L'intero libro di Dio, chiamato Bibbia. Alle origini dell'identità puritana

Daniela Bianchi

1 In Inghilterra il processo di costruzione di un'identità protestante, avviatosi dopo la morte di Enrico VIII sotto Edoardo VI, interrotto con l'avvento al trono di Maria e ripreso da Elisabetta, fu accompagnato da dilemmi, riserve, malumori all'interno dello stesso mondo riformato inglese. Sotto Elisabetta l'identità protestante, basata sull'Act of Supremacy, sul mantenimento dell'assetto episcopale, sul Book of Common Prayer e l'Act of Uniformity, sui Trentanove Articoli, riprodusse dubbi e critiche tra coloro che avevano vissuto l'esperienza edoardiana o conosciuto durante l'esilio ai tempi di Maria Tudor le chiese riformate tedesche e svizzere. Nel 1572 un'anonima Admonition to Parliament, apparsa poco prima che il Parlamento venisse congedato, rese pubblica l'esistenza di un gruppo di protestanti intransigenti che chiedevano la «restituzione della vera religione e la riforma della Chiesa di Dio». Una seconda Admonition fu pubblicata verso la fine dell'anno. Le due Admonition e la polemica che ne seguì tra uno degli esponenti del gruppo, Thomas Cartwright, e l'anglicano John Whitgift rappresentarono un salto di qualità rispetto alle critiche ed alle insoddisfazioni che da più parti avevano accompagnato il processo riformatore in Inghilterra. Questi intransigenti, che Whitgift definitì «puritani»[1], non si limitarono infatti a sintetizzare in linguaggio efficace rilievi già emersi ed ormai consolidati ai paramenti e alle cerimonie; presentarono un programma di riforme che, se adottato, avrebbe distrutto alcuni dei pilastri su cui poggiava l'assetto ecclesiastico-religioso elisabettiano.
Oltre alle due Admonition e alle opere che Cartwright scrisse in polemica con Whitgift[2], altri scritti, documenti, opuscoli contribuirono a delineare l'identità di questo gruppo di intransigenti. William Fulke redasse A Brief and Plain Declaration Concerning the Desires of All Those Faithful Ministers that have and do seek for the Discipline and Reformation of the Church of England. L'opera fu pubblicata solo nel 1584. Nello stesso anno Cartwright assieme a Walter Traves ideò una Disciplina Ecclesiae che circolò manoscritta. Nel 1588 uscirono i satirici Marprelate Tracts e A Demonstration of the truth of that discipline which Christ hath prescribed for the government of his Church di John Udall. Dudley Fenner elaborò una sintesi delle posizioni del gruppo sul piano più specificamente teologico in Sacra Theologia, The Grounds of Religion, e The Whole Doctrine of Sacraments. Quasi tutte le opere circolarono manoscritte o furono pubblicate all'estero, a Middleburg.

2. Nel ventennio tra il 1572 ed il 1588 si costituì in Inghilterra un "partito puritano"[3] di stampo presbiteriano, dotato di un programma ed organizzato[4]. L'aggettivo "presbiteriano" qui usato fa riferimento a due delle più importanti e controverse innovazioni che questi protestanti radicali associarono alla loro ecclesiologia, il presbiterio (o concistoro) come organo di governo della Chiesa su base territoriale locale ed il compito disciplinante assegnato ai ruling elders che del presbiterio facevano parte assieme ai pastori. Il disaccordo con gli anglicani non riguardò, per lo meno in età elisabettiana, questioni teologiche in senso stretto ma problemi di fondo sulla struttura della Chiesa nazionale, sulla liturgia, sul rapporto Chiesa/società cristiana. Per questi protestanti radicali la parola riforma era intesa come distruzione e ricostruzione dalle fondamenta: «Rimuovete l'Anticristo, testa, corpo e rami, ed insediate la purezza della Parola»[5]. L'Anticristo era la struttura gerarchica della Chiesa anglicana, che riproduceva quella cattolica, con un primate al vertice e la sequenza di vescovi, decani, arcidiaconi, diaconi, ecc., e del pari l'intero sistema delle corti ecclesiastiche, il cumulo di benefici che produceva assenteismo, la deplorevole preparazione teologica del clero, la sua scarsa attenzione per la cura delle anime, l'impropria presenza laica nella vita della Chiesa, il patronage system, l'istituto della dispensa, il diritto canonico, i paramenti che il clero era obbligato ad indossare. I ministri anglicani venivano bollati come «uomini per tutte le stagioni: preti di re Enrico, preti di re Edoardo, preti della regina Maria», usi a mettere all'asta licenze matrimoniali e scomuniche. I vescovi furono definiti «piccoli papi e piccoli Anticristi», colpevoli di «ineguale ed arrogante superiorità» sui loro fratelli nel ministero e sui fedeli. Le licenze che costoro concedevano erano sprezzantemente definite «marchio dell'Anticristo»[6].
La liturgia anglicana, il Book of Common Prayer, si configurava come "papismo travestito", a mingle-mangle, e non un ritorno alle Scritture e ai Padri della Chiesa come sostenevano gli anglicani. La prima Admonition to Parliament definiva senza mezzi termini il Prayer Book una liturgia presa «da quel letamaio papista che è il libro della messa»[7]. Pesanti critiche furono rivolte al calendario liturgico, al modo in cui veniva santificato il giorno del Signore, alla Litania, alle preghiere prescritte nei servizi, alle risposte obbligate dei fedeli, alle omilie. La liturgia sacramentale anglicana venne sottoposta ad un implacabile esame critico: il segno della croce sulla fronte del battezzando, le domande rivolte al bambino, l'istituto del padrinato, il women baptism, l'obbligo di inginocchiarsi nel momento in cui i fedeli ricevevano il pane ed il vino, le cosiddette comunioni private, il fatto che non venisse impedita agli indegni la comunione furono bollati come residui "papisti" che rischiavano di ingenerare nei fedeli la convinzione che non fossero intervenuti mutamenti di rilievo rispetto al passato cattolico. Il rito della cresima, il rito matrimoniale, la visita ai malati, il rito di purificazione delle donne dopo il parto, il servizio funebre, l'uso della parola "prete", il rito dell'ordinazione ed il fatto che ad ordinare fossero i vescovi, le "vesti" del clero erano parti ed aspetti della liturgia anglicana che andavano aboliti o modificati radicalmente[8].

3. Il conflitto tra anglicani e presbiteriani era un conflitto interno al protestantesimo inglese, tra fratelli che avevano in comune il sola Scriptura, il sola fide, il sacerdozio universale dei credenti, gli stessi sacramenti. Le loro divergenze riguardavano la natura ed estensione del primato delle Sacre Scritture, il rapporto tra libro sacro e storia cristiana, il rapporto tra Vecchio e Nuovo Testamento. Dietro c'era un diverso modo di intendere la natura del sacro e la identità di una società cristiana che poteva considerarsi purificata solo se capace di estirpare le molte radici del suo "anticristiano" passato cattolico.
Gli anglicani limitavano l'autorità delle Scritture alla fede; esse contenevano tutto ciò che era necessario alla salvezza; nessun articolo di fede poteva essere imposto al cristiano che non fosse contenuto nelle Scritture o da esse dedotto. La Parola di Dio era regola perfetta solo «per la fede e la vita». In questi termini si pronunciarono i Quarantadue Articoli del 1553, i Trentanove Articoli del 1563 e l'apologetica anglicana d'età elisabettiana. In materia liturgica ed ecclesiologica gli anglicani si rifacevano oltre che alle Scritture anche alla storia della Chiesa. La chiesa primitiva (apostolica) veniva contestualizzata storicamente: era nata nell'assenza di sovrani cristiani, con una forma di governo "popolare", ed era stata dotata da Dio di carismi speciali in seguito scomparsi. In questo senso appariva improponibile la sua restaurazione. L'antichità aveva un peso, lo aveva quanto meno quell'antichità che si fermava al momento in cui il papa era diventato l'Anticristo e la chiesa di Roma corrotta. La rottura nella continuità della storia cristiana era data dall'emergere e consolidarsi del primato del papa sulla Chiesa universale visibile e dalla dottrina della transustanziazione. Questi due pilastri del "papismo" erano stati sradicati dallo scisma enriciano e dall'ordine della comunione prescritto dal Book of Common Prayer che respingeva esplicitamente la dottrina della transustanziazione e parlava chiaramente di manducazione solo spirituale.

