1. Parlare di confini, di confini politici intendo, nel
passaggio tra tardo medioevo ed epoca moderna significa inserirsi in un
dibattito che si è sviluppato negli ultimi decenni e che, mi sembra,
abbia condotto gli storici a schierarsi su differenti versanti. Da una
parte, infatti, si è spesso sostenuto che l'ordine politico
medievale, fondandosi su rapporti di dipendenza personale, era sostanzialmente
dissociato dal principio di territorialità.[2]
In questo contesto l'esatta demarcazione dei confini delle comunità
politiche rappresentava un'operazione spesso non necessaria e fortemente
ostacolata dall'incapacità tecnica di rappresentazione cartografica
dei territori, almeno su vasta scala.[3]
D'altra parte non pochi storici, penso in particolare ad una parte
della storiografia francese che si è impegnata su questo tema specifico,
hanno voluto al contrario sostenere che l'esigenza di tracciare
confini definiti aventi un valore non solo giurisdizionale sia una pratica
che inizia a manifestarsi, con una sua coerenza, a partire dal momento
in cui alcune formazioni politiche cominciano a sottrarsi all'influenza
dell'Impero. Fatto questo che si consuma, per quanto riguarda la
Francia, ad esempio, tra il XIII e il XIV secolo. Le due posizioni hanno
forse un tratto comune che tende a caratterizzarle, quello cioè
di legare la nascita dei confini all'affermazione di un modello
di organizzazione politica di tipo statale.[4]
D'altronde non può essere negato il fatto che spesso il discorso
storico sui confini si è sviluppato quasi integralmente in relazione
al discorso storico sullo Stato ed ha fortemente risentito delle prese
di posizione che su questo tema specifico, quello della filogenesi dello
Stato, la storiografia degli ultimi decenni è stata in grado di
declinare.[5] Al di là
delle polemiche che l'uso stesso del termine-concetto Stato può
ingenerare, se utilizzato come vuoto contenitore capace di accogliere
al suo interno qualsiasi forma di organizzazione politica[6],
non sembra inopportuno tentare di ricostruire un discorso storico sui
confini che non sia al contempo un discorso sullo Stato e sulle sue epifanie.
Una tale impostazione del problema permette di lasciare sullo sfondo delle
proprie considerazioni la geografia politica dell'epoca con il suo
corollario di battaglie, pretese dinastiche, scomposizioni ed accorpamenti
territoriali, per concentrarsi invece su di una serie di pratiche discorsive
che in epoca tardo medievale hanno dato spessore e reso evidente non solo
la nozione giuspolitica di confine, ma anche una maniera di percepirlo
e viverlo.
2. Lo scegliere come fonte privilegiata di questa analisi
i testi dei giuristi può alimentare qualche perplessità
sull'esito della ricerca. Michel Foucault ha messo in guardia sull'inaffidabilità
del loro contenuto. I giuristi, ha sostenuto Foucault prendendo a prestito
una frase pronunciata da Petrarca seppure in un differente contesto, non
narrano che la storia di Roma. Essi, in altre parole, non parlano d'altro
che del potere del sovrano con lo scopo di legittimarne le pretese, tentando
di nascondere dietro le loro parole le lotte e gli scontri che realmente
percorrono la storia.[7]
L'accusa è fondata? Non direi. I giuristi, infatti, non sempre
parlano del potere, o per lo meno del potere del sovrano. In fondo, nel
corso del medioevo, il potere politico sembra non mostrare un interesse
preciso per molte delle relazioni che trovano una loro regolazione sul
piano normativo. Vi sono vasti ambiti del diritto, penso in particolare
al diritto dei privati, dove piuttosto che norme di promanazione sovrana
sono assai spesso fonti consuetudinarie e giurisprudenziali che presiedono
alla regolazione dei rapporti inter particulares. In questo contesto
i giuristi possono con una certa facilità sviluppare il loro discorso
senza avvertire come condizionante la pretesa del sovrano.[8]
Ma anche in altri settori del diritto, come il diritto criminale, dove
la contiguità con il potere politico appare di maggiore evidenza
il doctor medievale utilizza la sua scienza per costruire strumenti
e categorie che chi detiene il potere politico potrà utilizzare
per rafforzarsi. Ma si tratta di prodotti concettuali che non possono
essere commissionati a piacere perché la loro tessitura si dispone
su di un sistema di tecniche e valori che non possono esseri piegati disinvoltamente.
