1. Perché Tocqueville, dopo aver dato alle
stampe nel 1856 lAncien Régime et la Révolution, non è riuscito
a condurre a compimento lopera sulla Rivoluzione francese, di cui
il libro pubblicato avrebbe dovuto costituire il primo volume e alla quale
ha continuato a lavorare fino alla morte, avvenuta tre anni più tardi?
La risposta, solo che si evochi questa circostanza biografica, appare
scontata; e tuttavia da sola non ci soddisfa. Come testimoniano il lavoro
preparatorio da lui lasciato e numerosi passi della corrispondenza, lautore
ha incontrato nellelaborazione del suo tema tali difficoltà da doversi
dichiarare a più riprese vinto. Limpressione è, soprattutto, che
nella ricostruzione storica egli si sia trovato alle prese con un nodo
problematico insormontabile, che non poteva né eludere né sciogliere e
dal quale veniva rimandato alle più profonde ed irrisolte aporie della
sua riflessione politica.
Una circostanza che non ha mancato di colpire[1]
è che unanaloga vicenda di scrittura avesse già avuto luogo ventanni
prima, nel 1836. Anche allora lautore, dopo aver scritto
per la London and Westminster Review di John Stuart Mill il primo
di una serie di articoli sullÉtat social et politique de la France
avant et depuis 1789, nel quale trattava l«avant», ovvero proprio
quello che sarebbe stato il suo oggetto del 1856, non aveva dato
seguito al progetto, adducendo limpegno della redazione della seconda
Démocratie[2]. Ipotizzare
che anche allora egli si sia scontrato con le difficoltà che avrebbe provato
più tardi è, naturalmente, una tentazione piuttosto forte: credo tuttavia
che si debba respingerla. Nel 1836 la ragione della rinuncia mi pare che
vada piuttosto ricercata in una mancanza dinteresse di Tocqueville
per la Rivoluzione in quanto evento. (In quanto evento, si badi:
poiché non vè dubbio che, in quanto problema, essa fosse
invece fin da allora al cuore di tutto il suo sistema di pensiero).
È evidente che negli anni trenta Tocqueville condivide lindifferenza
di Guizot per una storia degli eventi rivoluzionari e privilegia una storia
di lungo periodo, in cui la Rivoluzione, in senso stretto, appare come
lavvenimento che suggella unevoluzione plurisecolare[3].
Tutta guizotiana è in effetti la conclusione del saggio[4]:
Tout ce que la Révolution a fait se fût fait, je nen doute pas, sans elle; elle na été quun procédé violent et rapide, à laide duquel on a adapté létat politique à létat social, les faits aux idées et les lois aux moeurs.
Guizotiana, a ben guardare, è anche lidea, qui formulata per la prima volta, e alla quale si tende comunemente a ridurre il discorso storiografico di Tocqueville, della continuità tra antico regime e Rivoluzione[5]:
On sexagère communément egli scrive les effets produits par la Révolution française. [ ] La Révolution française a créé une multitude de choses accessoires et secondaires, mais elle na fait que développer le germe des choses principales; celles-là existaient avant elle. Elle a réglé, coordonné et légalisé les effets dune grande cause, plutôt quelle na été cette cause elle-même.
Insomma, secondo questa linea interpretativa, la Rivoluzione perde la sua specificità di evento: si può ricostruire, come nel caso di Guizot, il lungo moto della civiltà che vi aveva trovato sbocco o piuttosto, come nel caso del giovane Tocqueville, misurarsi con i problemi della società democratica che ne era uscita, senza che, in entrambi i casi, sia necessario immergersi nella sua terribile trama.
2. È vero che qualche crepa, che si rivela qua e là, può far dubitare
della solidità di questa costruzione concettuale. NellIntroduzione
alla Démocratie del 1835, per esempio, dopo aver rappresentato,
lungo gli accadimenti di sette secoli, lirresistibile avanzata della
democrazia, ecco che Tocqueville ci dice che «elle sest emparée
à limproviste du pouvoir», e che prima è stata «adorée comme limage
de la force», poi, essendosi indebolita «par ses propres excès», ne è
stata cacciata da legislatori ciechi, che, anziché correggerla, hanno
voluto distruggerla[6]. È,
in poche righe, la storia della Rivoluzione francese, densa di problemi
e contraddizioni. Come ha mostrato Claude Lefort[7],
a non essere chiarito è in particolare il rapporto tra lazione dei
re, istigatori e beneficiari a un tempo del livellamento democratico,
e la rivoluzione che ha causato la loro rovina: solo degli avvenimenti
contingenti spiegano tale evento (come suggerirebbe lespressione
«à limproviste») oppure la rivoluzione democratica, anche se favorita
dai re, ha una sua logica propria? In tal caso, però, non la si può circoscrivere
al processo delleguaglianza, e le deve essere riconosciuta una dimensione
politica specifica. E quale?
