1. Dopo i due volumi di Reusch e Hilgers sulla storia degli Indici dei libri proibiti, nel 1950 sulla "Rivista di Filosofia" gli studi di Luigi Firpo sulla filosofia italiana e l'Indice dei libri proibiti esponevano i risultati di alcune ricerche eccezionalmente condotte nell'Archivio del Sant'Uffizio. L'accesso all'archivio rimase comunque precluso favorendo così il consolidarsi dell'idea che vi fossero conservate carte processuali di estremo interesse. A distanza di quasi mezzo secolo (dal 1998), le fonti dell'archivio romano sono finalmente accessibili.
È possibile scrivere una storia della censura senza consultare quegli archivi? Avevano risposto positivamente gli studi di Rotondò, Lopez e Grendler facendo leva sulla ricchezza dei materiali inquisitoriali in possesso degli archivi e delle biblioteche laiche. Poi, in un lungo e ancora fondamentale saggio sulla Storia d'Italia Einaudi, Rotondò mostrava come la storia della censura fosse un fenomeno da considerare nel lungo periodo per poterne valutare gli effetti e non rimanere legati solo ai particolari, e per avere quindi una misura chiara delle conseguenze culturali di alcuni provvedimenti. Recentemente il convegno di Cividale del Friuli (La censura libraria nell'Europa del secolo sedicesimo, a cura di Ugo Rozzo, Udine, Forum, 1997) dava un'altra dimostrazione dell'interesse e dell'importanza del tema con contributi importanti che ancor prima dell'apertura degli archivi romani, delineavano nuove prospettive di ricerca: dei tredici saggi qui raccolti, solo quattro sono rivolti all'analisi di realtà extra-italiane a segnare così la prevalenza dello sviluppo della censura nella penisola italiana e la concentrazione delle ricerche sul Cinquecento. Allo stesso tempo, il libro di Gigliola Fragnito, Bibbia al rogo, sfruttando ampiamente fondi inquisitoriali presenti sul territorio italiano, andava a spiegare gli effetti della proibizione delle versioni in volgare delle Sacre Scritture, poiché il sentimento religioso italiano era stato privato della linfa vitale che poteva scaturire dalla lettura diretta del testo sacro nelle lingue nazionali. Inoltre, grazie alla conclusione del progetto di edizione degli indici dei libri proibiti del XVI secolo (Index des livres interdits, Genève, Librairie Droz, 1984-1996, voll. 10), progetto coordinato da Jesus Martinez de Bujanda, la storia della censura, dell'editoria e della cultura in generale - almeno per il Cinquecento - può finalmente contare su strumenti più completi degli ancor utili Reusch e Hilgers. La storia degli Indici dei libri proibiti si è arricchita della conoscenza di documenti sulla gestazione ed elaborazione dei diversi Indici, dopo l'istituzione della Congregazione dell'Indice nel 1572 sotto il pontificato di Gregorio XIII; soprattutto sono emersi i conflitti di competenza con il Sant'Uffizio che nel lunghissimo periodo - non solo prima del 1572 -, non intendeva certo retrocedere dalla sua politica culturale che aveva nella censura uno strumento determinante. I risultati finora pubblicati delle prime ricerche sono prevalentemente concentrati sul Cinquecento, anche se ci sono stati studi su altri periodi, come dimostrano le ricerche su Giannone e su Genovesi, tra le altre.