Ogni nuova acquisizione dovrà, infatti, inserirsi, con una certa
armonia, in un ordito incapace di sopportare vistose lacerazioni.[9]
Cosi, anche in tema di confini, il discorso dei giuristi più che
assecondare le pretese di principi e signori sembra preoccuparsi di elaborare
una serie di regole capaci di allentare le tensioni che spesso si addensano
in spazi esistenziali contigui. La necessità di una soluzione pacifica
della controversia non fa però velo ad una visione, direi, fondante,
sul piano dei valori, dei tracciati di limitazione territoriale. Sullo
sfondo dei ragionamenti che attorno a questo tema si sviluppano, traspaiono,
in qualche modo, sia una percezione del confine inteso come discrimine
tra ordine e disordine, tra nomos e caos,[10]
sia quell'originaria dimensione magica, prima ancora che politica,
che i tracciati di separazione territoriale sembrano evocare[11].
In fondo, ciò che appare con evidenza è questa capacità
del confine di anticipare lo scontro, di dirimere i potenziali conflitti,
di permettere, se accettato, una convivenza pacifica. Ed a questo proposito
i giuristi non mancheranno di alimentare la convinzione di un legame etimologico
tra le parole limite(m) e lite(m).[12]
3. Riflettere sul significato e sulle forme di manifestazione
dei confini impone, in qualche misura, di prestare attenzione anche all'elaborazione
della nozione di territorio che un'epoca è stata in grado
di produrre. A proposito di tale nozione, qualche tempo fa, Claude Raffestin
invitava a tener distinti sul piano dell'analisi storica e geografica
i termini "spazio" e "territorio". Spazio e territorio,
sostiene Raffestin, non sono, infatti, termini equivalenti. Il territorio,
infatti, presuppone uno spazio, ma è attraverso un'attività
di appropriazione e trasformazione che il primo riesce ad assumere una
propria fisionomia. Appropriandosi di uno spazio l'uomo lo "territorializza".
Il territorio quindi, a differenza dello spazio, può essere "prodotto".
"Ogni pratica spaziale indotta da un sistema d'azioni o di
comportamenti, anche embrionali - scrive Raffestin - si traduce in una
‘produzione territoriale'".[13]
In questa grande operazione di formazione del territorio,[14]
al di là della immediata percezione dei contributi umani, si è
spesso celata una trama di regole giuridiche che hanno in qualche modo
modellato le forme in cui si sono manifestati questi interventi. Ed è
in tale contesto che può essere inserito il discorso sviluppato
dai giuristi medievali in tema di confini. Nei loro testi trova, infatti,
ampia accoglienza una dettagliata ricognizione delle tipologie confinarie
(oltre all'opera dell'uomo sono spesso fiumi, laghi, monti,
strade a tracciare lo spazio di separazione di due territori; ma anche
fortificazioni, città e castelli possono rappresentare i segni
visibili di una disomogeneità politica). Ma, ciò che più
conta, trova anche spazio l'elaborazione di un complesso di regole
che, a partire dalle descrizioni delle forme di materializzazione di un
confine, permette lo sviluppo di una modalità di composizione dei
conflitti capace di incidere direttamente sulla stessa articolazione sociale
ed economica di alcuni territori. Cosa succederà, ad esempio, nel
caso in cui un fiume muti il suo corso? Un lago inondi un territorio?
Un'isola sorga spontaneamente nell'alveo di un fiume? Le risposte
non saranno sempre ricalcate sulla scia delle soluzioni privatistiche
indicate nel Corpus Iuris, ma assumeranno di volta in volta un
contenuto particolare che non può non tener conto del fatto che
i diritti dei privati non equivalgono sempre alle pretese di coloro che
governano gli uomini e i territori. Anche se una certa trasposizione delle
soluzioni privatistiche appare, alle volte, innegabile. A queste osservazioni
si potrebbe aggiungere la considerazione che, sul piano politico, solo
la nozione moderna di territorialità (alla quale ben si attaglia
la generalizzazione del confine lineare) è intimamente legata al
principio in base al quale i cittadini di un medesimo territorio debbono
essere governati dalle stesse norme.
4. La territorialità delle organizzazioni politiche
medievali (ma il discorso è estensibile a tutto l'antico
regime)[15] è caratterizzata
dal fatto di essere percorsa da una trama assai complessa di confini interni,
ognuno dei quali si organizza intorno a molteplici forme di privilegio,
in positivo come in negativo. Il criterio territoriale, in questo contesto,
non è quindi l'unico ad individuare un confine. Lo spazio,
in certe ipotesi è solo il criterio esponenziale di quello di confine.
