1. Il testo di Giovanni De Luna è la prima opera dei "Nuovi Orchi", nuova Collana - diretta da De Luna stesso - de La Nuova Italia, che si propone di essere una "manualistica d'autore", intesa ad indagare il Novecento (secolo che ha visto l'ingresso attivo delle masse nella storia e secolo dei nuovi media) con metodi e strumenti inediti, attraverso l'analisi della documentazione che più gli è propria: la fotografia, il cinema, la televisione, la musica, Internet e gli archivi digitali.
Giovanni De Luna anticipa subito i motivi di una riflessione sulle fonti ed i metodi dello storico contemporaneo: i segnali di profonda inquietudine che affiorano dalla storia contemporanea e da chi la studia, e la necessità di raccogliere una sfida che investe oggi la storia e che ha fatto parlare della sua fine o, per lo meno, di una sua crisi gravissima.
Il testo presenta la costruzione e l'impostazione sistematica tipica del manuale: individua e definisce l'oggetto (la storia contemporanea), i soggetti (gli storici), il come si studia (le fonti ed i metodi), il come si racconta, ricordando che lo storico della contemporaneità è ormai chiamato "ad alimentare saperi, a trasmettere conoscenze, a confrontarsi - possibilmente senza essere sconfitto - con gli altri mille tipi di racconto storico che i media trasmettono con la loro straripante potenza" (p. XI). Alcuni di questi temi sono già stati motivo di riflessione ed oggetto di studio dell'autore: ne L'occhio e l'orecchio dello storico. Le fonti audiovisive nella ricerca e nella didattica della storia (1993) - di cui questo testo è in gran parte un rifacimento -, De Luna tratta del nuovo ruolo dei media nell'uso pubblico della storia, ponendoli già "dentro" lo statuto scientifico della ricerca e riconoscendo loro il merito di aver reso possibile cogliere risultati storiografici di rilievo ed impensabili senza il loro ausilio; nel testo Insegnare gli ultimi 50 anni. Riflessioni su identità e metodi della storia contemporanea (1992) - da lui curato - l'attenzione invece è posta più sulla scuola e sulla didattica da adottare alla luce dell'importanza ormai assunta dai media.
E' proprio dalla necessità di confrontarsi con altri mezzi e modi di raccontare la storia, con i media, ma anche con le semplificazioni estreme, a volte con gli stereotipi delle vulgate, che nasce il disagio e l'inquietudine che emergono dagli storici della contemporaneità. Venuto meno il processo di compenetrazione tra memoria storica collettiva e forma-partito, dopo la crisi dei partiti della Prima Repubblica, De Luna ricorda infatti come si debba riflettere sul nuovo uso pubblico della storia, sulle sue nuove priorità ed esigenze. La storia contemporanea studia oggi i comportamenti collettivi di un'umanità per lo più massificata, di cui si devono penetrare gli aspetti politici ed istituzionali, ma anche l'esperienza quotidiana, il complesso di sentimenti, emozioni ed abitudini della massa e del singolo.
2. Da qui e dal "confronto" con i media, nuovi veicoli della conoscenza storica, nasce per gli storici "una sfida epistemologica tremendamente insidiosa, che investe lo statuto scientifico della loro disciplina" (p. IX) e che diventa anche "una partita di grande impegno civile" (p. XII). Una sfida che investe l'oggetto, le fonti, i metodi della storia contemporanea, i suoi rapporti con le altre discipline sociali, gli stessi storici, che può essere sostenuta e vinta solo con il ritorno alle fonti e con l'uso di metodi di indagine originali. Una rinnovata critica della documentazione tradizionale ed uno sguardo attento a nuove fonti (documenti artistici, luoghi e mezzi di produzione della mentalità, i sogni,...), ed alle fonti sonore, visive e multimediali permetteranno allo storico una scrittura della storia rispondente alle esigenze del presente, evitando il rischio di una ricostruzione del passato che disdegna "le prove", lontana dal rigore scientifico che impone una lettura storica basata sulle fonti.
Nella prima parte, la sezione del testo più metodologica, De Luna tratta dell'oggetto, dei soggetti, dell'uso pubblico della storia, delle fonti e dei corpi del Novecento; nella seconda analizza "la sfida", il rapporto tra media e storia contemporanea.
