lungo il Tacutu e il Mahu. Così al Brasile toccarono 13.372 kmq comprendenti l'intero bacino del Cotingo e metà di quelli del Mahu e del Tacutu; alla Gran Bretagna 13.234 kmq con metà dei bacini del Mahu e del Tacutu e interamente quello del Yrengui. In una lettera del 17 giugno 1904, inviata da Petropolisi alla Farnesina dall'ambasciatore italiano, si riferiva di un colloquio avuto con Rio Branco, a quell'epoca ministro degli esteri: sosteneva, il vecchio statista, che sarebbe stato meglio seguire lo spartiacque fra Rio delle Amazzoni e Essequibo, ma che non vedeva nella decisione presa nessun pericolo e che era soddisfatto.

[1] Genesi, I, 1.
[2] JOSEPH CAMPBELL, L'eroe dai mille volti, Milano, Feltrinelli, 1958.
[3] Genesi, I, 2
[4] BASÍLIO DE MAGALHÃES, Expansão geográfica do Brasil Colonial, São Paulo, Companhia Editora Nacional, 1978, p. 9. Cito dall'edizione del 1978 di questa classica opera il cui nucleo iniziale risale al 1914 e che ha conosciuto diversi successivi incrementi e revisioni. In questo come negli altri casi, le citazioni in lingue straniere sono state tradotte.
[5] B.W.DIFFIE, G.D.WINIUS, Alle origini dell'espansione europea. La nascita dell'impero portoghese 1415/1580, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 427 e sgg.
[6] ANDRÉ THEVET, Le singolarità della Francia Antartica, Reggio Emilia, Diabasis, 1997; JEAN DE LÉRY, Histoire d'un voyage fait en terre du Brésil, Paris, Livre de Poche, 1994.
[7] KÁTIA DE QUEIRÓS MATTOSO, Ser escravo no Brasil, São Paulo, Editora Brasiliense, 1988; STUART B. SCHWARTZ, Sugar Plantations in the Formation of Brazilian Society. Bahia 1550-1835, Cambridge, Cambridge University Press, 1985.
[8] Come ricorda Hemming nel suo bel saggio sul popolamento del Brasile, le tribù indie fin dal tempo dei tempi avevano seguito principi analoghi a quelli adottati dai negoziatori regi a Madrid: i territori erano divisi in base alle caratteristiche naturali e alla effettiva occupazione. JOHN HEMMING, Storia della conquista del Brasile. Alla ricerca dell'«oro rosso»: gli indios brasiliani, Milano, Rizzoli, 1982, p. 510.
[9] JOAQUIM NABUCO, O direito do Brasil, São Paulo, Instituto Progresso Editoriale SA, 1949. Obras completas de Joaquim Nabuco, vol. VIII, pp. 33 e sgg.
[10] TERESA ISENBURG, Viaggiatori naturalisti italiani in Brasile nell'ottocento, Milano, Angeli, 1989.
[11] Per l'opera di Alexandre de Gusmão e il significato territoriale della sua concezione mi baso sul saggio di JAIME CORTESÃO, O tratado de Madrid, Brasilia, Senado Federal, 2001, 2 voll. Si tratta della riproduzione in facsimile della prima edizione del 1953. Opera ovviamente segnata dal tempo, rimane insostituibile per l'ampiezza delle conoscenze cartografiche e per la sensibilità ai fatti territoriali di Cortesão e per la vastità dell'esplorazione archivistica nei fondi portoghesi e nelle mappoteche brasiliane (in primo luogo quella dell'Itamarati). Va sottolineato che nel decennio successivo alla fine della seconda guerra mondiale il Ministero degli esteri promosse una serie di studi e di pubblicazione di fonti - come l'opera completa di Rio Branco e di Joaquim Nabuco o il lavoro di Cortesão per il bicentenario del Trattato di Madrid - nel contesto della politica volta a rafforzare l'identità nazionale e continentale della Federazione, da cui la fondazione di Brasilia fra il 1957 e il 1960.
[12] ALFRED W. CROSBY, Lo scambio colombiano. Conseguenze biologiche e culturali del 1492, Torino, Einaudi, 1992 (1972).