È questo un nodo teorico su cui Tocqueville ha continuato a riflettere:
ventanni più tardi, lo troveremo alle prese con lo stesso problema.
Intanto, però, nel corso della seconda Démocratie, sempre più egli
è venuto prendendo coscienza del fatto che, lungi dal costituire solo
una modalità, particolarmente repentina e violenta, dellavvento
della democrazia, la rivoluzione storicamente ne rappresenta unantitesi,
o meglio uno stato di corruzione[8].
Se è in seguito ad una lotta violenta e prolungata contro delle classi
privilegiate che sinstaura la democrazia, se ne producono degli
elementi patologici, isolamento individualistico, odio sociale, anarchia
intellettuale: ma soprattutto ne può correre rischi mortali la libertà.
In uno snodo fondamentale, Tocqueville ci ha mostrato che, se gli uomini
democratici aspirano a godere, potendo, delleguaglianza e della
libertà (e se in una condizione di democrazia compiuta non si può essere
realmente eguali che nella libertà), queste due passioni sono tra loro
in un rapporto instabile e diseguale: sicché essi sono disposti a rinunciare
alla libertà, pur di conservare leguaglianza, che è la loro «passion
principale», la loro autentica «pensée mère». E tanto più ciò avviene
alluscita di una rivoluzione che abbia abbattuto le antiche gerarchie
sociali, allorché gli uomini «se précipitent [
] sur légalité
comme sur une conquête, et ils sy attachent comme à un bien précieux
quon veut leur ravir»[9].
Nessun dubbio che lopposizione stato democratico-stato rivoluzionario,
che Tocqueville focalizza nella seconda Démocratie, si concretizzi
nella sua mente in figure precise: se la prima è rappresentata dagli Americani,
abbastanza fortunati da essere nati eguali invece di esserlo diventati,
la seconda riguarda il suo paese, la Francia. Con laggravante delle
condizioni in cui sè qui realizzata la rivoluzione democratica:
perché la passione delleguaglianza, introdotta dallopera livellatrice
dei re, sera già radicata nelle abitudini e nei costumi, nel momento
in cui lamore della libertà, si noti: «comme conséquence
de cette égalité même», cominciava appena a presentarsi alle menti[10]. Come stupirsi allora della
natura di ciò che è seguito?
Lo schema concettuale del 1856 è già nettamente delineato. Manca, perché
Tocqueville decida di metterlo in opera, che il corso degli avvenimenti
renda attuale un timore che correva nellopera del 1840: ossia, che
la Francia fosse condannata a restare indefinitamente nell«état
révolutionnaire», che tale stato avesse tendenza a cronicizzarsi. Come
appare da una celebre pagina dei Souvenirs[11], la rivoluzione del 1848 è levento che
ha dato corpo a questo spettro:
La monarchie constitutionnelle avait succédé à lancien régime; la république à la monarchie; à la république, lempire; à lempire, la restauration; puis était venue la monarchie de Juillet. Après chacune de ces mutations successives, on avait dit que la Révolution française, ayant achevé ce quon appelait présomptueusement son oeuvre, était finie: on lavait dit et on lavait cru. Hélas! je lavais espéré moi-même sous la restauration, et encore depuis que le gouvernement de la restauration fut tombé; et voici la Révolution française qui recommence, car cest toujours la même. A mesure que nous allons, son terme séloigne et sobscurcit. Arriverons-nous, comme nous lassurent dautres prophètes, peut-être aussi vains que leurs devanciers, à une transformation sociale plus complète et plus profonde que ne lavaient prévue et voulue nos pères, et que nous ne pouvons la concevoir encore nous-mêmes; ou ne devons-nous aboutir simplement quà cette anarchie intermittente, chronique et incurable maladie bien connue des vieux peuples? Quant à moi, je ne puis le dire, jignore quand finira ce long voyage; je suis fatigué de prendre successivement pour le rivage des vapeurs trompeuses, et je me demande souvent si cette terre ferme que nous cherchons depuis si longtemps existe en effet, ou si notre destinée nest pas plutôt de battre éternellement la mer!