4. La storia cristiana non poteva essere considerata corrotta al punto da rendere necessaria una sorta di tabula rasa di istituzioni, riti, consuetudini. Gli apologeti anglicani d'età elisabettiana auspicavano un ritorno alla più pura tradizione dei primi secoli di storia cristiana. Gli «esempi di molte età», un prolungato consenso non contraddetto dalle Scritture erano sufficienti a legittimare istituzioni e riti. Le tradizioni della chiesa antica che non apparivano ad un esame imparziale proibite o in contraddizione con le Scritture potevano essere mantenute senza timore di infezione "papista ". In nome della «civiltà ed ordine» e della «vetusta antichità» John Whitgift aveva giustificato contro Thomas Cartwright il servizio funebre prescritto dal Book of Common Prayer. Le domande al bambino durante il rito battesimale erano «molto antiche», ed il segno della croce sulla fronte usato già nella chiesa primitiva. Per queste ragioni la Chiesa anglicana li aveva conservati nel rituale battesimale. La Chiesa anglicana aveva mantenuto il threefold ministry, i tre ordini distinti cioè di diaconi, preti e vescovi, con ciascun ordine che costituiva il gradino preparatorio e necessario per accedere all'ordine superiore, la figura dell'arcivescovo e difeso la possibilità che il clero assumesse incarichi civili. Cristo aveva lasciato alla sua Chiesa, non più servilmente vincolata dalla lettera come sotto la Legge, una certa libertà/discrezionalità nella forma di governo e nelle cerimonie. Il principio della ininterrotta continuità apostolica era accettato come un dato di fatto storico. Gli apostoli avevano goduto di eguale potere; il vescovo di Roma non aveva esercitato un'autorità maggiore del vescovo di Alessandria o di Antiochia. La parola arcivescovo era sicuramente estranea alla chiesa apostolica ma la funzione ed il tipo di autorità che la parola arcivescovo evocavano esistevano già allora. Timoteo e Tito erano arcivescovi di fatto, l'uno a Efeso, l'altro a Creta. Paolo era superiore a Tito e a Timoteo; Tito aveva superiorità su tutti gli altri pastori e ministri a Creta, perché era vescovo (Tt. 1.5). Del resto, il nome stesso, pur non apostolico, era molto antico, e nome e funzione erano comunque legittimi poiché appartenevano al "reggimento esteriore" della chiesa variabile secondo i tempi, i luoghi e le circostanze[9].

5. La Chiesa stessa era per gli anglicani un principio di autorità, che aveva il suo limite nel fatto che ogni sua decisione non doveva contrastare con le Scritture. Questa autorità le era stata conferita dall'Act on Restraint of Appeals in cui si affermava che la Chiesa inglese «per la sua conoscenza, integrità e adeguatezza di membri» poteva da sola, senza l'ingerenza di persone esterne, «risolvere e pronunciarsi su dubbi riguardanti la legge divina ed adempiere a tutti i doveri e compiti che le competevano in campo spirituale». La Chiesa decideva in materia di riti o cerimonie ed aveva autorità nelle controversie di fede. Era «testimone e custode» delle Sacre Scritture[10]. Altra fonte legittima di autorità era per gli anglicani il magistrato cristiano in virtù dell'Act of Supremacy che gli conferiva il titolo di «Supremo Governatore» della Chiesa.
Per gli anglicani il libro sacro si affiancava ad un ampio territorio di discrezionalità in cui trovavano riconoscimento antichità, consenso, costume, abitudine, ed esigenze politiche di «civiltà ed ordine», unità ed uniformità.
Per i presbiteriani invece il sola Scriptura era un principio d'autorità che escludeva qualsiasi altro. In senso stretto la dimensione dell'adiaforico era quasi inesistente. Perentoriamente la seconda Admonition to Parliament affermava: «La Parola è al di sopra della Chiesa, sicuramente al di sopra della Chiesa inglese»[11]. Essa contiene «le direttive su tutte le cose spettanti alla chiesa, su qualunque cosa addirittura possa far parte della vita dell'uomo». Veniva citato Paolo: «sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (I Cor. 10.31). Ciò che Paolo affermava del cibo era estendibile a tutto ciò che il cristiano faceva ed usava. L'agire del cristiano era basato sull'obbedienza e non c'era obbedienza se non del comandamento di Dio[12]. Nulla poteva essere considerato allora «indifferente».
Tutto ciò che non si configurava come ordine o esempio presente nella Parola di Dio doveva essere respinto. «Vi preoccuperete di mettere in pratica tutto ciò che vi comando; nulla vi aggiungerete e nulla ne toglierete» (Deut. 13.1). La Chiesa, nella sua qualità di casa di Dio, doveva essere governata «secondo l'ordine prescritto dal padrone di casa in persona». Persino il piccolo margine di discrezionalità concesso all'uomo per costruirla era individuabile solo nelle Scritture[13].

6. Nell'elaborazione presbiteriana venne attenuata, fin quasi a scomparire, la distinzione luterana e calviniana, tra Parola e libro. La Parola era il libro sacro, era materialmente la Bibbia, i libri canonici del Vecchio e del Nuovo Testamento. Le Sacre Scritture erano kerigma, rivelazione di promesse che suscitano la fede e trasformano l'uomo, «dolce sapore» che produce effetti spirituali. Esse erano però, nel contempo, rule, parola usata sia in riferimento alla fede e al comportamento nel mondo sia come sinonimo di norma, regola, lex, codice riguardante un territorio più ampio della fede.
Chiesa e magistrato civile erano subordinati alle Scritture intese come norma, legge. La Chiesa doveva essere fedele applicatrice di tutto ciò che era rivelato nel testo sacro, rispetto al quale non aveva alcuna facoltà di innovazione. La sua autorità non dipendeva da quella del magistrato cristiano:

La Chiesa di Dio era perfetta prima che ci fosse un qualche principe cristiano. Anzi, la Chiesa di Dio può reggersi, ed invero oggi si trova in una condizione felice anche dove i magistrati civili non la favoriscono. È evidente dunque che il governo della Chiesa non dipende dall'autorità dei principi, ma dall'ordinanza di Dio che l'ha misericordiosamente e saggiamente stabilita in modo che fiorisca e prosperi con l'aiuto dei magistrati cristiani, e tuttavia può continuare in vita e prevalere sui suoi nemici anche senza il loro aiuto. La Chiesa chiede aiuto e protezione ai principi cristiani per continuare ad erigere il regno di Cristo in modo pacifico e proficuo. Essa riceve però tutta la sua autorità immediatamente da Dio[14].