Quest'ultimo può essere, infatti, individuato diversamente,
ed anche in una serie di rapporti di notevole rilevanza.[16]
La nozione di privilegium introduce, in questo contesto, una categoria
interpretativa, cioè quella della pluralità degli ordinamenti
giuridici, che per l'epoca medievale si è mostrata assai
proficua. Sino a che la legge del sovrano non pretenderà di ordinare
gerarchicamente questi ordinamenti (al punto di imporsi quale unica forma
regolativa di tutti i rapporti giuridici), complessi normativi differenti
si dispiegheranno sui corpi sociali, sulle cose, sulle persone, sui territori
e ne disciplineranno l'esistenza attraverso una moltiplicazione
delle istanze di decisione.[17]
Non si tratta in questo caso, o almeno non sempre, di confini dotati di
una loro proiezione territoriale precisa, ma di confini tra ordinamenti
normativi che il giurista sarà di volta in volta chiamato a definire.
Quali soggetti rientrano nella portata di un privilegium? Qual
è l'estensione territoriale di una norma statutaria? Quale
tipo di diritto deve essere applicato ad un membro di un certo corpo sociale?
Questi ed altri interrogativi costringeranno i doctores del diritto
comune ad una continua, direi quasi ossessiva, applicazione di una specie
di acto finium regundorum, non sempre territoriale, in realtà
tutta da costruire.
Se si volesse comunque rintracciare l'origine del ragionamento che
i giuristi svilupparono tra medioevo ed età moderna attorno al
tema dei confini territoriali bisognerebbe sicuramente andare a cercarla
nell'opera di interpretatio che i canonisti, da Graziano
in poi, fecero delle fonti del diritto della Chiesa.[18]
I rescritti pontifici (in genere di questo si tratta in tema di confini),
attorno ai quali il discorso di questi giuristi si dispone sono in realtà
quasi dei dati ‘pretestuali' a partire dai quali si costruiscono
regole giuridiche dotate di una complessità spesso estranea al
punto di partenza. Così autori come Sinibaldo Fieschi (divenuto
papa Innocenzo IV)[19] o Giovanni
d'Andrea[20] (solo per
citare due tra i più noti canonisti del XIII e XIV secolo) contribuiscono
a creare una sorta di ‘diritto dei confini' all'interno
del quale, di volta in volta, vengono risolte questioni relative al tema
della legittimazione ad agire in difesa del proprio territorio e delle
proprie prerogative, o questioni relative alla prova dei confini o alla
possibilità della loro prescrittibilità (cioè del
loro spostamento a vantaggio di un signore e a danno di un altro per abitudine
consolidata nel tempo) o questioni relative alla stessa titolarità
del diritto di adfigere terminos. Certo, questo genere di considerazioni
sembra sulle prime riguardare solo la definizione degli ambiti territoriali
delle circoscrizioni ecclesiastiche. Più tardi, dalla metà
del XIV secolo in poi, quando l'osmosi tra l'ordinamento civile
e il canonico apparirà in maniera più limpida e le rationes
provenienti dai due sistemi s'incontreranno liberamente per fondersi
in un'unica logica giuridica e per formare senza intralci un codice
unitario di argomentazioni, questo patrimonio di considerazioni verrà
sempre più utilizzato anche al di fuori dell'ambito del diritto
della Chiesa.
5. Il fenomeno può essere letto, nel solco di un'interpretazione
storiografica ampiamente circolante, come il prodotto di una progressiva
riorganizzazione dei territori europei nel momento in cui i legami vassallatici
appaiono indebolirsi. La Chiesa universale avrebbe iniziato a strutturarsi,
da un punto di vista territoriale, assai precocemente. L'organizzazione
in arcidiocesi, diocesi e parrocchie diviene, nel tempo, sempre più
costringente. Così, a partire dall'XI-XII secolo le spinte
centrifughe rappresentate da istituti come quello delle ‘chiese
private' o delle esenzioni monastiche, che agivano in funzione antitetica
rispetto ai poteri circoscrizionali delle gerarchie ecclesiastiche, sembrano
definitivamente contenute. L'amministrazione territoriale della
Chiesa avrebbe, in seguito, ispirato l'organizzazione degli stati
nascenti i quali si sarebbero ben presto uniformati a questa forma di
esercizio territoriale del potere. Ed è in questo contesto che
si produssero dei tentativi, sempre più insistenti, di marcare
i confini delle formazioni politiche. L'esercizio territoriale del
potere richiede, infatti, una delimitazione chiara dell'ambito della
sua applicazione.[21]
Questa ipotesi ricostruttiva, che mi sembra colga nell'attenzione
nuova rivolta al territorium un aspetto innegabile della realtà
politica dell'epoca, appare tuttavia troppo rigida e schematica
nella sua pretesa esplicativa per almeno due ragioni. In primo luogo,
infatti, la riorganizzazione territoriale della Chiesa non sembra avvenire
sulla base di principi e regole incoerenti rispetto a quelle che negli
stessi secoli rappresentano la forma usuale di governo dello spazio politico.[22]
In secondo luogo, perché ancora nel pieno dell'età
moderna il territorio, quando verrà considerato come modalità
d'esercizio del potere, non apparirà mai riassuntivo di ogni
prerogativa.