In questa pagina del 1850 è da vedere il nucleo esistenziale più profondo che ha portato Tocqueville, reduce deluso dalla politica, alla sua ultima stagione di studi: tanto più colpisce che egli si dichiari in anticipo sconfitto dinanzi al suo oggetto, che lo definisca oscuro ed inafferrabile.
3. Il processo intellettuale che ha portato Tocqueville a scrivere lAncien Régime è stato descritto più volte, e da ultimo, esaustivamente, da Françoise Mélonio[12]. Il progetto concepito a Sorrento nel dicembre 1850 di scrivere un saggio su Napoleone ha trovato una prima attuazione nei due capitoli, redatti durante lestate del 1852, sulla preparazione del 18 Brumaio[13]. È daltra parte proprio durante la loro stesura che Tocqueville sè trovato di fronte linterrogativo che lo ossessiona dai tempi della Démocratie en Amérique, e che le vicissitudini del nuovo ciclo rivoluzionario del 1848-1851 non fanno che porgli in forma più drammatica: come spiegare che la libertà abbia in Francia radici così fragili e possa essere abbandonata al primo padrone che garantisca al paese leguaglianza? come spiegare la propensione dei Francesi a darsi a un Cesare? È così che, alla fine del 1852, egli cambia direzione, immergendosi nello studio di quel passato dispotico che ha preceduto la Rivoluzione e dal quale soltanto potrà venire una risposta. Da questa svolta è nato il libro del 1856. Il percorso che da questo punto ha portato allopera è stato però tuttaltro che lineare. Senza parlare delle difficoltà di carattere teorico, basterà ricordare che gli interrogativi nuovi, e fortemente innovativi, che lautore si poneva hanno comportato la necessità di un ampliamento delle fonti prime fra tutte quelle amministrative ed un immenso lavoro di scavo archivistico, quale egli, che non era uno storico professionista, non aveva previsto nel momento in cui aveva concepito lidea dellopera, e aveva pensato a un saggio che mescolasse «lhistoire proprement dite avec la philosophie historique», alla maniera del libro di Montesquieu sulla grandezza e la decadenza dei Romani[14].
4. Tutto questo è ben noto. E non cè nemmeno bisogno di soffermarsi
sullopera del 1856, le cui tesi di fondo sono giustamente celebri
e sulla quale esiste unampia letteratura critica (meno ampia, è
vero, che per la Démocratie en Amérique)[15]. I contemporanei[16]furono in particolare colpiti
di trovarvi, ampiamente documentato, largomento secondo cui la centralizzazione
amministrativa, comunemente attribuita alla Rivoluzione e allImpero,
era in realtà unopera della monarchia. La tesi è fondamentale, ma,
come sè detto, non era poi così nuova: e anche per le conseguenze,
queste sì davvero originali, che Tocqueville ne ricava, egli aveva già
indicato in una nota della Démocratie del 1835, la sua fonte ispiratrice
in quella tradizione familiare di liberalismo aristocratico rappresentata
dal suo bisavolo Malesherbes[17]. Ma soprattutto tale argomento bisogna ben intenderlo, se non
si vuole rischiare di perdere la straordinaria complessità del saggio
e di normalizzare il significato che Tocqueville attribuisce
a quelloggetto, «Rivoluzione francese», che è invece il problema
tormentoso da cui egli è si è mosso nel lavoro di scavo sul passato della
Francia. Giacché è per comprendere la natura della crisi traumatica che
vi ha posto fine che lo storico ha voluto carpire i tratti originari dellantico
regime penetrandone la logica nascosta.
Diversamente a me pare che nel 1836, ciò che gli interessa
ora non è tanto la lunga vicenda della rivoluzione democratica, che ha
caratterizzato la storia dellEuropa, quanto la Rivoluzione-evento,
un evento che sè cronicizzato e che gli appare ormai un dato originario
della storia francese. La domanda a cui egli deve rispondere è: Perché
qui e non altrove?[18]La
risposta, come si sa, comporta appunto di risalire allazione accentratrice
della monarchia, che nel corso della sua storia moderna[19]ha operato una prima rivoluzione
nel tessuto vivo della società francese, distruggendo tutti gli antichi
centri di potere e di aggregazione, isolando gli uomini e le classi: e
che, così facendo, ha per prima insegnato che non esiste tradizione, né
situazione, che sia intoccabile e che la volontà politica non possa spazzar
via, per costruire ex novo. Se a questo saggiunge la permanenza,
in una società così frantumata e livellata, di infiniti segni di distinzione,
primo fra tutti il privilegio nobiliare, vuoto ma pesante simulacro di
un potere perduto; se si aggiunge, infine, leffetto forse più funesto
indotto dallassolutismo, ossia, a tutti i gradi della scala sociale,
linesperienza della realtà, della sua complessità e delle
sue resistenze, quale nasce dalla mancanza di partecipazione politica,
il quadro che traccia Tocqueville è tale da fornire, a quella domanda,
una risposta più che circostanziata.
