Il primo Workshop Nazionale di Studi Medievali e Cultura Digitale
(Firenze, 20-21 giugno 2001): una cronaca

Alessandro Azzimonti
Università di Trieste

1. Nei giorni di giovedì 21 e venerdì 22 giugno 2001 si è tenuto a Firenze nell'Aula Magna di Palazzo Fenzi, presso la sede del Dipartimento di Studi storici e geografici, il “primo workshop nazionale di studi medievali e cultura digitale”, organizzato e promosso dall'Università di Firenze e dal Coordinamento delle iniziative on line per la medievistica italiana, con il patrocinio dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e di La Storia. Consorzio italiano per le discipline storiche on line.

Il convegno, che ha avuto il particolare merito di riunire esponenti autorevoli e giovani ricercatori di differenti aree disciplinari, ha registrato una notevole partecipazione, per frequenza e provenienze.

Un'eccellente organizzazione logistica ha permesso che il convegno fosse annunciato e preparato con largo anticipo mediante un servizio di informazione e di aggiornamento per via telematica e la predisposizione di un sito web (http://www.storia.unifi.it/_PIM/Medium-Evo/, sede entro l'autunno della pubblicazione degli atti, corredata di file audio) che rendeva disponibili, tra altro materiale, abstracts delle relazioni e nutriti dossier biblio- e webliografici; e ha poi caratterizzato lo svolgimento dei lavori, in particolare attraverso l'allestimento di un punto informatico, che ha consentito ai convegnisti la verifica e l'approfondimento dei temi toccati e delle risorse presentate nel corso delle conferenze, a loro volta supportate dalla necessaria strumentazione digitale e telematica.

2. Non può sfuggire il rilievo che assume l'evento nel processo di transizione in cui le discipline umanistiche, come le altre, sono implicate. Dopo una prima fase di generale informatizzazione, dalle conseguenze forse non dovutamente valutate – come nel caso della transizione (mondiale, prima metà degli anni ‘80) dalla stampa a piombo alla stampa a computer e della crescita esponenziale delle pubblicazioni, con i connessi problemi di gestione dell'informazione e di sgretolamento di un definito canone disciplinare di riferimento -, la telematica apre ora a nuovi scenari. Ma a fronte del potere pervasivo della strumentazione digitale e di ormai significativi esiti della sperimentazione nella costituzione di banche dati e nell'ambito della codifica, dell'affermazione della telematica e della circolazione di nuovi servizi e nuovi prodotti editoriali, di una realtà insomma in grado di infrangere le più resistenti barriere di indifferenza e scetticismo, più voci si sono levate a denunciare la latitanza di una riflessione epistemologica. E se in tempi recenti è stato dato scorgere segnali che attestano uno sforzo cosciente in questo senso [1] , quella di Firenze rappresenta la prima occasione di riflessione sistematica relativa allo specifico settore medievistico, e forse la prima di tale intensità e rilevanza nell'ambito, in generale, delle discipline umanistiche.

3. Muovendo dall'assunto che l'evoluzione tecnologica, non che limitarsi a un neutro rinnovamento della strumentazione tradizionale, nel segno, al più, di una maggiore efficacia della stessa, induce profonde mutazioni di linguaggio e delle stesse pratiche della ricerca, gli organizzatori interpretano la fase di transizione come un “problema di traduzione” del patrimonio tradizionale di “metodi e saperi”, che chiede un impegno di “tutela” e insieme di “rinnovamento” di ecdotiche, metodi e canoni disciplinari, e l'assunzione di precise responsabilità. Poiché, di fronte al potere dello strumento di amplificare a un grado prima impensato l'esistente, nel bene e nel male, la ridefinizione di metodi e linguaggi impone, insieme allo sforzo interpretativo delle nuove potenzialità e alla salvaguardia del patrimonio tradizionale contro a entusiastici avventurismi, un esercizio critico sullo stato di salute delle discipline impegnate nella transizione e disponibilità a relativizzare principi pensati come immodificabili, fino al disvelamento di eventuali costruzioni ideologiche. Una tale impostazione ha consentito un confronto fecondo, dalle marcate differenze di accento e al riparo dal rischio di un discorso autoreferenziale e ideologico, oppure gratuitamente teorico [2].

