Charles Blount (1654-1693): la voce di un libero pensatore nella Londra di fine Seicento

Dario Pfanner

1. «Mr. Charles Blunt, who shott himselfe for Mrs. Hobby, dyed this morning»[1]. È così che sul finire dell'agosto 1693 il poco più che trentanovenne Blount decise di togliersi la vita in preda, così si narra, ad una lacerante pena d'amore. Pochi furono coloro che lo piansero, molti invece quelli che si sentirono felicemente liberati dalla scomoda presenza di un «ateo libertino», «sobillatore» ed esponente di un libero pensiero rivolto contro i fondamenti culturali su cui si reggeva la società inglese della Restaurazione. Per tutto il corso del Sette-Ottocento si andarono susseguendo, postume, manifestazioni di ostilità nei suoi confronti da parte di apologeti anglicani e storici di fama, tra cui Lord Macaulay, il quale, a fine Ottocento, raffigurò Blount come un semplice imitatore di Herbert di Cherbury, degno di menzione solo per il suo impegno contro la censura preventiva sulla stampa[2]. Se Blount riuscì dunque a suscitare tanto odio nel corso dei secoli, salvo qualche rara testimonianza di simpatia[3], ciò sta a significare che la sua produzione letteraria e il suo impegno civile furono comunque tali da lasciare un segno duraturo (seppur negativo) nella coscienza collettiva[4].
Per capire in cosa possa consistere l'attuale interesse per un autore senza dubbio minore, nel comune significato di questo termine, e per ricostruire l'identità di un intellettuale e agitatore politico vissuto a cavaliere tra Restaurazione e Glorious Revolution, certamente non innovativo né originale dal punto di vista dei contenuti culturali che venne elaborando, ma non per questo meno interessante e incisivo nel suo ruolo di pubblicista, editore, traduttore, provocatore ma soprattutto coordinatore di una rete di liberi pensatori, sarebbe opportuno analizzare il contesto storico-culturale da cui Blount prese le mosse e che fu all'origine della sua riflessione. Nella seconda metà del Seicento l'Inghilterra vide fiorire sul suo terreno una feconda stagione di studi promotrice di nuovi e fondamentali contributi in ogni campo del sapere. Nello sfogliare le pagine blountiane si percepisce l'eco di questo grande fermento culturale caratterizzato non solo dal recupero della tradizione classica e dal consistente influsso della riflessione continentale, soprattutto francese, ma anche dagli stimoli provenienti dalle discussioni filosofiche, teologiche, politiche e scientifiche che si svolgevano nei clubs, nelle coffe-houses e nelle prestigiose accademie della capitale. Dopo i rigori dell'ondata puritana, i teatri furono riaperti, nacque la Royal Society, commediografi e poeti, del calibro di Dryden, John Wilmot conte di Rochester, George Villiers secondo duca di Buckingham e William Wycherley, diventarono l'avamposto culturale della splendida corte di Carlo II.

2. Il dibattito politico seguì l'altalenarsi degli eventi tra Popish Plot e Glorious Revolution, riproponendo ora le tesi repubblicane di Milton e Harrington nell'opera di Algernon Sidney, ora quelle assolutiste di Hobbes nel Patriarcha di Robert Filmer. In questi anni andò costruendosi il successo della teologia razionale dei latitudinaristi e il loro sostegno ad una politica tollerante e moderata, incarnata di lì a poco nelle figure di Guglielmo d'Orange e di sua moglie Maria. Fu questo anche il periodo del nascente ‘teismo sperimentale' di Boyle, Newton, Samuel Clarke, William Whiston e di tutti i relatori delle Boyle Lectures, intenzionati a saldare rivelazione e scienza in una grande costruzione culturale finalizzata ad esaltare il clima di stabilità politica e sociale instauratosi con la Glorious Revolution. Nell'arco di tempo che va dal 1660 al 1690, videro la luce il Paradise Lost di Milton, il Pilgrim's Progress di Bunyan, i Principia Mathematica di Newton e l'Essay di Locke, tanto per citare alcune delle opere fondamentali della cultura poetica, scientifica e filosofica non solo inglese, ma di tutto l'Occidente.
Blount visse in prima persona questo trentennio di splendori culturali frequentandone i protagonisti e rimanendo coinvolto politicamente in due gravi crisi, quella segnata dal cosiddetto Popish Plot e la più significativa Glorious Revolution. La sua fu la vicenda di un intellettuale sollecitato a mettere in discussione l'apparato dogmatico della tradizione teologica e filosofica grazie agli strumenti fornitigli sia da alcuni testi del passato (soprattutto quelli di impostazione scettica e libertina) sia dai più recenti contributi del dibattito culturale contemporaneo (Hobbes e Spinoza in particolare). In questo senso la sua vita può essere considerata come un ottimo osservatorio da cui mirare gli eventi storici che portarono al trionfo della monarchia parlamentare inglese e alla nascita del deismo settecentesco, preludio della grande fioritura illuminista scozzese e francese.
I meriti di Blount furono sia quello di raccogliere, rielaborare e pubblicizzare una grande quantità di materiale culturale risalente a vari filoni di pensiero eterodosso, continentale e inglese, sia quello di rivestire un ruolo centrale nella sfida alla censura e al dogmatismo della cultura ufficiale della Restaurazione. Non è tuttavia semplice ricostruire la sua fisionomia intellettuale a causa del carattere ambiguo dei propri scritti, elaborati secondo tecniche di nascondimento brevettate per sfuggire alla censura e intrisi di quel particolare scetticismo metodologico che lo portò a confermare e al contempo negare alcuni temi chiave del dibattito contemporaneo. In questo tentativo non sono certo d'aiuto le scarse notizie biografiche né il canone incompleto delle sue opere, periodicamente ridimensionato o allargato a seconda di ripensamenti o di nuove, e spesso non felici, attribuzioni. Facendo tuttavia affidamento sull'attuale corpus delle sue pubblicazioni e in particolare sul proprio commonplace-book recentemente ritrovato[5], è in qualche modo possibile ricostruire la complessa personalità e il particolare modo di lavorare di Blount, non dissimile da quello di altri contemporanei, ma pur sempre suo peculiare e non riconducibile alle schematiche griglie interpretative proposte nel corso dei secoli da apologeti, eruditi e storiografi.