Solo tale quadro, daltra parte, la può fornire. «La révolution française
sono le parole che quasi concludono il saggio ne sera que
ténèbres pour ceux qui ne voudront regarder quelle; cest dans
les temps qui la précèdent quil faut chercher la seule lumière qui
puisse léclairer»[20]. Si tratta però di unaffermazione il
cui senso deve essere approfondito. Se il nesso che così si stabilisce
è quello della pura causalità («perché qui?»), allora risulta chiaro «comment
la Révoluton est sortie delle-même de ce qui précède», secondo il
titolo del capitolo finale. O si tratta forse di un collegamento più complesso,
e non sono solo le cause, per usare la terminologia classica, che Tocqueville
ha in mente, ma la natura del fenomeno rivoluzionario, le modalità del
suo svolgimento? Perché è chiaro che, insieme a quella prima domanda,
ve nè unaltra, non esplicitata, che egli si pone, e che si
potrebbe formulare in questo modo: Perché così e non altrimenti?
Perché quel carattere di subitaneità e radicalità della Rivoluzione francese,
e, per contro, quel suo corso pieno di «retours, de faits contradictoires
et dexemples contraires»[21]?
5. Si è qui in presenza di un nodo problematico assai intricato, e scioglierlo non è facile. Secondo la lettura che, ormai parecchi anni fa, François Furet ha dato dellopera tocquevilliana, lo storico avrebbe oscillato tra due diverse linee interpretative della Rivoluzione (e della storia di Francia): da un lato quella dellaccentramento amministrativo e della continuità, dallaltro quella di un progetto ideologico radicale; nel saggio del 1856 avrebbe però sviluppato compiutamente solo la prima ipotesi, mentre non più che cenni avrebbe dato della seconda. Ed anche nei frammenti lasciati per la storia della Rivoluzione sarebbe rimasto prigioniero della prima problematica, che annullava di fatto la specificità del fenomeno rivoluzionario[22]. Più di recente Jean-Claude Lamberti ha tentato di ricomporre tale divaricazione, quando ha scritto che, per Tocqueville, è la centralizzazione a costituire, contemporaneamente, «leffet des tendances égalitaires et la cause de leur amplification et de leur déformation dans un sens révolutionnaire», e a creare, insomma, la tradizione rivoluzionaria; mentre Alan Kahan ha osservato che quella di Tocqueville è una lettura a molti livelli, e che sarebbe ingiusto imprigionarlo in una teoria monocausale[23]. Furet stesso, infine, è tornato su tale nodo nellultimo saggio scritto con Mélonio. Il come del discorso di Tocqueville è ora posto al centro dellattenzione e ricollegato al perché: la rottura ideologica per cui tutto un popolo ha potuto credere di spezzare la catena dei tempi e cominciare una nuova storia, è, in questa nuova lettura, solo il rovescio della medaglia dellantico regime; la tabula rasa non è che la creatura del vuoto politico e sociale da questo prodotto[24]. DallAncien Régime vengono in realtà diverse risposte anche alla seconda domanda.
6. Nel libro I Tocqueville aveva negato che la Rivoluzione, fenomeno di natura sociale e politica, avesse un contenuto antireligioso; e aveva attribuito la veste di « religion nouvelle», sotto cui essa sera presentata, al carattere astratto dei suoi principi, rivolti, come nelle dottrine religiose, «à lhomme en général, indépendamment du pays et du temps»[25]. Era coglierne laspetto meraviglioso e insieme terribile, nel senso etimologico dei due termini che più aveva impressionato i contemporanei; ma era anche trattarlo per preterizione. Sulla natura propriamente ideologica della Rivoluzione egli è ritornato nei primi due capitoli del libro III (capitoli che, vale la pena di ricordarlo, sono stati per lui di difficilissima stesura[26]). Ancora una volta, contro lantico regime vengono formulati precisi capi daccusa. Quanto allastrattezza rivoluzionaria, sè già detto come per Tocqueville sia stata lespropriazione politica compiuta dal potere monarchico ad aver privato il paese delleducazione alla gestione delle cose e ad averlo consegnato, nel momento in cui, sotto limpulso di quei ben strani leaders politici che furono i philosophes, si riapriva il dibattito pubblico, allillusoria facilità della teoria. Quanto allirreligione, denunciata ora come «une passion générale et dominante» nella Francia del secolo XVIII, la principale ragione ne è indicata negli stretti legami della Chiesa con le istituzioni politiche. Letali sono state ad ogni modo le sue conseguenze: nulla ha più di questo contribuito a dare alla Rivoluzione la sua fisionomia. Perchè la funzione politica principale della religione nelle società democratiche, come Tocqueville aveva detto in alcune celebri pagine della prima Démocratie, consiste nel limitare lorizzonte altrimenti sconfinato di uomini che si danno da sé le proprie regole[27]; e perché nel mondo non sera ancora mai vista una rivoluzione che, in mezzo al più grande sconvolgimento, non mantenesse qualche punto fermo.