Secondo un efficace schema che prevedeva, successivamente a ogni relazione-quadro, un avvio alla discussione da parte di un autorevole rappresentante della tradizione disciplinare, non necessariamente coinvolto nella sperimentazione delle nuove tecnologie, l'incontro ha portato l'attenzione sui principali ambiti della ricerca storica, articolandosi in quattro momenti.
Dopo il saluto ai convenuti e l'apertura dei lavori da parte di Andrea Zorzi, responsabile dell'organizzazione, l'intervento di Michele Ansani dà avvio alla prima seduta del convegno, coordinata da Jean-Claude Maire Vigueur e dedicata all'ambito della documentazione.

4. Fin dal titolo (La tradizione disciplinare fra innovazione e nemesi digitale) trapela la preoccupazione per le sorti stesse della disciplina diplomatica, intimamente connesse con il ruolo dell'attività di edizione del documento, che nell'inedito contesto della riproduzione virtuale del documento e della possibilità di accesso per via telematica ad archivi e biblioteche digitali, “fruibili” attraverso moltiplicantisi strumenti per la consultazione, rischia di non essere più avvertita come imprescindibile. La preoccupazione è incrementata dal generale e prolungato silenzio in cui cadono tali interrogativi: per una discussione sul piano epistemologico, è necessario risalire alle valutazioni – peraltro essenzialmente negative in ordine alle possibilità di applicazioni delle tecnologie informatiche alla ricerca diplomatica - di Pratesi e Bautier in occasione della Tavola rotonda CNRS tenutasi a Roma nel 1975. L'interesse è oggi altrimenti rivolto alle concrete pratiche di digitalizzazione e alle soluzioni editoriali da esse consentite, e sul piano delle realizzazioni si traduce in una sperimentazione caotica e in una dispersione di sforzi dagli esiti non (ancora) significativi; gli stessi grandi editori perseguono politiche di adeguamento al mercato che non oltrepassano un incompleto maquillage digitale.

Ansani muove d'altra parte a considerazioni circa la percorribilità di quella che altrove ha definito “una sperimentazione sostenibile” [3] , che eviti insieme lo stravolgimento dell'identità disciplinare e una scettica rinuncia. La diplomatica può contare su una tradizione e una strumentazione definitorie e classificatorie, così come su un'opera volta alla normalizzazione e alla sistematizzazione quale il Vocabulaire voluto da Bautier, che possono soddisfare le esigenze di rigore interpretativo della stagione digitale: un opportuno adeguamento alla specificità documentaria di standard prescrittivi già esistenti e evoluti (in particolare TEI), potrebbe consentire di cogliere le “chances discretamente innovative” legate alla digitalizzazione, evidenti sul piano delle soluzioni editoriali, soprattutto nel caso di particolari tipologie testuali e nell'integrazione dinamica di tradizionali apparati e paratesti fortemente penalizzanti, ma egualmente significative su quello del metodo, dove, come già Génicot rilevava nel citato confronto romano, proprio le esigenze di trasparenza interpretativa contrastano con efficacia la tentazione di dimissione di responsabilità che affligge certe pratiche di edizione.

Ansani avverte che le condizioni perché l'innovazione possa costituire un effettivo arricchimento passano per la preservazione del patrimonio di fondamenti epistemologici e procedure tradizionali di edizione e per una nuova progettualità. Ciò contro ai rischi, fondati e palesi, di un tradimento che assuma le vesti di una rielaborazione della scienza dell'edizione in termini specificamente digitali e a quelli di una transizione che si risolva in una mistificatoria duplicazione dell'esistente e nell'amplificazione dei problemi di frammentarietà e discontinuità propri della diplomatica italiana. Strategici saranno allora il mantenimento della centralità della didattica, la prosecuzione dell'opera iniziata con il Vocabulaire e l'impegno all'aggregazione di energie e risorse in progetti che sfruttando le potenzialità della telematica perseguano una sistematicità di analisi di tradizioni documentarie e giuridiche omogenee.

