Thomas Pounde, Andrew Willet e la questione cattolica all'inizio del regno di Giacomo I[1]

Stefania Tutino

1. L'ascesa al trono inglese di Giacomo VI re di Scozia sembrò aprire ai Cattolici d'Inghilterra nuovi spiragli e grandi speranze. Il nuovo re era pur sempre il figlio della cattolica Maria, e sulla sua conversione alla religione di Roma in molti ancora credevano. Si ricordi come l'avvicinamento del giovane erede al Cattolicesimo facesse parte integrante della Scottish strategy all'inizio degli anni ottanta del Cinquecento[2], e nonostante Persons avesse caldamente proposto la candidatura dell'Infanta di Spagna alla successione ad Elisabetta negli anni novanta, di certo le speranze riposte nel figlio di Maria Stuart non potevano essere state del tutto accantonate al momento della sua ascesa al trono[3]. Altro fattore che contribuì decisamente a risollevare gli animi dei Cattolici inglesi dopo la morte di Elisabetta era stato l'inizio dei colloqui tra Inghilterra e Spagna, che sarebbero poi sfociati nel trattato di pace siglato nel 1604, i cui benefici non dovevano essere soltanto economico-commerciali, ma si sperava potessero essere estesi anche all'ambito religioso[4]. Ma l'elemento più favorevole ai Cattolici erano le stesse opinioni che Giacomo aveva espresso sulla questione religiosa appena salito al trono[5].

2. Come è noto, Giacomo, sia nel Basilikon Doron, uscito nel 1599[6], sia nel primo discorso fatto in Parlamento all'indomani della sua ascesa al trono, nel marzo 1604[7], aveva ripetutamente insistito sulla diversa relazione che il Cattolicesimo per un verso, il Puritanesimo per l'altro, avevano con la Chiesa d'Inghilterra. Tra gli appartenenti a entrambe le confessioni Giacomo aveva proposto di isolare gli agitatori del regno dai «quiet and well minded»: mentre i primi andavano puniti, ai secondi poteva essere concessa una qualche forma di tolleranza[8]. Tuttavia mentre i Protestanti erano stati relegati ad una «setta», al contrario la religione di Roma era dal re riconosciuta «to be our Mother Church, although defiled with some infirmities and corruptions»[9].
Le affermazioni di Giacomo nei confronti dei suoi sudditi cattolici suscitarono importanti reazioni sia tra i Cattolici inglesi[10], sia oltre-Manica[11]. Apparentemente tale distinzione all'interno del campo cattolico tra chi era un suddito leale, oltre che un sincero credente, e chi, d'altra parte, credeva che l'unico modo di dimostrare la veridicità della propria professione fosse la ribellione nei confronti del sovrano, non è una novità. Soprattutto, gli ultimi anni del regno di Elisabetta avevano visto ripetuti tentativi da parte cattolica di convincere il governo della possibilità di una differenziazione tra i leali e i traditori: basti pensare alla posizione assunta in merito dagli Appellanti, che offrivano una netta presa di distanza rispetto ai metodi e alle finalità dei Gesuiti in cambio di tolleranza[12]. Ma l'elemento totalmente nuovo è che con le parole di Giacomo era il re in persona a proporre, o imporre, questo principio in cambio del suo favore. In altri termini, la tolleranza di cui una parte dei Cattolici avrebbe potuto godere non era una grazia gentilmente concessa a chi apparteneva alla Chiesa dell'Anticristo, ma veniva in un certo senso istituzionalizzata, diventando un elemento centrale della politica religiosa di Giacomo, e modificando per questo non solo importanti elementi politici, ma anche cruciali questioni teologiche.
Nel volgere di pochi mesi la nuova prospettiva che pareva essersi aperta per una parte dei Cattolici inglesi era destinata a modificarsi, a causa di eventi nuovi e, in qualche caso, traumatici. Innanzitutto venne a mancare il promesso appoggio della Spagna, che ritirò progressivamente l'istanza religiosa dal complesso delle questioni al centro della trattativa: Filippo II si era reso contro presto di quanto spinoso fosse il problema cattolico, e aveva deciso di accantonarlo per non compromettere il buon esito dell'accordo[13]. Successivamente il Gunpowder Plot riattivò violentemente i sospetti, mai del tutto sopiti, sulla pericolosità dei Cattolici in quanto tali per la stabilità del regime e l'incolumità dei suoi reggitori, e la conseguente promulgazione dell'Oath of Allegiance rappresentò un tentativo importante, da parte di Giacomo, di adattare alla mutata situazione il principio della divisione tra professione religiosa e obbedienza civile.
Ad ogni modo, tra 1603 e 1605 la questione cattolica in Inghilterra sembrava essersi posta in una prospettiva totalmente diversa, e forse destinata ad una soluzione, dopo quaranta anni di persecuzione e di resistenza. Considerazioni illuminanti per capire la complessità del rapporto tra religione e politica alla luce delle linee di politica religiosa tracciate dal Re vengono offerte dall'analisi delle vicende e degli scritti di due personaggi, Thomas Pounde e Andrew Willet.

3. Thomas Pounde è un personaggio non molto conosciuto nella storia religiosa inglese della prima età moderna, tanto è vero che nel Dictionary of National Biography non compare nessuna voce a lui dedicata, e l'unica biografia-agiografia esistente si trova nei Records di Henry Foley[14]. La ragione di questa parziale scomparsa è presto detta. Figlio di un ricco gentiluomo di Belmont, paesino a pochi chilometri da Winchester, all'inizio degli anni settanta del Cinquecento Pounde aveva deciso di convertirsi al Cattolicesimo dopo una giovinezza ricca di esperienze mondane[15]; nel 1574, però, venne subito incarcerato, e nel 1578 fu ammesso, da laico e mentre si trovava ancora in carcere, nella Compagnia di Gesù.[16] Dalla prigione Pounde non uscì se non dopo trenta anni, nel 1604. Da allora, la vita del cattolico sarebbe tornata nella quasi totale oscurità: si sa che era tornato nel paese natio e lì sarebbe morto, undici anni dopo la sua scarcerazione.
Durante gli anni della prigione, Pounde non era rimasto in silenzio. Foley pubblica a questo proposito alcuni documenti, che in parte si trovano conservati al Public Record Office, in parte sono trascritti dall'opera di Daniello Bartoli o dalla biografia di Campion scritta da Richard Simpson[17], tra cui una petizione alla Regina e al Privy Council, risalente al 1580, in cui Pounde chiedeva la possibilità di dibattere pubblicamente la sua posizione con alcuni ministri protestanti. Tra il 1580 e il 1581 in effetti il cattolico discusse con alcuni esponenti della Chiesa d'Inghilterra, anche se non nella forma pubblica in cui avrebbe desiderato, e nelle fonti edite da Foley compaiono anche alcune lettere scambiate dal prigioniero cattolico con Henry Tripp, rettore di St. Stephen a Londra, con Robert Crowley, diacono e controversista piuttosto noto nell'Inghilterra elisabettiana, e con John Aylmer, allora vescovo di Londra[18]. Per completare l'elenco dei documenti che si trovano nei Records, va citata una copia di un libello che il prigioniero aveva scritto, intitolato Sixe reasons, per sostenere il valore della tradizione contro i sostenitori della sola Scriptura, che ricevette una risposta per iscritto da Tripp e Crowley[19]. Sempre durante gli anni di prigionia, inoltre, il cattolico sarebbe riuscito a vedere di persona Campion e Persons all'indomani della loro venuta in Inghilterra, e avrebbe cercato di convincerli della massima urgenza e necessità di scrivere e diffondere un libello in cui venissero spiegate le finalità della missione, da contrapporre alle versioni tendenziose che la propaganda inglese avrebbe sicuramente prodotto. Pounde sarebbe stato inoltre in possesso di una delle copie manoscritte del lavoro composto da Campion a tale proposito, meglio noto come «Campion's Brag»[21].

4. La parte della vita di Pounde su cui però vorrei richiamare l'attenzione è la sua scarcerazione, avvenuta, come si è detto, nel 1604 per intercessione di Giacomo. Foley spiega sbrigativamente l'atto del re chiamando in causa un «piano» che prevedeva «l'esilio dal regno dei preti catturati e la liberazione dei laici»[22]. Questa spiegazione, se pure collima con la dichiarazione di intenti fatta a tal proposito dal re nel discorso al Parlamento del 1604, risulta in effetti troppo generica e lascia qualche incertezza. La più importante di queste è probabilmente se e in che misura Pounde poteva essere considerato un laico nel senso in cui Giacomo intendeva il termine, non solo perché era stato ammesso nella Compagnia, ma soprattutto per gli stretti rapporti che Pounde aveva tenuto con i Gesuiti, a partire dalla missione del 1580 in poi, anche durante gli anni del dissenso con i Secolari.
Maggiore chiarezza sulle circostanze che portarono alla liberazione del cattolico viene fornita dalla lettura di un suo manoscritto, tutt'oggi inedito e che Foley non cita, che si trova conservato tra i Rawlinson Manuscripts alla Bodleian Library, Oxford[23]. Il manoscritto è in effetti una collezione di diversi documenti, presentati dal cattolico a Giacomo nel 1604, alcuni dei quali sono copie di quelli conservati al Public Record Office e già editi da Foley, risalenti agli anni ottanta del Cinquecento[24].
Di grande interesse sono soprattutto quelli più recenti, indirizzati al re e composti quindi poco prima della sua scarcerazione, di alcuni dei quali mi pare opportuno fornire una trascrizione integrale.
All'inizio della sua raccolta Pounde aveva scritto una lettera dedicatoria «to the kinge most excellent Maiestie», in cui ricapitolava i suoi trenta anni di vita in carcere e soprattutto si appellava al re affinché questi si impegnasse a patrocinare una discussione degli argomenti proposti a sostegno della fede cattolica:

May it please your Maiestie to understand that above Twenty yeeres agon namely in Anno Domini 1580 being then prisoner in the Marshall sye for my Conscience mr. Elmere at that tyme Bishop of London for lacke of a better sent twoe of his Mynisters to me mr. Crowley and mr. Trippe importunately urging me to yeeld them a reason of my Faith. after Six yeeres imprisonment suffered for yt, yea and some tymes put in yrons for yt whereuppon I cleared my selfe twoe wayes of any obstinacie. First putting upp an humble peticion to the Lordes of the Counsell in the names of all the Catholikes that it might please them to call the best learned both of our Preestes and of their Clergie before them and in presence of the Prince to admitt an open disputacion betweene both sides upon even condicion for open tryall of truth to all mens good contentment in soe weightye a matter as concerninge their eternall salvacion. The coppie of wich peticion and of certeine letters thereto pertayninge heere shall followe. Secondly I delivered them Six breefe Reasons of my Fayth in wrytinge sufficient for a Lay man to shewe thoughe not all contayning a bone a sheet of paper wich to save the creditt of their cause as well as they might they were enforced after some delaie of it made to put it themselves in printe with the best aunswere to it that they could shape and sent it to me with greate triumphe into a dungeon into wich for my sayd Six reasons & peticion with all to the Counsell soe made, mr. Elmere for a whole yeares space had sent me, where by hard shifte made for pen and paper I replied agayne to their loose and tedious stuff but in three sheetes of paper and sent it to mr. Elmere and Sir Fraunces Walsingham by a Iustice of peace, wich came to my prison either of good will, or els of curiositie to see mee. wich afterwardes when I was brought upp to be present at their strange dispute with Father Campion in the Church of the Towre after racking of hym three tymes, and neither bookes nor penne and Incke allowed hym, they confessed that they had receaved it, & protested to mee onely for some satisfyeing of the audience [f. 1v] there in place that they had aunsweared agayne my said reply, and that it was at the presse then in printing and immediately to come forth to vewe of the worlde. wich foy asmuch as it was but dessemblimge & neither then about to be don nor ever intended to be don, and I havinge another coppie of my sayd replye in a hand as fayre written as well knowen to nombers of witnesses, namely of one William carter wich was executed for the Catholike cause Twentie yeeres agon, I prostrate my selfe at your Maiesties feete with a coppie of the same heere in my hand, that for that zeale of Iustice wich is in your Maiestie you will Comaund it to be aunswered by whom soever you shall appointe.[25]

La lettera di introduzione di Pounde a Giacomo fornisce qualche informazione in più sulla sua umbratile vita in prigione: per esempio, dalla missiva si apprende che il prigioniero fu presente alle fasi finali del processo di Campion. Tuttavia il testo indirizzato al sovrano – che secondo Pounde non era stato sufficientemente informato della sua vicenda – è soprattutto un appello orgoglioso dell'uomo di lettere, che crede che le proprie ragioni non fossero state adeguatamente considerate dagli avversari, nonostante questi avessero pubblicamente definito la sua petizione «the best learned» tra quelle scritte dai Cattolici e dai Protestanti. È bene notare come non vi sia accenno a richieste di perdono o di grazia, e come orgogliosamente il prigioniero richiami alla mente la lunga prigionia e le torture subite «for conscience», continuando a chiedere la ribalta pubblica del dibattito su una questione di grande importanza, «che riguardava la salvezza» delle anime degli Inglesi.

5. Ben diverso è il tono delle altre due lettere che il cattolico aveva scritto al re, anche queste incluse nel plico manoscritto consegnato a Giacomo nel 1604. Nella prima di queste il cambiamento di tono è addirittura drammatico, e si intuisce fin dal titoletto messo all'inizio della lettera: «My cause heard and my reasons convinced, I promise to goe to Church»[26]. L'offerta di frequentare i servizi religiosi anglicani significa in qualche modo l'accettazione, a certe condizioni, di conformarsi, quantomeno esteriormente, ai comportamenti prescritti dalla Chiesa d'Inghilterra. La storiografia ha ripetutamente insistito su quanto grave e delicata si presentasse la questione del conformismo esteriore dei Cattolici durante il regno di Elisabetta[27]: sotto Giacomo il problema, lungi dall'essere risolto, assumerà un'importanza molto maggiore, proprio a causa delle dichiarazioni del re nei confronti dei seguaci del Papa, che sembravano mirare alla separazione delle credenze religiose dal comportamento nella pratica. Il resto della lettera non è meno sorprendente:

My cause (o kinge) is not Recusancie although such a Recusant against all Innovation in Religion as well your noble Progenitors have byn theis 17. hundred yeeres ever since the firste Christian kinge Donaldus[28]. A Recusant also in Common Iustice much more worthie of tolleration bycause that at anie humble suite my cause would never be admitted to anie awdience much lesse was it convinced, Nevertheles condemned and punished without tryall. But Recusancie sett aside, it is the cause I saie and Complainte of a man six times robbed by publik officers without remedie and soe robbed of three hundred poundes. spoyled besides of twoo thousand poundes by the penall statute. My land twice begged as if I were a Iewe or a bondman and lett in lease from me an all mine uppon paine of forfeiture of the lease by a new raised Lord more like a kinge then a subiect, to his owne freundes and followers for one weekes feastinge of him and his traine in the Queenes progresse, much like as St. John Baptist his head was begged for a dance vae qui condunt leges (tam) iniquas[29]. My body thirtie yeeres uniustlie imprisoned onely for my Conscience. And for double Iniustice this was Contrarie to their owne statute, by wich my right was for the two partes of my livinge, to have byn enlarged out of prison to fyve myles Confyninge. Moreover eighteene of the thirtie yeeres held in prison partlie uppon a defamation that I was one of the Babingtons Confederate, partlie for good testimonie of my Christian Compassion of the Queene your Mothers wronge, wich were founde by Magistrate in a search, Behold your blessed Mothers Innocent blood, for hatred of her Religion shedd, doth Crie for mercie to me, for my pitty towardes her, and can I be unpittied of the kinge her sonne? Theis my lamentable Complaintes your Maiestie hath read with your owne eyes and beheld the streame of feare uppon my Cheekes, I hope with some Inward pittie althoughe but small outwardlie, sayeinge openlie that the fault of all this is in my selfe, meaninge bycause I will not goe to Church; Against wich imputation to cleere my selfe of obstinacie, I am inforced breiflee to shewe your Maiestie all the groundes of my Conscience, for wich in the Queenes time I was soe hardlie delt with all, wich if your highenes nowe vowchsaffe to comaund anie body to refute them and soe can doe to the satisfieinge of anie Indifferent Iudges then doe I promise that I will alsoe goe to Church.

Lo scopo di questo testo sembra quello di ottenere una revisione del suo caso o un nuovo processo, piuttosto che la pubblica disputa o replica alle sue ragioni, e il contesto dello scritto è differente. Innanzitutto attraverso la lettera comincia a delinearsi sullo sfondo la triste vita di privazioni a cui le leggi penali anti-cattoliche costringevano i laici seguaci del Papa. Non solo la prigionia, ma anche la confisca dei beni e l'affitto a tempo determinato (ossia il leasing) delle proprietà al migliore offerente, che nel caso di Pounde era stato un «new raised Lord», come sprezzante lo aveva definito, che aveva banchettato per una settimana intera a sue spese, come Erode dopo avere ottenuto la testa di Giovanni Battista.
D'altro canto, nel testo della lettera non c'è alcun riferimento che faccia pensare che Pounde avesse intenzione di abiurare la fede cattolica: il prigioniero infatti chiedeva il favore di Giacomo facendo leva sul fatto che questi fosse figlio della cattolica Maria. Pounde aveva raccontato inoltre che uno dei motivi che lo avevano portato in carcere era stato il ritrovamento, durante una perquisizione, di una «good testimonie of my Christian Compassion» verso Maria Stuart: Giacomo non poteva dunque dimostrarsi insensibile ad un così sincero atto di pietà nei confronti della madre morta. Dall'ultimo periodo della lettera sembra che Giacomo fosse stato a conoscenza delle vicende di Pounde, e le avesse bollate come una manifestazione di obstinacie. Per discolparsi da questa accusa Pounde aveva dunque proposto di andare in chiesa. Ma quale significato va dato all'offerta del cattolico, considerando soprattutto che nel testo non c'è il minimo accenno alla sua volontà di abiurare dalla fede cattolica?

