Immagini d'Italia e d'Europa nella letteratura e nella documentazione di viaggio nel XVIII e nel XIX secolo
Introduzione

Renato Pasta
Università di Firenze

1. I saggi che qui si presentano sono frutto del seminario "Immagini d'Italia e d'Europa nella letteratura e nella documentazione di viaggio nel XVIII e nel XIX secolo", promosso da Marcello Verga e coordinato negli anni 1999-2001 da Teresa Isenburg presso il Dipartimento di studi storici e geografici dell'Università di Firenze: seminario reso possibile da un progetto nazionale di ricerca MURST 40% (1999) diretto da Franco Farinelli dell'Università di Bologna. Come spesso avviene per le iniziative più feconde, i lavori del gruppo si sono in parte discostati dal titolo prescelto, trovando nel problema delle frontiere nella più varia loro declinazione (confini amministrativi, politici e militari, frontiere linguistiche e religiose, barriere normative e disciplinari) un punto di convergenza e di confronto per i partecipanti: non tutti, purtroppo, rappresentati nelle pagine che seguono. Al tema storicamente delineato nell'arco temporale che va dal tardo Medioevo agli inizi del XX secolo, ma più fittamente esplorato per il Settecento, si ricollegano tutti gli interventi, a partire da quello, assai denso, di Paolo Marchetti sui profili giuridici del concetto di confine nel pensiero e nella prassi giuridica tardomedioevale.[1] Il problema delle frontiere e della loro definizione storica è un locus classicus dei rapporti tra geografia e storiografia e costituisce un ambito di ricerca intensamente frequentato negli anni più recenti dalla ricerca internazionale. Esso risulta connesso da un lato ai lenti processi di statualizzazione dell'età moderna, giunti ad un punto di svolta tra Sette e Ottocento; dall'altro alla costruzione culturale di appartenenze e identità, essenziali per la dislocazione ottocentesca del concetto di nazione (si pensi ai Discorsi alla nazione tedesca di J. G. Fichte) e per l'immagine e le pratiche che accompagnano il cammino di etnie e 'nazioni' prima della Rivoluzione francese, con ascendenze religiose e linguistiche risalenti all'età media. Della abbondante letteratura critica sulle tematiche qui accennate dà conto, fra gli altri, il volume collettivo edito da Reinhard Stauber e Wolfgang Schmale, attento al quadro germanico, ma ricco di informazioni anche per ciò che attiene alla ricerca internazionale.[2] Se l'opera in questione tematizza i problemi di metodo dell'indagine storica, geografica e sociologica sulle frontiere e ne esamina la funzione in vista delle dinamiche di costruzione/costituzione territoriale e del più generale impatto sulle società e le culture, menzione specifica occorre riservare alle pagine per tanti aspetti pionieristiche di Peter Sahlins, che allo studio della genesi del confine pirenaico tra Spagna e Francia ha apportato nel 1989 il contributo di una prospettiva antropologica criticamente fondata e tale da sottrarre la riflessione sul concetto di 'nazione' protomoderna alle strettoie di una visione univoca e monodirezionale dei rapporti socioistituzionali tra centro monarchico e periferie. [3]

2. Se il tema della nazione nell'Antico Regime resta ai margini dei lavori qui raccolti, confini e frontiere sono invece al centro di tutti i contributi, con particolare attenzione da un lato per lo scambio interculturale e il passaggio di uomini e informazioni attraverso le barriere confinarie, dall'altro per la determinazione spaziale di frontiere geografiche e politiche nel processo costitutivo di grandi entità statali moderne. Ne risulta il rilievo specifico assunto nei saggi, per riprendere le parole di Teresa Isenburg, dal "significato culturale profondo del produrre frontiere"[4] viste come parte integrante della dimensione strutturale, economica e demografica, e come dato epistemologico essenziale alla comprensione dell'oggetto. Risultato di innovative ricerche in atto, i lavori del seminario toccano ambiti diversi e propongono strumenti d'indagine e d'interpretazione variegati, ma capaci di proporre al lettore la sfaccettata polivalenza del tema dei confini. La diversità culturale, gli scambi attuati nella pratica anche in deroga alla norma, emergono dal lavoro di Nadividad Planas sulle dinamiche giurisdizionali e politiche del Regno di Majorca nel XVII secolo, frutto di una tesi di dottorato dell'Istituto Universitario Europeo di Firenze ora in corso di pubblicazione.