5. Il compito di avviare la discussione è affidato a Silio P. P. Scalfati. I toni preoccupati della relazione di Ansani si intensificano. Con un discorso interno alla disciplina diplomatica, Scalfati ricorda lo specifico e l'irriducibile differenza della documentazione privata rispetto a quella pubblica, sulla quale è più facile si appuntino le proposte di codifica, e sottolinea il ruolo essenziale di una contestualizzazione storica del patrimonio documentario oggetto di edizione. Da tali premesse discendono la denuncia degli enormi problemi che una standardizzazione pone in essere, del rischio d'altra parte che la moltiplicazione dei modelli generi confusione e incomunicabilità tra le edizioni, e il ricordo della necessità che un metodo di interrogazione e di edizione dei documenti origini dalle caratteristiche delle fonti stesse.

Nel corso della discussione si sollecitano approfondimenti quanto alle possibilità editoriali consentite dalla scrittura digitale, come quella dell'edizione provvisoria, o “aperta” (Tabarroni), e relativamente alla valutazione dell'attuale politica editoriale di digitalizzazione del patrimonio già edito (Vigueur). Si suggerisce la necessità di una riflessione attorno alla ricaduta sul piano della ricerca storica di quella che, grazie al digitale e alla telematica, risulta essere la creazione di una nuova tipologia di documentazione, la “metafonte” [4] (Zorzi), aspetto che l'ottica strettamente disciplinare degli interventi, preoccupata della tutela della tradizione e ancorata al testo e ai problemi di edizione ha lasciato non toccato. Si è infine levato l'invito ad evitare i rischi di rigidità ideologica sottesi a certa rivendicazione del carattere imprescindibile dell'attività di edizione operata dai diplomatisti (Rossetti).

6. Nel pomeriggio di giovedì 21 giugno ha luogo la seconda seduta, coordinata da Gian Maria Varanini e avente per oggetto “le riviste e i modi di comunicazione del sapere”.
Sottolineato il ruolo privilegiato che per ragioni di organizzazione della ricerca oltre che editoriali la forma rivista viene a ricoprire nella medievistica, la relazione-quadro Le riviste tra due transizioni: crisi di ruolo e nuove pratiche editoriali di Andrea Zorzi tratteggia inizialmente per linee essenziali l'evoluzione che dalle prime gazzette accademiche e letterarie (del 1605 è la prima, a cura dell'Accademia dei Lincei di Firenze) conduce alla forma attuale della rivista, passando per il costituirsi del canone ancor oggi in vigore nel corso della seconda metà del XIX (del 1842 è la fondazione dell'«Archivio Storico Italiano»). La transizione al digitale, insieme al generale mutamento dell'editoria, viene a coincidere con l'attuale stagione di crisi: il progressivo aumento delle riviste e la loro differenziazione e specializzazione, riflesso peraltro delle tendenze della ricerca, sono all'origine dello smarrimento dell'originaria funzione di diffusione, controllo e archiviazione e della loro riduzione a deposito di saggi accademici, sempre più numerosi e difficili da reperire e di qualità sempre meno garantita.

Nella seconda parte dell'intervento Zorzi propone una prima valutazione di risultati e effetti della transizione, constatato che la presenza in rete delle riviste medievistiche costituisce ormai un fenomeno non trascurabile, e che l'”integrazione” è destinata a costituire lo scenario futuro. Il rilievo centrale è quello della piena traducibilità delle tradizionali pratiche editoriali, dimostrata dalle esperienze attivate. Gli effetti immediati si rivelano invece di segno tra loro differente: se palmare è la constatazione dei vantaggi sul piano dei costi, del lavoro redazionale e della fruibilità, al carattere transitorio della situazione è legato invece il pericolo di uno sdoppiamento digitale del cartaceo, che, insieme alla creazione di nuove riviste, provochi un incremento della disseminazione dell'informazione. Per una legittimazione culturale dei media digitali è necessario affrontare questioni strategiche come quelle dell'acculturazione ai nuovi linguaggi, degli ingenti investimenti a favore delle biblioteche, onde evitare il rischio di ulteriori ritardi nell'adeguamento, delle incertezze sullo statuto giuridico e dunque sulla possibilità di valutazione ai fini della carriera accademica delle pubblicazioni ospitate.