6. A mio avviso il punto chiave della vicenda va individuato in due espressioni che Pounde usa: «My cause is not Recusancie», all'inizio, e poi «Recusancie sett aside». Pur non smettendo di difendere la sua professione di fede (il Cattolicesimo, ricorda Pounde a Giacomo, era la religione dei suoi «nobili Progenitori», secondo un topos che, come è ben noto, era piuttosto comune in una certa pubblicistica cattolica di età elisabettiana e aveva più valore nello specifico caso del figlio di Maria), il prigioniero voleva dunque che il re considerasse la sua condizione, comune anche ad altre «migliaia di Cattolici», nei suoi aspetti non strettamente religiosi; in questo caso, piuttosto, nei suoi risvolti legali. Nella lettera ciò di cui Pounde si lamenta maggiormente è la modalità ingiusta e illegale con la quale si era svolto il suo processo, anzi, un vero processo non era mai stato celebrato, e Pounde può dichiarare di essere stato «condemned and punished without a tryall». Le ingiustizie secondo il cattolico subite non si fermavano alle procedure processuali, ma avevano coinvolto anche l'entità della pena comminata, eccessiva anche secondo le norme previste negli stessi statuti penali.
Lasciando da parte i dettagli legali delle recriminazioni di Pounde, l'elemento importante che da questa lettera emerge è il tentativo di spostare il problema dei Cattolici inglesi dalla questione più strettamente religiosa. L'offerta di Pounde del conformismo esteriore non va quindi letta come un atto di debolezza fatto da un uomo oramai prostrato da decenni di carcere, ma piuttosto come un segno di cambiamento in questo senso. In altri termini, dato che il sovrano si era detto disposto a separare l'elemento del comportamento esterno da quello delle credenze religiose, il prigioniero aveva individuato nella frequentazione dei servizi religiosi un segno di disponibilità da dare al sovrano della sua volontà di accettare questa polarizzazione. Questo elemento emerge con maggiore chiarezza nella seconda delle lettere indirizzate al re. Anche l'obiettivo di questa seconda missiva era l'oramai consueto appello affinché le ragioni del cattolico venissero pubblicamente dibattute, ma questa volta la svolta verso l'abbandono della contrapposizione confessionale diventa più chiara. Dopo avere ricordato al re le sofferenze dei Cattolici inglesi e averlo richiamato alla memoria della madre, Pounde aveva concluso:

And for that wich hitherto you have founde amongest us, you have caused my Lord Chauncellour publicklie to acknowledge to some of the Cheife of our Catholikes (wich is noe small confort to us) that you accept us for as faithfull subiectes to your Maiestie as anie other that you have. This your gratiuos Censure of us lindeth me to thinck soe reverentlie of you, that whatsoever you doe or sett forth in your Regiment, if in anie thinge you err, it is noe worse, then as one not knowinge what you doe, For whome therefore our Saviours holie praiers to his Father uppon the Crosse will most Certainelie be heard, as my hope is great at one time or other. In meanwhile vounchsaffe, good kinge, with the tender affection of a Father towardes me poore worme, and one of your pupills in temporall power over me, to commaunde whom you please to shewe me as good reason and authoritie for that wich in this Controversie they hold against us and for wich theis 44. yeeres the Quene persecuted us, as I (beinge but an Ideot to anie learned man) have heere sett downe for the staies of my Conscience in that for wich I have soe longe suffered bycause otherwise by the Lord of Durham his late sermon before your Maiesty, Correction without instruction, or overrulinge without overcomminge were but tyranny[30].

Questo passo contiene dunque la spiegazione dei motivi che portarono il re ad intercedere a favore della scarcerazione di Pounde, che aveva dimostrato di avere perfettamente centrato il nodo della politica religiosa di Giacomo. Il cattolico, non insistendo ulteriormente sul problema religioso-teologico, non aveva esitato a dichiararsi «one of your pupills in temporall power», cioè a dire a riconoscere la piena e legittima autorità del sovrano inglese negli affari temporali, schierandosi quindi decisamente tra i Cattolici «good Subiects», tra quei «some of the Church of our Catholikes» della cui fedeltà al re i dirigenti inglesi si erano detti sicuri. L'offerta di frequentare i servizi religiosi va dunque letta come un segno tangibile del pieno riconoscimento dell'autorità di Giacomo in temporalibus. Questa interpretazione è inoltre sostenuta dal fatto che durante la controversia tra Gesuiti e Secolari, i quali avevano chiesto ad Elisabetta tolleranza in cambio del rifiuto delle pratiche dei Gesuiti e del riconoscimento della legittima autorità della Regina nelle cause temporali, Pounde aveva sostenuto la posizione degli uomini della Compagnia[31]. Che Pounde, infine, anche dopo la scarcerazione, non avesse sentito la propria professione di fede minimamente diminuita o compromessa, lo dimostra uno dei pochissimi eventi noti – se non l'unico – di questo periodo della sua vita. Tra il 1604 e il 1605, infatti, appena uscito di prigione, il cattolico si era nuovamente trovato nei guai con la giustizia inglese: Pounde aveva presentato al re una mozione con la quale chiedeva la grazia a beneficio di un cattolico, condannato a morte per avere avuto contatti con un gesuita. Non solo la mozione non venne accettata, ma Pounde fu condannato ad una pesante multa pecuniaria, che probabilmente gli venne in un secondo tempo condonata[32].

7. La vicenda di Pounde e il senso in cui questi aveva inteso il conformismo esteriore, pratica condannata dalle gerarchie cattoliche perché considerata una manifestazione della propria professione di fede, e non un segnale di disponibilità politica[33], è per l'appunto un ottimo esempio di come alcuni elementi politici e religiosi si fossero trasformati, cambiando valenza, in seguito alla politica religiosa di Giacomo, sia prima che dopo la promulgazione dell'Oath of Allegiance.
Dopo aver chiarito con Giacomo la sua opinione sul rapporto tra Cattolici e potere politico, una opinione che il re non poteva non trovare estremamente consona alla propria, Pounde era tornato, nell'ultimo dei testi indirizzati al sovrano, su un problema che evidentemente gli anni di prigione avevano contribuito a rendergli caro: la durezza, secondo lui eccessiva, delle leggi penali inglesi anti-cattoliche[34]. Nella mozione indirizzata al re su questo argomento, il cattolico aveva iniziato attribuendo l'asprezza dei provvedimenti alla pressione esercitata da Puritani sulla pubblica opinione, facendo leva sul forte anti-puritanesimo di Giacomo. Pounde aveva poi richiamato abilmente l'attenzione del re non tanto sulla condizione dei Cattolici in generale, ma soprattutto su quella del laicato cattolico, disponibile, a parere del cattolico, ad un atteggiamento più collaborativo con il regime in cambio della attenuazione delle misure repressive:

[...] I meane those unchristyan penall Lawes sufferinge us to be owners of our owne for sustayninge and maintayninge of our Famylyes, while the state shall thinke good to permytt us to lyve, makynge Recusancy deathe outrighte, yf the party accept yt, soe that he may save his goods and his Lands to his wyfe and Children at hiw owne disposinge. Before god many of us will accepte this for a lesse Cruelty, then this perpetuall pyning and beggeringe of us [...][35].

Se il governo avesse accettato la proposta, la conseguenza ultima sarebbe stata, nell'ottica dell'autore cattolico, Recusancy be made deathe outrighte, ossia la fine della contrapposizione tra Cattolici e regime. Nessuno strato sociale della popolazione era stato escluso: dopo le esigenze dei proprietari terrieri venivano difese le ragioni dei «poore craftsmen», che venivano condannati alla detenzione e costretti a vendere «their fewe mylche kyne, by wich mylke theire wyfes and children should be sustayned, and to sell away theire bedds, upon wich their weary lymmes at night should be refreshed»[36]. È importante notare che anche la richiesta di mitigare le leggi contro i Cattolici in cambio della loro collaborazione era uno dei punti individuati toccati dal re nel suo discorso del 1604 al Parlamento: letteralmente Giacomo aveva accennato alla possibilità di concedere «some overture» alle proposte di modifica di tali leggi, proprio perché queste avevano il difetto di colpire indiscriminatamente tutti i seguaci della religione di Roma, senza discernere i traditori del regno da quelli leali[37].
La consonanza pressoché totale degli argomenti esposti da Pounde con le riflessioni espresse da Giacomo potrebbero suggerire che in effetti il cattolico poteva essere in qualche modo informato sulle recenti dichiarazioni del sovrano, prova ne sia il fatto che il prigioniero aveva citato un discorso fatto in pubblico da Lord Chancellor Ellesmere a cui egli non avrebbe potuto comunque assistere, essendo rinchiuso in prigione. Tuttavia il punto centrale della vicenda di Pounde è il fatto stesso uno uomo come lui, che per trenta anni aveva accettato la prigionia senza mostrare il minimo segno di cedimento, abbia deciso di accettare, in un certo senso, il nuovo corso della politica di Giacomo. L'offerta di conformarsi doveva sembrare un atto di debolezza sotto Elisabetta, tanto è vero che Pounde non ne aveva accennato minimamente nella petizione alla regina: dopo l'ascesa del nuovo re, invece, andava letta come il segno della disponibilità e della fiducia dimostrata da una parte dei Cattolici verso la modificazione delle logiche entro cui era stato trattato il problema cattolico prima, e verso l'elaborazione di soluzioni nuove.