Ancora alla metà del XVI secolo, quando viene pubblicato uno dei
principali lavori sui confini, cioè il Tractatus de finibus
di Girolamo del Monte,[23]
ci si può facilmente accorgere come l'idea di confine sia
legata non solo a quella di territorio, ma anche all'esercizio di
facoltà, prerogative, diritti che pur potendo avere un'incidenza
territoriale passano attraverso comunità, corpi sociali, singoli
individui. E' l'idea medievale di iurisdictio più
che quella moderna di sovranità che va regolata nelle forme del
suo dispiegamento. E la sua regolazione avviene attraverso l'uso
di un registro concettuale tutto medievale.
Come si avrà modo di precisare tra poco, sono più le abitudini,
i comportamenti consolidati, le occupazioni quotidiane, gli spostamenti
a determinare il tracciato delle linee di confine che non l'atto
d'imperio del princeps. Non che tale atto non venga presupposto,
al contrario esso è spesso fonte di legittimazione. Ma assieme
a questo è il tempo, ancorato nel suo lento fluire alla memoria
di singoli e d'intere comunità, a determinare alle volte
la geografia politica dei luoghi. Senza nessuna ansia di accorpare i territori
sotto un unico comando né di renderli impenetrabili attraverso
il tracciato di ben visibili linee di demarcazione spaziale.
6. Quello che risulta chiaramente dalle pagine dei giuristi
è che all'antica suprema potestas imperiale, anche
in tema di ius confinandi, si sono sostituite, nel corso dei secoli,
altre potestates che, de iure o de facto, pretendono una
loro legittimazione autonoma. Ma questa apparizione non mette in discussione
i principii che regolano la conformazione politica dei territori nei suoi
aspetti essenziali. Ed è in questo contesto che può essere
letto lo sviluppo ulteriore del discorso che i giuristi conducono in tema
di titolarità del diritto a tracciare dei confini. Certo, il Papa
e l'Imperatore sono titolari di questo diritto, segno del loro imperium
universale,[24] ma allo stesso
modo ne sono titolari tutti coloro che manifestano, attraverso l'esercizio
di una propria iurisdictio, una relazione di superiorità
in rapporto ad un territorio. Ogni soggetto, individuale o collettivo
che sia, capace di vantare proprie prerogative su di uno spazio dato,
può disporne frazionandolo secondo il proprio volere.[25]
La legittimità della pretesa non è sempre connessa al fatto
che il suo titolare sia inserito in una gerarchia di comando: essa può,
infatti, essere legata ad una condizione di superioritas de iure
o de facto, ma questo non muta i termini della questione. Non vi
è una differenza sostanziale nella natura dei confini degli aggregati
politici, né principi differenti sono posti alla base di controversie
che possono insorgere tra comunità confinanti a seconda che si
tratti di confini ‘interni' o ‘esterni'. L'esistenza
di communitates superiorem non recognoscentes impone, in ogni caso,
lo sviluppo di considerazioni ulteriori in tema di confini. Se, infatti,
due comunità ‘minori' possono trovare nel loro signore
il principale interprete della giustezza di un tracciato di confine, il
problema si complica nel momento in cui nessuno dei due contendenti riconosca
all'altro un vincolo di supremazia. Ma è proprio in questo
contesto che appare con maggior chiarezza il senso delle considerazioni
sviluppate dai giuristi del tardo medioevo in tema di confini.
Il richiamo al Papa ed all'Imperatore quali domini mundi
(ed in fondo tutto il discorso sulla legittimazione a tracciare confini
sui propri territori che si sviluppa ad imitazione della loro signoria)
non vale di per sé, quanto per ciò che questo rinvio lascia
intendere.
7. A ben guardare non è tanto la conduzione secundum
ius dell'atto del confinare che sembra interessare i giuristi,
quanto la fondazione della legittimità dei ragionamenti e delle
regole che essi stessi sono in grado di formulare per dirimere contestazioni
di confine. Il richiamo dei doctores a testi normativi dotati di
un valore universale conferisce alle loro argomentazioni una forza ed
un'autorevolezza indiscutibili. Al di là di ogni altra considerazione,
è proprio l'insieme di regole che gli stessi giuristi saranno
in grado di proporre che assicurerà, nei limiti del possibile certamente,
la ricerca di una soluzione pacifica della controversia.