L'autore dipana la sua analisi strutturando il testo in capitoli e paragrafi tematici, intervallati da esempi chiarificatori e da brevi, ma acute citazioni di storici autorevoli (da Bloch a Hobsbawm, da Carr a Pocock, solo per citarne alcuni) che permettono al lettore una lettura chiara e attenta di un racconto vivace, che a tratti si allontana dal rigore scientifico del manuale e che, per alcune tematiche, acquista i caratteri della monografia.
Seguiamo allora l'analisi di De Luna.
L'oggetto: l'ambito cronologico della storia contemporanea è il Novecento. L'autore sposa la definizione di Hobsbawm di un Novecento "breve" (dalla prima guerra mondiale e dalla Rivoluzione bolscevica al crollo dell'Urss e del blocco comunista), che permette allo storico di studiare il secolo scorso come un ciclo esaurito. Premettendo che il passato con cui si lavora è solo quello le cui tracce possono essere scoperte nel presente, questa periodizzazione permette di "partire dal presente per conoscere il passato alla luce dei suoi esiti finali" (p. 5) e permette di ripristinare "l'intero continuum passato-presente-futuro sul quale si sono modellati i fondamenti epistemologici della storia" (p. 7). De Luna spiega poi quali sono state le varie definizioni date dagli storici sul Novecento (secolo dei totalitarismi, secolo delle ciminiere, secolo del fordismo, secolo dei consumi, secolo delle guerre, ecc. ), concludendo che "qualunque indicatore venga scelto - la politica, l'ideologia, le strutture economiche, la comunicazione -, avremmo sempre declinato diverse accezioni di un unico concetto guida: il Novecento è stato plasmato nei suoi caratteri più profondi dall'ingresso attivo delle masse nella storia" (p. 31). Dunque, il Novecento secolo delle masse, secolo dei macrosistemi e delle reti (in ambito economico, politico, delle comunicazioni): questo l'oggetto di studio dello storico dell'età contemporanea.
3. I soggetti: gli storici, che De Luna definisce come coloro "che ci consentono di conoscere il passato, assimilandolo al presente per avvicinarci alla previsione del futuro" (p. 41). L'autore delinea i vari "tipi" di storico avvicendatisi nel corso del secolo scorso, sulla base del rapporto che hanno avuto con lo spazio e con il tempo e dei diversi "sentimenti del passato" da cui sono stati animati: storico-vampiro, storico-cerusico, storico-cacciatore, storico-antropofago, storico-antiquario, storico giudice, investigatore, cronista, chierichetto, iconoclasta. Quello che sembra il maggior intento dell'autore è però quello di rifiutare la visione positivista dello storico ideale: una tabula rasa, su cui si iscrivono i fatti puri sulla base di una rigorosa ricerca documentaria, riportata nel testo storiografico tanto meticolosamente, quanto con la volontà di affidare allo storico solo un ruolo tecnico, con il tentativo di azzerare la sua dimensione soggettiva. Lo storico del Novecento è chiamato invece all'esatto contrario, assumendosi compiti e responsabilità diverse: "crea le fonti, crea il fatto storico, si propone come un intellettuale che contribuisce a creare identità collettive" (p. 44). Da parte dello storico vi deve essere la scelta consapevole di assumere la propria personalità ed il proprio vissuto come parte integrante del proprio progetto intellettuale di ricerca. Una scelta di cui De Luna sottolinea più volte l'importanza ed il carico di responsabilità a cui sottopone, che comporta l'attento uso delle fonti per garantire la scientificità della ricerca, concludendo che la sua soggettività ed il suo vissuto, insieme alle sue fonti ed alle sue ipotesi interpretative "sono i tre elementi che lo storico deve offrire a chi giudica la coerenza scientifica e l'efficacia delle sue argomentazioni" (p. 46).
