1. Il volume qui recensito affronta una tematica balzata nuovamente al centro dellattenzione, dopo che da oltre quarantanni essa pareva sparita dalla scena europea. La guerra nella ex-Jugoslavia, invece, ha riproposto la drammatica attualità delle pulizie etniche, degli esodi più o meno forzati di popolazioni civili inermi. Non è un caso che il volume raccolga gli atti di un convegno, organizzato nel settembre 1997 a Trieste, città culturalmente così sensibile ai drammi del Novecento europeo, che più volte lhanno toccata o sfiorata. E non è neppure un caso che il convegno sia stato patrocinato dallIstituto Regionale per la Cultura Istriana, che ha così dimostrato grande sensibilità ad uscire dai clichés vittimistici e rivendicazionistici, che hanno caratterizzato la flebile voce degli italiani esodati dallIstria dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
2. Il volume, curato da tre studiosi triestini esperti di tematiche giuliano-balcaniche, propone una rilettura di tre momenti, differenti fra di loro, degli esodi forzati di popolazioni civili, che con il loro carico umano e con le loro profonde implicazioni politiche, sociali e demografiche, hanno costellato il Novecento; viene esaminato dapprima il caso dellarea balcanico-anatolica, nella scia della dissoluzione dellimpero ottomano, poi le vicende legate agli esodi e contro-esodi forzati delle popolazioni centro-europee come diretta conseguenza della politiche di occupazione tedesca nella Seconda guerra mondiale e della susseguente sconfitta tedesca. Il terzo fulcro del libro riguarda e non poteva che essere così gli esodi delle popolazioni italiane da Istria e Dalmazia dopo il 1945.
3. Diciamo subito che come tutti i volumi che raccolgono gli atti di un convegno la qualità dei contributi è diseguale; qualche saggio è troppo breve ed affrettato, non tutti i contributi sono egualmente concentrati sul tema. Complessivamente, però, ci troviamo di fronte ad una serie di contributi di grande interesse e ricchi di prospettive nuove. Ciò vale soprattutto per la prima sezione, costituita da sei saggi. Essa si sofferma sulle questioni nazionali suscitate dalla crisi dello stato ottomano a partire dal tardo Ottocento; ma lattenzione si concentra soprattutto sugli scambi di popolazione greca e turca negli anni immediatamente successivi alla fine della Prima guerra mondiale. I saggi di Popovic e di Dogo, che si soffermano sul periodo antecedente, illustrano la problematica dei conflitti nazionali alla luce della politica messa in atto in questo campo dallimpero ottomano, desideroso di attenuare possibili conflitti e, nello stesso tempo, di controllare i pericoli di rivolte di tipo etnico-nazionale sostenendo alcune etnie contro altre. Gli altri quattro saggi, scritti da studiosi greci e turchi, si soffermano invece sul complesso ed imponente scambio greco-turco, ufficializzato dalla convenzione di Losanna del 1922. Fu una vicenda storica di grandi dimensioni, che coinvolse quasi un milione e mezzo di persone. Questa parte del libro offre spunti particolari di interesse, sia perché abbiamo la possibilità di valutare il punto di vista delle cultura storiografiche direttamente coinvolte, sia perché affronta una tematica poco conosciuta da noi.
4. I saggi qui raccolti, anche se di diverso spessore, riflettono il permanere sullo sfondo di profonde diversità nellanalisi storiografica fra le parti, evidenziando in tal modo che quelle lontane vicende continuano a detenere una forte valenza politico-ideologica. Per fare un esempio, si veda la cautela con cui lo storico turco Topak accenna alla questione armena, evitando accuratamente di impiegare il termine usuale da noi oggi di genocidio.Egli scrive ad un certo punto: La grande mortalità di entrambi (musulmani e non; G. C.) non si adatta ad alcuna teoria che cerchi di porre uno dei due gruppi come vittima, e laltro come carnefice (p. 62). Aldilà di queste persistenti autocensure storiografiche di cui occorre prendere atto (e che, per la parte turca vengono esaminate criticamente nel saggio di Adanir, storico turco ma formatosi in Germania) Topak per la parte turca e Yiannakopoulos per quella greca ricostruiscono in due documentati saggi le profonde conseguenze che lo scambio di popolazione ebbe allinterno di ciascuno dei due paesi, modificando radicalmente il volto sociale e demografico dellAnatolia, ma anche di intere altre regioni, che hanno accolto la marea di profughi, soprattutto greci. Lo studioso greco conclude che, nonostante gli alti costi umani, la sistemazione definitiva dei profughi continua ad essere il più importante successo della stato neogreco, dalla sua fondazione (p. 71), una sorta di punto di partenza per la creazione della Grecia contemporanea. Lo stesso, di riflesso, può essere detto per la Turchia. Ciò rappresenta unulteriore attestazione della centralità del fattore nazionale per laffermazione degli stati in epoca contemporanea.