2. Una rinnovata attenzione al tema è testimoniata da questi due volumi che vedono gli storici confrontarsi pur da prospettive diverse con gli assunti storiografici precedenti alla luce della documentazione ora resa accessibile dell'archivio della Congregazione dell'Indice che, a differenza di quello della Inquisizione, ci è giunto pressoché integro. Il volume della collana della Fondazione Luigi Firpo, in occasione del decimo anniversario della morte dell'illustre studioso torinese, ha dimostrato come gli studi firpiani possano avere ancora una grande utilità ed essere stimolo e base di partenza anche per chi si cimenti con questi aspetti della cultura europea ed italiana, mentre l'altro volume, curato da Gigliola Fragnito, esce presso la prestigiosa casa editrice della Cambridge University nella collana 'Italian studies'. In esso troviamo uno sforzo di individuare gli esiti parziali e le vie di sviluppo di questa prima fase di esplorazione dell'archivio dell'Indice; ma soprattutto il volume rappresenta una vera operazione culturale rendendo accessibile ad un pubblico più ampio i risultati di ricerche pionieristiche nella storiografia europea. I due volumi appaiono complementari, ed il rischio di ripetizioni ridotto al limite fisiologico: spunta in entrambi la nuova concezione della censura come fenomeno non solo negativo, ma anche positivo nell'ambito della formazione della modernità, sebbene si cerchi di non sottovalutarne gli indiscutibili effetti sulla cultura.
Apre il volume Censura ecclesiastica e cultura politica in Italia tra Cinquecento e Seicento il saggio di Gigliola Fragnito: ponendo in luce 'gli aspetti organizzativi del sistema di controllo predisposto dalla Chiesa per bloccare la circolazione di opere' proibite, la studiosa ha inteso evidenziare il conflitto esistente tra le due congregazioni, del Sant'Uffizio e dell'Indice, che si sarebbe concluso alla fine del primo decennio del Seicento a favore della prima. Si tratta di un conflitto che aveva come base la definizione dei poteri dell'episcopato: la congregazione dell'Indice voleva 'subordinare gli inquisitori ai vescovi nel campo della censura' (p. 7), ma a questo progetto, cui si opponeva il Sant'Uffizio, si aggiunsero difficoltà organizzative che ne impedirono la realizzazione. Così vediamo un'ambiziosa macchina di controllo mostrare tutta la sua fortunatamente disastrosa inefficienza: ne è un esempio la questione dell'espurgazione, che rimase inevasa, i cui effetti furono però la scomparsa dalla cultura italiana di certe opere. Da una prospettiva diversa, la storia della censura può essere scritta come storia dei dispositivi politici in possesso dello Stato moderno, come ha dimostrato Quaglioni partendo dalla difesa della censura ecclesiastica nella République di Jean Bodin per arrivare all'idea della censura di Althusius. Attraverso la censura, si impone 'una disciplina morale negli spazi lasciati vuoti dal legislatore' (p. 43): secondo Bodin, lo Stato si deve assumere il compito di vigilare sui costumi e sulla moralità dei cittadini e la censura, richiamandosi così a Lattanzio, assolve la funzione di conscientiam munire che le leggi non potevano assolvere. Nelle dottrine sulla censura, secondo Quaglioni, si trovano manifestazioni 'delle nuove tensioni che fanno da snodo alla modernità'. Dalla teoria alla pratica: Cesare Vasoli illustra il censore in azione per coglierne le difficoltà di cimentarsi nell'espurgazione di complesse opere filosofiche come quelle di Francesco Giorgio Veneto, il De Harmonia mundi e In Scripturam Sacram Problemata, opere in cui il platonismo si intrecciava con l'ermetismo e la cabala. Si tratta di un processo censorio -in parte sollecitato dalla fortuna europea del filosofo - che per la rilevanza delle questioni filosofiche affrontate mostrava tutta la sua inadeguatezza, da cui derivava il fallimento dello sforzo 'di ridurre le idee di Francesco Giorgio entro le comuni classificazioni, usate per valutare la gravità delle proposizioni e graduarne così l'expurgatio' (p. 76). Il processo censorio si concluse con la pubblicazione delle espurgazioni suggerite dai Francescani dell'Osservanza nell'indice di Guanzelli. Dopo ricerche sviluppate in archivi e biblioteche e poi sostenute dalla documentazione conservata presso la Congregazione per la dottrina della fede, Enzo Baldini giunge invece ad un'ipotesi interpretativa interessante: 'la nascita della ragion di Stato italiana della Controriforma è determinata dalla ragion di Chiesa, o meglio dalle ragioni e dagli interessi della Chiesa romana' (p. 81). Attraverso il caso delle opere di Bodin, che sin dal 1587 attiravano l'attenzione della congregazione dell'Indice, Baldini illustra il processo culturale e politico che portò a bandire l'opera del francese, pur tra tante difficoltà, durante il pontificato di Clemente VIII, ma anche le aspettative del cambiamento che alcuni, tra cui Bruno e Pucci, nutrivano e che, secondo Baldini, sarebbero state condivise anche da alcuni esponenti della Curia romana all'interno della Congregazione dell'Indice. Il contesto politico internazionale segnato dal caso di Enrico IV non è quindi solo sfondo della politica clementina, ma ha parte attiva nel far emergere la ragion di Chiesa, secondo la quale l'Indice rispecchiava precise scelte operate in altri settori della politica ecclesiastica.