Il complesso della sua esperienza biografica accompagna dunque lo storico nei suoi studi, tanto che poi la sua soggettività copre un ruolo fondamentale nel momento della creazione intellettuale, nel momento in cui il suo lavoro di ricerca si fa racconto. De Luna considera la narrazione il modello esclusivo per l'esposizione dei risultati di una ricerca e si sofferma ad indagare il particolare rapporto tra scrittura creativa e scrittura critica, accennando anche alle questioni epistemologiche sorte intorno alla storia come narrazione. Pur garantendo che non vi siano travisamenti ed adulterazioni, proprio nell'esposizione dei risultati del suo lavoro devono emergere la capacità dello storico di farsi narratore, le sue doti soggettive, la sua capacità di "raccontare" efficacemente: "è proprio nella storia che si fa racconto che si annida il rischio della frigidità intellettuale dello storico, della sua incapacità di creare i personaggi dopo aver creato i fatti e le fonti" (p. 51). L'autore sottolinea giustamente come far storia vuol dire intervenire attivamente nella costruzione dei fatti di cui è intessuta la realtà storica che si studia. Oltre all'impossibilità di rispecchiare passivamente i fatti, il tentativo di farlo non garantisce neanche che rimanga esclusa la soggettività dello storico. La sua responsabilità intellettuale entra già in gioco quando sceglie i fatti storici da studiare, escludendone altri. La scelta individuale, soggettiva dello storico è quindi alla base della sua ricerca. Un fatto diventa importante perché tale sembra allo storico, perché diventa oggetto del suo studio. Difficile dunque relegare il soggetto ad un ruolo puramente tecnico. Un fatto lo si conosce non come è realmente accaduto, ma così come è stato studiato ed interpretato: un concetto questo che è quasi diventato un assioma, si potrebbe dire, per coloro che studiano o fanno storia e su cui non serve soffermarsi.
4. Una volta sottolineata l'importanza della soggettività degli storici, De Luna precisa comunque che "il nocciolo duro del loro lavoro resta, alla fine, sempre quello di stabilire, attraverso l'analisi dei documenti, quale sia la storia vera, o più verosimile, e di raccontarla attraverso un resoconto fedele" (p. 60). Il ritorno alle fonti allora, ma non alle "certezze scientifiche" della storiografia positivista. L'autore conclude dunque che così, con una storia che fonda la sua conoscenza sulle fonti e sui metodi per indagarle, si pongono dei vincoli epistemologici che garantiscono sulle intenzioni dello storico di "ricercare la verità" (espressione che appunto De Luna pone tra virgolette), senza annullare la sua soggettività. Mediazione e conoscenza sono allora le caratteristiche del lavoro degli storici: da una parte, la necessità di garantire la correttezza del passaggio dell'informazione dalla fonte allo storico e dallo storico al lettore; dall'altra, la presenza attiva dello storico, "momento nel quale la risonanza emotiva instauratasi tra lo storico e la fonte (condizione necessaria perché ci sia la "relazione") viene illuminata dal suo progetto intellettuale, dalle chiavi di lettura che lo storico utilizza attingendo al complesso delle sue ipotesi di lavoro e alle proprie capacità di elaborare concetti generali, assume una configurazione che le permette di essere raccontata" (p. 63). Il lavoro sulle fonti è parte integrante della narrazione dello storico; attraverso il racconto il sapere storico, elaborato secondo i metodi di una disciplina scientifica, transita nel senso comune storiografico. Alla base del lavoro dello storico della contemporaneità, riassume De Luna, sta la necessità che venga instaurata una relazione emotiva con le fonti, perché più questa è forte, più il racconto coinvolgerà il lettore.
L'uso pubblico della storia. In questa sezione del libro emergono spunti di riflessione ed analisi sul nuovo uso pubblico che oggi si fa della storia. Per questo motivo, De Luna parla di due interlocutori diversi per lo storico. Nella raccolta e nell'uso delle fonti, lo storico guarda alla comunità scientifica; nel suo racconto della storia ha davanti un lettore, a cui sono rivolti pluralità di altri racconti e di altre forme di storiografie offerti nell'ambito dell'uso pubblico della storia. L'autore chiarisce che questo pone lo storico in continuo rapporto con il mondo della politica e con i mezzi di comunicazione di massa. De Luna afferma soprattutto che ormai il sapere storico non è più patrimonio esclusivo degli storici di professione. Altri tipi di intellettuali ed utenti si occupano di storia. Forse è qui che De Luna non sottolinea sufficientemente l'importanza in positivo di questo dilatarsi della comunità di coloro che si occupano di storia. Il sapere storico come patrimonio comune dovrebbe essere ciò che auspica ogni storico, conservando però ovviamente i timori che provengono dal pericolo della diffusione delle sole vulgate. Il compito è quello di rendere la ricerca dello storico di professione, e quindi il suo rigore epistemologico, competitivi con altri tipi di saperi, sventando usi acritici o addirittura manipolati di fonti e tenendo presente il dibattito etico-politico sul passato.