7. Il sovrano poteva (e doveva) riformare la Chiesa ma solo nel rispetto rigoroso delle Scritture, rispetto che escludeva totalmente sia le tradizioni umane che le esigenze politiche. In una lettera a Cartwright Anthony Gilby scriveva che la regina poteva ordinare «qualsiasi pezzo di papismo» giustificandolo in nome della «politica». Elisabetta avrebbe dovuto ricordare che Nabucodonosor fece costruire l'idolo per ragioni politiche, avendo come obiettivo l'unità e l'uniformità. La «politica» poteva produrre mostri. La Parola di Dio di contro autorizzava «a sradicare tutti i monumenti della superstizione e dell'idolatria». Nessuna obbedienza e concordia erano possibili laddove la gloria di Dio non venisse anteposta a tutto. La politica cristiana era basata sul nutrimento, sull'edificazione del popolo di Cristo[15]. I presbiteriani accettavano la supremazia regia nel senso che l'Inghilterra era un imperium, superiorem non reconoscens, il cui capo deteneva la giurisdizione sulle persone civili ed ecclesiastiche, sul corpus politicum e su quello mistico. La supremazia regia però era associata ad un modello biblico di regalità, alla riproposizione della coppia Mosè-Aronne. Non era il sovrano devoto a definire la politica ecclesiastica; suo compito era installare e proteggere la «vera religione», senza deviare dalla strada esplicitamente indicata da Dio e da Cristo. Il magistrato non governava la Chiesa, autorità che spettava solo a Cristo, ma la difendeva come un buon padre adottivo[16]. La Parola era il solo canone e regola di tutte le questioni che riguardavano la religione, il culto ed il servizio a Dio. Ciò che non appariva giustificato dalla Parola era illegittimo. Costringere allora un cristiano a compiere atti o gesti nell'ambito del culto, che non potevano con evidenza essere legittimati dalla Parola si configurava come peccato, e la coscienza scrupolosa poteva disobbedire[17]. Gi aspetti visibili con cui si esprimeva il culto interiore facevano parte integrante del culto pubblico e come tali erano prescritti da Dio. Superstizione significava anche imporre riti e cerimonie qualsiasi e mischiarli con i riti e le cerimonie che erano invece propriamente ordinanze divine. Per i presbiteriani le Scritture diventavano normative al punto da condizionare persino momenti irrilevanti del rito. Il passo «In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli» (At. 1.15) venne citato da Cartwright per criticare la liturgia anglicana che prevedeva che il ministro, nel dire la preghiera mattutina e serale, rivolgesse la schiena ai fedeli «come se stesse facendo una qualche segreta conversazione con Dio» che i fedeli non potevano ascoltare. «In mezzo ai fratelli» significava che tutto ciò che il ministro eseguiva in chiesa doveva essere fatto nel luogo e nel modo più opportuni affinché i fedeli potessero meglio seguirlo ed ascoltarlo[18].

8. Il primato delle Scritture era il metro con cui i puritani giudicavano la storia della Chiesa, storia di corruzione e contaminazione, da cui si poteva uscire ritornando all'unica sorgente pura ed infallibile, le Scritture. I Padri della Chiesa, i cosiddetti concili generali potevano essere rispettati in taluni casi, ma non erano in sé un principio di autorità. La vera disciplina di Cristo escludeva tutte le tradizioni umane[19]. Il problema della acculturazione dei fedeli alla nuova fede protestante venne affrontato dagli anglicani con le omilie per le più importanti questioni dogmatiche, con l'Act of Uniformity e le leggi che obbligavano a frequentare il servizio domenicale per tutto ciò che concerneva le devozioni pubbliche e con la conservazione del vecchio apparato di corti ecclesiastiche sul piano della disciplina. Ogni chiesa doveva possedere una copia della Bibbia e del Book of Martyrs di John Foxe. L'inadeguatezza e per certi versi la pericolosità di questi strumenti fu denunciata dai presbiteriani che avevano dell'edificazione dei fedeli una visione radicalmente diversa. Essi si posero in modo esplicito un problema di evangelizzazione della società inglese; non si trattava di abusi da correggere ma di un insieme di idee, comportamenti e pratiche che dovevano essere sradicati totalmente. Un'autentica e proficua evangelizzazione appariva impossibile senza un'opera di purificazione che investisse la Chiesa nazionale nelle sue strutture centrali e locali, il rapporto tra Chiesa e potere politico e tra chiesa e società. Ciò implicò l'individuazione di forme di coercizione e di controllo. Al cuore del modello presbiteriano è l'idea della disciplina, possibile però solo all'interno di una Chiesa autenticamente riformata e di uno stato che assumesse fino in fondo il carattere di stato cristiano[20]. Ad evidenziarne la necessità nel mondo protestante era stato per primo Bucero, che la intese come «normativa scritturale del comportamento»[21]. La sua opera, De Regno Christi, svolse un ruolo importante nell'elaborazione presbiteriana. Calvino aveva delegato la supervisione ed il controllo sul comportamento al concistoro, e così fece anche il Book of Common Order scozzese[22]. Edificare significava riformare il cristiano comune, spesso rozzo ed ignorante, allontanandolo da ogni forma di idolatria e superstizione. L'indulgenza nei confronti di una sua presunta debolezza appariva pericolosa. Mentre per gli anglicani l'eventuale abuso perpetrato dai cattolici non era una ragione sufficiente per abolire una cerimonia e la superstizione di alcuni non impediva l'uso legittimo di cose legittime, per i presbiteriani le pubbliche devozioni che conservavano tracce del passato cattolico erano veicoli di corruzione, erano «erbacce e droghe». Edificare significava trasformare degli idolatri, superstiziosi, semipelagiani in cristiani, ai quali, tramite la predicazione, si doveva mostrare in modo deciso e rigoroso l'unico principio di autorità, la Parola di Dio. Le debolezze del cristiano comune potevano essere superate solo attraverso una paziente opera di predicazione ed insegnamento svolta da un clero specificamente formato. «Il dovere di dottori e pastori è principalmente insegnare ed istruire il popolo di Dio in tutte le cose che Dio ha stabilito debbano conoscere»[23].

9. L'edificazione presupponeva la costruzione di una nuova chiesa. Questa Chiesa poggiava su quattro officers (pastori, dottori, anziani e diaconi), sull'assenza di una gerarchia, sulla separazione e distinzione tra incarichi ecclesiastici e civili, su di una struttura nazionale articolata sul territorio e basata sul presbiterio (o concistoro), la conferenza, il sinodo provinciale e quello nazionale. Il presbiterio governava la singola congregazione, ammoniva e censurava, scomunicava e riammetteva con l'assenso della congregazione. I ruling elders dovevano conoscere ogni casa, ogni persona che facesse parte della congregazione ed informare il ministro delle condizioni spirituali di ognuno. Inquisivano sui costumi, e nel concistoro punivano congiuntamente ai pastori ogni forma di vizio, purché pubblico e reiterato, sotto forma di ammonizione e scomunica[24].
La disciplina era per i presbiteriani una nota della vera Chiesa; doveva essere impartita «per tenere gli uomini in soggezione» ed impedire che trasgredissero. Il pubblico biasimo favoriva il pentimento del singolo e funzionava da deterrente almeno nei confronti di coloro che temevano una punizione analoga. In assenza di disciplina, la malvagità dilagava a disonore di Dio e del suo Vangelo. Disciplina significava «punire i trasgressori e condurli al pentimento, oppure tagliarli di netto dalla chiesa come membra marce e infette». Essa impediva il manifestarsi della «infezione del peccato all'interno della chiesa». La scomunica colpiva non la malattia lieve ma la malattia mortale ed il malato «completamente putrefatto». I peccati da colpire con la scomunica erano quelli indicati da Paolo nella prima lettera ai Corinti: l'incontinenza sessuale, l'avidità, l'idolatria, la calunnia, l'ubriachezza, l'estorsione (I Cor. 5.11). Un ostinato che non si era pentito dopo l'ammonizione e colui che, pur colpevole di mancanze lievi, era ricaduto nel peccato potevano essere scomunicati. Lo scomunicato poteva essere riammesso nella Chiesa purché manifestasse evidente e sincero pentimento e ne desse pubblica dimostrazione. In questo senso venivano interpretati Mat. 18.15-17 e 2 Ts. 3.6. L'esercizio della disciplina non poteva essere demandato all'intera congregazione, pena «orribile confusione e disordine». Il presbiterio, organo collegiale ed elitario, era il luogo dell'esercizio della disciplina che comprendeva anche una severa selezione di coloro che intendevano accostarsi alla comunione; sostituiva le vituperate corti ecclesiastiche mal funzionanti e lassiste, «la giurisdizione tirannica» del vescovo[25]. In questo modo veniva garantito un alto livello di moralità pubblica e privata.