3. Spesso la tentazione degli storici di scoprire l'inedito, di accedere ad un archivio ad altri precluso, induce a trascurare fonti di estrema importanza, come sono le nunziature. 'Dimenticanza' dovuta anche al fatto che la pubblicazione dei dispacci per quanto concerne le nunziature 'italiane' è stata interrotta, anche se più volte se ne è annunciata la ripresa, mentre procede l'edizione delle nunziature dalla Germania. Paolo Carta ha letto alcuni dispacci mostrandone l'interesse per lo storico delle idee e della cultura e non solo per lo storico politico. Dopo essersene avvalso per ricostruire parte della vicenda di Francesco Pucci (Nunziature ed eresia nel Cinquecento. Nuovi documenti sul processo e la condanna di Francesco Pucci (1592-1597), Padova 1999), ha evidenziato l'attenzione dei nunzi nei confronti della circolazione di libri eretici: così vediamo Filippo Sega, nel giugno 1586, segnalare la diffusione dell'Apologie catholique di Pierre de Belloy e del Brutum fulmen di Francois Hotman.
Un caso interessante delle difficoltà censorie è quello del giurista Charles Du Moulin, di cui si occupa in un saggio corposo e ben articolato Rodolfo Savelli: la proibizione delle opere del francese scatenò le reazioni corporative del mondo di avvocati e giuristi che si vedevano defraudati di un importante strumento di lavoro. La vicenda di Du Moulin si snoda tra Venezia e Napoli, tra il centro editoriale per eccellenza e il centro con il maggior numero di uomini di legge: già nel 1550 nella città lagunare furono pubblicate le sue prime opere. Grande interesse era rivolto al problema giurisdizionale, da cui dipendeva il problema del concilio e dei rapporti con l'imperatore. Nel 1587 il Discorso intorno all'indice da farsi de libri proibiti di Vincenzo Bonardo, segretario della congregazione dell'Indice, raccoglieva le istanze delle professioni sulla necessità di procedere velocemente alla espurgazione. Il caso di Du Moulin per la sua ampiezza e per il suo riproporsi - Arias Montano equiparava Erasmo a Du Moulin come fonte di guai per teologi e giuristi - offre spazio per una serie di riflessioni fino al 1600-2, ma che segnando il dibattito culturale giunse fino a Pietro Giannone, memore del destino toccato alle opere del giurista francese.
Un'altra categoria che risentì molto della censura, oltre a quella dei giuristi come ci ha chiarito il caso di Du Moulin, è quella degli uomini di scienza. Attraverso le licenze di lettura, Ugo Baldini ha mostrato come la pratica di concedere permessi di lettura, dalla Cum inter crimina in poi, fu molto ampia e coinvolse non solo gli ecclesiastici, ma anche i laici: risultato che porta a rivedere 'l'immagine tradizionale di una censura ecclesiastica come ferreo centro di conservazione e interdizione, capace di deroghe solo nei confronti dei settori del clero a lei più organici e dei livelli elevati della gerarchia' (p. 174-5). Lo studioso, incaricato dalla Pontificia Accademia delle Scienze di un fondamentale ed attesissimo lavoro - il regesto dei documenti riguardanti le scienze presenti nell'archivio della congregazione del Sant'Uffizio -, coglie l'occasione per confrontarsi con la storiografia sulla censura e per evidenziarne alcune inesattezze, soprattutto riguardo al 'nesso tra censura e assenza (o esiguità) della ricerca scientifica' (p. 178), per passare poi ad un'analisi delle richieste di licenza.