5. Passando dal delicato rapporto tra ricerca scientifica e mercato editoriale, tra "produttori" di storia e potere politico, De Luna concentra poi la sua attenzione - con l'uso di indovinate definizioni - sulla "grande arena mediatica" che ormai influenza anche lo storico di professione, sul "supermarket della storia", sulla "storia in diretta", sui cosiddetti "eventi mediali" ("eventi storici - soprattutto avvenimenti di stato - che sono trasmessi in diretta e tengono ferma una nazione o il mondo intero"), ricordando il potere che hanno ormai acquisito i nuovi "agenti di storia" nel "villaggio globale" e l'importanza conquistata dai siti web anche in ambito storiografico. In particolare De Luna insiste sul pericolo di un revisionismo non sostenuto da un rigoroso - ed onesto, aggiungiamo - uso delle fonti. A questo proposito fa riferimento ad alcuni noti "casi" giornalistici ed al dibattito accesosi intorno all'azionismo, a causa del quale - trapela dal testo - vi è il rischio che si formi un vero e proprio "mercato della memoria", ad uso soprattutto di diversi progetti politici, e che la storia possa scadere in una pericolosa "storiografia del compiacimento". Lo storico-narratore si trova infatti ad un confronto diretto con lo storico della gente (che De Luna indica in Renzo De Felice, di cui commenta l'esperienza storiografica) proprio nell'arena dell'uso pubblico della storia, nel rapporto con gli equilibri politici e nel corretto ritorno alle fonti. In questo consiste la partita di impegno civile a cui è chiamato lo storico: "una riscrittura del passato che disdegna le "prove" è diventato oggi il nemico civile contro cui combattere" (p. 101).
Le fonti. Da un testo sistematico come un manuale, emerge però anche la soggettività dell'autore, di De Luna stesso (il quale riferisce infatti dei risultati di alcune sue ricerche o della sua collaborazione con autori di programmi televisivi), chiamato in prima persona, come storico della contemporaneità, a riflettere su questa sfida, da cui la storia "può uscire rafforzata e irrobustita nella sua capacità di alimentare nuovi percorsi di conoscenza e appagare nuovi bisogni culturali" (p. 3). Il richiamo all'importanza dell'esperienza biografica dello storico - a cui si fa più volte riferimento nel testo - chiede un coinvolgimento particolare a chi si occupa di storia: entrano a far parte integrante del suo lavoro, non solo la razionalità, ma anche i sensi. Come ogni epoca ha bisogni diversi rispetto a quelli della precedente, così ogni bisogno necessita di fonti diverse. Gli studi del Novecento che si sono occupati di argomenti "nuovi" - quali le donne, la famiglia, la sessualità, la mentalità - chiedono di trattare "nuove" fonti, interpretate alla luce dei sensi, della sensibilità, delle emozioni dello storico stesso. Se "il confronto con le fonti è quindi l'essenza della conoscenza storica" (p. 105) una nuova sfida si apre per lo storico. La "nuova storia" (in particolare la storia della mentalità) sembra poter e dover utilizzare una quantità illimitata di fonti, diverse dalla documentazione tradizionale, che si aprono su nuovi scenari, in equilibrio tra il biologico ed il mentale, la natura e la cultura.
6. Analizzando la distinzione - che viene eliminata - tra monumento e documento e la tradizionale critica delle fonti, De Luna richiama Febvre e concorda che il campo della ricerca storica riguarda "tutto ciò che, appartenendo all'uomo, dipende dall'uomo, serve all'uomo, esprime l'uomo, dimostra la presenza, l'attività, i gusti e i modi d'essere dell'uomo" (p. 111). La conoscenza degli uomini è allora il fine della storia. Lo storico quindi ha necessità di cambiare il suo rapporto con le fonti, di trovarne di nuove (i sogni, le fonti orali, gli spazi ed in particolare la città, le immagini, le opere d'arte), di imparare ad interrogare queste ultime, di instaurare una collaborazione-confronto con altre discipline, perché solo l'interdisciplinarità, richiamando Bloch, può appagare "l'onnivoracità dello storico orco". In questo lo storico crea le sue fonti, costruisce epistemologicamente le sue fonti, individua come fonte tutto ciò che è funzionale al suo programma di studi. Da qui l'accento sulle grandi potenzialità della nuova tecnologia: dall'uso del computer come strumento per catalogare ed archiviare dati e notizie, alla quantità di informazioni facilmente recuperabili nella rete, che dilata enormemente il numero degli utenti e dei potenziali interlocutori della storia. Questi i vantaggi delle fonti informatiche, anche se la quantità di informazioni presenti in rete, la repentinità con cui appaiono e scompaiono, l'anonimato con cui si può diffondere l'informazione stessa, "l'evanescenza di concetti tradizionali come quello di autenticità, messo profondamente in discussione dalla elevata manipolabilità delle registrazioni digitali e dalla totale scomparsa dei caratteri fisico-logici del documento cartaceo" (p. 189) comportano nuovi problemi per lo storico. Si assiste effettivamente ad una vera e propria rivoluzione documentaria a cui si risponde ribadendo i nuovi capisaldi metodologici della storia che De Luna riassume in: "azzeramento della distinzione tra monumento e documento; tutte le fonti sono comunque intenzionali; ogni fonte è di per sé muta, materiale inerte e statico che parla solo se lo storico è in grado di interrogarla con domande forti; congruenza tra la fonte e l'oggetto di studio; interdisciplinarità" (p. 129).