Le riflessioni finali riguardano l'incidenza della transizione sui linguaggi e le pratiche della ricerca. Alla denuncia del problema di una fruizione frammentata e decontestualizzata, che rischia di aggravarne il processo di riduzione ad archivio inerte, segue l'individuazione delle sfide che attendono la rivista: l'inevitabile riformulazione del canone, probabilmente nel segno di un'accresciuta complessità, in relazione alle potenzialità della digitalizzazione;  la gestione delle caratteristiche di fluidità e apertura del dato testuale, che le esperienze avviate in campo scientifico mostrano praticabile (preprinting e peer reviewing). Ma la ridefinizione di linguaggi e forme sarà soprattutto connessa alle caratteristiche di ipertestualità, interattività e multimedialità, proprie della scrittura digitale. Pur se accanto a nuove forme di comunicazione, come i forum e le liste di discussione, Zorzi prevede un futuro per la forma rivista, che continuerà ad esercitare funzioni di selezione qualitativa e di valutazione scientifica, forte anche del valore aggiunto della mediazione editoriale.

7. Danno avvio alla discussione le osservazioni “rapsodiche” di Giorgio Chittolini a commento dei singoli punti della relazione di Zorzi. Esse hanno in particolare il merito di collocare taluni problemi e interrogativi, giunti con l'irruzione del digitale a inedita evidenza e apparentemente specifici della medievistica, sul piano di una trasformazione generale e di una riflessione che può dirsi quasi secolare, se già 80-90 anni fa la Scuola di Francoforte si  poneva il problema del rapporto tra i diversi linguaggi e i nuovi strumenti. Di qui l'invito a non derivare le risposte dalla sola pratica digitale. Così più che due transizioni Chittolini vede un problema unitario, legato alla facile riproducibilità dei testi e a rischi di decontestualizzazione preesistenti al digitale (emblematico il caso della fotocopia), all'interno del quale digitale e telematica costituirebbero solo l'episodio ultimo. Chittolini esprime perplessità quanto all'ipotesi della maggiore complessità futura della rivista, non ritenendola il luogo unico e obbligato di comunicazione. Quanto alla trasformazione dei linguaggi, dopo aver ricordato che la stessa ipertestualità non costituisce una novità in senso stretto, Chittolini richiama alla necessità di una determinatezza del linguaggio, della responsabilità nell'asserzione storica contro la tentazione di dimissione insita nell'“e/o ipertestuale”.

Segue l'intervento di Chittolini una comunicazione di Andrea Barlucchi, in cui sono esposti i risultati di un censimento delle riviste presenti sulla rete [5] . L'indagine, durata alcuni mesi e condotta attraverso lo spoglio di repertori ed elenchi, motori di ricerca, verifica incrociata con gateways ed e-journals, ha riguardato più di 600 riviste e ha permesso di individuare 9 gradi (8 oltre al grado zero, rappresentato però da una minoranza di riviste assenti dalla rete) di partecipazione al processo di transizione: da una semplice scheda bibliografica pubblicata in rete al vero e proprio e-journals, passando per pubblicazione degli indici, apertura di un vero e proprio sito, pubblicazione di materiale a integrazione della versione a stampa,  pubblicazione degli stessi testi (parziale o full text).

La discussione ha inizialmente portato l'attenzione (in particolare dietro sollecitazione dei membri del comitato di redazione di «Reti Medievali») sulla novità radicale dell'oggetto e-journal e sulla necessità di una ridefinizione del canone: nel segno di una generale accresciuta complessità (Gasparri) o della tutela della specificità, eventualmente attraverso una riformulazione in senso minimalista, come di un valore aggiunto (Vitali)? Ha poi affrontato il tema dell'utenza allargata delle pubblicazioni elettroniche e dell'opportunità o meno di una presa in considerazione dello stesso (Salvatori). Quanto all'ipertestualità si è infine precisato che esistono diversi modelli: di segno decostruzionista, ma anche di segno unitario, con una forte presenza dell'autore (Corrao).

8. La terza sessione dedicata all'ambito de “La saggistica e le forme del testo”, coordinata da Stefano Gasparri, ha luogo il mattino di venerdì 22 giugno.

È Pietro Corrao a proseguire la riflessione attorno alle forme della comunicazione del sapere storico, con la relazione Saggio storico, forma digitale: trasformazione o integrazione? Perseguendo il massimo di chiarezza, egli preliminarmente ricorda l'insieme di principi e regole che presiedono alla realizzazione delle diverse tipologie di saggio storico e che si traducono nell'instaurazione del rapporto fra testo dell'autore e altri testi mediato dall'apparato critico, per passare a delineare l'attuale crisi formale, che ha nella perdita di un linguaggio comune e di un'abitudine alla sintesi interpretativa i sintomi più evidenti, e le cause immediate nella frammentazione di oggetti e indirizzi di ricerca, come nel dissolvimento del comune universo di riferimento rappresentato dal canone storiografico. La transizione deve allora secondo Corrao essere oggetto di una riflessione che ne consideri, insieme agli effetti sulle pratiche e sulla struttura, anche l'eventuale contributo alla risoluzione della crisi.