Sulla base di queste considerazioni si chiarisce allora la ragione per
cui anche quando il Papa e l'Imperatore cesseranno di esercitare,
pur se in momenti storici differenti, una qualsiasi forma d'influenza
all'interno della vita politica dei territori dell'Europa
occidentale, non muterà nella sostanza il complesso di regole che
presiederanno alla risoluzione di contestazioni di confine tra differenti
communitates.
Così non può stupire il fatto che in tema di confini, sia
nel caso di confini di piccole comunità politiche sia nel caso
di grandi aggregati territoriali, le soluzioni che vengono proposte per
dirimere dei conflitti si fondino tutte sul medesimo ordine di considerazioni.
Sia che si tratti, solo per fare degli esempi, di Baldo degli Ubaldi,
chiamato a dirimere una controversia sorta tra due comuni dell'Italia
settentrionale nella seconda metà del XIV secolo,[26]
o di Gui Pape che ripropone, nella prima metà del secolo successivo,
l'insieme di regole giuridiche elaborate dai doctores medievali
in tema di prova dei confini per orientare scelte relative alla divisione
di territori interni al Delfinato,[27]
o del siciliano Niccolò Tedeschi, nello stesso periodo arbitro
in una controversia di confine sorta tra la Borgogna e l'Austria,[28]
o di Pier Filippo della Corgna, la cui consulenza ed il cui giudizio sono
richiesti da due comuni del Regnum dell'Italia meridionale,[29]
o infine dello stesso Girolamo del Monte, nella seconda metà del
XVI secolo prodigo di consigli per dirimere controversie confinarie,[30]
il ragionamento svolto e le soluzioni proposte da tutti questi giuristi
sembrano collocarsi su di un medesimo piano argomentativo. Un piano fortemente
inclinato verso la realtà perché è proprio sulla
base di queste soluzioni che spesso si sviluppa la vita dei territori
di confine. Il giurista medievale è, in fondo, affetto da una sorta
di strabismo divergente. Con un occhio osserva la realtà che lo
circonda, i valori espressi dalla società in cui vive. Con l'altro
osserva i grandi corpi normativi su cui si esercita il suo sapere. Questi
ultimi, molto spesso, gli servono per dare un fondamento di validità
a fatti che altrimenti non avrebbero giustificazione sul piano giuridico.
E questa operazione lo porta spesso a falsare in maniera evidente, anche
al di là delle sue stesse intenzioni, il contenuto di alcune disposizioni
che in tali testi si trovano contenute.
8. Certo, i giuristi non sono così ingenui da credere
che le loro pretese regolative abbiano la forza di imporsi sempre ed ovunque.
Così, come viene spesso ripetuto, il principio della immutabilità
dei confini territoriali è spesso soggetto a vistose lacerazioni
da parte di principi e signori.[31]
Ma nel momento in cui la contesa non riesce ad essere risolta con la forza
delle armi, nel momento in cui si placa il fragore dello scontro, è
proprio il giurista ad essere chiamato a ricomporre, attraverso il suo
universo concettuale, la trama politica dei luoghi.
In questo contesto il discorso formulato dai giuristi medievali in tema
di prova dei confini si mostra particolarmente interessante non solo per
ciò che svela sul piano dei principi giuridici, ma anche per ciò
che traspare oltre la stessa tecnicità delle argomentazioni proposte.
In fondo il dato che emerge incontestabilmente dalle pagine dei giuristi
è un'attenzione continua, costante, direi quasi ossessiva,
per il consolidarsi di dinamiche di assestamento territoriale che si sono
lentamente sedimentate nel tempo.
In una società in cui i quadri ecologici di riferimento appaiono
precari, in cui ogni repentino mutamento di risorse disponibili e di prerogative
esercitabili potrebbe compromettere un equilibrio raggiunto con difficoltà,
i giuristi appaiono decisamente favorevoli ad assecondare solo quelle
trasformazioni che si sono ormai rese stabili e che, se rimesse in discussione,
sarebbero frutto di ulteriore insicurezza e precarietà.