Mais, dans la Révolution française, les lois religieuses ayant été abolies en même temps que les lois civiles étaient renversées, lesprit humain perdit entièrement son assiette; il ne sut plus à quoi se retenir ni où sarrêter, et lon vit apparaître des révolutionnaires dune espèce inconnue, qui portèrent laudace jusquà la folie, quaucune nouveauté ne put surprendre, aucun scrupule ralentir, et qui nhésitèrent jamais devant lexécution dun dessein[28].
Tocqueville ha qui veramente messo il dito su una dimensione specifica psicologica e culturale del fenomeno rivoluzionario. Si potrebbe chiamarlo il delirio donnipotenza della politica, tanto più impressionante in quanto, nei fatti, quella che egli constaterà nella Rivoluzione sarà piuttosto limpotenza dei protagonisti, «quand ils ne sont pas portés par la marée»[29]. E su tale dimensione egli continuerà a riflettere. «La Convention si legge in una nota preparatoria[30] qui a fait tant de mal aux contemporains par ses fureurs a fait un mal éternel par ses exemples. Elle a créé la politique de limpossible, la théorie de la folie, le culte de laudace aveugle». Astrattezza, volontarismo, lillusione di poter fare tutto e subito, senza tener conto di «rien détabli»[31]: questi tratti, che Tocqueville individua come costitutivi, dal punto di vista antropologico, delluomo rivoluzionario, è chiaro che hanno avuto origine nellantico regime quale egli lo ha delineato.
7. LAncien Régime annuncia anche quello che sarà il seguito
dellopera, indicandone la scansione temporale e tematica. Si tratta
di pagine molto note, che trovano posto nellAvant-propos
e nel capitolo finale, incorniciando per così dire il saggio, e che individuano
nella Rivoluzione due fasi: la prima, che è stata liberale ed egualitaria
insieme; la seconda, allorché è prevalsa lanarchia, e con
essa la stanchezza e lo scoraggiamento in cui la libertà ha finito
per essere abbandonata a favore delleguaglianza, che solo un padrone,
«tout à la fois continuateur de la Révolution et son destructeur», è sembrato
poter garantire[32]. Nessun problema interpretativo
si pone per la seconda fase. Se la propensione dei Francesi ad oscillare
tra anarchia e dispotismo era per Tocqueville il problema, e se
lo sbocco dispotico della rivoluzione del 1789 (e del 1848) era il dato
che gli aveva suggerito il suo viaggio attraverso lantico regime[33],
dal punto di vista teorico, come sè visto, egli aveva già spiegato
nella seconda Démocratie perchè, fra libertà ed eguaglianza, ove
i due valori sembrino collidere, gli uomini democratici scelgano il secondo.
(Ovviamente, in una circolarità che sarebbe impresa vana voler riportare
alla linea retta, lanalisi teorica era in quel caso suggerita dalla
storia). Il problema si pone invece, con forza, per la prima fase: per
quell89 che Tocqueville esalta, con lirismo per lui inusitato, e
di cui rievoca in poche righe le conquiste di libertà decentramento,
suffragio popolare, libertà di pensiero, despressione, di stampa[34].
Si è dunque avuto per un momento in Francia, nel 1789, quellequilibrio
di eguaglianza e libertà che Tocqueville aveva un tempo ammirato nella
società americana? E se è così, da dove è venuta la scintilla che, in
discontinuità con una storia di dispotismo, ha acceso nei Francesi la
passione della libertà? In unesposizione di solito assai parca di
riferimenti temporali, lo storico, per una volta preciso, data dalla riforma
giudiziaria di Maupeou del 1771 la nascita del sentimento antidispotico
impadronitosi dellopinione pubblica. Ma datarlo non è spiegarlo;
che si tratti di un evento repentino e poco motivato è Tocqueville stesso
a riconoscerlo, quando ricorda che risulta incomprensibile a Voltaire,
da lungo tempo assente da Parigi[35].