10. Predicazione e disciplina erano efficaci solo nel quadro di uno stato che avesse come obiettivo la gloria di Dio e l'istituzione di una società cristiana. I suoi compiti secolari erano trascurabili rispetto al suo obiettivo primario, che in un famoso sermone tenuto davanti ad Elisabetta Edward Dering definì «nutrire il popolo di Dio in Giacobbe, e la sua eredità in Israele»[26]. Stato cristiano era quello in cui Chiesa e principe collaboravano per la realizzazione di questo obiettivo, ciascuno nella propria sfera di competenza; era lo stato che si riconosceva nella legislazione mosaica. Thomas Cartwright riteneva che la legge mosaica o, meglio, certi aspetti di essa dovessero essere mantenuti. Il libro sacro riguardava tutte le circostanze e situazioni della vita terrena dei cristiani. Le leggi morali, cerimoniali e giudiziarie rimanevano in vigore nella misura in cui Dio non aveva ordinato esplicitamente la loro revoca, né Cristo in persona le aveva mutate. Cristo aveva abrogato la legge cerimoniale, che era «legge di inimicizia», un muro per tenere il popolo eletto lontano dai gentili e distinguersi da essi. La legge morale era invece in pieno vigore, avendo Cristo abolito la maledizione della legge, il muro tra l'uomo e Dio. Le leggi giudiziarie di Mosé, quelle leggi «meramente politiche» che non presentavano aspetti cerimoniali, dovevano rimanere in vigore, poiché non impedivano la riconciliazione di ebrei e gentili con Dio, né degli uni con gli altri. Nell'espletare la loro funzione legislativa i magistrati cristiani dovevano tenere presente quelle leggi come punto di riferimento poiché avevano «una perpetua equità»; esse erano inoltre più perfette delle leggi che la ragione umana era riuscita a proporre. Il magistrato doveva mantenere «la sostanza e l'equità» della legge giudiziaria mosaica come se fosse «il midollo», modificando «le circostanze» come richiedevano i tempi, i luoghi ed il popolo nei confronti del quale veniva applicata. Cartwright cita la condanna a morte dell'idolatra, del bestemmiatore, dell'omicida, dell'incestuoso come esempio di leggi da conservare. Le severe punizioni previste dal Vecchio Testamento contro i falsi profeti valevano sotto il Vangelo per punire i falsi maestri, cioé gli eretici. Colui che si era allontanato da Dio, ed aveva trascinato altri con sé doveva essere punito secondo la legge prescritta nel cap. 13 del Deuteronomio. Osserva Cartwright: «Se appare estrema, sono contento di essere dello stesso parere dello Spirito Santo». Nei casi di idolatria e di pubblica o orribile bestemmia del nome di Dio, egli negava si potesse risparmiare la vita. «Colui che sopprime la vita dell'anima, deve morire». L'onore di Dio era più prezioso della vita degli uomini. I magistrati che si limitavano a punire coloro che trasgredivano la seconda Tavola, incominciavano dal punto sbagliato. Per purificare il commonwealth da mali come il furto, il tradimento, l'omicidio, l'adulterio, occorrevano «dure e severe punizioni» contro i trasgressori della prima Tavola. Paolo, nel momento in cui riconobbe la legittimità della spada in mano al magistrato, lo trasformò in «ministro e servitore della vendetta e della giustizia del Signore contro il peccato»[27].

11. Gli anglicani citavano volentieri i devoti re di Giuda ed Israele in chiave antipapale, ma evitavano i riferimenti alla legislazione mosaica. I precetti di natura civile ivi contenuti non dovevano necessariamente essere accolti dallo stato. Il cristiano rimaneva vincolato all'obbedienza della sola legge morale[28]. Per il resto, erano le leggi del paese ad individuare i reati e a comminare le relative pene. Con sarcasmo Whitgift osservava che se fosse stato accolto il suggerimento di Cartwright gli uomini di legge avrebbero dovuto gettar via i loro libri e conservare la sola Bibbia; i teologi sarebbero diventati di conseguenza i giudici migliori[29]. Nel pensiero presbiteriano il richiamo alla legge mosaica non riguardava solo l'individuazione di taluni peccati/reati, ma anche il tipo di pena. La pena di morte veniva legittimata in questo modo con motivazioni religiose e non secolari: essa era stata esplicitamente istituita da Dio.
L'edificazione implicava un intervento coercitivo sulla "cultura popolare" ad opera della pubblica autorità. La seconda Tavola ordinava «sobrietà e temperanza», un uso moderato cioè e frugale di tutto ciò che riguarda il corpo, il cibo, il vestiario, il riposo, i divertimenti. Le fiere, le taverne, i mercati, i giardini parrocchiali e le strade usate nel giorno del Signore per commettere azioni immorali e licenziose dovevano essere chiusi, e proibiti quei giochi che, configurandosi come azzardo, sfidavano la Provvidenza[30].
Anglicani e presbiteriani valutavano in modo diverso il rapporto tra Vecchio e Nuovo Testamento. Gi anglicani si limitavano a sostenere che il Vecchio Testamento non contraddiceva il Nuovo, poiché in entrambi veniva offerta all'umanità «la vita eterna da Cristo», unico Mediatore tra Dio e l'uomo. Il Vecchio Testamento era recepito solo in chiave profetica e di legge morale. I presbiteriani di contro assegnarono al Vecchio Testamento un ruolo forte: esso offriva il modello di come gli ordini divini in materia di Chiesa, di rapporti tra magistrato e clero, di leggi, di disciplina fossero stati imposti e recepiti dal popolo eletto. Il presbiterio, centro dell'azione disciplinante, era considerato un "trasferimento" nel Nuovo Testamento di un istituto ebraico, considerato omologo, il sinedrio[31]. Il Vecchio Testamento conteneva il modello di una società santa le cui leggi, istituzioni, riti, credenze venivano direttamente dalla bocca di Dio, dalle sue parole. Il rapporto tra Vecchio e Nuovo Testamento inoltre venne affrontato dai presbiteriani attraverso la dottrina del doppio patto. La dottrina del doppio patto è in genere associata al nome e alle opere di William Perkins; essa tuttavia appare già in alcuni scritti di Thomas Cartwright e di Dudley Fenner. «L'intero libro di Dio, chiamato Bibbia, contiene due parti, la legge ed il Vangelo, definiti in altri termini patto di opere e patto di grazia». Il primo è la legge data ad Adamo prima della caduta. La sintesi della legge è: «fai questo, e vivrai», rispetta i comandamenti in pensieri, parole ed opere. Il primo comandamento della prima Tavola è il fondamento da cui tutti gli altri dipendono e a cui sono riferiti.