Nello studio dell'impatto delle nuove tecnologie sulle forme di comunicazione scientifica Corrao distingue diversi livelli: nell'ambito delle modalità di diffusione del prodotto i vantaggi, evidenti, si pongono in termini di economicità e rapidità; quanto alla scrittura, il digitale incrementa l'efficacia delle relazioni interne al testo e degli elementi strutturali caratteristici della normale scrittura specialistica; il ricorso alla telematica comporta invece modifiche della struttura stessa del testo: il rimando ipertestuale consente di “inglobare” il contesto, scardinando l'originaria sostanziale linearità e soppiantando consolidate modalità di scrittura, quali il riferimento allusivo a fonti e referenze. Il rinnovamento pone nuove questioni, in particolare riguardanti i criteri di valutazione dei nuovi prodotti: le consentite pratiche di self-publishing pongono in crisi le procedure del riconoscimento dell'autorevolezza, mentre l'integrazione del contesto pone problemi di riconoscibilità di quanto è sotto la responsabilità dell'autore. Ma nuove sono anche le abitudini e le tecniche da acquisire perché si eviti di percorrere la strada della semplice traduzione digitale dell'esistente e tutte le potenzialità vengano sfruttate. Innanzitutto la fluidità del testo, tra le principali fonti di incertezza diffusa: ad essa si collega ad esempio la possibilità di circolazione di testi provvisori (che non significa scadenti), materiali che non vedrebbero altrimenti la luce, o strutturalmente aperti alla verifica e alla discussione del mondo scientifico; poi l'integrazione del contesto: se la strada del “docuverse” disciplinare, della possibilità cioè di un riferimento telematico all'intero canone della disciplina, è e resterà impraticabile per la medievistica, pare invece utilmente percorribile se applicata ad ambiti di ricerca ristretti o all'insieme integrato di testi in costante crescita di un autore (docuverso d'autore); e ancora l'ipertestualità, al centro di un aperto dibattito circa la sua adeguatezza all'argomentazione storica (all'accusa di impoverimento si risponde sottolineando la corrispondenza con le procedure descrittive e non solo probatorie del discorso storico): contro lo scetticismo o le ipotesi di forte segno decostruzionista, occorre secondo Corrao orientarsi verso un'ipertestualità che consenta differenziazione dei livelli per organizzazione, per accessibilità, per grado di approfondimento, che esalti prospettive comparative, che esprima proposte interpretative, evitando il rischio di appiattimento proprio dello spazio telematico. Auspicando finalmente un'integrazione tra irrinunciabili pratiche tradizionali e nuove procedure, Corrao dedica la parte conclusiva della sua riflessione alla presentazione dell'ipotesi di saggio ipertestuale avanzata da R. Darnton (1999): un testo che senza rinunciare alle caratteristiche tradizionali abbracci le nuove possibilità tecniche articolandosi in una molteplicità di livelli che consentano diversi gradi di approfondimento e di complessità argomentativa. Un'ipotesi che indica nelle nuove tecnologie una via per l'integrazione dei differenti aspetti della ricerca in vista anche di una sintesi interpretativa, e che rappresenta un forte stimolo alla ricostruzione di una comunità scientifica dove le specializzazioni tornino ad approdare, attraverso un linguaggio comune, a una sintesi interpretativa comunemente accessibile. Solo una più diffusa sperimentazione, avverte però Corrao, verificherà la possibilità di un effettivo arricchimento.