Solo in questo modo è spiegabile, ad esempio, perché il
principio del'imprescrittibilità dei fines publici
affermato con forza dai doctores del diritto comune (e cioè
il principio contrario rispetto a quello valido tra i privati, per i quali
un'attività appropriativa condotta per un certo periodo di
tempo determina il trasferimento del dominium a favore di un soggetto
ed a detrimento dell'altro) possa venire meno solo nel caso in cui
nella memoria delle comunità confinanti non vi sia più traccia
del momento in cui tale spostamento dei confini fu effettuato.[32]
Quasi che il passaggio del tempo sia l'unico elemento in grado di
competere con il placitum principis nella determinazione della
consistenza dei territori delle comunità politiche. Ed in questo
modo è anche spiegabile il rilievo assunto nell'ambito della
prova dei tracciati di confine della memoria degli uomini.[33]
E' in fondo essa che determina nelle numerosissime contese territoriali
documentate la soluzione della controversia, più ancora dei titoli
di legittimazione, spesso muti a questo riguardo, o dei segni visibili
tracciati sul terreno, spesso controversi e privi della necessaria continuità
geografica.
9. Non di rado, in ambito storiografico, si è sostenuto che i confini dei territori sono nel corso del medioevo indefiniti, imprecisi e quindi in qualche modo privi di una reale consistenza. A me sembra, al contrario, che essi siano assai articolati e complessi, spesso non lineari, ma non per questo inesistenti. Certo, se si volesse confrontare la nozione di confine medievale con quella circolante oggi, che lo intende come linea di separazione territoriale della sovranità di due Stati, ogni paragone sarebbe improponibile. La territorialità politica medievale è percorsa da una serie di poteri, prerogative, privilegi, spesso esercitabili in territorio alieno, che non ne permettono alcun raffronto con la territorialità politica contemporanea. Ma questo vuol dire solamente che la nozione di confine medievale non corrisponde alla nostra, nient'altro.[34] D'altra parte, come non ho mancato di sottolineare in precedenza, è pur vero il fatto che il medioevo consegna all'epoca moderna non solo un territorio solcato da confini, ma anche una società percorsa da linee di demarcazione più o meno definite che i giuristi sono assai spesso chiamati a sciogliere o a riarticolare.
[1] Nel pubblicare il testo
della mia relazione ho preferito mantenerne inalterato il tono ed il contenuto
originario. D'altra parte nel momento in cui organizzavo l'articolazione
del mio intervento alcune idee sull'elaborazione giuridica della
nozione di confine nel passaggio tra medioevo ed epoca moderna stavano
giungendo a maturazione. Chi avesse interesse ad approfondire taluni spunti
di riflessione contenuti in questo scritto può ora consultare il
mio lavoro De iure finium. Diritto e confini tra tardo medioevo
ed età moderna, Milano, Giuffrè, 2001.
[2] P. DE LAPRADELLE, La
frontière. Étude de Droit international, Paris, Les
éditions internationales, 1928, p. 35; G. DUPONT-FERRIER, L'incertitude
des limites territoriales en France du XIIIe siècle au XVIe,
in Comptes-rendus de l'Académie des Inscriptions
et Belles-Lettres, Paris, 1942, pp. 62-77; B. GUILLEMAIN, De la
dynamique systèmes aux frontières linéaires,
in Confini e Regioni. Il potenziale di sviluppo e di pace delle periferie,
Atti del convegno "Problemi e prospettive delle regioni di frontiera",
23-27/3/1972, LINT, Trieste, 1973, pp. 259-264; F.BENVENUTI, Evoluzione
storica del concetto di confine, in Confini e Regioni cit.
p. 16; P. GUICHONNET - C. RAFFESTIN, Géographie des frontières,
Paris, Presses Universitaires de France, 1974, p.18.
[3] Per ciò che riguarda
la scienza cartografica medievale e la sua capacità di rappresentazione
dei territori possono essere visti: D. NORDMAN, La connaissance géographique
de l'État, in L'État moderne: le droit,
l'espace et les formes de l'État (a cura
di N. Coulet, J.Ph. Genet), Paris, Édition du CNRS, 1990, pp. 175-188;
ID., Des limites d'État aux frontières nationales,
in Les lieux de mémoire (a cura di P. Nora), I, Paris, ed.
Quarto Gallimard, 1997, in particolare pp. 1125 ss.; P. ARNAUD, Images
et représentations dans la cartographie du bas Moyen-Age, in
Spazi, tempi, misure e percorsi nell'Europa del basso
medievo (Atti del XXXII Convegno storico internazionale, Todi, 8-11
ottobre 1995), Centro italiano di studi sull'alto medioevo, Spoleto,
1996, pp. 129-153; nello stesso volume, A.D. VON DEN BRINCKEN, Mappe
del cielo e della terra: l'orientamento nel basso medioevo,
pp. 81-96; P. GAUTIER-DALCHE, De la liste à la carte: limite
et frontière dans la géographie de l'Occident médiéval,
in Frontière et peuplemet dans le monde méditerranéen
au Moyen-Age, Castrum 4, Actes du colloque d'Erice-Trapani,
18-25 septembre 1988, a cura di J.M. Poisson, Rome-Madrid, 1992, pp. 18-31.