3. Blount era di antica famiglia aristocratica. Suo padre, Sir Henry, era un noto viaggiatore nonché uomo di fiducia sia dei sovrani Stuart sia di Cromwell. Membro della Royal Society, Sir Henry possedeva una personalità eclettica e bizzarra che gli permetteva di conciliare l'attività politica con la passione per i viaggi, la riflessione filosofica con un modus vivendi da autentico libertino. Dotato di spirito arguto e di una grande erudizione (tra l'altro conosceva anche l'italiano), Sir Henry si era cimentato nella poesia (di lui sono rimasti brevi componimenti manoscritti dal tono vivacemente anticlericale), aveva steso un resoconto del suo Grand Tour mediterraneo[6] ed aveva infine elaborato un breve componimento filosofico dal titolo De Anima, raccolto e pubblicato successivamente da suo figlio Charles, contenente una descrizione anatomo-fisiologica dell'anima umana nel contesto di una visione panteista e materialista dell'universo[7].
Il giovane Charles visse la giovinezza lontano da scuole e università dove, come diceva suo padre, i ragazzi «learnt there to be debaucht». Compì tuttavia un intenso apprendistato letterario grazie al volenteroso impegno didattico del padre e alla frequentazione dell'ampia biblioteca di famiglia[8]. Charles poté quindi contare sia su di un ambiente familiare culturalmente stimolante, sia su di un notevole benessere economico. Sir Henry ebbe una grande influenza sulla sua formazione: lo iniziò alla vita di società e a quella letteraria, lo presentò ai suoi illustri amici, Hobbes e John Evelyn, lo portò con sé a teatro introducendolo a Dryden e ad alcuni dei cosiddetti court wits, noti libertini di corte abituati ad intrattenere Carlo II con le loro doti poetiche e drammaturgiche[9].
Nell'arco della sua breve vita, e in particolare nel corso degli anni 1678-1693, Blount pubblicò molto. Dette alla luce opere di argomento letterario, filosofico, teologico e politico, pubblicate ora anonime, ora pseudonime, ora con false notazioni tipografiche, molte ufficialmente condannate e bruciate dal censore. Nel passare agilmente da un genere letterario all'altro, dal trattato al pamphlet, dal saggio alla ballata, Charles si cimentò in una puntuale catalogazione e campionatura delle più rimarchevoli argomentazioni intorno ai temi più controversi della cultura sua contemporanea, concedendosi ampi spunti critici e provocazioni all'indirizzo della tradizione.

4. Affrontò ad esempio lo spinoso tema della natura[10] e del destino dell'anima individuale giungendo alla conclusione che il concetto d'immortalità non ha né un fondamento razionale né una valida giustificazione teologica, in quanto dogma ‘politico' appartenente alla sfera delle invenzioni ideate nel corso della storia dalla classe dirigente per salvaguardare la moralità del singolo e la tenuta sociale di uno stato tramite lo spettro di un aldilà di pene e tormenti. Nel suo discorso, ricco di riferimenti al Montaigne dell'Apologie de Raymond Sebond, avanzò una forte critica alle potenzialità conoscitive della razionalità e quindi alle ideazioni filosofiche dell'antichità pagana, vuoi di matrice pitagorica, platonica o stoica, poiché incapaci di esplorare con le sole armi della ragione l'imponderabile ambito del mondo extrasensoriale. Al contempo sfidò la tradizione culturale cristiana che nel concetto d'immortalità dell'anima aveva uno dei suoi valori fondanti[11]. In omaggio alla sua impostazione scettica e in un'ottica di svalutazione delle costruzioni dogmatiche del cristianesimo, Blount mostrò una chiara simpatia per la Chiesa ariana, depositaria di una teologia non dogmatica e più vicina alla razionalità comune che non i sofismi e le complicazioni dottrinarie dei cristiani trinitari[12]. Si pose quindi a metà strada tra un atteggiamento di rispetto nei confronti della facoltà raziocinante dell'uomo nell'ambito di una religiosità naturale, e il disprezzo per l'abuso della speculazione filosofica con cui i suoi contemporanei, latitudinaristi e neoplatonici, tentavano di dare una spiegazione onnicomprensiva del mondo. Nell'arco della sua carriera letteraria, Charles tese sempre a mascherare i suoi attacchi alla superstizione e all'idolatria delle religioni rivelate sotto forma di violente requisitorie nei confronti del culto pagano, di cui poteva impunemente deprecare la «Politick Institution» fondata da sacerdoti e politici interessati a garantirsi il controllo della società grazie allo sfruttamento del comune senso religioso dei popoli. In tale contesto critico, di chiara matrice libertina, cercò di mostrare come questa «civil religion» dei pagani (e quindi indirettamente dei cristiani) avesse assicurato vantaggi e ricchezze ai membri della casta sacerdotale, motivata a mantenere la maggioranza in una condizione di ignoranza e vizio, nonché a sfruttare a pieno un culto religioso creato appositamente per soddisfare il proprio «own Interest». Spiegò come i ministri del culto fossero riusciti a sedurre l'umanità con comportamenti irrazionali e credenze inverosimili, come avessero avvilito la libertà intellettuale dei singoli sottoponendola alla necessità di sottostare a riti assurdi e alla fede in divinità antropomorfe, e come avessero infine ridotto i fedeli in una condizione di supina arrendevolezza[13].