8. La diversa prospettiva in cui Giacomo sembrava voler inquadrare la soluzione cattolica, e cioè il tentativo di isolare l'aspetto politico del problema religioso, aveva ricevuto un'accoglienza ben diversa in alcuni ambienti protestanti. Anche in questo caso, mi servirò di un esempio specifico, e cioè la storia di un libro di grande importanza nella storia religiosa inglese tra Cinque e Seicento, il Synopsis Papismi, e quella del suo autore, Andrew Willet[38]. Costui, famoso e prolifico controversista e rettore di Barley, vicino ad Oxford, era nato nel 1562 a Ely. La sua carriera era cominciata dopo i brillanti studi condotti a Cambridge, sotto la guida di William Perkins, noto per i suoi orientamenti teologici vicini al Calvinismo. Proprio la formazione di Willet, unita ad una fervente carica anti-papista, contribuì ad alimentare voci che attribuivano al controversista tendenze filo-puritane, tanto è vero ancora oggi si fa il nome di Willet come il possibile autore di un pamphlet di echi puritani intitolato A Christian Letter, uscito anonimo nel 1599, che fortemente polemizzava con le posizioni espresse nel primo libro della Ecclesiastical Polity di Richard Hooker, considerate pericolose perché troppo vicine alla Chiesa di Roma[39]. Certamente la profonda carica anti-cattolica del controversista inglese era una cifra importante non solo, come vedremo, nella sua opera, ma aveva anche condizionato le sue vicende biografiche: basti pensare che nel 1618 Willet fu addirittura imprigionato per ordine di Giacomo (e poi rilasciato dopo appena un mese di detenzione) perché si era espresso in termini estremamente violenti contro l'opportunità del cosiddetto Spanish match che il re sembrava preparare per il figlio Carlo[40]. Tuttavia ciò non equivale di per sè a sostenere opinioni puritane, ma, come definitivamente dimostra Anthony Milton, nel caso di Willet l'alone calvinista delle sue posizioni teologiche conviveva con un altrettanto forte senso di appartenenza alla Chiesa d'Inghilterra, che il controversista voleva riformare dall'interno, e non condannare in toto[41].

9. Lasciando da parte il dibattito sulla sincerità dell'adesione di Willet alla struttura teologica e ecclesiologica della Chiesa d'Inghilterra, vorrei adesso richiamare l'attenzione sulla sua attività di controversista, in particolare su un testo destinato a grande fortuna nel panorama religioso inglese di quegli anni, il Synopsis Papismi, che uno storico ha definito «a voluminous work [...] a famous and much-read guide to religious controversies: clearly laid out and easy to read, it has commanded a scholarly reputation of sufficient importance to be cited in university determinations in England»[42]. Per fornire la misura della diffusione del libro basti richiamarne le vicende editoriali: dal 1592, anno della prima edizione, al 1634 il testo fu riedito cinque volte e tradotto in latino[43]. In questa sede mi sembra interessante analizzare tre diverse edizioni del testo, la prima del 1592, quella del 1600 e, infine, l'edizione del 1613. Progressivamente il testo si arricchisce, tanto che dalle 626 pagine dell'edizione del '92 si arriva alle oltre 1400 pagine in quella del 1613. Tuttavia i punti interessanti mi sembrano soprattutto quelli che riguardano le modifiche che Willet apporta in corso d'opera sulla necessità di combattere il Cattolicesimo e sull'evoluzione della questione cattolica nell'arco di questo importante ventennio.
Per cominciare con il Synopsis Papismi del '92[44], innanzitutto va detto che l'opera è composta da tre libri, il primo dedicato in generale alle «controversies of religion, which arise in question between the Church of God and the Papistes», il secondo alla «Church Triumphant in Heaven», il terzo, infine, alla confutazione di alcuni «Popish errours, and heresies». Al testo sono premesse due epistole dedicatorie, una alla regina Elisabetta e l'altra al lettore.
Nella lettera dedicata alla Regina Willet aveva cominciato ammettendo che molti altri prima di lui si erano occupati di questo tema nella trattatistica protestante, ma in questo momento della storia, scriveva l'autore, era necessario che qualcuno mettesse per iscritto gli stessi argomenti a beneficio dei «men not learned», e lui si era assunto il compito: «They [i. e. chi aveva composto trattati prima di lui] have borne the heathe of the day, the coole evenings worke is cast upon me»[45]. Tra le righe di queste pagine sembra comparire l'ansia che Willet sentiva percependo che la tensione sul problema cattolico in Inghilterra stava venendo meno, soprattutto tra la popolazione non interessata ai dibattiti colti, che invece egli si proponeva di educare e spronare. Nel Preface to the Reader l'autore aveva dichiarato di avere intenzione di «condurre il lettore per mano» all'interno dei meandri della sua opera, affinché si convincesse che il pericolo era ancora più vivo che mai: «neither let it move us because they endure trouble and losse of their goods, and imprisonment of their bodies for their religion (which is falsely so called)», avvertiva, e poi, citando S. Agostino, spiegava «si poena martyres faceret, omnes carceres martyribus plenis essent, omnes catena martyres traherent»[46]. La conclusione è perentoria: «with them there is no peace to be had: their owne Doctors teach, that no reconciliation can be made between us: And indeed so it is, for there is no fellowship betweene light and darknesse»[47].

10. Apparentemente nessun evento particolare sembrerebbe giustificare le preoccupazioni di Willet: non c'era stato nessun tentativo ufficiale di riconciliazione tra Cattolici e regime inglese, né si era registrato un qualche segnale in questo senso da parte del governo, che non aveva alleggerito minimamente l'azione punitiva nel confronti dei seguaci del Papa, neanche dopo la vittoria sull'Armada, che, anzi, aveva contribuito ad esacerbare alcuni elementi del già profondissimo sentimento anticattolico durante il regno di Elisabetta[48]. Per capire ciò che metteva Willet seriamente in allarme bisogna andare in avanti nel corso del suo testo, fino all'inizio del terzo libro, in cui si trova un'altra epistola dedicatoria, questa volta indirizzata a Cecil. Nella lettera Willet si era soffermato a parlare dei propri possibili detrattori, che aveva diviso in due categorie. La prima era di quelli che, per pura invidia, discutevano e condannavano sempre il lavoro degli altri, comunque fosse. La seconda, e più insidiosa, categoria comprendeva «our hollow harted Countrimen, that have English faces, but Romish harts, who will [...] not cease to accuse me of lying and falshood, as not having truly and indifferently set down the opinions of the popish Church»[49]. L'esponente protestante dunque temeva, più ancora dei Papisti per così dire dichiarati, i suoi compatrioti con «le facce inglesi e il cuore romano», cioè a dire i cripto-cattolici, che, attaccando la sua opera cercavano di difendere il Cattolicesimo non sulla base del credo religioso, che apertamente non professavano, ma accampando questioni di filologia e di correttezza delle citazioni. Detto questo, Willet aveva concluso le frasi dedicate a questi suoi insidiosissimi nemici dichiarando di essersi ben preparato contro le loro accuse: «I have been, scriveva ancora a Cecil, most carefull and circumspect in this behalf, throughout this whole work, not to charge them [the Papists] with any opinions, which I have not gathered out of their own writings»[50]. Tra le righe di questo passo va letta l'ansia di Willet, che certamente non si limitava alla preoccupazione per critiche eventualmente espresse nei confronti del suo lavoro. L'orizzonte che l'esponente protestante vedeva davanti a sè era popolato da questi nemici invisibili, nemici dell'Inghilterra e della vera religione, tanto più pericolosi quanto più difficili da stanare. Nel corso dell'intero suo testo Willet non farà più alcun accenno ai cripto-cattolici inglesi: tuttavia questo stesso tema assumerà sempre maggiore importanza negli anni successivi, e sempre più spazio nelle successive edizioni del libro.

11. Nel 1600, come si è detto, era comparsa un'altra edizione del testo, la terza in ordine cronologico, significativamente diversa dalla prima. Innanzitutto era aumentata la mole del libro: dai tre libri originari si era passati a cinque, e il numero delle pagine appare più che raddoppiato. L'aspetto più interessante che si nota è l'acuirsi della necessità, secondo Willet, di combattere il Cattolicesimo in un momento della storia inglese in cui il controversista sentiva possibile e vicina una soluzione conciliatoria. Verso la fine del regno di Elisabetta si stava istituzionalizzando e sistematizzando la frattura in corso tra Gesuiti e preti secolari, e proprio al 1600 risale l'appello ufficiale fatto da questi ultimi alla Santa Sede sul caso dell'Arciprete Blackwell: Willet doveva con preoccupazione guardare all'evoluzione nel campo cattolico perché poteva eventualmente portare, come gli Appellanti speravano, alla concessione della tolleranza in cambio della condanna dei Gesuiti. Con i Cattolici, però, a qualunque fazione appartenessero, la pace non andava fatta a nessun costo, pena il deterioramento e la distruzione della vera Chiesa d'Inghilterra. Già nella prima epistola dedicatoria alla regina Elisabetta si intravede la prospettiva di Willet, che esortava la sovrana a non farsi tentare da chi sosteneva che poteva essere accordata una certa moderazione nella repressione: «all Christian nations can testifie, this whole Land is able the same to iustifie, that none of them by your Highness godly lawes have dye for Religion, but for their Rebellion, not for their Profession, but for their Practising, not for Contempt of the truth, but their Attempts against the State»[51]. Ancora più interessante, nell'ottica di questa ricerca, è la seconda epistola dedicatoria che compare all'inizio del trattato, indirizzata a John Whitgift, arcivescvo di Canterbury, e a Richard Bancroft, vescovo di Londra[52]. I due alti prelati anglicani erano stati grandi protagonisti della campagna contro i Separatisti Henry Barlow e John Greenwood, condotta tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 del Cinquecento[53]: il fatto che Willet, egli stesso di simpatie puritane, avesse deciso di includerli tra i destinatari ufficiali del suo lavoro indica due elementi principali. Il primo è, nelle parole di Anthony Milton, l'«accettazione della sconfitta»[54] di chi, come lui, si era fatto portavoce di istanze di riforma radicali della Chiesa d'Inghilterra, e la decisione conseguente di appoggiare pienamente le linee tracciate dai vescovi. Ma includendo i due esponenti anglicani nel suo progetto «ut fraudes pontificias retegerem, & dogmata omnia papistica in lucem proferrem, & veritatis antidotum passim apparerem»[55], Willet voleva anche in qualche modo invitare chi aveva individuato nei Puritani il nemico principale della Chiesa d'Inghilterra a rivedere le proprie posizioni: era il Cattolicesimo il principale fattore di rischio per la stabilità della Chiesa: se i Puritani «abbaiavano come cani», i Papisti «mordevano come lupi»[56].