I corpi del Novecento. Tra gli avvenimenti del Novecento, De Luna coglie nel genocidio, nell'olocausto degli ebrei molte delle dinamiche che si sono poi svolte nel corso del secolo. L'immenso dramma della popolazione ebraica ha mostrato soprattutto come nel '900 la politica sia divenuta biopolitica, come la vita e la morte non siano più concetti scientifici, ma politici. La biopolitica pretende di stabilire quale sia il valore della vita come tale e quale sia la vita degna di essere vissuta; si appropria della "nuda vita", che De Luna dice essere "la perfetta coincidenza tra il corpo biologico dell'individuo e la sua dimensione politica" (p. 24). I corpi diventano fonti per la storia e vengono interpretati e letti con gli strumenti dello storico. Diventano fonti le autopsie dei cadaveri di partigiani e di fascisti durante la Resistenza; il corpo-documento di Aldo Moro; il corpo del Duce e soprattutto il corpo al lavoro, non solo dell'operaio e del contadino, esempi dell'uomo-massa del Novecento, ma in particolare i corpi dei detenuti nei lager, considerati infatti già fonti per la storia dai nazisti (per questo la corsa alla loro distruzione al momento della disfatta, aggiungendo un altro crimine alla loro scellerata vicenda). De Luna vede insomma nel lager lo "scenario-sintesi dell'intera vicenda novecentesca. La biopolitica è l'essenza profonda dello stato moderno ed è il lager a rivelarlo senza infingimenti" (p. 182).
7. La seconda parte del libro si occupa del rapporto tra media e storia contemporanea. Una volta constatato che i media sono diventati nuovi agenti di storia, la critica delle fonti deve affrontare la maggiore problematica: la possibilità di stabilire l'attendibilità di questi documenti. Le riproduzioni fotografiche, foniche, il cinema, la televisione, i file, i siti, le reti telematiche diventano mezzi per raccontare la storia, sono testimoni diretti degli eventi e forniscono fonti per lo storico. L'iniziale persuasione che queste nuove fonti potessero realizzare l'illusione positivista di una fonte neutra, oggettiva, scientificamente certa è venuta presto meno. De Luna ricorda i vari falsi prodotti dai media (in particolare fotografie), ma ricorda anche la quantità di informazioni sul passato che si possono cogliere dalla storia del cinema - sia dal cinema documentario, sia dal cinema di fiction -, spesso da un cinema che inconsapevolmente diventa fonte. Il quesito principe diventa allora come verificare l'attendibilità e l'intenzionalità della fonte. Lo storico, le sue conoscenze, la sua capacità di analizzare ed interrogare le nuovi fonti, la dimestichezza che acquista con le altre discipline diventano il filtro per utilizzare i media. Ai media infatti De Luna riconosce un ruolo fondamentale, soprattutto per studiare il complesso mondo della mentalità, e un'importanza che ribadisce la necessità della congruenza tra l'oggetto delle ricerche e le fonti selezionate sulla base della loro funzionalità al programma di studi prescelto.