5. La sfiducia mostrata da Blount nei confronti delle religioni storiche rientrava in una tendenza, condivisa da molti esponenti della cultura letteraria e teologica del tempo, a condannare la lenta ma inesorabile involuzione a cui erano andati soggetti i credi pagani e rivelati a partire da una sorta di pura e incontaminata Urreligion razionale coltivata agli esordi della civiltà umana e caratterizzata da una grande sensibilità per i valori essenziali della virtù e della pietà. Charles non si fece tuttavia trascinare da un'ostinata fiducia nella supremazia del passato, come molti letterati coinvolti nella successiva Battle of the Books, versione inglese della disputa tra Antichi e Moderni, né dall'idea, tanto cara agli apologeti anglicani, di uno sviluppo progressivo e lineare dell'umanità a partire dagli albori della storia: il suo peculiare scetticismo lo portò piuttosto a dubitare del valore di qualunque sistema religioso e culturale, fosse esso antico o moderno, e a porre invece l'accento su di una visione disincantata dell'umanità alle prese, da una parte, con l'immutabilità della sua natura e dei suoi istinti comportamentali e, dall'altra, con il mutamento continuo delle situazioni storico-ambientali[14]. In ulteriori scritti, debitori della lezione spinoziana e hobbesiana, Blount si scagliò contro il tradizionale concetto di miracolo come accadimento estraneo o addirittura contrario alle leggi di natura, giungendo alla conclusione che l'ordine posseduto dalla natura è sufficiente perché questa proceda in maniera autonoma e regolare, in un'uniformità che, se non sempre immediatamente percepibile da parte dell'uomo (che proprio per questa sua incapacità si affida all'ausilio del miracolo) non è meno reale[15]. Contemporaneamente fece sentire la propria voce contro l'irrazionalità e infondatezza delle profezie, offrendo un audace paragone tra taumaturghi, come Apollonio di Tiana, e veri profeti, come Cristo, da lui accomunati nella stessa espressione di condanna. Ancora: deprecò la venerazione delle immagini e stigmatizzò il concetto di mediazione, introdotto, a suo avviso, in ambito pagano per giustificare il ruolo d'intercessione dei demoni, e tramandato nel culto cattolico dei santi nonché nella «sottish» e «irrational» dottrina dell'espiazione sostitutiva di Cristo[16].

6. Sulle orme della riflessione di Herbert di Cherbury, Blount s'inserì inoltre nel vivo del dibattito sulla religione naturale. Nel condannare il fanatismo e l'entusiasmo della religiosità puritana, decantò i benefici di un culto razionale, privo di aspetti idolatrici, estraneo tanto a forme di ateismo quanto a qualunque pretesa di ortodossia, formulato in termini di amore verso Dio, verso il prossimo, e caratterizzato da un atteggiamento tollerante e comprensivo[17]. Ripropose alcuni argomenti elaborati da Thomas Burnet nelle Archæologiæ philosophicæ (1692) quali la critica all'interpretazione letterale del resoconto della Creazione e la messa in discussione della paternità mosaica del Pentateuco. Tradusse per la prima volta in inglese il quinto libro delle Storie di Tacito contenente una descrizione in termini antiprovvidenzialistici e antimiracolistici dell'origine del popolo ebraico e della sua religione. Avanzò, sulla scorta di La Peyrère[18] e di George Hakewill, affermazioni eterodosse riguardo alla cronologia del mondo e all'esistenza di popolazioni preadamitiche. Non ultimo, decretò l'ammissibilità del suicidio in omaggio ad una rinnovata sensibilità di matrice stoico-epicurea modellata attraverso la lettura di Seneca, Petronio e Lucrezio, ma debitrice anche della lezione di autori moderni che, come Montaigne o John Donne, avevano difeso la legittimità di un simile atto.
Non era certo indifferente avanzare simili idee e parlare apertamente, seppure sotto la copertura dell'anonimato, di religioni politiche, di «Sacerdotal villany», di impostura dei culti rivelati, nonché di mortalità dell'anima e di ammissibilità di una condotta suicida. Questa provocazione culturale di Blount si manifestò, oltretutto, nel decennio 1678-1688, cioè in un periodo cruciale della storia inglese segnato da grandi rivolgimenti politico-istituzionali, da un consistente fermento culturale e da una violenta reazione anti-cattolica. Fu in particolare quest'ultimo elemento ad impegnare le menti e le forze degli intellettuali e dei politici del momento.

7. Alla base della diffidenza inglese nei confronti della minoranza cattolica vi erano motivazioni varie, sia politiche sia religiose. Fin dalla Riforma di Enrico VIII era andato circolando il cliché del papista cospiratore pronto ad abbattere la monarchia anglicana e ad instaurare in sua vece una dominazione straniera, vuoi francese, spagnola o addirittura pontificia. Alcuni temevano che l'attuarsi di un simile quadro politico, avrebbe portato direttamente alla confisca dei beni sottratti a suo tempo agli ordini religiosi, e, più in generale, ad un clima di dogmatismo e assolutismo lesivo degli interessi culturali ed economici del paese. La tradizione protestante, da Enrico VIII ad Elisabetta in poi, era considerata quella che aveva permesso all'Inghilterra di raggiungere la potenza politico-economica che a fine XVII secolo non contava rivali: tornare nella sfera d'influenza di Roma significava rinunciare per sempre ai grandi vantaggi ottenuti con la nascita della Chiesa anglicana. Più in generale predicatori, politici e propagandisti dell'epoca convenivano nell'attribuire ai fedeli di Roma la responsabilità del conflitto con la Spagna alla fine del Cinquecento, del Gunpowder Plot del 1605, della peste del 1665, dell'incendio di Londra di un anno dopo, ma soprattutto dello scoppio della Guerra Civile nel 1642 e del successivo regicidio. In questo contesto, l'aperta dichiarazione di fede cattolica, negli anni settanta del Seicento, di Giacomo duca di York, erede al trono di Carlo II, e la sua determinazione a sposare in seconde nozze la cattolica Maria Beatrice di Modena, posero all'ordine del giorno il dibattito su come prevenire l'avvento di una nuova dinastia papista. A complicare il quadro ci si misero le rivelazioni, nel 1678, di due ex-gesuiti, Titus Oates e Israel Tongue, i quali fecero sapere a Carlo II che su istigazione di papa Innocenzo XI l'ordine gesuita stava preparando un piano, finanziato da denaro spagnolo e francese, per deporre il re, invadere l'Irlanda, massacrare i protestanti e riportare in Inghilterra una monarchia cattolica nella persona di Giacomo duca di York. Questo presunto complotto (passato alla storia col nome di Popish Plot), sebbene poi si rivelasse infondato, fu all'origine del tentativo di escludere Giacomo dalla successione al trono, e dette inizio ad una violenta campagna antipapista e anticlericale, promossa dal leader dei whigs, Anthony Ashley Cooper primo conte di Shaftesbury, e portata avanti dai suoi seguaci e collaboratori, tra cui Charles Blount.