[13] AFONSO DE E.TAUNAY, História das bandeiras paulistas, São Paulo, Edições melhoramentos, 1975 (1951), 3 voll.
[14] MAPA. Images da formação territorial do Brasil, Rio de Janeiro, Fundação Emilio Odebrecht, 1993.
[15] Scrive JAIME CORTESÃO, O tratado de Madrid cit., vol. II, p.234: " Se Deslisle (sic) aveva servito, nel 1722, la politica franco-spagnola contro il Portogallo, questa volta il grande Ambasciatore lusitano poneva il "Primo Geografo" di Luigi XV al servizio delle pretese portoghesi contro la Spagna. Verso il 1742, e certamente per incarico di D. Luis da Cunha, D'Anville tracciava una carta dell'America del Sud, in cui apparivano delineati i limiti del Brasile, in obbedienza a tre obiettivi: a sud avvicinarsi alla proposta, già qui riferita, di Mr. de Orry, fatta nel 1714, durante i negoziati del Trattato di Utrecht, e che ammetteva il prolungamento del Brasile, esclusivamente fino alla imboccatura del Prata, attraverso una lingua di terra di 10 leghe di profondità, a partire dalla capitania di San Paolo; preservare la strada fluviale della monções, che legava quella città a Cuiabá; ed infine, unire Mato Grosso ai territori dell'Amazzonia. Se nel sud, e grazie ad una mappa di José da Silva Pais, dichiaratamente utilizzata dal cartografo francese, i contorni del litorale erano tracciati con relativa esattezza, nella parte rimanente e principalmente a ovest, la linea dei confini, formata da una curva molto ampia e molto regolare, tagliava un vago sertão, vergine di accidenti e di nomenclatura, riflettendo la grande mancanza di conoscenze geografiche su quelle regioni. In ogni modo, il progetto di D. Luis da Cunha-D'Anville rappresenta, per così dire, il grezzo e incerto embrione del futuro piano di Alexandre de Gusmão, che, è lecito supporre, aveva aiutato nelle sue congetture".
[16] E a conferma della conoscenza approfondita del lavoro di D'Anville Humboldt affermava: "Ho trovato nei manoscritti di D'Anville, dei quali gli eredi mi hanno gentilmente concesso l'esame...". ALEXANDER VON HUMBOLDT, "Sur quelques points importants de la géographie de la Guyane", Nouvelles annales des voyages, 1837, II, p. 137-180.
[17] ALEXANDER VON HUMBOLDT, Nota sulla comunicazione che esiste fra l'Orenoco e il fiume delle Amazzoni, in Nuova raccolta di autori italiani che trattano il moto delle acque, tomo VII, Bologna, Tipografia governativa alla volpe, 1845, p. 89 e sgg.
[18] Le lettere di accompagnamento alla carta davano conto delle fonti di informazione utilizzate: oltre alla carta di padre Diogo Soares, basata su misurazioni dirette, era stata consultata la cartografia di missionari spagnoli, di alcuni residenti lusitani del centro e del nord del paese ed infine di La Condamine.
[19] DÉCIO FREITAS, O socialismo missioneiro, Porto Alegre, Editora Movimento, 1982; MOACYR FLORES, Colonialismo e missões jesuíticas, Porto Alegre, ND/EST, 19862, pp. 81 e sgg.; JOSÉ LUIZ DEL ROIO e ALFREDO LUIS SOMOZA, Tupac Amaru. Frammenti di resistenza indigena, Milano, Clup Guide, 1993, pp. 68 e sgg.
[20] José Maria Da Silva Paranhos, barão do Rio Branco (Rio de Janeiro 1845 - 1912), diplomatico e storico, fu per molti anni console a Londra. Difese e vinse gli arbitrati per Palmas con l'Argentina e per l'Amapá con la Francia; come ministro degli esteri dal 1902 al 1912 risolse le dispute di confine con la Bolivia realtivamente all'Acre, con il Venezuela, la Colombia, l'Equador, il Peru e l'Uruguai.