9. Avvia la discussione l'intervento di Giuseppe Sergi, che rammenta con forza come sia sul terreno della qualità che debbano misurarsi tutte le realizzazioni, spendersi l'impegno e esercitarsi la valutazione, nel cartaceo come nel digitale. E questo, se possibile, in modo ancor più sorvegliato nell'ambito della medievistica, afflitta, per il collocarsi del suo oggetto tra la scientificità e l'affascinante, dalla “tabe del templarismo”. Sergi ripercorre i nodi tematici della relazione di Corrao. In particolare sottolinea, quanto all'investimento nelle nuove tecnologie, la necessità di una distinzione tra i prodotti: alcuni in virtù della loro monumentalità non paiono trasportabili ed esigono la linearità originaria. Ritiene che il nuovo strumento possa consentire una qualità che non lasci “cadaveri”, a livello linguistico come strutturale: se certe soluzioni che la scrittura digitale consente potrebbero addirittura costituire un aiuto, in sede ad esempio di comunicazione divulgativa, per acquisire determinatezza di linguaggio, occorrerà invece vigilare perché l'immediatezza del rimando telematico non porti a misconoscere il valore, anche formativo, del tradizionale linguaggio allusivo. Operando un confronto con il cartaceo, considera il mutamento ipertestuale di alcuni caratteri della scrittura dal punto di vista della sua fruizione (possibilità di lettura selettiva, mantenimento del contesto). I nuovi media impongono nuovi tipi di attenzione: l'autore dovrà tenerne conto. Riguardo alla circolazione di materiale provvisorio Sergi esprime perplessità e difende l'importanza del prodotto finito e sicuro. Si dichiara infine favorevole alla proposta di scrittura stratificata di Darnton, rilevando però l'intramontabile necessità di un livello di scrittura saggistica.

Nel corso della discussione l'attenzione si è soffermata in modo particolare sull'influenza della tecnologia in rapporto alle regole e al metodo della scrittura saggistica. Si è sollecitata una riflessione attorno all'attuale problema di indifferenziazione che riguarda la produzione storiografica sotto tutti gli aspetti, del linguaggio come dei generi: dalla rete è possibile attendere una soluzione? (Vigueur). Se un insieme di regole appartiene ai desiderata, da più parti si riconosce nell'evidenza strutturale (sintattica) e argomentativa un valore aggiunto e insieme un antidoto contro l'indifferenziazione o le tendenze di certa “saggistica vermiforme”. Nodale appare la contraddizione tra la concentrazione richiesta dalla sintesi e la tendenza all'accumulo senza riflessione propria della rete (Giulia Barone). Sul versante delle pratiche di scrittura è stato notato come la rete conferisca un carattere più profondamente unitario ai saggi a più autori (Barone). Si è infine notato che la tendenza, presente - anche nel campo degli e-book - e probabilmente futura, è quella di un'integrazione dei modi di scrittura (scrittura pensata per la stampa, scrittura pensata per il digitale) (Zorzi), nonostante ciò confligga con la possibilità, legata alla nuova tecnologia, di una scrittura altra (Corrao).

10. Dedicata a “gli strumenti di consultazione” è la seduta conclusiva del pomeriggio di venerdì 22 giugno, coordinata da Roberto Greci. Apre l'intervento di Roberto Delle Donne un'indicazione di metodo: se tradizionalmente il ricorso a strumenti di consultazione e repertori presuppone un itinerario formativo e l'acquisizione da parte dello storico delle capacità di valutazione di fonti e opere, è opportuno che la valutazione dei nuovi strumenti e dei nuovi oggetti editoriali si fondi su una frequentazione degli stessi e sulla familiarità con logiche, tecniche, linguaggi non tradizionali. Solo così potranno essere evitate la latitanza di esercizio critico o l'arbitrarietà di proposte classificatorie che contraddistinguono molte disorientate attuali reazioni.
Affidato a una webliografia organizzata secondo la classificazione consueta delle guide a stampa il compito di un'elencazione delle risorse, Delle Donne può dedicarsi a una presentazione sintetica delle tipologie degli strumenti disponibili e diffondersi nell'esemplificazione di alcuni servizi significativi per innovazione e efficacia.