8. In un clima di battaglie parlamentari (la celebre Exclusion Crisis), d'isteria collettiva e di processioni antipapiste, Blount, attivo membro di un importante club sovversivo, fondato da Shaftesbury, il Green Ribbon Club, dette alla luce un breve pamphlet concepito come una sorta di disperato appello contro un possibile golpe papista rivolto ai dinamici cittadini della City londinese di dichiarata fede protestante. Il pamphlet proponeva di rivelare quali fossero i docili strumenti nelle mani di Roma che avrebbero preso parte al complotto papista: gli ufficiali, intenti a promuovere l'istituzione di un esercito permanente sull'esempio delle monarchie francese e spagnola; i «Courtiers», con il loro pericoloso ascendente sul sovrano e infine gli ecclesiastici cripto-cattolici, ben contenti di appoggiare il soglio pontificio in cambio di qualche prebenda o di un cappello cardinalizio. Per prevenire le funeste conseguenze di una simile congiura, era necessario – secondo Blount – affidare la difesa degli interessi nazionali a James Scott, duca di Monmouth, il bastardo di Carlo II. Proposta coraggiosa, ma che mise in imbarazzo Shaftesbury e il suo partito, consapevoli della scarsa statura morale e politica del figlio illegittimo del re[19]. Le teorizzazioni di Blount, come di molti altri pamphletisti del momento, miravano a mettere in chiaro che scopo ultimo del governo di un sovrano era la protezione dei diritti fondamentali dei sudditi, e che era pertanto in accordo ai princípi di giustizia naturale e di retta ragione che una monarchia che non si fosse adoperata in tal senso potesse essere rovesciata (il riferimento a Giacomo era d'obbligo, visto che con la sua personalità dispotica e la sua arrendevolezza nei confronti di Francia e papato, avrebbe portato l'Inghilterra al collasso). Ai tories tali dichiarazioni suonavano come un pericoloso tentativo di abolire il principio di obbedienza passiva su cui poggiava il modello di monarchia di diritto divino, modello che a loro avviso i whigs volevano sostituire con quello di una monarchia elettiva se non addirittura con un sistema repubblicano. Se infatti il parlamento poteva escludere un erede, era anche in grado di soppiantare tutta la linea di successione, nonché addirittura cancellare l'istituto monarchico. Nella logica dei conservatori, i whigs non sarebbero stati interessati a proporre il duca di Monmouth o chi per lui al posto di Giacomo, bensì piuttosto a proclamare una nuova repubblica sull'esempio dell'esperienza del 1649.

9. Gli eventi seguirono il loro corso: Carlo II si mostrò indisponibile a transigere su ogni ipotesi di alterazione della linea di successione e questo non tanto per amore fraterno quanto piuttosto per non creare un precedente che in futuro potesse incoraggiare i fautori di una monarchia elettiva. Alla sua morte, nel 1685, Giacomo assunse quindi il titolo di re e promosse una campagna di riabilitazione della minoranza cattolica.
Fu nel 1693, dopo il grande evento della Glorious Revolution, che Blount tornò ad occuparsi di politica, questa volta in un pamphlet ruotante intorno al tema della liceità della successione di Guglielmo d'Orange al trono d'Inghilterra in base ad un «diritto di conquista» ottenuto nella «giusta guerra» combattuta contro Giacomo II[20]. Charles non fu comunque mai uno scrittore politico tout court, e i suoi contributi si limitarono ad occasionali prese di posizione in concomitanza con eventi di particolare rilievo. Questo vale anche per il suo scritto in favore della libertà di stampa, redatto e pubblicato in un'occasione particolare e cioè poco prima della decisione da parte del parlamento di reintrodurre nel 1679 misure restrittive sulla stampa dopo un periodo di crisi del sistema censorio. Riadattamento della famosa Areopagitica di Milton, il pamphlet blountiano mostrò la responsabilità storica della religione cattolica nella creazione del controllo sulla stampa e mise di conseguenza sull'attenti contro una possibile vittoria del fronte papista. Degno di nota il fatto che fu Blount il primo a proporre una nuova interpretazione della figura di Milton, visto non più, o almeno non solo, come il fanatico monarcomaco e spigoloso pamphletista puritano (cliché molto in voga negli anni della Restaurazione) ma come un «Grand Whig», apostolo della tolleranza e delle libertà individuali[21].
Di fede whig, Charles si oppose alle mire assolutiste dei sovrani Stuart. Erastiano, sostenne la necessità di sottomettere il potere ecclesiastico a quello politico. Appoggiò da una parte il disegno di un'ampia tolleranza religiosa per i molti e sviluppò dall'altra i termini di una religiosità razionale e individuale adatta ai «laici» che come lui erano in grado di elevarsi al di sopra del carattere comune della religione rivelata. Assertore di una netta separazione di ruoli tra Chiesa e Stato, denunciò la loro comune volontà di soggiogare le coscienze individuali attraverso un rigido controllo delle libertà espressive e della circolazione di idee. Fu per questo uno dei principali promotori della lotta per la rimozione della censura preventiva nonché un entusiasta sostenitore delle garanzie di libertà e partecipazione politica. Difensore delle prerogative parlamentari, andò proponendo un giusto equilibrio tra le varie ed opposte forze che si fronteggiavano da anni sulla scena politica, equilibrio che si attuò con la nascita della monarchia costituzionale del 1689. Il suo atteggiamento non fu quello di un fervente promotore delle libertà, ma di un aristocratico whig a cui davano personalmente fastidio le imposizioni autoritarie statali ed ecclesiastiche, ma che riteneva al contempo che queste fossero necessarie per mantenere a freno gli impulsi irrazionali della moltitudine.