[21] HELIO VIANNA, Historia diplomática do Brasil, São Paulo, Edições Melhoramentos, s.d. (1951 circa), p. 146; ALVARO LINS, Rio Branco, Rio de Janeiro, José Olympo, 1945, 2 voll., pp. 265 e sgg.; Ministério das relações exteriores, Obras do Barão do Rio-Branco, (in seguito Obras do Rio-Branco), I , Questões de limites. República Argentina, Rio de Janeiro, Imprensa Nacional, 1945.
[22] Obras do Rio-Branco, III-IV, Questões de limites. Guiana Francesa.
[23] Ibid., vol. IV, p. 144.
[24] SÉBASTIEN BENOIT, Henri Anatole Coudreau (1859-1899). Dernier explorateur français en Amazonie, Paris, L'Harmattan, 2000
[25] Ibid., vol. IV, p. 91
[26] MICHEL FOUCHER, Fronts et frontières, un tour du monde géopolitique, Paris, Fayard, 1988, p. 551.
[27] Obras do Rio-Branco, II, Questões de limites. Guiana Britânica. Nelle sue memorie Rio Branco dimostra sempre una grande conoscenza cartografica; la base cartografica delle diverse epoche, spesso faticosaamente reperita nelle copie originali negli archivi europei, viene infatti da lui utilizzata come prova a sostegno delle sue tesi. Molto del materiale cartografico raccolto da Rio Branco, assieme a quello di poco successivo riunito da Nabuco, costituisce un nucleo importante della mappoteca dell'Itamarati, il ministero degli esteri della Federazione brasiliana.
[28] "Prima del 1802, il limite meridionale delle colonie olandesi d'Essequibo, Demerary e Berbice era costituito dalla catena di Pacaraima e da una linea tracciata dal nord-ovest verso il sud-est a partire dal monte e dal fiume Annay. Questa delimitazione olandese lasciava al Brasile, oltre ai territori del Rio Branco, quello delle due rive del Rupunauini o Rupunani, dalla sua sorgente fino alla confluenza dell'Annay, a est del punto in cui il Rupunani, formando un gomito, cambia di direzione. Il Tacutú con il Cotingo e il Mahú, suoi affluenti, così come il Pirara, tributario di quest'ultimo, e il lago Amacu o Pirara si trovavano così al di fuori della frontiera olandese, sul territorio del Brasile" (ibid., p.1).
[29] "Al momento della conquista di queste colonie da parte dell'Inghilterra, nel 1803, gli insediamenti olandesi formavano solo una striscia stretta sul litorale, che comprendeva appena la parte inferiore dei fiumi che si gettano su questa costa. A monte di Bonasika River, vicino alle bocche dell'Essequibo, non c'erano né abitazioni olandesi, né alcun genere di coltivazione o di utilizzazione" (ibid. p. 13).
[30] WALTER RALEIGH, La ricerca dell'Eldorado con relazione del secondo viaggio di Guiana di Laurence Keymis, a cura di Franco e Flavia Marenco, Milano, Il Saggiatore, 1982.
[31] ALEXANDER VON HUMBOLDT, Rélation historique du voyage aux régions équinoxiales du nouveau continent fait en 1799, 1800, 1801, 1802, 1803 et 1804 par Al. de Humboldt et A. Bonpland, rédigé par Alexandre de Humboldt, Stuttgart, 1970, 3 voll.
[32] ALEXANDER VON HUMBOLDT, "Sur quelques points importants de la géographie de la Guyane", Nouvelles Annales de Voyages, 1837, t. II, p. 173 e sgg.
[33] I resoconti di tali spedizioni si trovano nel Journal of the Royal Geographical Society, ampiamente citato, con precise indicazioni bibliografiche, nella memoria di Rio Branco.
[34] Obras do Rio-Branco, II, Questões de limites. Guiana Britânica, p. 46.
[35] Per la ricostruzione delle trattative fino alla decisione dell'arbitrato si veda, oltre allo scritto di Rio Branco già più volte citato, Question de la frontière entre la Guyane britannique et le Brésil, Mémoire présenté par le gouvernement de Sa Majesté Britannique, Londres, Imprimé au Foreign office, par Harrison and Sons, 1903, pp.125 e sgg.