Caratteristiche dell'attuale situazione sono l'assenza di guide introduttive allo studio della storia medievale per qualità avvicinabili a quelle tradizionali a stampa, e, nel campo dei repertori bibliografici, l'ampio scarto qualitativo: accanto a pionieristiche realizzazioni dal carattere fortemente riduttivo sono affidabilissimi progetti d'interesse specifico, nati in ambito universitario (europeo), che dalle opportunità della telematica derivano i tratti più significativi: il carattere profondamente collettivo dell'opera, l'apertura strutturale all'aggiornamento, al perfezionamento. Tra le risorse di interesse generale, esito normalmente di grandi investimenti da parte di istituzioni o gruppi, e dunque normalmente accessibili a pagamento, Delle Donne si sofferma sui servizi offerti da tre grandi banche dati bibliografiche: ISI, JStor e Ingenta, i cui enormi vantaggi rispetto alle bibliografie cartacee risiedono, secondo i casi, nella possibilità di interrogazione simultanea di un cospicuo numero di riviste, nella disponibilità di abstracts o addirittura nella possibilità di accesso al testo degli articoli. Se, come è ormai acquisito, i tradizionali servizi bibliotecari colgono nella versione digitale e telematica l'occasione di un notevolissimo potenziamento (OPAC e metaopac), giungono altresì a prime significative conclusioni processi evolutivi e di sistematizzazione che hanno impegnato il mondo delle biblioteche negli ultimi anni: fusione di diversi cataloghi in banche dati centralizzate, possibilità di accesso diretto al documento, come nel caso del sistema di document delivery “Subito. Lieferdienst der Bibliotheken”. Proprio nella possibilità di un accesso diretto “in remoto” risiede una delle novità più evidenti, su cui si appuntano le attese della comunità scientifica internazionale. Questo aspetto dà l'occasione a Delle Donne di estendere la riflessione alle implicazioni e al significato culturale dell'avvento di nuovi strumenti tutt'altro che neutrali e accondiscendenti. Come già altri, egli individua nella perdita di contesto il pericolo principale che un accesso diretto puntiforme al testo cercato comporta: fenomeno particolarmente visibile nell'ambito della conservazione e della ricerca archivistica, dove, salvo che nella sperimentazione più avvertita, con la riproduzione digitale dei documenti e la predisposizione di sofisticati strumenti di consultazione a svanire è la struttura stessa dell'archivio. La relazione ha però anche il merito di evidenziare l'intima consonanza tra le logiche che presiedono all'elaborazione di tali strumenti e le “gli orientamenti generali della cultura e della società”, perfettamente esemplificati nel processo di trasformazione funzionale che ha investito nel corso del Novecento lo strumento principe della scientificità e criticità della ricerca e della comunicazione storica, l'apparato paratestuale delle note: la rottura dell'equilibrio tra nota e testo denuncia un problema di presenza di materiale irrelato precedente l'era telematica. Occorre vegliare sui rischi di un'amplificazione telematica del fenomeno: la totale perdita di sequenzialità e di compiutezza dell'argomentazione non preclude la comprensione stessa del passato?

11. L'intervento di Paolo Delogu ad avvio di discussione trascende il tema degli strumenti di consultazione per collocarsi su un piano generale, offrendo di fatto una “conclusione” di convegno, come rilevato da Greci. Egli sottolinea, come già Delle Donne, la necessità di introdurre l'uso dei nuovi strumenti nelle pratiche della ricerca storica. L'utilità è evidente: si può se mai discutere della qualità degli esiti e a tale proposito lamenta l'assenza o la scarsità di begli esempi. Nell'enorme incremento sul piano delle possibilità di informazione e di comunicazione individua il valore che lo strumento offre in aggiunta. Le modificazioni riguardano la natura del testo, dal punto di vista della sua apertura, nel senso della suscettibilità a complementi e revisioni e di uscita dalla sequenza, aspetto su cui si appuntano i principali rischi. Circa un contributo alle reali potenzialità di crescita della conoscenza Delogu esprime invece perplessità: ritiene quello digitale essenzialmente uno strumento di calcolo e limitata all'ambito delle discipline scientifiche la possibilità di un mutamento epistemologico ad esso legato.

Sulla scia delle osservazioni di Delogu si è osservato che la discontinuità, e dunque la novità,  introdotta dalla telematica risiede proprio nell'apertura di una fase comunicativa rispetto alla prima fase informatica, individuale, degli anni '60-'80 (Zorzi); si è invitato a scorgere, contro alla forte analogia dei grandi strumenti di consultazione con i corrispettivi cartacei, la possibilità del nuovo in particolare nelle iniziative individuali, cui proprio la pubblicazione telematica conferisce una rilevanza altrimenti non ottenibile (Corrao); si è riflettuto circa il rapporto tra strumentazione e possibilità di generare nuova conoscenza, su alcune caratteristiche del linguaggio telematico - rottura dei confini, incremento dell'interscambio -, e sul rischio di mistificazione legato a certe pratiche di digitalizzazione di strumenti nati in altri contesti (in particolare Vitali).