[5] Ne risulta delineata - contrariamente alle conclusioni della storiografia risalente - la sostanziale permeabilità della grande frontiera mediterranea tra Islam e Cristianesimo, che la monarchia spagnola era impegnata a difendere. Lontano dal centro, forte di autonomie e privilegi che l'autorità sovrana era per tradizione impegnata a rispettare, la realtà locale mostra un intreccio fitto di giurisdizioni in conflitto (regia, inquisitoriale, vescovile), pur in assenza di poteri feudali, e la tenacia dell'azione dell'Inquisizione sino al tardo Seicento. Nel contrasto tra la Suprema e il governo laico sfuma l'immagine dell'istituto come strumento subalterno al potere regio, contribuendo per contro a rafforzare l'idea della Spagna cinque-seicentesca come 'monarchia composita', mosaico non solo di potentati costituzionalmente separati, ma di organismi pubblici in competizione. In analogia con altri contesti europei, il Regno di Majorca risulta così costituito da una fitta rete di relazioni confinarie all'interno delle quali vivono le popolazioni locali, spesso conniventi verso il contrabbando e aduse ad una pratica di tolleranza di fatto verso i navigli nordafricani che le necessità dei rifornimenti, soprattutto d'acqua, spingono a fare scalo nei punti meno sorvegliati delle isole.

3. Se il lavoro di Planas mobilita importanti risorse archivistiche catalane, maiorchine e spagnole nell'arco di poco più di un secolo, sulla lunga durata sono giocati i contributi di Jürgen Osterhammel e Teresa Isenburg: il primo, autore di un saggio essenziale sulle frontiere interculturali nell'età dell'espansione europea,[6] il secondo volto alla ricostruzione di taluni aspetti della genesi geografica e storica del Brasile. Due saggi diversi, ma che condividono l'ampiezza prospettica e la passione civile. Il lavoro dello studioso tedesco ripropone un tema già esplorato in un recente saggio sulla schiavitù nelle società atlantiche coloniali quale tratto caratterizzante del concetto di Occidente e drammatico elemento fondativo della nostra modernità.[7] In un saggio suggestivo, ricco di spunti interpretativi riconducibili al rinnovato interesse per la 'storia globale' in area linguistica inglese, l'Autore propone una revisione della periodizzazione dell'età moderna entro un arco temporale dilatato fra il tardo Cinquecento, l'apogeo della tratta dei neri nel XVIII secolo e l'estinzione dell'istituto negli anni Ottanta dell'Ottocento, toccando temi evocati anche dal saggio di Isenburg sul Brasile (dove la schiavitù fu abolita solo nel 1888). Non occorre qui ripercorrere da vicino metodi e contenuti del lavoro, ricco di spunti comparatistici. Va ricordato, però, che Osterhammel problematizza il discorso illuministico su tratta e schiavitù, evidenziandone ambivalenze e connivenze verso un fenomeno economico e sociale (oltre che culturale e latu sensu politico) considerato alla stregua di un ineluttabile dato naturale. Osterhammel non giunge, però, come spesso avviene in una parte della storiografia recente, ad una condanna dei lumi, peraltro variegati al proprio interno anche sul tema della schiavitù; ma rileva importanza ed efficacia dei fattori etici e religiosi che portarono alla vittoria i movimenti abolizionisti sette-ottocenteschi: "Slavery was not overthrown for economic reasons, but fell where it became politically and morally untenable".[8] Di qui il ruolo della "politicizzazione del sentimento"[9] e il senso della "rivoluzione umanitaria" ottocentesca, a sua volta inscindibile dalle premesse ideali del tardo XVIII secolo, che sollevano questioni primarie in rapporto alla genesi culturale e sociologica dell'opinione pubblica moderna.