12. La parte del trattato di Willet che concerne lo scontro ecclesiologico-politico tra Anglicani e Cattolici, che era confinata al primo libro nella prima edizione, adesso si espande fino a costituire l'argomento dei primi tre. In particolare, nel primo libro si trova una significativa appendice sulla legittimità delle scomuniche comminate dal Pontefice nei confronti dei sovrani temporali[57].
L'aggiunta più interessante, però, si trova al terzo libro del Synopsis Papismi, preceduto da un'epistola dedicatoria a Thomas Egerton, nella sua qualità di Solicitor General. In particolare, Willet aveva dedicato uno «short treatise» all'interno del libro sui problemi legati alla questione della Messa, tra cui quello estremamente delicato del conformismo esteriore[58]. È utile ricordare che già nell'edizione del 1592 l'autore anglicano aveva espresso i suo timori sui suoi connazionali che avevano «facce inglesi e cuori romani»: nel 1600 il tema, come si è detto, assume una nuova ottica e, dalla prospettiva di Willet, diventa tra i più pericolosi. Vista l'importanza centrale del passo, mi pare opportuno citarlo per esteso:

The Rhemists iudgement in this place concerning the open profession of faith, we doe willingly approve and allow: and we could wish, that all the Pope Catholikes in England at this day were of this minde, and herein would followe the counsell and advise of their ghostly Fathers of Rhemes: that is, that all English Papists were become Recusants, and would openly shew what lyeth hidden in their breasts, that we might better take heede of them. But it is to be feared, that we have many hollowe hearted Countrey men, that do openly resort to our congregations in body, but in heart communicate not with us; who have English faces, but Romish hearts: These are our most dangerous enemies, and chiefly to be feared: unto whom we may use that good olde saying, Aut appare quod es, aut esto quod appares:[59] Either appeare as thou art, or be that which thou appearest. So it were to be wished, that these cunning fellowes would either appeare outwardly to be Papists if they be so in heart, or else be Gospellers indeede, as they shew by their outward behaviour. Faith in deed is publikely to be confessed: dissimulation in all matters is to be misliked, but it is worst in religion: yet he, that will make publike confession of his faith, had neede be sure he is in a right faith, least afterward he be ashamed of his faith: And so I would that Popish Recusants did confesse their faith, that is, to abide and endure the examining, sifting and try all of their faith by the Scriptures, and not to refuse our Sermons, bookes, conferences, admonitions, whereby we declare unto them the errors of their faith[60].

Il ritratto che Willet aveva fatto di questi suoi «pericolosissimi nemici» sembra perfettamente attagliarsi alle vicende di Pounde, che si era detto disposto a «unirsi alle congregazioni nel corpo», pur non avendo mostrato la minima volontà di abiurare la religione cattolica. Lo scenario che Pounde aveva preventivato a Giacomo, cioè che i Cattolici avrebbero «smesso di essere Recusanti» se il sovrano avesse mitigato le leggi penali anti-cattoliche, è inoltre completamente ribaltato da Willet, che aveva detto al contrario di augurarsi che «tutti i Papisti diventassero Recusanti». Per il controversista anglicano la proposta di Pounde non era che la manifestazione peggiore della dissimulation in religion, e non era un modo per scindere l'aspetto politico da quello confessionale, ma la più certa dimostrazione che quella professata dai Cattolici non era la vera fede.
La ragione di questo è che tale scissione era per Willet semplicemente priva di significato. Il problema non era quello di separare i Cattolici leali da quelli traditori del regno: ogni cattolico professava la religione dell'Anticristo, e come tale non poteva trovare posto all'interno della vera religione. Solo in secondo luogo, e in conseguenza della contrapposizione teologica, i Cattolici diventavano nemici anche dello stato. Religione e politica erano per Willet legate in maniera inscindibile, e ogni tentativo per separarle andava contro la vera religione, oltre che contro gli interessi dello stato. Questa stessa tesi è da Willet sostenuta anche in altri passi del testo. Per esempio, all'inizio del quarto libro, dedicato, insieme al quinto, agli errori cattolici in fatto di dottrina e di manifestazioni del culto, l'autore aveva dedicato la consueta epistola introduttiva a due esponenti di spicco del sistema penale inglese, William Pirian, Chief Baron of the Exchequer, e John Popham, Lord Chief of Justice, famoso tra i Cattolici inglesi per la sua crudeltà, protagonista delle fasi istruttorie di tutti i processi più importanti a carico dei missionari, incluso quello di Campion. Parlando delle loro funzioni in rapporto al problema religioso, Willet aveva scritto: «What is better [...] besitting the person of a judge, than to heare of questions of religion, and to be occupied in discerning of truth from errors, religion from superstition, faith from falsehood, which this booke performeth in some measure?»[61]. La conclusione è estremamente indicativa della percezione che Willet aveva del rapporto tra politica e religione: «A Judge must not be a stranger from religion, neither receive the iudgement of faith at the second hand [...] the Judge and the Priest are ioyned together, as fellowes in commission for matters of religion»[62].

13. Non è a questo punto difficile immaginare quale potesse essere stata la reazione di Willet all'atteggiamento che Giacomo, appena salito al trono, aveva dichiarato di voler tener in merito alla questione cattolica inglese, visto che la chiave di volta della nuova politica del re sembrava essere quella di cessare le persecuzioni contro i Cattolici in quanto tali, e discernere, invece, quelli leali da quelli che non lo erano. Il presupposto su cui questo si basava era appunto la divisione tra le personali opinioni religiose degli Inglesi – dei sudditi, ma anche dello stesso sovrano – che non erano oggetto di discussione, dai comportamenti assunti nella sfera esteriore, su cui si poteva e si doveva intervenire. La posizione di Willet durante i primi anni del regno di Giacomo subisce in questo senso una significativa evoluzione.
Nel 1603, all'indomani dell'ascesa al trono di Giacomo, Willet si era affrettato a ripubblicare l'edizione del Synopsis Papismi del 1600, sostituendo però alla lettera dedicatoria dedicata ad Elisabetta una dedicata al nuovo re[63]. Il testo dell'epistola è tutto giocato sul rapporto tra la sovrana deceduta e Giacomo, di cui Willet con forza riproponeva l'elemento della continuità. Lungo tutto il testo Giacomo infatti era paragonato a Giosuè, successore di Mosè-Elisabetta alla guida del popolo santo. Il controversista protestante subito aveva dichiarato che il compito principale di un sovrano era di compiere la profezia indicata nella Bibbia di «utterly overthrow the kingdom of Antichrist», e in base a questo Willet aveva sbozzato una breve genealogia dei sovrani inglesi che si erano distinti in questo compito. Il primo di questi è Enrico VIII, di cui aveva scritto, «we trust was herein a Prophet». Subito dopo compare Elisabetta, come «seconda Profetessa». L'eredità della Regina era passata adesso a Giacomo, che è invitato dal controversista a seguire fedelmente le orme di chi lo aveva preceduto, in modo da potere «attayne to the sacred old age of Queen Elizabeth, and so many yeares governe his Church militant in earth in the Evangelicall veritie, as that you may in the triumphant Church in heaven be received to the Angelicall societie»[64]. Il rapporto che Willet aveva individuato tra Elisabetta e Giacomo è ovviamente da leggere in polemica con la propaganda cattolica di quei primissimi anni, che al contrario sottolineava la continuità di Giacomo con la religione della madre, regina di Scozia e vittima delle persecuzioni elisabettiane. Willet nell'epistola aveva proposto una sua lettura anche del rapporto tra Inghilterra e Scozia, in cui il ruolo e anche il nome di Maria è significativamente taciuto:

Two thousand yeeres and more have these nations of England and Scotland been divided in government: but now wee may truly say, there is unus pastor, unum ovile; and what els may this betoken, but that wee shall all shortly be brought to one sheepfold to waite for the appearing of our great shepheard Jesus Chirst. In one Religion and holie worship of God, these two nations of England and Scotland heve these forthy yeeres (thanks to God) accorded; but now both in one Religion and the same regiment they are consorted, bever hereafter (I trust) to be divorced[65].