4. Una questione davvero interessante riguarda il rapporto tra censura e libri ebraici, proposto da Marina Caffiero. Già nel 1553, prima quindi della svolta antiebraica di Paolo IV, a Roma ci fu un rogo di Talmud; i libri ebraici costituivano infatti l'ostacolo alla conversione e furono oggetto di una politica che dalla bolla di Clemente VIII, Cum Haebreorum malitia del 1593, fino all'editto di Pio VI del 1775, andava a colpire con perquisizioni e sequestri la sopravvivenza di una cultura autonoma. Furono istituite commissioni per la revisione e l'espurgazione dei libri ebraici; preposti a questo difficile compito erano spesso convertiti, che potevano vantare conoscenza della cultura e della lingua ebraica. Un primo indice espurgatorio risale al 1596 ed è stato presentato e discusso da Fausto Parente (La Chiesa e il Talmud, in Gli ebrei in Italia, Torino, 1996), mentre la studiosa analizza un secondo indice espurgatorio redatto, nella prima metà del Settecento, da Giovanni Antonio Costanzi, ebreo convertito, scrittore della Biblioteca Vaticana, il quale aveva diviso in tre categorie i libri ebraici: quelli condannati del tutto, inclusi in un primo Indice; quelli che dopo espurgazione potevano essere ammessi in un secondo Indice ed infine quelli innocui. Tra gli elementi divergenti rispetto all'indice del 1596, spicca il ripristino del Talmud, almeno per le prime tre parti, concessione dovuta a 'motivazioni politiche più che a una vittoria della ragionevolezza sul fanatismo e l'intolleranza'(p. 218). Rispetto alla censura dei libri ebraici intervengono motivazioni simili a quelle che avevano portato a guardare con sospetto alle Sacre Scritture, tanto da giungere a mettere la Bibbia al rogo.
Un approccio diverso rispetto al precedente caratterizza il volume curato da Gigliola Fragnito, che si propone di esportare i risultati di un filone storiografico in grande sviluppo che pur avendo radici lontane vive una nuova primavera. Come si avverte nell'introduzione, si tratta di risultati parziali che si basano sulla recente esplorazione degli archivi del Sant'Uffizio, e che pur se da prospettive limitate cercano di affrontare questioni finora trascurate. Con forza emerge quale fosse la resistenza opposta da alcuni Stati nazionali rispetto alle pretese ingerenze degli organi inquisitoriali e censori, e la speculare debolezza politica degli Stati regionali italiani, con l'eccezione di Venezia, ma anche la conseguente sconfitta della censura 'romana' fuori dai confini italiani. La storiografia sulla censura si è in passato soffermata molto sulle conseguenze culturali dell'apparato repressivo, trascurando l'aspetto politico dei conflitti giurisdizionali accesi dalle pretese di applicazione degli Indici, ma ancor più è stato trascurato il dibattito interno alle gerarchie ecclesiastiche sulle direttive della politica culturale di Roma, come ha osservato Fragnito. Il progetto di articolare sul territorio italiano una serie di uffici - indipendenti da quelli inquisitoriali - competenti per la censura, incontrò significative resistenze e difficoltà: la denunciata mancanza di uomini in grado di assolvere all'impegno della censura, la debolezza del vicario episcopale e la farraginosità delle direttive determinarono il fallimento della politica dell'Indice. La censura fu quindi affidata agli universitari, ma si rivelò inutile perché 'an outbreak of dignity and esprit de corps dissuaded them from perverting works which they personally admired' (p. 40). Si giunse all'indice espurgatorio di Guanzelli nel 1607, che fu poi contestato e ritirato segnando il fallimento della politica espurgatoria che tanti aveva impegnato, ma anche amputando la cultura italiana di tante opere. Della censura della letteratura italiana si occupa Ugo Rozzo, studioso che di questi temi e di questo rinnovato filone di studi è da considerare un antesignano. Prime tracce dell'importanza delle opere letterarie sono individuabili sin dal monito di Vergerio, il vescovo di Capodistria passato al luteranesimo, che rimproverava a Della Casa, autore di un indice veneziano, di non aver incluso opere letterarie pericolose. Emerge così la storia di una censura che sarebbe arrivata ad espurgare il Decamerone di Boccaccio e