8. Comunque sia, qual è il rapporto tra questo liberalismo parlamentare del 1770 e il liberalismo del 1789? A tali domande il saggio del 1856 non dà risposte. Salvo una, forse: ma così ellittica e così amara, per un amante appassionato della libertà come il nostro autore, che, a volerla parafrasare, il liberalismo dell89 rischia, prima ancora di essersi manifestato, di rivelarsi per nulla più che unillusione.
Je pense quà partir de ce moment-là scrive Tocqueville a proposito della svolta degli anni settanta[36] cette révolution radicale, qui devait confondre dans une même ruine ce que lancien régime contenait de plus mauvais et ce quil renfermait de meilleur, était désormais inévitable. Un peuple si mal préparé à agir par lui-même ne pouvait entreprendre de tout réformer à la fois sans tout détruire. Un prince absolu eût été un novateur moins dangereux. Pour moi, quand je considère que cette même révolution, qui a détruit tant dinstitutions, didées, dhabitudes contraires à la liberté, en a, dautre part, aboli tant dautres dont celle-ci peut à peine se passer, jincline à croire quaccomplie par un despote, elle nous eût peut-être laissés moins impropres à devenir un jour une nation libre que faite au nom de la souveraineté du peuple et par lui. Il ne faut jamais perdre de vue ce qui précède, si lon veut comprendre lhistoire de notre Révolution.
Come, alla prova dei fatti, lo vedremo, il liberalismo del 1770 si è dissolto rapidamente dinanzi al montare della marea egualitaria, altrettanto farà il liberalismo del 1789. Se è vero che sul piano della filosofia politica Tocqueville ha postulato un «mistero della libertà»[37], non meno misteriosa risulta per lui la sua apparizione storica. Così chiaro sui motivi per cui tale libertà la si abbandona, egli non potrebbe essere più oscuro sulle ragioni per cui la si persegue[38].
9. Nodo teorico importante, questa questione costituisce altresì la chiave
non solo per ricostruire levento rivoluzionario, ma anche per definirne
la natura in quanto fenomeno ideologico. Se Tocqueville avesse potuto
condurre a termine il suo progetto, sarebbe riuscito a sciogliere tale
nodo, articolandolo nella sequenza degli accadimenti? Oppure, viceversa,
il problema gli ha creato tali difficoltà che, fino allultimo, egli
non è riuscito ad averne ragione? Per parte nostra, tentare oggi di rispondere
a queste domande, sulla base dei frammenti che egli ha lasciato, non significa
elucubrare su come sarebbe stata lopera che lautore non ha
scritto, ciò che sarebbe ingiusto, oltre che ozioso. Significa piuttosto
non sottrarci a un compito critico che una riflessione così aperta
come quella tocquevilliana ci pone: perché, sia a livello teorico che
storiografico, quel nodo del rapporto tra i primi due elementi della triade
rivoluzionaria è il problema su cui egli sè arrovellato per
tutta la vita, vedendovi per un verso la fonte delle contraddizioni del
mondo contemporaneo, ma per un altro anche la chiave della loro soluzione.
Annunciando al suo traduttore inglese Henry Reeve la prossima uscita dellAncien
Régime et la Révolution, agli inizi del 1856 Tocqueville così gli
manifesta la sua intenzione di proseguire lopera[39]:
Le volume qui suivra fera sortir la Révolution avec sa physionomie singulière de ce que contient le volume que je vais publier; il en fera sortir, si je ne me trompe, le mouvement général au dedans et au dehors de la France; et quand cette Révolution aura achevé son oeuvre, il montrera quelle est, au vrai, cette oeuvre et quelle est la sociétè nouvelle qui est sortie de ce violent travail, ce que celui-ci a ôté, ce quil a conservé de ce vieux régime contre lequel il était dirigé.