12. Il patto di grazia è caratterizzato dalle parole: «credi in Cristo, e vivrai». Ciò che Dio nella sua ira ha tolto, viene restituito attraverso il perfetto sacrificio di Cristo: la restituzione consiste nel perdono dei peccati e nell'imputazione di giustizia, che è «l'applicazione della perfetta giustizia di Cristo all'uomo e il prenderla per propria». I due patti si presentano diversi nelle condizioni e nella possibilità da parte dell'uomo di onorarle. Pur diversi e distinti, i due patti non vengono messi in contrapposizione[32]. Nell'elaborazione presbiteriana il Vecchio Testamente assunse anche in questo modo una centralità assente nella dottrina anglicana.
Attorno al 1580 i presbiteriani si trovarono a fare i conti con critiche severe ai loro obiettivi e tattiche, al loro modello di chiesa. Robert Browne, Robert Harrison, John Greenhood, Henry Barrow possono essere definiti separatisti di tipo congregazionalista[33]. A differenza dei presbiteriani avevano rotto i vincoli con la Chiesa anglicana, scelto di fondare o di aderire a comunità ecclesiali di «puri». In tal modo si erano resi colpevoli di un grave reato, che una legge draconiana, approvata nell'aprile 1593, rese passibile, in caso di recidiva, di pena di morte. I separatisti furono costretti a scegliere tra clandestinità ed esilio. Terra di esilio fu in quegli anni l'Olanda. Essi avevano in comune con i presbiteriani l'affermazione dell'esclusivo primato delle Scritture: «La parola di Dio è l'archetipo e campo di lavoro di tutte le condizioni, ceti ed azioni sia ecclesiastiche che civili, da cui devono essere regolate e giudicate»[34]. Le Scritture non riguardavano solo la soteriologia: il Nuovo Testamento aveva rivelato un modello perfetto ed immodificabile di chiesa e di culto, che specificava tutto «nelle cose esterne grandi e piccole». Solo mere circostanze di tempo e di luogo legate al culto potevano essere oggetto di decisione umana discrezionale. Le uniche tradizioni accettabili erano quelle di cui era certa «l'autorità divina ed evangelica» o l'origine apostolica e paolina. I separatisti riconoscevano di aver imparato da Thomas Cartwright a considerare anticristiane le vocazioni della Chiesa anglicana, il cui clero e gerarchia definivano «coda del drago». I presbiteriani tuttavia non avevano voluto «uscire da Babilonia». Eppure l'impurità, la contaminazione infettavano oltre che la Chiesa e la liturgia i fedeli stessi. Impurità era soprattutto il papismo, la «sozza idolatria». Impuri erano anche coloro che ne mantenevano «vestigia e reliquie». Rimanere in comunione con costoro significava assoggettarsi alla disciplina dell'Anticristo. Bisognava pur distinguere la casa di Dio da un covo di ladri. Cartwright invece trattava le parrocchie inglesi come se fossero chiese di Cristo. Il rapporto di comunione con le chiese parrocchiali, che non distinguevano tra fratelli e publicani e non separavano i puri dagli impuri, doveva essere rotto. Esse difettavano non «in uno spillo o in un gancio o in una tenda», ma «nei pilastri e nelle mura». I comportamenti corrotti non dovevano inquinare i veri figli della chiesa[35].

13. «Riconosciamo che ci sono molte impurità negli uomini, ma essendo segrete, non danneggiano apertamente la chiesa; quelle invece che si manifestano apertamente nel comportamento sono macchie e rughe che dichiarano che la chiesa non è santificata»[36].
Non toccare le cose impure significava astenersi dai «contaminati sacrifici dei preti», non comunicare con loro né condividere con loro alcunché (Mal. 1). La fuga dall'impurità venne difesa con riferimenti a passi del Vecchio e del Nuovo Testamento. In Israele l'incirconciso ed il contaminato «nella carne» non potevano entrare nel tempio (Is. 52.1). Al tempo di Davide si era ammessi al tempio solo dopo aver abbracciato la fede. I devoti re di Giuda ed Israele ammettevano alla celebrazione della Pasqua dopo la purificazione prescritta dalla Legge; essi riformarono la religione di Israele, ma non aprirono il tempio ai profani: l'ira di Dio li avrebbe «bruciati». Vincolava anche i cristiani ciò che era legge in Israele. I separatisti citavano con frequenza i libri profetici, interpretavano l'esodo dall'Egitto e la fuga da Babilonia come "figure" del loro allontanamemto dai persecutori anglicani. In Egitto «l'intera chiesa era in schiavitù, ed intera se ne era andata»[37].
Le lettere paoline (1Cor. 5.9-13; 2Cor. 6.17,18; Rm. 16.17) venivano invocate per giustificare la separazione «per giusta causa». Il libro dell'Apocalisse offriva una dimensione escatologica alla scelta separatista: «Poiché udii un'altra voce dal cielo:Uscite, popolo mio, da Babilonia per non associarvi ai suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli» (Ap. 18.4)[38].
La chiesa doveva essere fondata da puri e costituita di puri. La purezza personale si rendeva visibile attraverso un patto volontario con Dio. Questo patto era soggetto a condizioni: integrità da parte dell'uomo e promessa da parte di Dio. Colui nel cui cuore regnavano «aperta e grossolana malvagità» non era in grado di stipulare «il patto dello spirito». Dio voleva dal suo popolo «un nuovo spirito ed un nuovo cuore» (Ez. 11.19,20). La fede interiore non poteva essere scissa dal comportamento, né l'iniquità manifesta infettare i figli di Dio. Dio ha stipulato e stipula un patto soltanto con coloro che hanno voltato le spalle all'iniquità[39].

14. Il patto riguardava i degni che lo dovevano a loro volta mantenere incontaminato. Non si conducevano al santuario «gli incirconcisi, gli stranieri, per contaminarlo, quei malvagi miserabili cioè che non hanno il patto». Costoro non potevano partecipare nemmeno «alla preghiera e all'ascolto della Parola di Dio». Patto e chiesa erano legati ad «una professione di fede buona e devota»[40].
Cartwright e Fenner avevano introdotto l'idea di patto ma solo in riferimento all'ordo salutis. Browne riprese l'idea di patto tra Dio ed il suo popolo avendo come modello il patto che Dio stipulò con Israele all'uscita dall'Egitto, il patto sul Sinai (Es. 19). Il Vecchio Testamento venne legato al Nuovo, alla lettera in cui Paolo riprende il tema del patto: «Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò/e sarò il loro Dio/ed essi saranno il mio popolo./Perciò uscite di mezzo a loro/e riparatevi, dice il Signore,/non toccate nulla di impuro./E io vi accoglierò,/ e sarò per voi come un padre,/e voi mi sarete come figli e figlie,/dice il Signore omnipotente» (2Cor. 6.16ss.)[41].
La chiesa era il risultato di questo patto ad un tempo individuale e collettivo: «una compagnia e società di fedeli e santi raccolta assieme nel nome di Cristo Gesù, il loro unico re, prete e profeta. Essi lo adorano correttamente e sono governati in pace dai suoi officers e leggi e mantengono genuina l'unità della fede nel vincolo della pace e dell'amore»[42]. Questa compagnia di santi era il popolo di Dio, che aveva infranto i rapporti con «le opere delle tenebre»
Il patto si conservava inviolato ed incontaminato attraverso la disciplina. «La chiesa è solo in coloro in cui vediamo lo Spirito, e cioè le grazie dello Spirito attraverso le buone opere, e la verità, cioè l'osservanza delle leggi e della Parola di Cristo». Colui che aveva aderito al patto non poteva contaminarsi con un «comportamento sregolato». La chiesa dei puri non sopportava i dissoluti o gli indisciplinati. Le prime comunità cristiane si erano macchiate di ipocrisia ed aperte violazioni dei comandamenti: in questi casi veniva applicata la terapia consigliata da Paolo: «Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è impudico o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare insieme» (1Cor. 5.11). Esisteva un cibo che si condivideva nel mondo con gli impuri ma che era proibito condividere nelle assemblee della chiesa: «Se un fratello separato e caduto dovesse sedersi a tavola per mangiare in una locanda, sarebbe illegittimo alzarsi da tavola a causa della sua presenza, sarebbe contrario alla comune carità e all'umanità, nonché alla pace e comunione con lo stato». I vincoli sociali e familiari dovevano essere mantenuti: questo era il territorio in cui puri ed impuri convivevano. Dentro la chiesa questa mescolanza non era possibile. «Vi ordiniamo pertanto, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, di tenervi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata e non secondo la tradizione che ha ricevuto da noi» (2Ts. 3.6). Un malvagio non scomunicato corrompeva l'intero gruppo. Se taluni cadevano, il resto si conservava incontaminato grazie alla disciplina della chiesa[43].