a bandire le opere di Franco, le Novelle di Sansovino, Bandello, Gelli ed altri autori della letteratura italiana. Attraverso l'analisi del progetto e degli effetti, si ravvisa una suggestiva ipotesi interpretativa, poiché attribuisce il successo del progetto di censurare la letteratura italiana alla 'uncoerced complicity of the many intellectuals who turned themselves into expurgators'(p. 222). Si verificò quindi un processo non solo di 'taglia e incolla', ma una vera e propria metamorfosi dei testi letterari, i cui effetti sono, secondo lo studioso, molto più radicali di quanto si possa sospettare. Le conclusioni di Fragnito e di Rozzo non risultano contraddittorie perché concordano nella valutazione degli effetti, presentando diversi aspetti della risposta degli intellettuali italiani: le complicità dei 'letterati' e le ritrosie degli accademici sembrano rientrare nei connotati più volte stigmatizzati degli intellettuali italiani incapaci di reagire in modo originale alle imposizioni controriformistiche.
5. Il gesuita Antonio Possevino, un soldato della Controriforma che
servì non solo dal tavolo di una biblioteca, ma anche con l'azione antiereticale
in tutta Europa, rappresenta, per Luigi Balsamo, la risposta cattolica
con la sua Biblioteca Selecta alla Biblioteca Universalis
di Conrad Gesner: ne emerge un confronto ideologico tra due programmi
culturali di particolare importanza per la storia europea. La centralità
e la preminenza della teologia era rivendicata da Possevino, mentre
per Gesner la filosofia era la madre di ogni sapere. L'opera di Possevino
può essere considerata come una sorta di enciclopedia della controriforma,
diretta a persone che occupavano posizioni di rilievo nelle strutture
civili o religiose (p. 55) ed insieme all'Apparatus Sacer e alla
De coltura ingeniorum costituì un trampolino per le idee controriformistiche.
Se Possevino rappresenta la proposta della Controriforma, una sorta
di pars construens, Ugo Baldini si occupa invece della pars
destruens della politica romana per quanto concerne la condanna
dell'astrologia cercando di ricostruirne le ragioni, considerando anche
le premesse e soprattutto le conseguenze. La Chiesa cattolica ha sempre
visto e stigmatizzato la contraddizione tra il determinismo e il libero
arbitrio espressa dall'astrologia giudiziaria. Con le Disputationes
di Pico iniziava una condanna della astrologia che si sarebbe sviluppata
nel Cinquecento culminando con la bolla sistina del 1586, e poi nel
Seicento quando eminenti intellettuali si cimentarono nella condanna
dell'arte magica. L'assunto della storiografia tradizionale, secondo
Baldini, degli effetti della censura e dell'azione inquisitoriale deve
essere misurato con i risultati che questa prassi ('from a contemporary
point of view, it was - at least in part - intellectually, ethically
and religiously reprehensible' (p. 110)) produsse: dalla proibizione
dell'astrologia scaturì progressivamente l'affermazione dell'astronomia,
scienza con statuto epistemologico autonomo. Uno sguardo alla letteratura
spirituale post-tridentina come strumento di difesa del sistema sociale
porta Edoardo Barbieri a leggere in altra luce il rapporto tra stampa
e Chiesa di Roma: consapevole dell'importanza dell'innovazione tecnologica,
la Chiesa se ne avvalse per diffondere un sentimento religioso rinnovato
'the interiorization of Christianity as accomplishing the transition
from collective belonging to more aware and responsible partecipation
in communitarian experience' (p. 133). Anche in questo caso si mostra
l'apporto costruttivo della politica censoria; si privilegia l'analisi
del nuovo che la svolta politica romana favorì, evidenziando i settori
culturali che ne beneficiarono. Diversi e forse più tangibili gli effetti
della censura dei libri di legge, analizzati da Rodolfo Savelli: anche
se una percentuale esigua di opere di legge è inclusa negli indici del
Cinquecento, la ricaduta della proibizione di alcune opere ebbe storie
e vicende da indagare. Inizialmente, nei primi indici si diede scarsa
attenzione ai libri di legge, concentrandosi, invece, sui giuristi vicini
alla Riforma e successivamente su quei giuristi medievali che avevano
messo in discussione il potere pontificio.