È ancora il piano che egli aveva concepito quando, verso la fine del 1852, sera deciso per una storia della Rivoluzione: ma, come gli era già accaduto per la seconda Démocratie e per lAncien Régime, lautore sillude sulla sua fattibilità. Dopo due anni di lavoro accanito, e alle soglie della malattia che lo interromperà definitivamente nellestate del 1858, lo riconosce in una lettera alla moglie[40]:
Je travaille beaucoup, mon amie chérie, mais javance si peu, je suis si perdu au milieu dun océan de papiers dont je naperçois daucun côté le rivage que souvent la tristesse la plus profonde me prend et que je suis prêt à renoncer à mon entreprise. [ ] Je veux condenser limmensité dans un petit espace et ce quil y a de plus difficile dans mon sujet, cest de concevoir clairement en quoi il consiste et de le saisir. Jusquà présent je laperçois comme une masse énorme qui sagite confusément derrière un voile; trop obscur pour que je puisse le voir, trop vaste pour que je puisse lembrasser. Il y a là cependant un être qui a de la grandeur et de la vie, qui a vécu, qui vit encore, qui peut paraître. Comment lever un coin du voile, len faire sortir à la lumière et le montrer?
Ciò che di tale lavoro resta è un libro in sette capitoli, non compiuto, ma abbastanza strutturato, sulla crisi politica del 1787-1788, dalla lotta dei Parlamenti alla convocazione degli Stati generali; nonché una serie di appunti, piuttosto omogenei, per il periodo che va dalla riunione degli Stati generali alla fine della Costituente (e che sono, però, o di carattere generale o focalizzati quasi esclusivamente sugli inizi). Nulla sulle fasi successive: solo delle liste bibliografiche per la Legislativa e delle note risalenti per lo più al 1851-1852 sulla Convenzione, il Direttorio e letà napoleonica, oltre ai due capitoli, redatti nel 1852, sulla vigilia del 18 Brumaio[41]. Il lavoro storico effettivo non si è spinto dunque oltre lanno fatidico 1789: la parte più elaborata riguarda anzi la fase prerivoluzionaria 1787-1788.
10. Questi cenni alla partitura diacronica dellopera mostrano il
primo genere di difficoltà con cui Tocqueville sè dovuto misurare,
che è di ordine compositivo. NellAncien Régime egli
aveva magistralmente risolto linterrogativo che gli si era presentato
quando aveva concepito lopera: come ancorare la riflessione storico-filosofica
alla Montesquieu ad una solida trama di fatti? e tali fatti, come sceglierli
e come rappresentarli[42]? Nel saggio del 1856 i fatti venivano evocati nella misura
in cui servivano a «soutenir les idées»: il filo cronologico, senza essere
assente, restava come occultato da unargomentazione serrata, che
ricomponeva lantico regime in un unico quadro svelandone la segreta
fisionomia[43]. Ma, se questo
procedimento era stato adatto a rappresentare fenomeni di lunga durata,
come procedere ora dinanzi al tempo condensato e convulso della Rivoluzione?
Senza abbandonare il suo modo espositivo[44],
lautore sè trovato nella necessità di fare i conti con una
cronologia precisa[45]e una
ricostruzione fattuale, che considerava necessarie a rendere il senso
dellevento e che, tuttavia, mal si conciliano con la sua intenzione
di scrittura. È qui, in questo forse impossibile equilibrio tra due opposte
messe in intrigo, e non in unincapacità di Tocqueville
di aderire alla storia narrativa (di cui ci ha dato un brillante saggio
nei Souvenirs), che si deve cercare lo scoglio compositivo su cui
egli sè arenato.
Questa difficoltà si collega a un altro ordine di problemi. Già nella
seconda Démocratie lo storico sera chiesto quale fosse la
parte delle grandi forze impersonali e delle azioni individuali nel determinare
lo sviluppo storico[46]. Ed è chiaro perché il problema del rapporto tra determinismo
e libertà di scelta degli attori fosse ai suoi occhi capitale: se lavanzata
della democrazia rappresentava proprio una di quelle forze profonde contro
cui nulla potevano le azioni degli uomini, era invece a loro, nel libero
esercizio delle loro intelligenze e volontà, che Tocqueville affidava
il compito dimprimervi uno sviluppo che fosse salutare, o che non
fosse, almeno, funesto[47]. Di qui la sua opzione per una filosofia della
storia che tenesse conto di entrambi gli ordini causali[48]:
La Providence na créé le genre humain ni entièrement indépendant, ni tout à fait esclave. Elle trace, il est vrai, autour de chaque homme, un cercle fatal dont il ne peut sortir; mais, dans ses vastes limites, lhomme est puissant et libre; ainsi des peuples.