[4] J.F. LEMARIGNIER, Recherches
sur l'hommage en marche et les frontières féodales,
Lille, Bibliothèque Universitaire, 1945, in particolare pp. 23,
70 ss., 177 ss.; B. GUENÉE, Espace et État en France
au Bas-Moyen Age, in Annales ESC, 23, 4, 1968, pp. 744-758;
Les limites de la France, in La France et les Français,
a cura di M. François, Paris, Gallimard, 1972, pp. 50-69 (poi ripubblicato
in Politique et histoire au Moyen-Age. Recueil d'articles sur
l'histoire politique et l'historiographie médiévale
1956-1981, Paris, 1981, pp. 73-92); P. BONENFANT, A propos des
limites médiévales, in Hommage a Lucien Febre.
Eventail de l'histoire vivante, t. 2, Paris, Armand Colin, 1953,
pp. 73-79; P. PEYVEL, Structures féodales et frontières
médiévales: l'exemple de la zone de contact entre
Forez et Bourbonnais aux XIIIe et XIVe siècle, in Le
Moyen Age, 92, 1986, pp. 51-83.
[5] G. LOMBARDI, Spazio e
frontiera. Tra eguaglianza e privilegio: problemi costituzionali tra storia
e diritto, in La frontiera da Stato a Nazione. Il caso Piemonte,
a cura di C. Ossola, C. Raffestin, M. Ricciardi, Roma, Bulzoni, 1987,
p. 391.
[6] Sul punto si veda P. GROSSI,
"Un diritto senza Stato. La nozione di autonomia come fondamento
della costituzione giuridica medievale", Quaderni fiorentini per
la storia del pensiero giuridico moderno, 25, 1996, pp. 267-284.
[7] M. FOUCAULT, Difendere
la società. Dalla guerra delle razze al razzismo di stato,
Firenze, Ponte alle Grazie, 1990, pp. 31 e 58.
[8] P. GROSSI, L'ordine
giuridico medievale, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 127 ss.
[9] M. SBRICCOLI, Legislation,
Justice and Political Power in Italian Cities, 1200-1400, in Legislation
and Justice, a cura di A. Padoa-Schioppa, Oxford, Clarendon Press,
1997, p. 39.
[10] C. SCHMITT, Il nomos
della terra nel diritto internazionale dello jus publicum Europaeum,
Milano, Adelphi, 1998 (II ed.), pp. 55 e 65.
[11] All'origine della
parola rex e del verbo regere (che si collegano nell'espressione
latina regere fines), scrive Benveniste, bisogna vedere non tanto
il sovrano, quanto colui che traccia la linea, la via da seguire e che
incarna nello stesso tempo ciò che è retto (E. BENVENISTE,
Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, II, Potere, diritto,
religione, trad. it., Torino, Einaudi, 1976, pp. 294-295).
[12] Sull'etimologia
della parola limes si veda P. DE LAPRADELLE, La frontière,
cit., p.23 nota 1.
[13] C.RAFFESTIN, Per una
geografia del potere, trad. it., Milano, Unicopli, 1983, p. 155.
[14] Sul punto si vedano le
considerazioni sviluppate da R. COMBA, "Il territorio come spazio
vissuto. Ricerche geografiche e storiche nella genesi di un tema di storia
sociale", Società e Storia, 11, 1981, pp. 1 ss.
[15] Sui principi della territorialità
d'antico regime si veda A.M. HESPANHA, L'espace politique
dans l'ancien régime, in Estudos em Hopenagem aos
Profs. Doutores M. Paulo Merêa e G. Braga da Cruz, Boletim da
Facultade de Direito Universidade de Coimbra, 58, 1992, pp. 470 ss.
[16] G. LOMBARDI, Spazio
e frontiera cit., pp. 388-389.
[17] Le linee generali di
questo processo di trasformazione possono essere viste in L. MANNORI -
B. SORDI, Storia del diritto amministrativo, Roma-Bari,
Laterza, 2001, parti I e II.
[18] Si vedano, ad esempio,
Gl. Sicut diocesim [CASUS], ad Decretum Grat., C. XVI, q.
3, c. 3; Gl. Quicumque [CASUS], ad Decretum Grat. C. 16,
q. 3, c. 4 e Gl. Provinciam, ad. Decretum Grat., C., 16,
q. 9.