Analiticamente l'autore ripercorre il processo di trasformazione dei media in documenti, in fonti per la conoscenza storica, sottolineando anche la loro capacità "di incidere sulle scelte e sui comportamenti collettivi, di strutturare identità e appartenenze, di determinare gli eventi storici, oltre che raccontarli" (p. 219). Sono esplicative le osservazioni sul "cinema dei telefoni bianchi" e sul suo rapporto con la società italiana in cammino verso il "sogno del moderno"; acute le osservazioni sul ruolo della radio tra pensiero medio e conflitto politico, sul suo divenire veicolo attraverso cui "l'esperienza culturale della modernità si è concentrata nella dimensione pervasiva e invasiva dell'ascolto domestico" (p. 229) e poi "nuova forma di cospirazione" durante la Resistenza (Radio Londra e Radio Mosca, "voci" dei paesi antifascisti, venivano ascoltate clandestinamente a causa della repressione condotta dal regime, volta a soffocare i loro appelli all'antifascismo). Di notevole interesse sono le pagine su "La vita è bella", il film di Roberto Benigni vincitore del premio Oscar nel 1999. De Luna ripercorre l'acceso dibattito che sorse intorno al film sui quotidiani italiani, sull'opportunità di trattare un tema così delicato e drammatico e sulla struttura narrativa del film stesso. Alla fine della trattazione, convincono le tesi portate dall'autore sulla possibilità di utilizzare il film come agente di storia, di considerarlo "un efficace strumento per raccontare un passato altrimenti muto, all'interno di un difficilissimo passaggio della memoria tra le generazioni", soprattutto di riconoscere il suo valore per "mediare tra gli spettatori e l'Olocausto, per renderlo accessibile sia sul piano conoscitivo sia su quello del ricordo e della memoria" (p. 242).
8. Pur avvertendo che serve particolare attenzione nel leggerla ed
utilizzarla, De Luna riconosce dunque una dignità a quella "forma
peculiare di storiografia che si affida a specifici e originali modelli
narrativi" (p. 243) prodotta dai media. L'autore ha anche
il merito di non aver dimenticato i riflessi che la rivoluzione culturale
provocata dai media ha avuto nella scuola, la cui stessa tradizionale
funzione sociale è stata modificata. Come gli storici di professione
devono essere in grado di padroneggiare la specificità dei diversi
modelli narrativi che corrispondono ai diversi media e le altre
forme di storiografia che trasmettono sapere storico, così gli
insegnanti devono abbandonare la diffidenza, - a volte l'aperta ostilità,
suggerisce De Luna - con cui hanno guardato al rapporto tra media e
didattica della storia. Per non perdere la sua funzione di "governare
la tradizione", di selezionare e conservare ciò che merita
di essere tramandato ed insegnato, di formare e favorire la conoscenza,
la scuola deve accogliere ed utilizzare il valore aggiunto di questa
rivoluzione culturale, adeguandosi agli strumenti necessari per farlo,
non dimenticando il potere di attrazione che questi esercitano sulle
nuove generazioni.
Brevemente De Luna si occupa anche del particolare rapporto tra televisione
e politica e del ruolo della prima come agente di storia e come strumento
per raccontare la storia. Soprattutto tenta di stabilire - rifacendosi
anche alla sua esperienza personale - se è possibile gestire
il binomio storia e televisione, per controllare i contenuti utilizzando
le forme di comunicazione proprie del mezzo televisivo, concludendo
che la capacità dello storico sta proprio nel "trasporre
sul piano della narrazione il modello tradizionale scritto del discorso
storico, adattandolo alle regole e ai vincoli della comunicazione televisiva"
(p. 266).
Riconoscendo le innegabili difficoltà della sfida che lo storico è chiamato a vincere, De Luna gli chiede dunque di avvalersi delle sue conoscenze, del suo patrimonio biografico e scientifico per superare il confronto con i media. E' condivisibile infatti quanto sostiene: quelle di cui dispone la storia sono armi sufficienti per uscire irrobustita da questa sfida, con nuove potenzialità e una nuova capacità di trasmettere il sapere storico. De Luna non prende neanche in considerazione l'ipotesi di non confrontarsi con l'uso pubblico della storia e di isolarsi nel mondo accademico mantenendo immutati i tradizionali strumenti di ricerca. "Lo storico che abbiamo imparato a conoscere, quello che crea il fatto storico, che crea le fonti, che mette in gioco il proprio vissuto e che è pronto a misurarsi nella grande arena dell'uso pubblico della storia utilizzando anche le stesse armi dei suoi concorrenti, non ha più interesse a recintare territori disciplinari" (p. 266): anzi, proprio il farlo, segnerebbe forse la fine della storia.