[36] Rispondendo al progetto di trattato presentato nel marzo 1897 da A. de Souza Corrêa, ministro brasiliano a Londra, e che faceva riferimento al classico modello del divortium aquarum, lord Salisbury motivava il suo rifiuto con le seguenti parole: " Quali possano essere i vantaggi che presenta una linea di divisione delle acque come frontiera in un paese civilizzato e nel caso in cui la linea divisoria è ben segnata, è importante che, in una regione abitata da tribù ignoranti, il limite fra i territori rispettivi delle due Potenze sia segnato, se si può fare, da una frontiera naturale, nettamente visibile e facile da riconscere. Sono solo le alte catene di montagne o, in loro assenza, i corsi di fiumi conosciuti, che possono offrire una tale frontiera. Nel caso attuale, sembra certo che ... sarebbero circondate da minori difficoltà se ci si servisse dei corsi d'acqua per determinare la frontiera" (ibid. p. 129).
[37] Da parte britannica e da parte brasiliana venne raccolta e pubblicata una vasta massa di memorie e documenti che ho potuto consultare presso la Società geografica italiana di Roma dove sono depositati in quanto uno dei consulenti del re d'Italia era Giovanni Roncagli, segretario della società stessa. Riporto l'indicazione bibliografica dei volumi, tutti in quarto:
British Guiana Boundary, "Arbitration with the United States of Brazil, The case on behalf of the Government of his Britannic Majesty", London, Printed at the Foreign Office, by Harrison and Sons, 1903; id., id., "The Counter-case on behalf of the Government of his Britannic Majesty", London, Printed at the Foreign Office, by Harrison and Sons, 1903; id., id., "Notes to the Counter-case on behalf of the Government of his Britannic Majesty", London, Printed at the Foreign Office, by Harrison and Sons, 1903; "Question de la frontière entre la Guyane britannique et le Brésil, Mémoire présenté par lo gouvernement de sa Majesté britannique", Londres, Imprimé au Foreign Office par Harrison and Sons, 1903 (traduzione francese di The Case); id.,"Annexe au mémoire présenté par le gouvernement de sa Majesté bitannique", vol.I, 1596-1822, Londres, Imprimé au Foreign Office par Harrison and Sons, 1903; id., id, vol. II, 1827-1902, Londres, Imprimé au Foreign Office par Harrison and Sons, 1903; id., id, vol. III, 1835-1843, Londres, Imprimé au Foreign Office par Harrison and Sons, 1903; id., id, vol. IV, Londres, Imprimé au Foreign Office par Harrison and Sons, 1903; British Guiana Boundary, "Arbitration with the United States of Brazil, The argument on behalf of the Government of his Britannic Majesty", London, Printed at the Foreign Office, by Harrison and Sons, 1904; Atlas annexé au contre-memoire présenté par le gouvernement de sa Majesté Britannique à sa Majesté le roi d'Italie dans sa qualité d'arbitre entre la Grande Bretagne et les États Unis du Brésil selon les articles d'un traité ratifié à Rio de Janeiro, le 28 janvier 1902, dressé par major E.H.Hills, C.M.G., R.E., Intelligence Division, War Office, Lieut-général sir W.G. Nicholson, K.C.B., directeur-général of Military Intelligence, s.l., s.d, cm 22x29.
Premier mémoire," Le droit du Brésil", présenté a Rome le 27 février 1903 par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure, s.d.( esiste anche una versione portoghese, poi ristampata dall'Itamarati, cioè dal Ministero degli affari esteri); Annexes du premier mémoire du Brésil, vol.I, "Documents d'origine portugaise "(texte portugais), première série, s.l., 1903; id., vol. II, id., deuxième série, s.l., 1903; id., vol. III, id. (traduction), première série, s.l., 1903; id., vol. IV, id., (traduction), deuxième série, s.l., 1903; id., vol. V, "Documents divers", s.l., 1903; Second mémoire, vol. I," La prétention anglaise", présenté a Rome le 26 septembre 1903 par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure, s.d.; id., vol. II, "Notes sur la parti historique du premier mémoir anglais", présenté à Rome le 26 septembre 1903 par Joaquim Nabuco Paris, Lahure, s.d.; id., vol. III, "La preuve cartographique", présenté à Rome le 26 septembre 1903 par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure, s.d.; "Annexes du second mémoire du Brésil," vol. I, "Documents faisant suite au tome premier du second mémoir", première série, s.l, 1903; id., id., seconde série (période de la neutralisation du territroire), sl., 1903; id., vol. III, "Documents faisant suite au tome second du second mémoir", s.l., 1903; Troisième mémoire, vol.I," La construction des mémoires anglais", présenté à Rome le 25 février 1904 par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure, s.d.; id. vol. II, "Histoire de la zone contestée selon lo contre-mémoire anglais", présenté a Rome le 26 septembre 1903 par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure, s.d.; id., vol. III, "Reproduction des documents anglais suivis de brèves observations", présenté à Rome le 26 septembre 1903 par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure, s.d.; id., vol. IV, "Exposé final", présenté à Rome le 26 septembre 1903 par Joaquim Nabuco, Paris, Lahure, s.d. Da documenti d'archivio (v. oltre) risulta l'esistenza di un atlante di parte brasiliana che però non ho trovato per il momento.