10. Charles fu un intellettuale eclettico e asistematico al vertice di una rete di libero pensiero comprendente filosofi, letterati, medici e giuristi rispondenti ai nomi di Charles Gildon, Rochester, Albertus Warren, Saint-Évremond, William Temple, Thomas Sydenham, Henri Morelli e molti altri di cui sono note solo le iniziali. Fungeva da coordinatore di questo gruppo e con i suoi membri manteneva contatti attraverso fitti scambi epistolari nei quali proponeva argomenti di discussione, sollecitava risposte, inseriva trascrizioni e traduzioni di opere giudicate pericolose invitando i suoi corrispondenti a farle circolare. Con grande abilità manipolatrice fu in grado di raccogliere prima e rielaborare poi tutta una serie di suggestioni culturali e letterarie circolanti, spesso clandestinamente, all'interno dei circuiti di libero pensiero tra Parigi, Londra e Amsterdam, potendo contare su amicizie influenti come quelle di Hobbes, Saint-Évremond, Hortense Mancini, contessa di Mazzarino (che all'epoca aveva uno dei più fiorenti salotti letterari a Londra), Shaftesbury e sicuramente anche Locke (attraverso James Tyrrell, grande amico di Locke nonché cognato di Blount). Sfruttando questi canali, e altri più nascosti, Blount fece circolare i suoi manoscritti ma anche quelli di altri, diffondendo, all'ombra della censura, argomenti eversivi in grado di sovvertire la cultura ufficiale della Restaurazione la quale mirava a condizionare le coscienze degli uomini tramite l'apologia dell'istituto monarchico e della religione di Stato nel quadro di una visione provvidenzialistica della storia. In quest'ottica si comprende quindi il sistematico utilizzo da parte sua di autori controcorrente come il cripto-repubblicano e anticlericale Henry Stubbe[22] oppure dello stesso Hobbes, scrittori d'importanza cruciale per quanto concerne il diffondersi di un forte senso critico nei confronti della cultura tradizionale. L'operazione culturale di Blount non fu affatto un fenomeno isolato, ma s'inserì nel prolifico filone del freethinking inglese, per certi aspetti debitore delle correnti libertine d'oltremanica e di testi come il Theophrastus redivivus (1659)[23] e La Vie et l'Esprit de M. Benoît de Spinosa (1719)[24], per altri versi radicato nella peculiare tradizione razionalista di matrice britannica nonché in quel sostrato teologico radicale che mostrò tutta la sua profondità e varietà durante gli anni della Guerra Civile[25].

11. Blount non creò davvero un nuovo modo di pensare, bensì agì da tramite culturale, da vero e proprio corriere del sapere incaricato di diffondere tramite personali rielaborazioni, traduzioni e operazioni editoriali di vario genere (non dimentichiamo che Blount fu forse anche un bookseller[26]) i testi dei classici (tra l'altro tradusse Luciano[27] e Petronio[28]), il filone della cultura anticlericale e antimetafisica italiana (oltre a Boccaccio e Poggio Bracciolini, di cui tradusse parte delle Facezie, i vari Machiavelli, Pomponazzi, Cardano, Campanella e Vanini, cioè la tradizione del naturalismo tardo-rinascimentale), il filone dello scetticismo francese (con i maestri Montaigne e Charron), del libertinismo (La Mothe Le Vayer, Gassendi, La Peyrère, Naudé, Bergerac e Bernier circolanti in quegli anni in lingua inglese) e infine della cultura inglese (da Bacone, a Sir Thomas Browne, da Herbert di Cherbury a Hobbes, da Milton a Rochester). Non ultimo, Blount fu il primo traduttore inglese di Spinoza, di una parte almeno del Tractatus Theologico-Politicus[29]. Se è dunque accertato che nei suoi testi non erano presenti spunti originali e che molto di quanto riportava altro non erano che citazioni, per lo più implicite, è però altrettanto vero che egli non era un semplice plagiario. Blount sapeva infatti di poter contare su di un concetto di paternità letteraria all'epoca estremamente lasso, per cui un'opera di cultura, una volta pubblicata, diventava patrimonio comune di cui tutti potevano usufruire senza bisogno di citare espressamente l'autore. Fu quest'attitudine, diffusa a tutti i livelli, a permettergli di far suo un vasto patrimonio culturale e di sottoporne i contenuti ad un'abile manipolazione finalizzata a servire le proprie esigenze argomentative. Così egli riuscì a creare interi volumi in forma di collages di opinioni e asserzioni provenienti da letture e frequentazioni, in cui la propria voce si mescolava e confondeva con quella degli autori non citati, creando un gioco di superfici riflettenti dove non era più possibile distinguere la paternità delle singole affermazioni. Da qui la storica condanna di plagio. In realtà, più che di plagio si trattava di una tecnica letteraria che gli permetteva di ricorrere alla catalogazione di dottrine poste tutte sullo stesso piano e dal cui accostamento era appena discernibile la posizione dell'autore, mai apertamente schierato a favore dell'una o dell'altra. Un modo, dunque, per introdurre dottrine eversive sotto il manto della più candida ortodossia e incolpevolezza. Per rendere ancor meno identificabile la propria posizione in merito ai grandi temi affrontati, Charles utilizzava inoltre il metodo comparativistico caro alla letteratura libertina, propensa ad accostare civiltà lontane e diverse, come quella orientale ed europea, al fine di stemperare in un'ottica antidogmatica e relativistica gli argomenti più spinosi del dibattito teologico-politico. Si spiega così l'interesse di Charles per la letteratura odeporica e i suoi continui riferimenti alle civiltà egizia, persiana, cinese e americana, introdotti senza artifici retorici, per il tramite di un andamento catalogico e una prosa secca e scorrevole.