4. Alle soglie della contemporaneità conduce anche il contributo di Isenburg sulla "costruzione del Brasile": testimonianza, insieme a quello di Augustin Hernando, di un sapere geografico attento non solo alla dimensione economica e politica, ma ai fattori culturali, alle mentalità e ai linguaggi. La dimensione del conflitto è anche qui centrale, non solo nella dimensione più nota delle prese d'armi delle potenze colonizzatrici (Spagna e Portogallo, in primo luogo, ma anche Gran Bretagna e Olanda), ma in quella profonda delle mentalità, sino all'evocazione del "mito unitario interrazziale"[10] che suggerisce, a partire dal fitto incrocio delle fonti (diplomatiche, cartografiche, narrative, epistolari), l'immagine di una identità specificamente brasiliana. Anche in questo caso, il XVIII secolo ritova una sua specificità come tempo della delimitazione diplomatica delle frontiere e costituisce l'antecedente diretto dell'azione avviata nello scorcio finale dell'Ottocento per la definizione - tramite arbitrato del re d'Italia - dei confini tra Guyana Britannica e impero brasiliano. Ma il rafforzamento delle barriere confinarie, la fissazione stabile del limite della sovranità territoriale, ritrova linee di tendenza dispiegatesi in Europa tra Sei e Settecento, poi ribadite dai nazionalismi ottocenteschi. Si tratta di processi che ritroviamo, variamente declinati, negli altri lavori qui raccolti.
Al trasferimento culturale nel quadro del cosmopolitismo illuministico conducono le osservazioni di Sergueï Karp sui contatti e gli scambi letterari e filosofici tra Europa francofona e mondo russo nel Settecento. Ben noto alla storiografia, il tema è investito di nuova luce in virtù dei mutamenti politici seguiti alla caduta del Muro di Berlino nel 1989, che ha aperto nuove possibilità di confronto tra la Russia e l'Occidente europeo, conferendo alla prima un ruolo indiscusso da protagonista, che proprio alcuni dei saggi del presente volume testimoniano (Karp, Cecere, Ivanov) . Ne risulta rivitalizzata la tematica della circolazione delle idee anche all'interno degli spazi russi, con un ripensamento delle riserve della storiografia precedente sui processi della modernizzazione assolutistica settecentesca.
In una prospettiva più nettamente istituzionale, il saggio di Ananij Gerasimovič Ivanov tocca problemi non dissimili e offre uno spaccato delle dinamiche di accentramento e controllo amministrativo tra Cinque e Settecento in una regione dell'impero russo, l'odierna repubblica dei Mari, lungo il medio corso del Volga. Si tratta di un apporto di prima mano alla conoscenza delle realtà periferiche del mondo russo, che solleva questioni meritevoli di approfondimento: quale quella dei rapporti sociali e culturali tra città-fortezze e aree rurali nel quadro della russificazione post-petrina. Acquista, così, rilievo - come la discussione seminariale ha suggerito - il tema delle mediazioni tra minoranza dominante, legata a Mosca e San Pietroburgo, élite locali e gruppi contadini diversi per lingua e tradizione, sottoposti a pratiche di sfruttamento destinate ad alimentare anche la rivolta di Pugacev (1773-'75).