15. La disciplina doveva essere esercitata da tutti i santi, poiché nei confronti del patto tutti i santi erano eguali. I separatisti misero sotto accusa «il potere del presbiterio»; ritenevano che la parola "chiesa" fosse impropriamente attribuita ai sinodi o ad istanze diverse dalle singole congregazioni. Le congregazioni avevano eguale autorità, si rapportavano tra di loro all'insegna del consiglio, non della censura, né della gerarchia. Il bersaglio polemico era «la disciplina arrogante» che riscontravano in Scozia, la tirannia dei molti al posto di quella di uno solo. Il modello presbiteriano rischiava di reintrodurre «un papa o un orgoglioso popelinge». Solo la congregazione riunita aveva il potere di scomunica. Le parole di Matteo sul modo di ammonire, correggere e punire il fratello macchiatosi di colpa grave si riferivano ad ogni membro della chiesa. La disciplina riguardava il fratello che «offendeva» e non coloro che i separatisti qualificavano come «incirconcisi», «stranieri», «spregiatori o mondani negligenti»[44]. La chiesa formata da santi visibili non aveva potere che nei riguardi dei propri membri. Il modello ecclesiologico separatista era, per il momento, incompatibile con un progetto di disciplinamento dell'intera società. Erano le comunità di puri ad autodisciplinarsi.
I primi separatisti si divisero, a loro volta, sul problema del battesimo impartito ai bambini. Come i presbiteriani ammettevano il pedobattismo: i bambini venivano accolti nelle gathered churches non per professione di fede, ma per la promessa fatta «ai giusti e al loro seme». Il testo che legittimava questa pratica era il patto stipulato da Dio con Abramo (Gen. 17,7)[45]. Il separatista John Smyth meditò sul patto di Dio con Abramo e finì con l'individuarne due: il primo era stato stipulato da Dio con Abramo ed il suo seme carnale, ed il suo sigillo era la circoncisione. Il secondo fu stipulato da Dio sempre con Abramo, ma con il suo seme spirituale; sigillo in questo caso fu lo «Spirito Santo della promessa». Il Vecchio Testamento parla di un patto carnale e del suo sigillo carnale, la circoncisione, il Nuovo di un patto ed un sigillo spirituali. Il testo di Genesi andava interpretato facendo riferimento al passo paolino che parla di questo argomento. Dice Paolo: «Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. Ma quello della schiava è nato secondo la carne; quello della donna libera, in virtù della promessa. Ora, tali cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due Alleanze».(Gal. 4.24)

16. Se due erano i patti e due i sigilli, la circoncisione (Gen. 17.11) e lo Spirito Santo della promessa (2Cor. 1.22; Ef. 1), un terribile fraintendimento nasceva nel momento in cui si trasformava la circoncisione in sigillo dello Spirito eterno. Su tale equivoco era basato il pedobattismo. In Smyth l'interpretazione tipologica poggiava sull'assunto che l'antitipo era anche letteralmente l'esatto contrario del tipo. Il tipo, l'ombra, la similitudine di una cosa non erano la cosa stessa, la sua sostanza[46]. Il tipo era sempre carnale, e lo si trovava nel Vecchio Testamento, l'antitipo sempre spirituale e lo si trovava solo nel Nuovo Testamento. Era l'antitipo a vincolare il cristiano. Il battesimo, sigillo del patto neotestamentario, riguardava coloro che apparivano in grado di rispettare le condizioni del patto, pentimento e fede, e cioè gli adulti.
Alla fine del regno di Elisabetta i protestanti che criticavano in modo radicale la Chiesa d'Inghilterra, la sua liturgia ed il suo modo di rapportarsi alla società, e che elaborarono, ed in certa misura praticarono, modelli alternativi sul piano ecclesiologico e liturgico presentano almeno tre volti. Li divide anzitutto la diversa risposta data al problema dell'atteggiamento da tenere nei confronti delle parrocchie e dei servizi ivi praticati, partecipazione o separazione. Li divide il modello di Chiesa, che avrebbe dovuto sostituire la contaminata Church of England. Li divide anche l'interpretazione del testo sacro: Robert Browne metteva in guardia contro la contaminazione delle Scritture ad opera della «vana logica» e della «vana filosofia» con i suoi pericolosi sillogismi. I battisti usarono il senso tipologico in chiave spiritualistica[47]. Le loro differenze celano però una identità comune, che può essere individuata in una concezione spirituale e spiritualizzata del sacro e definita con il vecchio, abusato termine "puritanesimo". La parola "puritano" esprime sul piano del linguaggio il rifiuto espresso da tutti questi protestanti radicali di attribuire il connotato della santità/sacralità a individui, oggetti, spazi, luoghi, tempi. Esprime il rifiuto di legare il sacro/santo, oltre che alla perfezione morale, anche alla potenza, e di concepire, a sua volta, la potenza come mezzo e fonte di salus nel duplice significato di salvezza e salute spirituale e materiale[48]. Nell'universo puritano sacro/santo vengono considerati attributi propri in modo esclusivo del trascendente, cioè di Dio (della Trinità) e di ciò che Dio ha comunicato agli uomini, la sua volontà, la sua legge, le sue promesse. Nessun oggetto, nessuna dimensione del mondo creaturale possono essere connotati come sacro/santo, nemmeno ciò che è consacrato a Dio, nel senso di sottratto all'uso profano per essergli riservato (chiese, oggetti, persone, tempi, spazi).

17. Nei battisti il rifiuto di qualsiasi connessione tra il sacro ed il mondo materiale è talmente radicale da investire persino la lettura del testo sacro nell'ambito del culto pubblico. Il culto è «un'azione spirituale che viene originariamente dal cuore». Il culto spirituale è espressione del «lavoro dello Spirito», ed è fondato sul fatto che l'anima rigenerata si «muove». I libri appartengono alla stessa natura delle immagini: sono ceremonial. Leggere da un libro, sia pure la Bibbia, non può essere considerato culto spirituale: lo è invece sia il profetare che il cantare salmi. Leggere è solo un aiuto per avvicinare il santo al culto spirituale, ma non fa parte del culto reso a Dio nel vero senso della parola[49]. Le parole di Giovanni «in spirito e verità» vengono prese alla lettera.
Si può parlare di una concezione dematerializzata del sacro che con il tempo divenne anche desacramentalizzata. Sacro/santo rimandono ad un altro termine, e cioè puro, in contrapposizione a contaminato. Il contaminato è identificato con l'idolatria e la superstizione; l'impuro è tutto ciò che appare non conforme alla Parola di Dio, alla sua rivelazione. Idolatra è soprattutto il "papismo". Da qui la profonda avversione che talvolta rasenta l'isteria nei confronti del mondo cattolico e di tutto ciò che all'interno dell'universo protestante appariva come conservazione o, peggio, ripristino intenzionale di elementi papisti. Di qui anche l'insistenza maniacale sull'assoluto primato delle Sacre Scritture, unica garanzia contro gli idoli. Idolo è tutto ciò che l'uomo propone ed impone per essere adorato al posto di Dio. Il capitolo 12 del Deuteronomio dà un'idea precisa del "programma" puritano in quanto esprime senza ambiguità la volontà divina di mantenere Israele incontaminato dal nefasto influsso dei popoli idolatri: «Distruggerete completamente tutti i luoghi, dove le nazioni che state per scacciare servono i loro dei: sugli alti monti, sui colli e sotto ogni albero verde. Demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete nel fuoco le statue dei loro dei e cancellerete il loro nome da quei luoghi»[50].