12. Non è facile interpretare fino in fondo la natura ibrida della riflessione di Charles Blount. Per secoli fu considerato un deista e condannato come tale[30]. Negli studi più recenti è stata messa in giusta evidenza la componente libertina della sua impostazione culturale, nonostante la difficoltà di rintracciare una vera e propria corrente libertina di tipo francese in una terra dove primeggiavano da una lato il razionalismo teologico latitudinario e dall'altro il contrapposto fanatismo della dissenting tradition. Blount fu dunque uno dei pochi che, insieme a Gildon, Temple, Rochester e altri ancora, riuscirono a coagulare gli stimoli provenienti dalle diverse tradizioni culturali nel tentativo di creare un sapere alternativo da contrapporre alla monolitica barriera del ‘credo' ufficiale. In questo progetto di sfida alle componenti del pensiero dominante, va collocato anche il suo impegno politico e civile finalizzato a rimuovere gli ostacoli posti alla libera rappresentanza politica, alla professione di fedi diverse da quella ufficiale, e all'illimitata circolazione delle idee.
Anello di congiunzione tra due diverse stagioni culturali, quella seicentesca per certi versi legata ancora agli schemi dell'erudizione rinascimentale e quella del secolo successivo dominata invece dal più vivace razionalismo illuminista, il freethinking di Blount svolse un ruolo centrale nel contesto del mai sopito filone anticlericale e della sotterranea corrente del radicalismo politico, presenti da tempo nella cultura britannica ma esplosi con forza proprio nel corso del XVII secolo, prima durante gli anni dell'Interregno, poi sul finire del Seicento entro la diversa cornice storico-politica del declino Stuart e della nascita del nuovo impianto monarchico parlamentare. Con le affilate armi della critica letteraria e grazie ad una partecipazione attiva agli eventi che portarono a modificare l'assetto costituzionale del paese, Blount accelerò il disgregarsi delle coordinate culturali della tradizione, spalancando le porte alla riflessione del maturo deismo settecentesco e ai futuri dibattiti sui fondamenti delle libertà individuali.

[1] N. LUTTRELL, A Brief Historical Relation of State Affairs from September 1678 to April 1714, Oxford, Oxford University Press 1857, III, 174.

[2] T. B. MACAULAY, The History of England from the Accession of James the Second, London, Longmans 1873 (1849), II, 411.

[3] Come ad es. nel caso dell'anonimo Mysticus nel suo Charles Blount, Gent., his Life and Opinions, London, Watts & Co. 1917.

[4] Tra i più significativi studi sulla complessa personalità di Blount segnalo: L. STEPHEN, s. v. Blount Charles, in Dictionary of National Biography, II, 1963-64 (1885), 705-707; P. VILLEY, L'influence de Montaigne sur Charles Blount et sur les déistes anglais, in «Revue du Seizième siècle», I, 1913, 190-219; 392-443; P. HARTH, Contexts of Dryden's Thought, Chicago, University of Chicago Press 1968; U. BONANATE, Charles Blount. Libertinismo e deismo nel Seicento inglese, Firenze, La Nuova Italia 1972; J. A. REDWOOD, Charles Blount (1654-93), Deism, and English Free Thought, in «Journal of the History of Ideas», XXXV, 1974, 490-498; ID., Reason, Ridicule and Religion. The Age of Enlightenment in England 1660-1750, London, Thames and Hudson 1976; M. SINA, L'avvento della ragione. «Reason» e «above Reason» dal razionalismo teologico inglese al deismo, Milano, Vita e Pensiero 1976; U. BONANATE, Cultura classica e critica libertina in Inghilterra, in T. GREGORY et al. (a cura di), Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel Seicento. Atti del convegno di studio (Genova 30 ott. – 1 nov. 1980), Firenze, La Nuova Italia 1981, 377-386; M. IOFRIDA, La presenza della cultura libertina in Inghilterra alla fine del '600: Charles Blount, Thomas Burnet e William Coward, ibid, 387-394; K. J. WALBER, Charles Blount (1654-1693), Frühaufklärer: Leben und Werk, Frankfurt am Main, Peter Lang 1988; L. SIMONUTTI, Spinoza and the English Thinkers. Criticism on Prophecies and Miracles: Blount, Gildon, Earbery, in W. VAN BUNGE, W. KLEVER (eds.), Disguised and Overt Spinozism around 1700, Leiden, Brill 1996, 191-211; D. BERMAN, Disclaimers as Offence Mechanisms in Charles Blount and John Toland, in M. HUNTER, D. WOOTTON (eds.), Atheism from the Reformation to the Enlightenment, Oxford, Clarendon Press 1992, 255-272; N. MALCOLM (ed.), The Correspondence. Thomas Hobbes, Oxford, Clarendon Press 1994, II, 790-795; M. BENíTEZ, Un altro «Esprit de Spinoza»: Charles Blount e il suo trattato sui miracoli, in A. SANTUCCI (a cura di) Filosofia e cultura nel Settecento britannico, Bologna, Il Mulino 2001, I, 227-248.

[5] Cfr. N. MALCOLM (ed.), The Correspondence cit., II, 790-795.

[6] [H. BLOUNT], A Voyage into the Levant. A Breife Relation of a Iourney, lately performed by Master H. B. Gentleman, from England by the way of Venice, into Dalmatia, Sclavonia, Bosnah, Hungary, Macedonia, Thessaly, Thrace, Rhodes and Egypt, unto Gran Cairo, London 1636.

[7] Cfr. C. BLOUNT et al., The Oracles of Reason, London 1693, 152-155.

[8] Sir Henry gliela lasciò in eredità: «I bequeath unto my Son Charles [...] all my Bookes», A Copie of Sr Henry Blounts Last Will and Testament dat. feb. 6. 1685, Hertfordshire Record Office, D/ECd F28.

