1. Quello che può dire un amico, anche legato da lunghi anni di dialogo,
di collaborazione e di vicinanza nelle ricerche scientifiche, non può
che peccare di parzialità, e tanto vale che questa sia confessata subito;
e l'ammissione, una volta fatta, esonera dall'organicità e dalla compiutezza
del discorso. Ognuno sappia che queste parole saranno un misto, un coacervo
di ricordi e riflessioni, cui la vicinanza dello sguardo potrà anche conferire
qualche valore, ma dentro i limiti della pura e semplice testimonianza.
La nostra amicizia è durata trentasette anni, dalla sua entrata in Normale
nel novembre 1957, più giovane di me di un anno, alla fine della sua vita,
nel novembre 1994. Così, posso forse dire che ci siamo conosciuti. La
prima cosa che viene in mente sono miriadi di scherzi e di facezie con
un giocoso ragazzo, grassottello e un po' goffo, maestro a tutti di quei
siculi parlari coloriti che ora i romanzi di Andrea Camilleri hanno reso
di comune patrimonio nazionale non c'è parola grossa o lepidezza siciliana
che io non abbia imparata da Onofrio, in quegli anni. E dietro a questa
facciata scanzonata e leggera, se ne accorgeva chiunque, c'era un legame
fortissimo, voluto meditato e orgoglioso, con le isolane origini, che
andava di pari passo, senza contraddizione, con un orientamento, un'idea
chiara in testa che è stata in lui coerente fino in fondo: la determinazione
a non ritornare, a non rinchiudersi nella terra natia, ma a prendere il
volo.
Anni più tardi se ne lamentava con noi la sua mamma, che Nonò era stato
crudele a lasciarli lui che per i suoi genitori, poi, si è prodigato
fino a quando ha potuto quasi avesse consumato un tradimento. Ma per
lui l'entrata alla Normale, da subito, era sentita e vissuta come un'occasione,
un trampolino e al tempo stesso una finestra sul mondo.
2. Così ha cominciato a viverla sin dall'inizio. Non molti oramai possono,
assieme a me, ricordare certi aspetti di Onofrio Nicastro matricola. Già
dagli anni di liceo a Palermo, questa è una sua testimonianza personale,
aveva avuto una sorta di "battesimo" di militanza politica e civile
lui che per la verità, anche nei caldi anni Sessanta e Settanta, sarà
sempre estremamente misurato nel tradurre in militanza attiva le proprie
convinzioni politiche di sinistra nel Movimento Federalista Europeo.
Prima del socialismo "bassiano" anni Sessanta, e prima delle simpatie
degli anni Settanta, coltivate sempre a debita distanza di sicurezza,
per le correnti più accese della sinistra extraparlamentare, il Manifesto
di Ventotene credo sia stato il suo primo importante punto di riferimento
ideale e civile. E l'ispirazione di fondo è sostanzialmente rimasta.
Ma questo spirito, diciamo, internazionalista, del giovanissimo studente,
non si fermava alla dimensione teorica o all'adesione, lasciata presto
cadere, a questo o quel movimento. Alla Normale, allora come in misura
maggiore dopo, convivevano con gli allievi ordinari e perfezionandi italiani
alcuni pochi borsisti e perfezionandi di altri paesi d'Europa, o degli
Stati Uniti; non sempre la loro integrazione con l'ambiente degli studenti
italiani era immediata. Ma Onofrio era il primo, avido di conoscenza e
carico di simpatia personale, a stabilire con loro francesi, inglesi,
svizzeri, uno scozzese come Tom Nairn che è restato poi sempre suo amico
rapporti intensi e camerateschi: si interessava al loro mondo e vi si
proiettava, ben prima di avere le prime occasioni di viaggiare, e di diventare
quel profondo e raffinato conoscitore della cultura anglosassone che tutti
ora sappiamo che è stato.
3. Le simpatie per il mondo anglosassone si manifestano negli studi universitari
di storia della filosofia, nei quali ben presto un'accentuata preferenza
per le correnti empiristiche e scettiche prende corpo in ricerche di tesi,
di laurea e di perfezionamento, su Hume e su Mandeville. A questi momenti
di pensiero filosofico si affiancano ben presto gli studi sui Levellers
e poi su alcuni momenti William Petty in particolare del pensiero
economico classico. E assieme poi a Rina, sua compagna dell'intera vita,
sconfina in territorio francese, approdando per tacere d'altro alla bella
edizione dell'opera di François Melon.
A mano a mano che la sua maturazione di studioso si caratterizza, viene
progressivamente in lui a prevalere, rispetto all'interesse filosofico
e storico-filosofico, l'attenzione alla storia fattuale, alla documentazione
biografica, alla storia materiale della cultura e alla storia del libro:
in questi campi, così poco praticati e così negligentemente presi in considerazione
nel mondo dei nostri studi filosofici, Onofrio si è venuto formando con
gli anni una competenza di primissimo ordine, molto più apprezzata, a
dire il vero, in alcune importanti sedi fuori d'Italia che qui da noi
(dove in termini di carriera non gli è mai servita assolutamente a niente).
4. Ma ritornando ai momenti di vita giovanile vissuti assieme, non posso
non ricordare il movimentato impatto con la personalità di maestro che
per lui ha certo contato umanamente di più. All'inizio degli anni Sessanta,
quando già eravamo laureati e muovevamo i primi passi nel mestiere, tra
assistentati volontari e supplenze nelle scuole secondarie, l'arrivo a
Pisa di Arturo Massolo, con la sua irruente carica di passione filosofica
e di passione per il dialogo con i giovani, è il grande evento. Grande
cultore della dialettica hegeliana, Massolo non ha certo trovato nessuno
tra di noi che fosse più di Onofrio refrattario a seguirlo su quel terreno.