Nello stesso anno, 1603, Willet aveva pubblicato An Antilogie, dedicato ancora al nuovo sovrano[66]. Nella prefazione al Re risulta ancora più chiara la diffidenza che il controversista stava sviluppando nei confronti di Giacomo. Pur dicendo di rallegrarsi per la sua ascesa al trono, l'autore ricordava polemicamente che «i Principi si trovano in una posizione scivolosa»: se non sono assistiti dalla grazia di Dio rischiano di perdere in fretta tutto quello che hanno[67]. Willet invitava Giacomo a dimostrate "divine constancie" nei confronti di quanti avrebbero attaccato la vera religione, e aveva aggiunto: «Some have pressed already, if not presumed, to make request for toleration of their Masse, or rather Misse-Service, for all is amisse in it: but they might know that the Arke and Dragon cannot dwell together»[68]. Subito dopo Willet aveva lodato il nuovo re per avere preso provvedimenti di vario genere, tra cui «staying of monopolies, redressing of oppresion and extorsion by officers, restraining unlawfull games upon the Lords day». Ciò che a Willet interessava di più era però lo stato della Chiesa, e su questo aveva molte osservazioni da fare. Il suo riferimento è il Bosilikon Doron, che l'inglese dimostrava di avere letto a fondo. In particolare, aveva apprezzato il fatto che Giacomo si fosse detto disposto ad aumentare il numero dei predicatori da mandare più capillarmente nel regno, e a migliorarne la situazione finanziaria[69], e anche l'interesse che Giacomo aveva dimostrato per i dibattiti teologici. Ma nel testo del re esistevano anche delle parti che Willet non poteva ammirare né tantomeno condividere. Per esempio, sempre nella prefazione l'autore aveva scritto sarcasticamente di rallegrarsi per la «Christian disposition to peace» del re, che aveva dichiarato di voler evitare aspre contrapposizioni confessionali sulle cerimonie, che lui considerava indifferenti. Qui la polemica di Willet si fa pungente: se il re però voleva evitare le discussioni doveva fare come Licurgo, che per sradicare dal suo regno il vizio dell'ubriachezza aveva proibito l'uso del vino[70]. In altri termini, Giacomo doveva estirpare la causa dei dibattimenti, che evidentemente significava eliminare il problema cattolico. Altre decise prese di posizione contro le opinioni espresse da Giacomo in questioni religiose si trovano poi all'interno del testo. Per esempio, si ricorderà come l'allora re di Scozia avesse parlato di «common grounds» condivisi da Chiesa d'Inghilterra e Chiesa di Roma. Willet si era dimostrato violentemente contrario, e nel testo non solo aveva accusato la dottrina cattolica di «give way to Atheism»[71], ma aveva affermato che l'identità del Papa come Anticristo faceva parte della «Protestant affirmative doctrine»[72].
Nel 1605 Willet aveva pubblicato un poderoso commento al libro della Genesi, ancora una volta dedicato a Giacomo[73]. Nell'epistola dedicatoria l'autore proseguiva la sottile polemica con il sovrano. Nel 1604 era stato siglato il trattato di pace con la Spagna, evento che per le sue (sperate o temute) ripercussioni sulla situazione dei Cattolici inglesi non poteva suscitare gli entusiasmi del controversista, che acutamente chiosava: «Your princely peace made abroad, dothe give us hope of a peaceable state at home»[74]. Il «pacifico stato in patria» dipendeva dall'estirpazione della falsa religione di Roma, e su questo il sovrano era invitato ad agire. Willet continuava ad augurarsi un miglioramento del numero e della condizione dei predicatori (provvedimenti che Giacomo non aveva ancora attuato nonostante le dichiarazioni fatte), e soprattutto invitava con decisione il re a non avere pietà «in rooting out all idolatrie and superstition, and reiecting all confused motions for a Babylonicall Toleration»[75]. Non può a questo punto sfuggire come il tono di Willet si fosse sensibilmente alzato. Le sue pur deboli speranze che Giacomo si adoperasse per combattere ed estirpare definitivamente il Cattolicesimo si stavano affievolendo.

14. Nel 1613 il controversista aveva completato e pubblicato un'altra edizione del suo Synopsis Papismi, la prima dopo la morte di Elisabetta. Anche questa versione del trattato risulta notevolmente arricchita rispetto alla precedente: in particolare, in più passi Willet aveva esposto le sue obiezioni contro Bellarmino, soprattutto alla luce della sua confutazione della legittimità dell'Oath of Allegiance. Alla fine del testo Willet aveva aggiunto un catalogo delle opere di carità sorte nella città di Londra e una sorta di appendice, un piccolo trattatello che aveva intitolato Tetrastylon Papismi, che era in effetti un compendio più agile – «a necessarie supplement» come lo stesso autore lo aveva definito – delle argomentazioni contro i principali punti della dottrina cattolica già espresse in precedenza, dedicato, ancora una volta, a Thomas Egerton[76]. All'inizio dell'opera si trova una epistola dedicatoria a Giacomo, in cui l'autore aveva ripreso e modificato alcuni degli elementi esposti in precedenza[77]. Si è visto come Willet nel 1603 avesse lodato il re per alcuni provvedimenti presi in materia di monopoli e corruzione dei pubblici ufficiali. Adesso il controversista non si dimostra più così soddisfatto, ma acremente fa notare al re:

In the Commonwealth in many places there is heard the cry of oppression, by enclosures, dispeopling and desolation of townes [...] Your Maiesties prudent and pious care hath ceased hostility abroad, but there is rapacity[78] at home: you have most happily quieted the lawlesse borderers and outriders without, and we doubt not but you will see also in good time unto the pitilesse disorderers and inriders within[79].

L'ostilità di Willet rispetto alla pace con la Spagna è espressa in una più aperta polemica rispetto a dieci anni prima, e sarà destinata a crescere nel tempo fino ad esplodere nel 1618, a proposito dei preparativi per lo Spanish match[80]. Willet aveva continuato poi a lamentare il consueto problema della mancanza di predicatori adeguatamente educati e aveva aperto una parentesi su alcuni problemi disciplinari di cui la Chiesa d'Inghilterra soffriva:

I beseech your highnesse to give me leave, to touch one or two principall breaches of the first table, which do abound in this land; namely, the usual custome of swearing, and taking in vaine the holy name of God, and the profanation of the Lords day. Concerning the first [...] among the Romanists this fault was diversly censured: If he were a noble man, that was faultie herein, hee payed a pecuniarie mulct: if a Clergie man, he was degraded: if an ordinarie man, he was excommunicate [...] But our righteousnesse should exceed the righteousnesse of the Scribes and Pharisies [...] Concerning the sanctifying of the Lords day [...] now many quite contrarie make it a day, wherein to serve their owne turne and pleasure, spending it in riotous and excessive drinking, and in vaine sports and delights[81].

In generale dunque Willet avrebbe voluto che il re si occupasse di combattere alcune forme di lassismo morale e nei costumi di cui vedeva pervase le città d'Inghilterra. Anche in questo caso c'è un riferimento al Cattolicesimo, alla cui influenza vengono ascritti i comportamenti censurati. Riguardo al primo dei due, cioè quello della bestemmia, Willet aveva condannato esplicitamente la giustizia farisaica dei Cattolici, che anziché stigmatizzare il peccato, stabilivano la pena a secondo del ruolo che il peccatore ricopriva nella scala sociale. Per quanto riguarda invece l'abbandonarsi a comportamenti impropri nel giorno del Signore, ai lettori di Willet doveva essere ben noto come topos che la satira e la pubblicistica protestante anti-papistica da decenni oramai ascriveva alla licenziosità ed ipocrisia tipiche dei Cattolici[82]. Si ricordi, tra l'altro, che lo stesso problema era stato sollevato, in tono molto meno polemico, nel 1603.

15. Evidentemente nel 1613 Willet si doveva essere reso conto che Giacomo non aveva continuato l'opera di Elisabetta né probabilmente l'avrebbe mai fatto, rifiutandosi di riconoscere il problema cattolico come il principale dei pericoli dello stato. La rabbia e la frustrazione che Willet provava a causa di questa situazione si era espressa in termini molto più forti e meno mediati quando l'autore si era rivolto direttamente al lettore, a cui comunicava la pena che provava trovandosi in un paese che, nonostante fosse stato illuminato dalla grazia divina del vangelo oramai da quarantacinque anni, era ancora pieno di Cattolici: «how can that Religion bee iudged to bee good, that bringeth forth such bad fruits as trecherie, conspiracies, practises against Prince and countrie»[83]. In effetti Giacomo non aveva propriamente «giudicato buona» la religione cattolica, ma aveva proposto di provare a non «giudicare cattivi» tutti gli inglesi che la professavano. La distinzione, come ho appena detto, per Willet semplicemente non aveva alcun senso.
Certamente in questo gioca un ruolo anche la vicinanza di Willet al Calvinismo, dal punto di vista della teologia ma anche dell'ecclesiologia. Tuttavia a differenziare Pounde da Willet non è solo la posizione teologica, ma anche la concezione del rapporto tra religione e politica che i due dimostravano di avere, come testimonia anche il diverso significato con cui i due dimostravano di considerare la frequentazione dei servizi religiosi.
Partire da elementi come questo, e vedere come la teologia e la politica si mischino dando luogo a risultati diversi, è a mio avviso necessario per comprendere lo sviluppo della questione cattolica inglese sotto il regno di Giacomo, da un lato percependone il carattere di novità rispetto all'epoca elisabettiana, dall'altro isolando temi e problemi che contribuiranno a modificare profondamente non solo la storia del Cattolicesimo inglese, ma anche la struttura dogmatica e ecclesiologica della Chiesa d'Inghilterra fino alle soglie della Rivoluzione.