[9] Tra le biografie di Charles Blount segnalo: A. À WOOD, s. v. Henry Blount, in Athenæ Oxonienses, IV, London 1820 (1691), 55-56; J. P. BERNARD et al. (eds.), s. v. Blount Charles in A General Dictionary, Historical and Critical, III, London 1735, 399-402; [T. WOTTON], The English Baronetage, III, ii, London 1741, 670-671; J. DE CHAUFEPIé (par), s. v. Blount Charles in Nouveau Dictionnaire Historique et Critique, I, Amsterdam/La Haye 1750, 328-330; A. KIPPIS (ed.), s. v. Blount Charles in Biographia Britannica, II, London 1780, 381-386; [SUARD], s. v. Blount Carlo, in Biografia Universale Antica e Moderna, V, Venezia 1822, 241-243; L. STEPHEN, s. v. Blount Charles cit.; V. NUOVO, s. v. Blount Charles, in J. YOLTON et al., (eds.), The Dictionary of Eighteenth-Century British Philosophers, I, Bristol 1999, 113-116; J. A. I. CHAMPION, s. v. Blount Charles, in A. PYLE (ed.), The Dictionary of Seventeenth-Century British Philosophers, I, Bristol 2000, 98-102; D. PFANNER, s. v. Blount Charles, in Oxford Dictionary of National Biography, pubblicazione prevista per il 2004.

[10] In realtà Blount non sviluppò mai un'analisi anatomo-fisiologica dell'anima umana.

[11] Cfr. [C. BLOUNT], Anima Mundi: or, an Historical Narration of the Opinions of the Ancients Concerning Mans Soul after this Life: According to the unenlightened Nature, Amsterdam, Anno Mundi. 00000; ID., Concerning the Immortality of the Soul, in C. BLOUNT et al., The Oracles cit., 117-125; ID., A Discourse of Sir H. B's. De Anima, ibid., 152-155.

[12] Cfr. C. BLOUNT, Concerning the Arrians, Trinitarians and Councils, in C. BLOUNT et al., The Oracles cit., 97-105.

[13] Cfr. [C. BLOUNT], Great is Diana of the Ephesians: Or, The Original of Idolatry, Together with the Politick Institutions of the Gentiles Sacrifices, Cosmopoli.

[14] Cfr. J. M. LEVINE, The Battle of the Books: History and Literature in the Augustan Age, Ithaca/London, Cornell University Press 1994.

[15] Cfr. [C. BLOUNT], Miracles, no Violations of the Laws of Nature, London 1683. Su questo tema vedi: R. M. BURNS, The Great Debate on Miracles. From Joseph Glanvill to David Hume, Lewisburg, Bucknell University Press 1981, 275; B. J. SHAPIRO, Probability and Certainty in Seventeenth-Century England. A Study of the Relationship between Natural Science, Religion, History, Law, and Literature, Princeton, Princeton University Press c.1983; D. P. WALKER, La cessazione dei miracoli, in «Intersezioni», III, 1983, 285-301; M. BENíTEZ, Un altro «Esprit de Spinoza» cit.

[16] Cfr. C. BLOUNT, The Two First Books, of Philostratus, Concerning the Life of Apollonius Tyaneus: Written Originally in Greek, And now Published in English: Together with Philological Notes Upon each Chapter, London 1680.

[17] Cfr. [C. BLOUNT], Religio Laici. Written in a Letter to John Dryden Esq., London 1683.

[18] Cfr. D. R. MCKEE, Isaac de la Peyrère, a Precursor of Eighteenth-Century Critical Deists, in «Publications of the Modern Language Association of America», LIX, 1944, 456-485.

[19] Cfr. [C. BLOUNT], An Appeal from the Country to the City, for the Preservation of His Majesties Person, Liberty, Property, and the Protestant Religion, London 1679.

[20] Il testo si presenta di difficile intepretazione, ma, vista l'impossibilità di trattare in questa sede i molteplici problemi posti dalle pubblicazioni blountiane, mi permetto di rimandare al mio libro su Blount di prossima pubblicazione. Qui mi limito a segnalare alcuni dei numerosi studi dedicati a questo periodo storico: J. POLLOCK, The Popish Plot. A Study in the History of the Reign of Charles II, Cambridge, Cambridge University Press 1944 (1903); D. OGG, England in the Reign of Charles II, Oxford, Clarendon Press 1934; F. S. RONALDS, The Attempted Whig Revolution of 1678-1681, Urbana, University of Illinois 1937 (Illinois Studies in Social Sciences, XXI, nn. 1-2); J. R. JONES, The Green Ribbon Club, in «Durham University Journal», XVIII, 1956, 16-20; O. W. FURLEY, The Whig Exclusionists: Pamphlet Literature in the Exclusion Campaign, 1679-1681, in «Cambridge Historical Journal», XIII, 1957, 19-36; S. WILLIAMS, The Pope-Burning Processions of 1679, 1680 and 1681, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XXI, 1958, 104-118; O. W. FURLEY, The Pope-Burning Processions of the Late Seventeenth Century, in «History», XLIV, 1959, 16-23; J. R. JONES, The First Whigs. The Politics of the Exclusion Crisis 1678-1683, London, Oxford University Press 1961; C. A. EDIE, Succession and Monarchy: The Controversy of 1679-1681, in «The American Historical Review», LXX, 1964, 350-370; K. H. D. HALEY, The First Earl of Shaftesbury, Oxford, Clarendon Press 1968; J. R. JONES, The Revolution of 1688 in England, London, Weidenfeld and Nicolson c.1972; J. MILLER, Popery and Politics in England, 1660-1688, London, Cambridge University Press 1973; J. P. KENYON, The Popish Plot, Harmondsworth, Penguin 1974; D. ALLEN, Political Clubs in Restoration London, in «The Historical Journal», XIX, 1976, 561-580; M. GOLDIE, Edmund Bohun and Ius Gentium in the Revolution Debate, 1689-1693, in «The Historical Journal» XX, 1977, 569-586; M. GOLDIE, Charles Blount's Intention in Writing "King William and Queen Mary Conquerors" (1693), in «Notes and Queries», CCXXIII, 1978, 527-532; J. R. JONES (ed.), The Restored Monarchy, 1660-1688, London, Macmillan 1979; S. SHAPIN, Of Gods and Kings: Natural Philosophy and Politics in the Leibniz-Clarke Disputes, in «Isis», LXXII, 1981, 187-215; T. P. SLAUGHTER, ‘Abdicate' and ‘Contract' in the Glorious Revolution, in «The Historical Journal», XXIV, 1981, 323-337; M. G. FINLAYSON, Historians, Puritanism, and the English Revolution, Toronto, University of Toronto Press 1985; L. G. SCHWOERER, The Right to Resist: Whig Resistance Theory, 1688 to 1694, in N. PHILLIPSON, Q. SKINNER (eds.), Political Discourse in Early Modern Britain, Cambridge, Cambridge University Press 1993, 232-252.