Ma erano due palermitani transfughi, e s'intendevano come nessun altro
si sapeva intendere. Massolo non ammetteva che si dicesse una sola parola
contro Onofrio perché, diceva, io e Nicastro ci conosciamo da tremila
anni. Onofrio bofonchiava e annuiva. In che cosa si intendessero lo sapevano
loro; ma è innegabile che si intendevano.
Di certo, Massolo era tra i pochi in grado di leggere dietro i sipari
di cautele e di rigori fattuali di Onofrio un dáimon e un
fuoco interiore che doveva avere qualche cosa in comune col suo. Ma anche
i giovani, tanti giovani, lo hanno percepito e colto. Non solo i giovani
di alta preparazione scientifica che sono stati suoi allievi nei suoi
più recenti anni.
5. Ricordo le sue allieve dell'istituto magistrale di Pescia, dove andavamo insieme a insegnare a metà anni Sessanta. Lui con il suo spirito analitico quasi allergico a quelle visioni d'insieme e a quei quadri sinottici che nella didattica di solito si perseguono era capace, in una seconda magistrale, di stare mesi e mesi su poche pagine del Cratilo. Eravamo principianti, facevamo tutti molti errori, ma lui non si discostava dal modello e anche dall'etica che oramai aveva elaborato per sé: il programma di fatto non lo svolgeva e sembrava non porsene nemmeno il problema. Ma riusciva ad affascinare: rimanevo incantato a sentirmi dire da qualche sua alunna delle più brave (quelle che avrebbero potuto magari lamentarsi di queste anomalie) che era incredibile l'attaccamento che erano arrivate a provare per lui. E non era un fatto di bonarietà, era un fatto mentale e morale.
6. Onofrio è stato per diversi anni mio stretto collaboratore, assistente,
quando il sovraccarico didattico del mio corso di filosofia della storia
ha fatto comprendere alla facoltà di lettere di Pisa che avevo bisogno
di aiuto; è stato un aiuto di eccezionale valore e un dialogo bellissimo
tra persone diverse quali eravamo e siamo rimaste, e fra grandi amici.
C'era però motivo di imbarazzo e dispiacere, in me, per il fatto che lui
fosse in posizione ingiustamente subordinata, e che non avesse la diretta
responsabilità di tenere corsi e di guidare gli studenti. Ne parlavo con
lui qualche volta; ma mi dovevo rendere conto che l'imbarazzo era soltanto
mio e che a lui non glie ne importava. Questo faceva parte della sua assoluta,
diciamo pure eccessiva, modestia. Così come di questa sua virtù spinta
fino al limite del vizio era il dare così poca risonanza ai suoi studi,
il pubblicare di preferenza in forme limitate, artigianali, "in famiglia"
come diceva lui. C'è voluta dopo la sua scomparsa la dedizione, la generosità,
l'intelligenza di Gianmario Cazzaniga, per renderci disponibili in eccellente
veste editoriale i suoi contributi di studio e di organizzazione della
cultura della fase più recente.
Lui non l'avrebbe mai fatto. Con lo stesso spirito con cui rifuggiva dai
grandi sistemi filosofici ma ammirava in sommo grado, e me lo diceva,
anche al disopra dei "suoi" inglesi, la concentrazione (parola
sua) di Cartesio e di Spinoza con lo stesso spirito, dico, rifuggiva
dal mettere assieme risultati in forma, se non definitiva, almeno in qualche
modo definita. Ci arrivava, al massimo, se era in collaborazione con altri,
perché nel lavorare assieme ad altri era bravissimo. Basti ricordare,
ad esempio, la bella edizione del Pantheisticon di Toland
fatta con Manlio Iofrida.
7. Scherzavamo con lui sulla sua parola-chiave, quando andava per qualche
periodo di studio a Londra o a Parigi: a sentire lui non andava a studiare,
ma solo a fare dei "controllini". Roba, s'intende, di irrilevante spessore.
Snobismo, understatement, timidezza, scontrosità di fondo: quel
che volete. Ma non imbrogliava nessuno. Nessuno, almeno, che lo conoscesse
o che non fosse interessato a farsi imbrogliare. L'umanità e la passione
che c'erano sotto non era certo lui a venirle a raccontare.
E poi c'era la dimensione dell'orgoglio, che rivendicava con una civetteria
del suo "sangue siculo", inversamente proporzionale, in intensità, alla
forza centrifuga che lo teneva dalla Sicilia lontano. E come da ragazzo
era capace di scherzi e burle anche molto chiassose, purché inoffensive;
così da grande poteva anche essere permaloso e prendere ombra per poco,
ma era assolutamente incapace di ferire gli altri.
Un'ultima nota, che voglio dire in breve, è su di un tema antico, l'amicizia.
Tema delicato in un mondo accademico nel quale, come nella onorata società
del suo paese d'origine, la parola "amico" si spreca a destra e a manca
per dire tutto e il contrario di tutto; ma non stavano così le cose per
Onofrio. La parola era per lui forse la più sacra, e non si spendeva se
non per contenuti autentici. Chi ha avuto la fortuna di una consuetudine
con lui sa che molte volte, specie da giovane, sapeva conquistarsi la
fama di uno che perde tempo. La verità è che per Onofrio il tempo speso
per un amico non era mai tempo perduto.