18. Presbiteriani, congregazionalisti, battisti usano con estrema frequenza l'aggettivo santo/ sacro ed il sostantivo santo/i. Li usano in riferimento ad uomini, a condizioni (matrimonio, professione), a istituzioni. Da un lato desacralizzano il mondo, dall'altro lo sacralizzano. In questo caso l'aggettivo sacro/santo viene usato per significare che istituzioni, condizioni, uomini appaiono conformi al volere di Dio, alla legge di Dio, alle sue ordinanze. Il matrimonio è santo se contratto e vissuto secondo l'ordinanza di Dio esplicitata nelle Sacre Scritture. La professione esercitata è santa quando appare un'autentica e consapevole risposta alla chiamata (calling) di Dio, chiamata che ha il valore di un ordine, ed è esercitata in conformità al volere di Dio nei modi, nei mezzi e nei rapporti interpersonali, persino in foro interiore.
Dietro questa concezione del sacro sta la consapevolezza che il rapporto Dio/uomo è strutturato sulla dimensione del dominio/obbedienza, sovranità/sudditanza. Il primo comandamento «Non avrai altro Dio al di fuori di me» traduce quest'idea. Come sovrano Dio imparte ordini, promulga leggi: comandi e leggi sono esplicitati nella sua Parola. Parola di Dio significa Sacre Scritture, libro sacro, Bibbia. Questa Parola è l'unica autorità. Osserva il separatista Harrison che Dio ha imposto una legge al creato come «marchio e segno della sua signoria e sovranità»: Nel caso dell'uomo questa legge è costituita da due Tavole. In esse Dio proibisce qualcosa e, nel contempo, ordina di fare il contrario di ciò che proibisce. Obbedire a questa legge è l'unico modo per testimoniare il riconoscimento e l'accettazione di questa sovranità. Violare la legge divina significa rinnegare Dio come creatore e signore[51]. «Non possiamo glorificare Dio se non con l'obbedienza alla sua Parola, ed in tutto ciò che facciamo, dobbiamo glorificarlo»[52]. Obbedire al comando di Dio è un imperativo a cui la coscienza non può sottrarsi. La disobbedienza si presenta come apostasia, empietà, ateismo, ribellione nei confronti di Dio, unico signore e sovrano. L'idea di patto rafforza questa concezione del rapporto Dio/uomo, poiché rappresenta il momento/luogo in cui questo rapporto si realizza visibilmente, a livello individuale per i puritani presbiteriani, collettivo per congregazionalisti e battisti.
La parola "puritano" tuttavia non rende giustizia delle differenze. Occorre anche connotare gli elementi fondanti dei diversi modelli ecclesiologici. In questo senso i termini "presbiteriani", "congregazionalisti", "battisti", che in età elisabettiana non fanno ancora riferimento a specifiche denominazioni, possono essere usati come integrazione necessaria.

 

[1] Cfr. D. J. MCGINN (ed. ), The Admonition Controversy, New Brunswick, Rutgers University Press 1949, 26, 372.

[2] Whitgift rispose all'Admonition con Answere to a certen Libell intituled, An Admonition to the Parliament. Thomas Cartwright replicò con Replye to an answere made of M. Doctor Whitegifte againste the Admonition to the Parliament. Nel febbraio 1574 Whitgift riattizzò la polemica con Defense of the Answere to the Admonition against the Replie of T. C. Nel 1575 e nel 1577 Cartwright pubblicò una Second replie e The rest of the second replie.

[3] Sull'uso del termine puritano in questo articolo cfr. infra, 27 e sgg.

[4] Sui leaders, sulle opere e sull'organizzazione del "partito" presbiteriano cfr. P. COLLINSON, The Elizabethan Puritan Movement, Oxford, Oxford University Press 1967.

[5] Cfr. W. H. FRERE-C. E. DOUGLAS (eds. ), Puritan Manifestoes. A Study of the Origin of the Puritan Revolt, London, Society for Promoting Christian Knowledge 1954, 19.

[6] Cfr. Ibid., 9 e sgg. ; A View of Antichrist, in A parte of a register, Middleburg, 1593, 55 e sgg. ; W. PIERCE (ed. ), The Marprelate Tracts, 1588, 1589, London, Clarke 1911, 23, 311, 317; J. UDALL, The state of the Church of England laid open, in A parte, cit., 333 e sgg.

[7] Cfr. Puritan Manifestoes, cit., 21; H. GEE, The Elizabethan Prayer Book and Ornaments, London, 1902, 25.

[8] Cfr. Puritan Manifestoes, cit., 23 e sgg., 114 e sgg. passim; The Admonition Controversy, cit., 156, 163, 212 passim; Particular Reasons against the crossing of children in Baptisme by M. Nye, in A Parte of a register, cit., 409; Reasons against kneeling at the receit of the communion, in Ibid. 410 e sgg. ; A View of Antichrist, cit., 65 e sgg.

[9] Cfr. E. C. S. GIBSON (ed. ), The Thirty-Nine Articles of the Church of England, London, 1908, 71, 230 e sgg., 640 e sgg. ; The Book of Common Prayer. The Order for the Administration of the Lord's Supper or Holy Communion e Ordinal; The Works of Thomas Cranmer, Archbishop of Canterbury, Martyr, 1556, Cambridge, The Parker Society 1846, vol. I, 11, vol. II, 76 e sgg. ; Writings of John Jewell, Bishop of Salisbury, London, s. d., 301ss; J. WHITGIFT, The Works, Cambridge, The Parker Society1851, vol. I, 3 e sgg., 150 e sgg., passim, vol. III, 109 e sgg., 361; The Admonition Controversy, cit., 150, 218, 311, passim.

[10] Cfr. The Thirty Nine Articles, cit., art. XX, 511 e sgg. sulla autorità della Chiesa.

[11] Cfr. Puritan Manifestoes, cit., 92.

[12] Cfr. The Admonition Controversy, cit., 379; The Copie of a Letter, in A parte of a register, cit., 535; W. FULKE, A Brief and Plain Declaration, in L. I. TRINTERUD (ed.) Elizabethan Puritanism, Oxford, Oxford University Press 1971, 243 e sgg. ; J. UDALL, A demonstration of the truth of that Discipline which Christe hath prescribed in his worde in A Parte of a register, cit., 13; The Marprelate Tracts, cit., 307.

[13] Cfr. Puritan Manifestoes, cit., 93; Reasons against kneeling, cit., 410; The Copie of a Letter, cit., 535; W. TRAVES, A full and plain declaration of Ecclesiasticall Discipline out off the Word of God, 1574, in A parte of a register, cit., 6, 7; A Counter-Poyson, in Ibid, 424; W. FULKE, cit., 243.

[14] Cfr. W. FULKE, cit., 247.

[15] Cfr. A parte of a register, cit., 14, 16, 17.

[16] Cfr. The Admonition Controversy, cit., 357, 358 ; Puritan Manifestoes, cit., 85 e sgg., 92 e sgg. ; W. FULKE, cit., 297 e sgg. ; W. TRAVES, A full, cit., 187.

[17] Cfr. Certain arguments, in A parte of a register, cit., 50 e sgg. ; Puritan Manifestoes, cit., 93.

[18] Cfr. The Admonition Controversy, cit., 153, 154.

[19] Cfr. A View of Antichrist, cit., 65 e sgg.