Le preoccupazioni delle gerarchie ecclesiastiche che dovevano comunque
fronteggiare le ferme proteste degli uomini di legge che rivendicavano
il diritto ad essere aggiornati sui libri pubblicati oltralpe, erano
ben espresse da Francisco Peña. Il suo De expungendis iurisconsultorum
libris, rintracciato da Savelli nell'Archivio Segreto Vaticano,
rivela la premura con cui si dovevano correggere i libri di legge distinguendo
tra gli antiqui, per i quali potevano essere sufficienti le note
marginali, e i più recenti, per i quali si doveva essere ancor più intransigenti.
Le conseguenze della censura dei libri di legge sono ravvisabili nella
perdita non solo dei classici, ma anche dei nuovi, dal momento che coinvolse
anche gli editori di Lione e di Ginevra. Nel suo denso saggio sulla
condanna del Talmud, Fausto Parente, alla luce dei documenti rinvenuti
nell'Archivio del Sant'Uffizio, chiarisce e corrobora alcune congetture
precedentemente presentate. Attraverso alcune tappe, come la ricostruzione
dell'interessante vicenda del Talmud espurgato da Marco Marini e pubblicato
da Ambrosius Froben tra il 1578 e il 1582, le ripetute richieste da
parte della comunità ebraica romana durante il pontificato di Sisto
V affinché si procedesse rapidamente all'espurgazione dei libri ebraici,
fino alla vicenda dell'indice clementino e della Observatio sulla
Bibbia in volgare, la République di Bodin e il Talmud, mostra
come la condanna del Talmud, tanto auspicata e cercata da Santoro, fosse
uno dei punti qualificanti la politica antiebraica. Un caso diverso
è quello proposto da Claudio Donati: la questione della proibizione
dei trattati di duelli rivela un intreccio di temi scottanti perché
dietro al duello si cela il problema dell'onore. Come poteva intervenire
la censura senza andare a scalfire un fondamento della società dell'epoca?
I milites a cui erano rivolti i trattati di duelli appartenevano
a ceti aristocratici e perciò la questione non fu risolta del tutto
come dimostra la sopravvivenza di quel genere di letteratura a dispetto
delle proibizioni: a testimonianza dell'importanza di questo genere
letterario, Donati sottolinea che nei Promessi Sposi, Manzoni
collocava nella biblioteca - e nella cultura - di Don Ferrante alcuni
dei principali trattati di duello.
6. Pars destruens e pars construens della politica censoria perseguita dalla Chiesa di Roma si intrecciano nell'analisi di ambiti diversi per valutare l'impatto della censura da prospettive talvolta persino divergenti, ma da cui si può cercare di comprendere la complessità di un fenomeno di lungo periodo, che ha visto al contempo la progressiva marginalizzazione italiana dalla cultura europea e dall'altra, ad esempio, la nascita dell'astronomia. Dai saggi qui presentati, emerge comunque la convinzione che la storia della censura procederà ulteriormente quando verrà rintracciato l'archivio del Maestro del Sacro Palazzo, terza figura a cui era affidata la censura, auspicio condiviso da Fragnito, Savelli et alii, e che permette di sottolineare il valore provvisorio dei risultati a cui si è pervenuti. Una provvisorietà non lamentata, ma al contrario consapevole dei progressi delle conoscenze storiche. Orientamenti storiografici diversi alla ricerca della modernità, del valore da attribuire alla censura e soprattutto divisi per quanto concerne gli effetti e le conseguenze di lungo periodo; tuttavia in questi due volumi si cerca il dialogo senza rifugiarsi in inespugnabili torri.