5. La seconda sezione del libro sposta lattenzione sullEuropa centrale e sulle conseguenze demografiche della politica doccupazione tedesca nella Seconda guerra mondiale. In effetti, questultima non è oggetto di analisi diretta, ma viene presupposto e fa da sfondo a ciò che avvenne ai danni delle popolazioni tedesche, insediate nelle aree orientali del Reich grande-tedesco, dopo la sconfitta militare. In verità, la letteratura su queste tematiche è molto ricca e ben nota, tantochè i saggi qui raccolti non sono tutti egualmente interessanti e innovativi. Lehmberg e Brandes analizzano i prodromi politici e teorici delle espulsioni in massa di tedeschi, rispettivamente dalla Cecoslovacchia e dalla Polonia, alla luce dei documenti diplomatici e delle discussioni interne sia agli Alleati che ai rispettivi governi in esilio. Lehmberg è così in grado di smentire la tesi, largamente diffusa, secondo la quale lidea di punire i tedeschi residenti in Cecoslovacchia, espellendoli, sia di E. Bene; il quadro è molto più complesso, così come particolarmente complesse si presentavano le prospettive per la Polonia, alla luce della volontà sovietica di ampliare verso Occidente i propri confini, spostando lo stato polacco verso Occidente. I due saggi offrono comunque lo spunto per evidenziare come diplomatici e politici di tutte le parti abbiano cinicamente giocato con i destini di milioni di persone, del tutto disinteressati ai costi umani delle decisioni da loro prese a tavolino. Waldenberg, a sua volta, analizza però troppo brevemente ciò che avvenne alle frontiere orientali della Polonia pre-bellica, allorché i confini definitivi vennero fissati dai vincitori, mettendo in moto esodi massicci di popolazioni, in varie direzioni. In questo processo di ridislocazione etnico-territoriale i costi umani furono particolarmente alti. Infine, Faulenbach analizza le conseguenze che questa cinica politica di spostamento di popolazioni ha avuto nella Repubblica Federale, dopo il 1945. Mescolando, con intelligenza, il piano prettamente storiografico con quello più generalmente politico, egli ricostruisce le tappe salienti dellattenzione dedicata alla questione dei tedeschi costretti ad esodare in patria; pur se è evidente una traiettoria di crescente accantonamento del problema, Faulenbach ritiene non corretto parlare di una sua completa messa in mora. In effetti, la questione dei Volksdeutschen rimpatriati (ed inseriti con grande successo in un breve lasso di tempo) è tuttora aperta e lascia intravvedere questioni più generali di identità nazionale, che nella Germania riunificata sono state messe in secondo piano, ma non sono state affatto risolte.
6. La terza parte del volume è dedicata alle vicende regionali dellIstria e territori limitrofi. Regionali, ma tuttaltro che irrilevanti, aldilà del fatto che esse continuano ad incidere con forza nella coscienza civile (e politica) perlomeno a Trieste e dintorni. La sezione raccoglie alcuni brevi saggi storiografici, che forniscono interessanti informazioni su come questa complessa vicenda storica sia stata affrontata (per lungo tempo, non affrontata) rispettivamente dalla storiografia slovena e da quella croata (nei contributi di M. Verginella e L. Giuricin). Vi è poi un saggio a quattro mani (R. Spazzali O. Mostarda), che offre alcune anticipazioni su una interessante ricerca in corso, che prende in esame parallelamente il processo di epurazione ai danni di italiani a Capodistria ed a Fiume negli anni del primo dopoguerra. Il fulcro della sezione è però rappresentato senzaltro da due corposi saggi di R. Pupo e M. Cattaruzza, i quali ricostruiscono a grandi linee quelle vicende e mettono a fuoco una serie di nodi controversi o ancora irrisolti. Gli autori evidenziano alcuni aspetti significativi: in primo luogo, il nesso fra foibe ed esodi è stato largamente accentuato, anche per evidenti strumentalizzazioni politiche. Certo, vi sono legami di contesto, ma le due vicende debbono essere considerate nella loro specificità. In secondo luogo, pur senza negare le pressioni e le violenze, che costellarono la vita delle comunità italiane rimaste ad Est del confine della cosiddetta zona A (Trieste), che poi sarebbe stata definitivamente attribuita allItalia, entrambi gli autori concordano nel sottolineare il carattere non forzato dellesodo. Così, Cattaruzza scrive che per lIstria non è possibile parlare di espulsione coatta (p. 235). La decisione di esodare venne presa piuttosto dopo il 1953, quando alla stragrande maggioranza degli italiani divenne evidente che restare nella Jugoslavia avrebbe rappresentato un destino di emarginazione inarrestabile e di smantellamento delle basi economiche, sociali e culturali della propria esistenza. Più delle violenze, è probabilmente stata lincertezza permanente a spingere verso questa dolorosa scelta. I saggi di Pupo e Cattaruzza mettono in evidenza la complessità del fenomeno, che ha avuto forti scarti cronologici e differenziazioni da zona a zona; molti aspetti cruciali debbono ancora essere chiariti e solo da poco gli archivi ex-jugoslavi sono diventati accessibili agli studiosi. Ciò consentirà auspicabilmente di colmare alcune delle lacune.
7. I saggi di Pupo e Cattaruzza rappresentano due ottimi esempi di come sia possibile affrontare, con le armi della riflessione storiografica, un tema così complesso e di così bruciante attualità. Spiace che quasi a chiusura del libro sia stato invece pubblicato un saggio, incomprensibile per i non addetti ai lavori, di Antonio Sema. Noto studioso di storia militare e di geopolitica, Sema fa alcune riflessioni che di storiografico hanno molto poco, ma che appaiono piuttosto intrise di forti remore politico-ideologiche (di stampo apertamente anticomunista, per capirci). Il suo è un linguaggio criptico, quasi in codice. Forse, però, il taglio di questo breve saggio potrebbe essere preso a metafora non della qualità, complessivamente davvero molto buona, dei contributi raccolti nel volume, ma dei problemi, delle ferite ancora aperti, talvolta non detti, che affiorano in tutti i saggi; ulteriore attestazione del fatto che queste vicende, magari lontane nel tempo, hanno portato con sé un tal carico di drammi e di reciproci risentimenti, da restare ancor oggi delle ferite aperte.