[1] Una versione più ampia e articolata di questo intervento è attualmente in corso di stampa su «Recusant History».

[2] La Scottish strategy, elaborata in primis dal gesuita Robert Persons e appoggiata da una parte della gerarchia cattolica a Roma, consisteva in un progetto di invasione del regno di Elisabetta da parte di una coalizione cattolica, capeggiata dalla Spagna e supportata dal Papato, che avrebbe consentito di detronizzare la Regina e porvi al suo posto proprio Giacomo, una volta che il giovane erede al trono si fosse convertito al Cattolicesimo: per due differenti interpretazioni del piano scozzese nel contesto della misione dei Gesuiti si veda T. M. MCCOOG S. J., ‘Our way of proceeding'. The Society of Jesus in Ireland, Scotland and England, Leiden-New York, E. J. Brill 1996, e M. J. CARRAFIELLO, Robert Persons and the English Catholicism, Selingsrove-London, Associated University Press 1998.

[3] Appena salito al trono Giacomo si trovò infatti nella delicata situazione di presentarsi da un lato come figlio di Maria la cattolica, dall'altro, tuttavia, come legittimo erede di Elisabetta e della sua politica, di cui l'anti-cattolicesimo era un elemento importante: un lavoro estremamente interessante sulle modalità in cui il nuovo re bilanciò queste istanze contrastanti è il saggio di J. WATKINS, ‘Out of her Ashes May a Second Phoenix Rise': James I and the Legacy of Elizabethan Anti-Catholicism, in A. F. MAROTTI (ed.), Catholicism and Anti-Catholicism in Early Modern English Texts, Houndmills, St. Martin's Press 1999, 116-36. Sulla posizione tenuta da Giacomo nei confronti del governo inglese in seguito alla morte della madre il dibattito storiografico è ancora aperto: il più recente contributo sulla questione è il lavoro di S. DORAN, Revenge her Foul and Most Unnatural Murder? The Impact of Mary Stewart's Execution on Anglo-Scottish Relations, in «History», LXXXV, 280, 2000, 589-612, a cui rimando per ulteriori indicazioni bibliografiche.

[4] Il lavoro a tutt'oggi più esauriente sulle relazioni anglo-spagnole nei primissimi anni del regno di Giacomo è quello di A. S. LOOMIE S. J., Toleration and Diplomacy. Religious issue in Anglo-Spanish Relations, 1603-1605, in «Transactions of the American Philosophical Society», LIII, part. 6, 1969, 3-60. Ulteriori indicazioni bibliografiche sull'argomento verranno fornite in seguito.

[5] Tra i numerosi lavori sulla politica religiosa di Giacomo, si veda L. D'AVACK, La ragione dei re. Il pensiero politico di Giacomo I, Milano, A. Giuffrè 1974, 99 e sgg.; J. BOSSY, The English Catholic Community 1603-1625, in A. G. R. SMITH (ed.), The Reign of James VI and I, London, Macmillan 1973, 91-105; S. J. LA ROCCA S. J., ‘Who Can't Pray With Me, Can't Love Me': Toleration and Early Jacobean Recusancy Policy, in «Journal of British Studies», 23, 1984, 22-36; K. FINCHAM-P. LAKE, The Ecclesiastical Policy of King James I, in «Journal of British Studies», 24, 1985, 169-207. Sulle opinioni religiose di Giacomo cfr. R. PETERS, Some Catholic opinions of King James VI and I, in «Recusant History», X, 5, 1970, 292-303, e soprattutto W. B. PATTERSON, King James VI and I and the reunion of Christendom, Cambridge, Cambridge University Press 1997.

[6] Il titolo completo dell'opera è Basilikon Doron. Or his maiesties instructions to his dearest sonne, Henry the prince, pubblicato ad Edimburgo ed edito da C. H. MCILWAIN, The political works of James I, Cambridge, Harvard University Press 1918, 3-52. Del volume di McIlwain si veda anche l'Introduzione, in part. xxxv e sgg., che ancora oggi fornisce spunti importanti. Sugli aspetti più propriamente letterari del testo cfr. J. WORMALD, James VI and I, ‘Basilikon Doron' and ‘The trew law of free monarchies', in L. L. PECK (ed.), The mental World of the Jacobean Court, Cambridge, Cambridge University Press 1991, 36-54, in part. 47 e sgg.

[7] Si tratta di A speech, as it was delivered in the upper house of the parliament, to the Lords spirituall and temporall, and to the knights, citizens and burgesses there assembled, On Munday the XIX Day of March 1603 Being the First Day of the First Parliament, pubblicato in The political works of James I, cit., 269-280.

[8] Cfr. Basilikon Doron, cit., 7-8; A speech, cit., 275.

[9] Cfr. A speech, cit., 274.

[10] Tra le molte reazioni suscitate dalle affermazioni del Re in Inghilterra vale la pena di ricordare quella di Robert Persons. Nella prefazione ai Cattolici inglesi del primo volume del Treatise of the three conversions of England, (St. Omer 1603), il gesuita si era direttamente riferito al Basilikon Doron, affermando che il libro "may iustely give all Catholiks good hope to see one day that fulfilled in his Maiestie, which most they desire" (pp. non numerate).

[11] Per esempio, Jean Hotman aveva tradotto il Bosilikon Doron in francese nel 1603 e il testo di Giacomo aveva avuto un grande impatto negli ambienti irenici gallicani: cfr. C. VIVANTI, Lotta politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi 1974 (1963), in part. 331-362.

[12] Sulla controversia tra Gesuiti e Secolari tra alla fine del regno di Elisabetta sono ancora lavori fondamentali quelli di T. G. LAW, The Archpriest controversy, Camden Society 1896-98, e J. H. POLLEN, The institution of the Archpriest Blackwell, London 1916. Sulla controversia si veda anche J. BOSSY, The English Catholic Community, 1570-1850, New York, Oxford University Press 1976 (1975), 28 e sgg., e ID., Henry IV, the Appellants and the Jesuits, in «Recusant History», VIII, 2, 1965, 80-123.

[13] Cfr. A. J. LOOMIE S. J., Toleration and Diplomacy, cit., in part. 5-38. Una importante raccolta delle fonti, soprattutto diplomatiche, sulle relazioni anglo-spagnole durante il regno di Giacomo I si trova in A. C. J. LOOMIE (ed.), Spain and Jacobean Catholics 1603-1612, in Catholic Record Society (d'ora in poi C. R. S.), 64, e ID., Spain and Jacobean Catholics 1612-1624, in C. R. S. vol. 68.

[14] H. FOLEY S. J., Records of the English Province of the Society of Jesus, London, Burns and Oats 1877-1884, vol. III, 567-657.

[15] Foley racconta che Pounde era entrato a fare parte della corte di Elisabetta per la sua abilità nella danza. Una volta, però, dopo avere sbagliato nell'esecuzione di un passo, era stato deriso e umiliato: da qui sarebbe cominciato il percorso spirituale che lo avrebbe portato al pentimento e alla conversione al Cattolicesimo (570-1). Sulla conversione di Pounde si sofferma brevemente anche M. C. QUESTIER, Conversion, politics and religion in England, 1580-1625, Cambridge, Cambridge University Press 1996, in part. 182 e nota n. 63.

[16] Cfr. Monumenta Angliae, vol. II, 444.

[17] H. FOLEY S. J., Records, 632-657. La filza dei documenti del Public Record Office utilizzata da Foley è State Papers (d'ora in avanti SP) Domestic Elizabeth, vol. cxliii, n. 20, 1580.

[18] Su questi personaggi si veda Dictionary of National Biography (d'ora in avanti DNB) alla voci a loro dedicati.

[19]20 H. FOLEY S. J., Records, cit., 633-8 (anche questo documento fa parte di quelli conservati al Public Record Office). La replica di Tripp si trova inserita in un libello di Crowley dal titolo Aunswer to Sixe Reasons that Thomas Pownde at the commandement of her Maiesties commoners, required to be aunswered, pubblicato a Londra nel 1581.

[21] Per maggiori approfondimenti su questa vicenda cfr. A. C. SOUTHERN, Elizabethan Recusant Prose 1559-1582, London, Sands 1950, 149-50; P. LAKE-M. QUESTIER, Puritans, Papists and the ‘Public Sphere' in Early Modern England: the Edmund Campion Affair in Context, in «The Journal of Modern History», 72, 2000, 587-627, in part. 603-4; T. M. MCCOG S. J., The English Jesuit mission and the French Match, 1579-1580, in «The Catholic Historical Review», LXXXVII, 2, 2001, 185-213, in part. 208-209.

[22] H. FOLEY, Records, cit., 611.

[23] Si tratta del Rawlinson Ms. D 320, documento n. 1, ff. 1-28, segnato in cataologo come A collection by Thomas Pounde of various papers respecting his adherence to the Roman Catholic religion in spite of thirty years' imprisonment, submitted to King James in 1604.