[21] Cfr. [C. BLOUNT], A Just Vindication of Learning: or, An Humble Address to the High Court of Parliament in behalf of the Liberty of the Press, London 1679. Sull'argomento vedi: G. F. SENSABAUGH, Adaptations of Areopagitica, in «The Huntington Library Quarterly», XIII, 1949-1950, 201-205; G. F. SENSABAUGH, That Grand Whig Milton, Stanford, Stanford University Press 1952; F. S. SIEBERT, Freedom of the Press in England, 1476-1776, Urbana, University of Illinois Press 1965.

[22] Fu Blount a far circolare l'Account of the Rise and Progress of Mahometanism di Stubbe. Sulla somiglianza tra le loro contemporanee riflessioni cfr. J. R. JACOB, Henry Stubbe, Radical Protestantism and the Early Enlightenment, Cambridge, Cambridge University Press 1983.

[23] Sul Theophrastus redivivus e le sue frequenti riprese all'interno dei manoscritti clandestini del XVIII secolo cfr. J. S. SPINK, La diffusion des idées matérialistes et anti-religieuses au début du XVIIIe siècle: le «Theophrastus redivivus», in «Revue d'Histoire Littéraire de la France», XLIV, 1937, 248-255; T. GREGORY, ‘Theophrastus Redivivus'. Erudizione e ateismo nel Seicento, Napoli, Morano 1979; T. GREGORY, «Omnis philosophia mortalitatis adstipulatur opinioni»: quelques considérations sur le Theophrastus Redivivus, in O. BLOCH (par), Le matérialisme du XVIIIe siècle et la littérature clandestine, Paris, Vrin 1982, 213-217; G. CANZIANI, G. PAGANINI (a cura di) Theophrastus redivivus, Firenze, La Nuova Italia 1981-1982.

[24] Per approfondimenti rimando a F. CHARLES-DAUBERT, L'image de Spinoza dans la littérature clandestine et l'Esprit de Spinoza, in Spinoza au XVIIIe siècle, Paris, Méridiens Klincksieck 1990, 51-74; agli articoli di S. Berti, M. Benítez e F. Charles-Daubert contenuti nella prima parte di S. BERTI, et al., (eds.), Heterodoxy, Spinozism, and Free Thought in Early-Eighteenth-Century Europe, Dordrecht, Kluwer 1996; F. CHARLES-DAUBERT (par), Le «Traité des trois imposteurs» et «L'Esprit de Spinosa». Philosophie clandestine entre 1678 et 1768, Oxford, Voltaire Foundation 1999.

[25] Questa è anche l'opinione di Champion. Cfr. J. A. I. CHAMPION, Legislators, Impostors, and the Politic Origins of Religion: English Theories of ‘Imposture' from Stubbe to Toland, in S. BERTI et al., (eds.), cit., 333-356.

[26] Cfr. H. R. PLOMER, A Dictionary of the Printers and Booksellers who were at work in England, Scotland and Ireland from 1668 to 1725, London, The Bibliographical Society 1968, 39.

[27] Lo fece nell'edizione curata da Dryden. J. DRYDEN (ed.), The Works of Lucian, Translated from the Greek, by several Eminent Hands, London 1711.

[28] The Satyricon of Petronius Arbiter [...] Made in English by Mr. Wilson of the Middle Temple and Several Others, London 1708. Nei Contents compaiono: 1) The Preface. 2) The Life of Petronius Arbiter. Written by Monsieur St. Evremont; Made in English by Mr. Tho. Brown. 3) A Key, by a Person of Honour. 4) The Satyricon. 5) The Second Part of the Works of Petronius Arbiter, in Prose and Verse. Made in English by Mr. Burnaby, Mr. Tho. Brown, Capt. Ayloff, and others. 6) The Third Part of the Works of Petronius Arbiter, Containing Epigrams, Poems, and Satyrs. By several Hands. Blount figura come traduttore di: A Translation out of the Priapeia. The Complaint of Priapus forb being veil'd. By Charles Blount, Esq.

[29] Del Tractatus theologico-politicus tradusse il capitolo sui miracoli. Non è tuttavia improbabile che Blount fosse anche l'anonimo traduttore inglese dell'intero Tractatus, uscito a Londra nel 1689 con il titolo: A Treatise partly Theological, and partly Political, London 1689.

[30] In molti, anche di recente, hanno insistito su quest'immagine di Blount. Tra gli altri: C. WELSH, A Note on the Meaning of "Deism", in «Anglican Theological Review», XXXVIII, 1956, 160-165; R. H. HURLBUTT, Hume, Newton, and the Design Argument, Lincoln, University of Nebraska Press 1965, 69-70; H. G. REVENTLOW, The Authority of the Bible and the Rise of the Modern World, London, SCM Press 1984, 290; R. L. EMERSON, Latitudinarianism and the English Deists, in J. A. LEO LEMAY (ed.), Deism, Masonry, and the Enlightenment, Newark, University of Delaware Press 1987, 24-28; R. H. POPKIN, The Deist Challenge, in O. P. GRELL, et al., (eds.), From Persecution to Toleration, Oxford, Clarendon Press 1991, 205-207.