5. Non solo la realtà istituzionale, ma l'immagine della Russia e la definizione dei suo confini orientali sono al centro del lavoro di Giulia Cecere e risultano evocate in quello di Hans Erich Boedeker. Ampio e aggiornato, frutto di innovative ricerche in corso, il saggio di Cecere fa largo ricorso alle fonti non verbali, oggetto di una ravvicinata disamina, tra l'altro, nell'ambito della storia naturale e delle scienze. Di qui la disamina dell'evoluzione settecentesca della cartografia russa e sulla Russia, che illustra il fitto scambio di esperienze tra Occidente francofono e impero a partire da Pietro il Grande. Scienziati e tecnici francesi partecipano alla stesura di mappe e carte della Russia, ne favoriscono il maturare dell'autocoscienza, accolgono infine, con ritardo rispetto agli enunciati dei geografi imperiali, la collocazione stabile del confine agli Urali. Studi preparatori in materia non mancano.[11] Ma è merito dell'Autrice presentare un tessuto unitario delle problematiche che investono il processo culturale di dislocazione della rappresentazione colta dell'impero verso Est, elidendo la pregressa tradizione che identificava nella Russia moscovita un paese del settentrione. Alla nuova realtà politica sanzionata dalla conclusione della Guerra del Nord (1721) corrisponde un processo intenso di trasferimento culturale che impegna viaggiatori e militari, astronomi francesi e naturalisti tedeschi - si pensi a Gmelin e a Pallas - nello studio di realtà etnico-linguistiche altre rispetto ai territori dell'Europa occidentale e centrale. Sullo sfondo, la complessa questione della natura (politica, culturale) dell'Asia in rapporto all'autodefinizione degli Europei: con esiti che percorreranno poi l'Ottocento. [12] Nel periodo storico che vide, per riprendere una definizione dello storico della scienza Renato G. Mazzolini, l'affermazione dell'"identità somatica degli Europei",[13] con le implicazioni tassonomiche e razziali che essa comportò, l'immagine del vecchio continente muta secondo prospettive suggerite anche dalle scienze camerali tedesche studiate da Boedeker. A partire dalla eredità leibnitziana e dallo jus publicum europaeum, si diffonde tra Sette e Ottocento l'immagine di una comunità morale di stati astretti da vincoli inviolabili, solidali sui principi primi del loro essere e del loro agire, secondo prospettive progressivamente laicizzate che accolgono nel concerto delle potenze la Turchia. Si varca, così, la barriera identitaria della diversità religiosa in una pratica che muove dal riconoscimento dell'alterità come premessa della possibile convivenza. Mentre l'impero turco continua a rappresentare, come già da secoli, uno speculum Europae, i territori balcanici ad esso soggetti vengono inclusi a pieno titolo nel vecchio continente entro dinamiche di ridefinizione confinaria che investono tutta la fascia orientale e che trovano nelle rilevanze del paesaggio (i grandi fiumi, le catene dei monti) i presupposti naturali della loro costruzione. La presentazione offerta da Boedeker non si limita, però, ad una densa rassegna delle posizioni più significative della cultura giuridico-geografica e statistica tedesca, ma evidenzia il processo di lenta espulsione della Turchia dal quadro europeo, giunto a maturazione nell'età romantica: quando la cristianità, per riprendere Novalis, torna a costituire l'essenza di una nuova Europa.

6. Diverso il contesto di riferimento del lavoro di Hernando. Mosso da preoccupazioni civili e politiche attuali, esso esamina istituzioni di ricerca e programmi d'insegnamento attinenti in Spagna al discorso sull'Europa promosso dall'Unione: tema di robusto spessore politologico nella prospettiva dell'adesione dei nuovi membri. Ma nelle sue pagine si legge in filigrana anche il processo di apertura della cultura, non solo geografica, spagnola dopo la fine della dittatura franchista negli anni Settanta del passato secolo. Ne risulta evidenziato il declino della tradizionale influenza della geografia francese a Sud dei Pirenei, sostituita dall'affermazione di metodologie e griglie tematiche proprie della geografia politica di lingua inglese. L'appello per una maggiore internazionalizzazione della ricerca spagnola si accompagna alla constatazione della sostanziale assenza di legami organici con le tradizioni di studio tedesche e italiane: a testimonianza, se ve ne fosse bisogno, della fragilità di una identità europea che le istituzioni comunitarie non cessano di evocare, ma che rimane assai ardua da concretizzare. Resta l'invito a ripensare il dialogo tra i paesi del nostro continente, per entro la difficile armonia che lo distingue, nella convinzione che l'indispensabile unificazione politica non possa prescindere dalle ragioni culturali e ideali che ne dettarono l'avvio. A questo dialogo, nelle sue varie voci, anche il nostro lavoro vorrebbe contribuire.[14]

[1] Cfr. P. MARCHETTI, De jure finium: diritto e confini tra tardo Medioevo ed età moderna, Milano, Giuffrè, 2001.