[24] Si tratta della petizione al Privy Council (f. 2), e di alcune lettere a Tripp e Aylmer (ff. 3-6).

[25] Ibid., ff.1r-v.

[26] Ibid., ff.7r-v.

[27] Cfr. tra gli altri A. WALSHAM, Church Papists. Catholicism, conformity and confessional polemic in early modern England, Woodbridge, Boydell Press 1999 (1993), 22 e sgg.

[28] In corsivo nel testo.

[29] In corsivo nel testo.

[30] A collection by Thomas Pounde, cit., f.7v.

[31] Cfr. P. RENOLD, The Wisbech Stirs 1695-1598, in C. R. S. n.51, 46-54.

[32] Cfr. S. R. GARDINER, History of England, London, Longmans, Green, and co. 1863, vol. I, 221-223.

[33] Sulla posizione cattolica sul conformismo esteriore si veda A. WALSHAM, ‘Yielding to the Extremity of the Time': Conformity, Orthodoxy and the Post-Reformation Catholic Community, in P. LAKE-M. QUESTIER (eds.), Conformity and Orthodoxy in the English Church, c. 1560-1660, Woodbridge, The Boydell Press 2000, 211-236.

[34] Il titolo completo è A motion for repealinge of the penall statutes againste Recusants wich to be graunted many Recusants will accept it for a lesse cruelty that their lande & goods beinge freed, Recusancy be made deathe outrighte, in A collection by Thomas Pounde, cit., ff. 27v-28r.

[35] Ibid., f. 28r.

[36] Ibid.

[37] Cfr. A speech, cit., 275.

[38] Sulla vita di A. Willet cfr. DNB sub voce Willet, Andrew e le pagine a lui dedicate nell'importante studio di A. MILTON, Catholic and Reformed. The Roman and Protestant Churches in English Protestant Thought, 1600-1640, Cambridge, Cambridge University Press 1995, in part. 13-19 e 31-45 passim.

[39] Sul dibattito storiografico a proposito della paternità del libello e della proposta attribuzione a Willet si veda The Folger Library Edition of the Works of Richard Hooker, vol. IV, Harvard University Press 1982, in part. l'Indtroduzione di J. E. BOOTY, xix-xxv, e P. WHITE, Predestination, policy and polemic. Conflict and answers in the English Church from the Reformation to the Civil War, Cambridge, Cambridge University Press 1992, in part. 129-139. Sul rapporto tra le posizioni teologiche ed ecclesiologiche di Willet in rapporto a quelle di Hooker si veda anche P. LAKE, Business as usual? The Immediate Reception of Hooker's ‘Ecclesiastical Polity', in «Journal of Ecclesiastical History», LII, 3, 2001, 456-486.

[40] Cfr. Public Record Office, SP Dom. James I, vol. xciv, n. 79; e DNB sub voce Willet, Andrew.

[41] A. MILTON, Catholic and Reformed, cit., 13-19. Willet, tra l'altro, aveva espresso una sincera e profonda adesione al modello episcopale introdotto da Giacomo: cfr. K. FINCHAM, Prelate as Pastor. The Episcopate of James I, Oxford, Oxford University Press 1990, 299-300.
Sull'uso, spesso non corretto e strumentale, delle categorie di "Puritani", "Protestanti" o "Papisti" nell'Inghilterra moderna fornisce considerazioni tutt'oggi illuminanti il lavoro di T. H. CLANCY, Papist-Protestant-Puritan: English Religious Taxonomy, 1565-1665, in «Recusant History», XIII, 4, 1976, 227-53.

[42] La definizione è di A. MILTON, Catholic and Reformed, cit., 13.

[43] Ibid., 13-14.

[44] Il titolo completo del testo è Synopsis Papismi; that is a generall viewe of papistry, London 1952.

[45] Ibid., Epistola ad Elisabetta, pag. A3r.

[46] Ibid., The Preface to the Reader, pag. Br.

[47] Ibid.

[48] Su questo si veda C. Z. WIENER, The beleaguered isle. A study of Elizabethan and early Jacobean Anti-Catholicism, in «Past and Present», 51, 1971, 27-62, in part. 35 e sgg.

[49] A. WILLET, Synopsis Papismi (1592), 497.

[50] Ibid., 497-498.

[51] A. WILLET, Synopsis Papismi, London 1600, A4r.

[52] Ibid., B2r-v. Una interessante lettura dell'epistola si trova in A. MILTON, Catholic and Reformed, cit., 14-6.

[53] Barlow e Greenwood vennero imprigionati nel 1586 e condannati a morte nel 1593, insieme a John Penry, ritenuto il principale responsabile della violenta campagna puritana condotta contro il sistema episcopale della Chiesa d'Inghilterra attraverso la pubblicazione di aspri libelli che passarono alla storia come "Marprelate's tract", dallo pseudonimo con cui il loro autore, o, meglio, i loro coautori si firmavano, cioè Martin Marprelate. Su Barlow e Greenwood, cfr. L. CARLSON, The writings of John Greenwood and Henry Barlow, 1591-1595, London, Allen & Unwin 1970. Sul ruolo avuto da Bancroft e Withgift cfr. D. J. MCGINN, John Penry and the Marprelate Controversy, New Brunswick, Rutgers University Press 1966, in part. ix e sgg. dell'Introduzione e 174-182.

[54] A. MILTON, Catholic and Reformed, cit., 14.

[55] A. WILLET, Synopsis Papismi (1600), B2r.

[56] Ibid., B2v.

[57] Ibid., 181-183.

[58] A. WILLET, Synopsis Papismi (1600), 608-621.

[59] In corsivo nel testo.

[60] Ibid., 618-619.

[61] Ibid., 739.

[62] Ibid.

[63] A. WILLET, Synopsis Papismi, London 1603, epistola dedicatoria to the right vertuous, most excellent, noble and victorious Prince King James our dread Soveraigne, pagine non numerate.

[64] Ibid. Il corsivo è dell'autore.

[65] Ibid. Il corsivo è dell'autore.

[66] Il titolo completo è An Antilogie or Counterplea to an Apologicall (he should have said) Apologeticall Epistle published by a Favourite of the Romane separation, and (as is supposed) one of the Ignatian faction, London 1603. L'opera era stata scritta in risposta a An Apologeticall Epistle di Richard Broughton, prete filo-gesuita autore della Ecclesisatical Historie of England, s.l. [vere Douai] 1633 (cfr. DNB sub voce Broughton, Richard).

[67] Ibid., The preface to the King, pagine non numerate.

[68] Ibid.

[69] Il problema della formazione e della diffusione capillare di un corpo di predicatori istruiti era estremamente sentito sin dai primissimi anni dopo l'Elizabethan Settlement e fino al regno di Giacomo, proprio perché coinvolgeva un ambito delicato come quello della religiosità delle periferie. Per maggiori approfondimenti sulle questioni legate a questo tema tra fine Cinquecento e inizio Seicento cfr. C. HAIGH, The Taming of Reformation: Preachers, Pastors and Parishioners in Elizabethan and Earlt Stuart England, in «History», LXXXV, 280, 2000, 572-588.

[70] A. WILLET, An Antilogie, The preface to the King.

[71] Ibid., 60-61.

[72] Ibid., 112 e sgg.

[73] A. WILLET, Hexapla in Genesim: that is, a sixfolde commentarie upon Genesim, Cambridge 1605. Della grande produttività di Willet anche i contemporanei erano stupiti, tanto che correva voce che Willet «scrivesse anche mentre dormiva» (cfr. DNB sub voce Willet, Andrew).

[74] Ibid., Epistola dedicatoria To the King, pagine non numerate.

[75] Ibid.

[76] A. WILLET, Synopsis Papismi, London 1613; il catalogo si trova alle pagine 1219-1243, il Tetrastylon Papismi alle pagine 1244-1342. L'epistola dedicatoria a Egerton si trova a pagina 1244.

[77] L'epistola a Giacomo si trova alle pagine A4r-v. All'inizio del trattato si trovano anche un'epistola al lettore (pagine non numerate), una indirizzata alla principessa Elisabetta (pagine non numerate), e una dedica a Cristo (A3r-v).

[78] In corsivo nel testo.

[79] Ibid., A4v.

[80] Sulla propaganda anglicana contro il carattere troppo filo-spagnolo della politica estera di Giacomo si veda R. ANDERSON, ‘Well disposed to the affairs of Spain?' James VI & I and the propagandists: 1618-1624, in «Recusant History», XXV, 4, 2001, 613-635.

[81] A. WILLET, Synopsis Papisimi (1613), A4v.

[82] Uno dei più celebri esempi di satira anti-cattolica basata proprio sulla licenziosità dei comportamenti assunti dai Cattolici durante le feste comandate si trova nel libello di ANTHONY MUNDAY, The Englishe Romayne Life, London 1582, 68 e sgg. Sulla diffusione del topos dell'ipocrisa ascritta ai Cattolici dalla propaganda anglicana cfr. A. SHELL, Catholicism, Controversy and the English Literary Imagination, 1558-1660, Cambridge, Cambridge University Press 1999, in part. 32-36.

[83] A. WILLET, Synopsis Papismi (1613), Preface to the Christian Reader, pagine non numerate.