[20] Sulla disciplina come pilastro della Chiesa (accanto alla dottrina) cfr. The unlawfull Practises of Prelates, in A parte of a register, cit., 280; A Counter Poyson, cit., 422; J. UDALL, A Demonstration, cit., 11; W. TRAVES, A full and plain declaration, cit., 6; Puritan Manifestoes, cit., 97; W. FULKE, cit., 278 e sgg. ; The humble Petition of the Commonaltie, in A parte of a register, cit., 304 e sgg.

[21] Cfr. J. BOSSY, L'Occidente cristiano 1400-1700, Torino, Einaudi 1990, 152.

[22] Cfr. Book of Common Order and Directory of the Church of Scotland, 13 e sgg.

[23] Cfr. W. FULKE, cit., 247; A parte of a register, cit., 13.

[24] Sul modello di chiesa presbiteriano cfr. Puritan Manifestoes, 95 e sgg. ; W. FULKE, cit., 244 e sgg. ; W. TRAVES, A full and plain declaration, cit., 74 e sgg. ; J. UDALL, A Demonstration, cit., 53 e sgg., passim.

[25] Cfr. W. FULKE, cit., 278 e sgg. ; Puritan Manifestoes, cit., 119 e sgg. ; The Marprelate Tracts, cit., 318.

[26] Cfr. A Sermon Preached Before the Queen's Majesty the 25th Day of February by Master Edward Dering, 1568/70, in Elizabethan Puritanism, cit., 148.

[27] Cfr. T. CARTWRIGHT, Helpes for Discovery of the Truth in Point of Toleration, London, 1648, A2, 2 e sgg. Cfr. anche The Admonition Controversy, cit., 398, 399.

[28] Cfr. The Archbishop's Speech at the Coronation of Edward VI, feb. 20, 1547, in The Works of Thomas Cranmer, cit., vol. II, 127; The Thirty Nine Articles, cit., art. VII, 280.

[29] Cfr. The Admonition Controversy, cit., 399.

[30] Cfr. D. FENNER, A short and profitable Treatise, of lawfull and unlawfull Recreations, Middleburg, 1587, n. p. ; A View of Antichrist, cit., 63; The Unlawfull Practises of Prelates, cit., 289.

[31] Cfr. A Counter Poyson, cit., 479; W. FULKE, cit., 277, 278.

[32] Cfr. T. CARTWRIGHT, Catechism, in A. PEEL-L. H. CARLSON (eds. ), Cartwrightiana, London, Allen and Unwin 1951 cit., 159 e sgg. ; D. FENNER, Sacra Theologia, Sive Veritas quae est secundum Pietatem, 1586, 38 e sgg.

[33] Le opere principali sono: Treatise of the Church, scritta nel 1580 forse da Robert Harrison. Nel 1582 Robert Browne scrisse Treatise of Reformation without Tarrying for Anie. Le opere di Henry Barrow, A True Description of the Visible Congregation of the Saints del 1589 e A Brief Discovery of the False Church del 1590, furono stampate in Olanda così come l'opera più importante di John Greenhood, The True and False Church.

[34] Cf. A Third Supplication of many faithfull Subjects in England, falsly called Puritans, 1605, in C. BURRAGE (ed.), The Early English Dissenters, Cambridge, The University Press 1912, vol. II, 162. Cfr. anche E. BRADSHAWE, English Puritanisme, London, 1605, 1.

[35] Cfr. Il primo catechismo congregazionalista, scritto da Henry Jacob, inThe Early English Dissenters, cit., vol. II, 158; Petizione di Henry Jacob, in Ibid., 150, 151; Excerp from Barrow's Conference with several clergymen March 29/30, 1593, in L. H. CARLSON (ed. ), The Writings of Henry Barrow 1587-1590, London, Allen & Unwin 1962, 236; R. HARRISON, A Treatise of the Church and the Kingdome of Christ, in A. PEEL-L. H. CARLSON (ed.), The Writings of Robert Harrison and Robert Browne, London, 1953, 35, 41; ID., A Little Treatise upon the first Verse of the 122 Psalm, 1583, in The Works, cit., 91 e sgg. ; A Breife Refutation of Mr. George Giffard, in L. H. CARLSON (ed. ), The Writings of John Greenhood and Henry Barrow 1591-1593, London, Allen & Unwin 1970, 17 e sgg.

[36] Cfr. R. HARRISON, A Treatise of the Church, cit., 33.

[37] Cfr. HARRISON, A Treatise of the Church, cit., 33, 35, 40; R. BROWNE, An Answere to Master Cartwright, in The Writings, cit., 488, 454; R. BROWNE, A Treatise upon the 23 of Matthewe, in The Writings, cit., 201; H. BARROW, A Brief Discovery of the False Church, in The Writings of Henry Barrow 1587-1590, cit., 288, 289.

[38] Cfr. R. BROWNE, An Answere to Master Cartwright, cit., 439, 440; ID., A Treatise upon the 23 of Matthewe, cit., 216; R. HARRISON, A Treatise of the Church, cit., 41.

[39] Cf, R. BROWNE, An Answere to Master Cartwright, cit., 439 e sgg. ; H. BARROW, A brief Discovery of the False Church, cit., 288; R. HARRISON, A Treatise of the Church, cit., 33; ID., A Little Treatise, 120.

[40] Cfr. Two treatises by a member of a separatist congregation, in The Second Part of a Register, cit., vol. I, 55, 56; R. BROWNE, An Answer, cit., 440, 441.

[41] Cfr. R. BROWNE, An Answer, cit., 439.

[42] Cfr. H. BARROW, A True Description out of the Worde of God, of the visible Church, in The Writings of Henry Barrow 1587-1590, cit., 214. Cfr. anche R. BROWNE, A Booke which sheweth the life and manners of all true Christians, Middleburg, 1582, passim e la definizione di Henry Jacob, in The Early English Dissenters, cit., vol. II, 161.

[43] Cfr. R. BROWNE, An Answere, cit., 441, 459, 467, passim; H. BARROW, A Brief Discovery, cit., 293 e sgg.

[44] Cfr. R. BROWNE, Am Answer to Mr. Flowers Letter, 1588/9, dic. 1588, in The Writings, cit., 518, 519; ID., A Treatise of Reformation without Tarying for anie, Middleburg, 1582, London, The Congregational Historical Society 1903, 30; H. BARROW-J. GREENHOOD, A Collection of certain Slaunderous Articles, in L. H. CARLSON (ed. ), The Writings of John Greenhood 1587-1590, London, 1962, 126; H. BARROW, A Plain Refutation, cit., 141, 142; E. BRADSHAWE, cit., 6, passim.

[45] Cfr. R. BROWNE, An Answere, cit., 461.

[46] Cfr. J. SMYTH, The Character of the Beast or The false constitution of the Chvrch, 16O9, in W. T. WHITLEY (ed. ), The Works of John Smyth, Fellow of Christ's College, 1594-8, Cambridge, The University Press 1915, vol. II, 578.

[47] Cfr. R. BROWNE, A Treatise upon the 23 of Matthewe, cit., 172 e sgg. ; J. SMYTH, The Character of the Beast, cit., 597.

[48] Per questa concezione del sacro propria della "cristianità tradizionale" cfr. J. BOSSY, cit., 86 e sgg.

[49] Cfr. J. SMYTH, The Differences of the Churches of the seperation, in The Works, cit., vol. I, 273.

[50] È citato, ad esempio, in R. BROWNE, A Treatise upon the 23 of Matthewe, cit., 216.

[51] Cf R. HARRISON, Three Formes of Catechismes, 1583, in The Works, cit., 125 e sgg. Cfr. anche il catechismo scritto da Jacob, in The Early English Dissenters, cit., vol. II, 159.

[52] Cf. J. UDALL, A Demonstration, cit., 3.