[2] Menschen und Grenzen in der Fruehen Neuzeit, W. Schmale, R. Stauber hrsgg., Berlin, Berlin Verlag A. Spitz, 1998, "Einleitung", pp. 9-22; e R. STAUBER, Der Zentralstaat an seinen Grenzen: administrative Integration, Herrschaftswechsel und politische Kultur im suedlichen Alpenraum, 1750-1820, Goettingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 2001.
[3] P. SAHLINS, Boundaries. The Making of France and Spain in the Pyrenees, Berkeley, Univ of California Press, 1989; cfr. inoltre ID., "La nationalité avant la lettre. Les pratiques de naturalisation en France sous l'Ancien Régime", in Annales. Histoires, Sciences Sociales, LV, septembre-octobre 2000, pp. 1081-1108.
[4] Vedi in questa raccolta T.ISENBURG, «Separare ed Unire. Appunti sulle frontiere brasiliane fra Otto e Novecento: il caso della Guiana britannica», < http://www.cromohs.unifi.it/8_2003/isenburg.html >
[5] Oltre al saggio in questo volume, cfr. della stessa autrice "La frontière franchissable: normes et pratiques dans les échanges entra le royaume de Majorque et les terres d'Islam au XVIIe siècle", Revue d'histoire moderne et contemporaine, XLVIII, avril-septembre 2001, 123-147.
[6] J. OSTERHAMMEL, "Kulturelle Grenzen in der Expansion Europas", Saeculum, LXVI, 1995, pp. 101-138, cfr. anche ID., Storia della Cina moderna, Torino, Einaudi, 1992 (ed. or. 1989).
[7] J. OSTERHAMMEL, Sklaverei und die Zivilisation des Westens, Muenchen, Siemens-Stiftung, 2002.
[8] Vedi in questa raccolta J. OSTERHAMMEL, «Atlantic Slavery: A Problem of Cross-Boundary History», < http://www.cromohs.unifi.it/8_2003/osterhammel.html >
[9] ID, Sklaverei cit., p.60.
[10] Vedi in questa raccolta A.HERNANDO, «Identidad y representación de Europa en la docencia e investigación geográfica española», < http://www.cromohs.unifi.it/8_2003/hernando.html >
[11] Un profilo tematico e bibliografico in Le Mirage russe au XVIIIe siècle, Textes publiés par S. Karp et L. Wolff, Centre international d'étude sur le XVIIIe siècle, Ferney-Voltaire, 2001.
[12] J. OSTERHAMMEL, Die Entzauberung Asiens. Europa und die asiatischen Reiche im 18. Jahrhundert; Muenchen, Beck,1998; D. GROH, La Russia e l'autocoscienza d'Europa, Torino, Einaudi,1980 (ed. or. 1961).
[13] R. G. MAZZOLINI, "Leucocrazia o dell'identità somatica degli Europei", in Identità collettive tra Medioevo ed Età Moderna, a cura di P.Prodi e W. Reinhard, Bologna, Clueb, 2002, pp.43-64.
[14] Ai lavori del seminario ha contribuito anche Daniel Nordman con due lezioni tenute presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Firenze nel marzo 2003: non è stato purtroppo possibile accogliere il suo lavoro nella presente raccolta.