[19] INNOCENZO IV, In V
libros Decretalium commentaria, Venetiis, 1570, c. Cum causam,
tit. De probationibus, e c. Super eo, tit. De parochiis
et alienis parochianis.
[20] GIOVANNI D'ANDREA,
In secundum Decretalium librum novella commentaria, Venetiis, 1612,
c. Cum causam, tit. De probationibus e In tertium Decretalium
librum novella commentaria, Venetiis, 1612, c. Super eo, tit.
De parochiis et alienis parochianis.
[21] L'amministrazione
territoriale della Chiesa avrebbe, secondo alcuni storici, attivamente
ispirato, alla fine del medioevo, l'amministrazione territoriale
dello stato moderno. Sul punto si vedano i contributi presenti nel volume
curato da P. GENET e B. VINCENT, État et Église dans
la genèse de l'État moderne, "Actes du colloque
organisé par le Centre National de la Recherche Scientifique et
la Casa de Velàzquez", Madrid 30 novembre et 1 décembre
1984, Madrid, 1984, in particolare l'intervento di J. VERGER, Le
transfert de modèles d'organisation de l'Église
à l'État à la fin du Moyen-Age,
pp. 31-39.
[22] Sul punto si veda il
già citato lavoro di A.M. HESPANHA, L'espace politique
dans l'ancien régime, pp. 470 ss.
[23] L'opera pubblicata
in diverse edizioni, dopo la prima del 1560 (i passi citati sono tratti
da GIROLAMO DEL MONTE, Tractatus de finibus regendis [...], Venetiis,
apud Iordanum Ziletum, 1574), fu raccolta anche nei Tractatus Universi
Iuris (t. III, p. II. ff. 333v, Venetiis, 1584) con il titolo Tractatus
de finibus regundis.
[24] GIROLAMO DEL MONTE, Tractatus
de finibus, cit., c. II, n. 11 e c. XXI, nn. 2-3.
[25] GIROLAMO DEL MONTE, Quaestionum
varias concernentium materias valde singulares (...) Liber, Venetiis,
1574, quae. XXVI, nn. 24 e 27-30. Similmente PARIDE DEL POZZO, De finibus
et modo decidendi questiones confinium territoriorum, raccolto
in Tractatus insignis De reintegratione feudorum, De finibus et modo
decidendi questiones confinium territoriorum, De verborum significatione
in materia reintegrationis et in Andreae de Isernia scriptis breve compendium
una cum Praxiis reintegrationis (foll. 161v-178r), Neapoli, 1544,
c. Pone quod dominus, nn. 4-6.
[26] BALDO DEGLI UBALDI, Consiliorum
sive responsorum volumen primum, Venetiis, 1580, cons. CCCCXIX.
[27] GUI PAPE, Decisiones,
Genevae, 1667, quae. CXCIII, De probatione confinium et limitum.
[28] NICCOLO' TEDESCHI,
Consilia, Quaestiones et Tractatus, p. II, Lugduni, 1566, cons.
LXII.
[29] PIER FILIPPO DELLA CORGNA,
Consiliorum primum volumen, Venetiis, 1535, cons. CCCXXXIII.
[30] GIROLAMO DEL MONTE, Quaestionum
varias, cit., quae. XXVI.
[31] Sul punto si vedano GIOVANNI
D'ANDREA, In tertium Decretalium librum novella commentaria,
cit., c. Super eo, tit. De parochiis et alienis parochianis,
n. 1 e NICCOLO' TEDESCHI, Commentaria in tertium Decretalium
librum, Venetiis, 1588, c. Super eo, tit. De parochiis et
alienis parochianis, n.7.
[32] GIROLAMO DEL MONTE, Tractatus
de finibus, cit., c. LXXVII, nn. 15-20.
[33] INNOCENZO IV, In V
libros Decretalium commentaria, cit., c. Cum causam, tit. De
Probationibus, n. 2; GIOVANNI D'ANDREA, In secundum Decretalium
librum novella commentaria, cit., c. Cum causam, tit., De
probationibus, n. 4; GUI PAPE, Decisiones, cit., quae. CXCIII,
De probatione confinium et limitum, n.2; BALDO DEGLI UBALDI, In
Decretalium volumen commentaria, Venetiis, 1595, c. Cum causam,
tit. De probationibus, nn. 1 e 7; PARIDE DEL POZZO, De finibus,
cit., c. Quia plerumque, n. 8 e c. Quia in materia, n. 3;
GIROLAMO DEL MONTE, Tractatus de finibus, cit., c. LV, n.10.
[34] In senso analogo P. GUICHONNET
- C. RAFFESTIN, Géographie des frontières, Paris,
Presses Universitaires de France, 1974, p.14.