12. Al breve intervento conclusivo di Greci, che sottolinea la buona riuscita di un incontro in “assenza di estremismi” e caratterizzato da una notevole “ampiezza dello spettro delle questioni”, segue, per bocca di Zorzi e a nome degli organizzatori, il ringraziamento rivolto agli intervenuti e in particolare a quanti hanno reso tecnicamente possibile lo svolgimento dei lavori.
L'appuntamento è al prossimo annunciato convegno, che verterà, rispondendo a un'esigenza in più occasioni espressa, sul momento didattico.

[1] A titolo di esempio si citano le iniziative documentate nel sito del medesimo DSSG (Dipartimento di Studi storici e geografici) http://www.storia.unifi.it/_storinforma/Default.htm, a cura del PIM; occasioni di riflessione come quelle offerte in «Memoria e Ricerca», n.s. 3 (gennaio-giugno 1999), 5-162 (abstracts in http://www.racine.ra.it/oriani/memoriaericerca/summaries.htm#3/99_01) o nel Dossier de «L'indice dei libri del mese», 17 (maggio 2000), dedicato a Il documento immateriale. Ricerca storica e nuovi linguaggi, http://lastoria.unipv.it/dossier/index.htm; contributi come quelli di G. Abbattista, Ricerca storica e telematica in Italia. Un bilancio provvisorio, «Cromohs», 4 (1999), http://www.unifi.it/riviste/cromohs/4_99/abba.html, di A. Zorzi, Medioevo preso in rete. Una guida selezionata alle risorse telematiche per lo studio e per la ricerca, 1998-2000, http://www.storia.unifi.it/_PIM/AIM/risorse.htm, o quello recentissimo di R. Minuti, Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione, «Cromohs», 6 (2001), http://www.cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html.
[2] Non dovrebbe essere il caso di sottolineare qui come proprio il riconoscimento del ruolo della tradizione disciplinare, possibile oggetto di interrogazione e traduzione, però mai declinabile verso l'oblio o prescindibile, marchi la radicale alterità rispetto a iniziative che solo a un occhio più che superficiale possono apparire analoghe (cf. http://www.storiaonline.org/ol/, e i materiali relativi al convegno) e che sulla presunta discontinuità (cf. espressioni come: “nascita e creazione di nuove figure professionali … quella del nuovo storico multimediale, «personaggio» protagonista della nuova realtà multimediale”, “il medievista di Internet”) e su un dilettantismo emozionale assunto come nuovo principio ermeneutico (“poter studiare la storia «navigandola», quasi «vivendola»”, “la multimedialità rende possibile vivere diverse emozioni contemporaneamente”) fondano programmi e asserti (fin nell'italiano approssimativi: in questo realmente alternativi). D'altra parte l'accoglienza che in svariate occasioni dette iniziative ricevono presso testate giornalistiche anche autorevoli e in genere presso i media – da cui tra l'altro il noise che tanto affligge i tradizionali canali di ricerca dell'informazione -, obbliga a una puntualizzazione.
[3] Diplomatica (e diplomatisti) nell'arena digitale,  «Scrineum», 1 (1999), http://dobc.unipv.it/scrineum/ansani.htm , e  «Archivio storico italiano», 158 (2000), par. 7; 9-11.
[4] Un insieme complesso, in cui l'edizione testuale è affiancata da strumenti di ricerca e altro materiale di supporto, che attende di essere studiato nelle conseguenze epistemologiche e metodologiche che comporta: cf. A. Zorzi, Documenti, archivi digitali, metafonti, «Archivi  e Computer» 3 (2000), 289-91, anche in Medioevo preso in rete; http://www.storia.unifi.it/_PIM/AIM/metafonti.htm; si veda anche P. Ortoleva, La rete e la catena, «Memoria e Ricerca», n.s. 3 (gennaio-giugno 1999), 31-9, in part. 34-7.
[5] Pubblicato nel Repertorio  di «Reti Medievali»: http://www.storia.unifi.it/_RM/repertorio/Riviste.htm.