[38] Joaquim Aurélio Barreto Nabuco De Araujo (Recife 1849 - Washington 1910), deputato nel 1878 e poi per un decennio, è stato politico, diplomatico e storico. È noto soprattutto per la sua battaglia abolizionista e per le sue posizioni liberali. Fa parte di quel qualificato gruppo di uomini politici legati all'impero, che non aderirono alla Repubblica, mantenendo esplicitamente la propria fede monarchica, ma che ugualmente, per il loro prestigio, operarono soprattutto in campo internazionale come rappresentanti del governo republicano. Le sue Obras completas, come quelle di Rio Branco, vennero publicate per conto dell'Itamarati nel 1949, in un periodo politico in cui intenso fu lo sforzo di rinsaldare l'identità nazionale, (cfr. MARCO AURÉLIO NOGUEIRA, As Desventuras do Liberalismo. Joaquim Nabuco, a monarquia e a república, Rio de Janeiro, Paz e terra, 1984).
[39] JOAQUIM NABUCO, O direito do Brasil , São Paulo, Instituto Progresso Editorial, 1949, p. 125.
[40] Ibid., p. 284.
[41] p. 412.
[42] A differenza che per i testi brasiliani, per quelli britannici non ho identificato l'estensore e desumo che si tratti di pagine redatte collegialmente all'interno del Foreign Office. Chargé d'affaires a Roma era comunque sir Rennell Rodd, già responsabile per questioni di frontiere in Somalia.
[43] The Counter-case cit., p. 8.
[44] Ibidem, p. 188.
[45] Mémoire cit., p. 134
[46] J.R.V. PRESCOTT, Political frontiers and boundaries, London, Allen &Unwin, 1987, p. 211.
[47] Mémoire cit., p. 151.
[48] Ho trovato il seguente materiale di archivio: Archivio centrale dello stato, Real casa, Casa militare di S.M. il Re, Ufficio del 1º aiutante di campo generale, anni 1865-1946, 1904, busta 104, fasc. 260; Ministero degli affari esteri, Archivio storico, "Carteggio della serie politica", p. 1891-1916. "Arbitrato di Sua Maestà il re sulla vertenza anglo-brasiliana sui confini tra la Guyana inglese e gli stati del Brasile", pacco 682, pos. 876. Questi due incartamenti contengono soltanto lettere di ricevuta, consegna e richiesta di documenti. Essi ci consentono di sapere chi sono gli esperti coinvolti come consulenti nell'arbitrato, i tempi con cui si sviluppano i lavori, qualche altra notizia sparsa, ma non ci restituiscono le relazioni che gli esperti via via fecero a commento delle memorie di parte britannica e brasiliana.
[49] Presso la Società geografica di Roma non vi è documentazione di archivio sull'argomento in questione.
[50] Presso l'Università di Pavia non ho trovato documentazione e anche la famiglia Buzzati mi ha detto che le carte dell'internazionalista sono andate distrutte nella villa del Bellunese durante la Prima guerra mondiale.
[51] Con l'aiuto del professor Benedetto Conforti, che qui ringrazio, ho potuto verificare che non vi è documentazione su tale materia presso l'ateneo napoletano.