11. Il problema del rapporto tra le intenzioni ed azioni degli uomini e il corso irresistibile della storia o la volontà imperscrutabile della Provvidenza, secondo unespressione che lautore predilige torna ora a porglisi, con più urgenza, dinanzi al procedere della Rivoluzione: ma qui, nella ricostruzione dei singoli atti del dramma, la posizione mediana su cui egli sera un tempo attestato risulta tuttaltro che facile da mantenere. È certo che limpotenza degli attori a governare gli avvenimenti, «grand et terrible spectacle», gli sembra uno dei caratteri propri del fenomeno rivoluzionario; e così pure la loro incapacità a «démêler parmi les causes qui les remuent eux-mêmes le vrai moteur»[49]. Tuttavia, nelle note che Tocqueville ha lasciato, e che sono per noi di grande fascino, perché ce lo mostrano, per così dire, al suo banco di lavoro e alle prese con tutti i suoi dubbi e problemi irrisolti, insieme allesigenza di raccontare, e altrettanto insoddisfatta, si affaccia anche quella di far un giusto posto agli individui nella trama dellaccaduto: si tratta anzi di due diversi modi di formulare la stessa esigenza.
Quelle place egli scrive per esempio[50]- assigner aux personnes? Elles
ont certainement joué un grand rôle dans ce premier moment [della Rivoluzione].
Louis XVI; surtout la Cour. Mirabeau.
Mon esprit est noyé dans les détails et nen peut tirer des idées
mères.
Je nen sortirai pas si je veux, même philosophiquement, faire lhistoire
de cette première époque et si je tente autre chose que quelques considérations.
Mais lesquelles?
Tâtonnements, sintitola la nota appena citata. Essa rivela un altro nodo irrisolto, questa volta al livello della concezione della storia: un nodo che ha certamente anchesso contribuito a rendere difficoltoso il cammino di Tocqueville.
12. Per tornare comunque alla domanda fondamentale: rispetto al problema
rivoluzione della libertà-rivoluzione delleguaglianza,
lasciato aperto dallopera del 1856, quali risposte troviamo nel
lavoro incompiuto? Una prima cosa va notata: ed è che lapproccio
di Tocqueville al suo nuovo oggetto rivela come egli sia consapevole che
proprio qui sta il problema della sua Rivoluzione. Non che siano
cambiate le sue categorie causali di fondo. A far muovere gli uomini sono
sempre, in un intreccio inestricabile, le idee, i sentimenti e le passioni,
che egli, però, con mano sicura inserisce in una solida trama di rapporti
sociali (tutti ricordano la celebre frase «je parle des classes, elles
seules doivent occuper lhistoire»[51]). Ossia è il modo in cui i gruppi si collocano,
mentalmente, gli uni rispetto agli altri, coltivano valori, nutrono
aspettative, subiscono delusioni, che, anche qui, mette in moto la dinamica
del mutamento[52]. Si deve
però osservare, che rispetto allAncien Régime, sono cambiate,
almeno in parte, le domande dello storico: ed è cambiata, di conseguenza,
la tipologia delle fonti. Non troveremo più linvestigazione sulle
pratiche amministrative[53]o le ricerche così nuove
per il tempo sulla proprietà contadina prima dell89. Non
troveremo nemmeno i quesiti, chegli sera posto al momento
in cui aveva scritto i due capitoli sulla preparazione di Brumaio, su
quali e quanti benefici le diverse categorie sociali avessero tratto dalla
Rivoluzione, con lacquisizione dei beni confiscati in moneta svalutata,
con il pagamento con la stessa moneta di affitti e debiti, con labolizione
dei diritti feudali, e così via[54].
La sua curiosità è ora principalmente rivolta alla dimensione mentale,
culturale e simbolica, del fenomeno rivoluzionario, come se fosse qui
che si deve soprattutto guardare per coglierne la natura.
Comme mon objet così egli si esprime in una lettera a Lewis[55] est bien plus de peindre le mouvement des sentiments et des idées qui ont successivement produit les événements de la Révolution que de raconter ces événements eux-mêmes, cest bien moins de documents historiques que jai besoin, que décrits dans lesquels lesprit public se manifeste à chaque période, journaux, brochures, lettres particulières, correspondances administratives.
Ed in effetti, tra il materiale preparatorio, spiccano per particolare
interesse le ricchissime Notes de lecture che lo storico ha dedicato
al pensiero politico alla vigilia della Rivoluzione[56].
Ci si potrebbe stupire del punto di partenza scelto da Tocqueville, poiché
egli aveva già trattato della situazione prerivoluzionaria, e in particolare
della riforma amministrativa del 1787, nellAncien Régime.
Si tratta però di una scelta assai innovativa[57],
che è dettata dalla logica stessa del suo discorso. Il 1787 da cui egli
prende ora lavvio è quello della rivoluzione aristocratica[58]. Se, come egli aveva mostrato nel saggio del 1856, lantico
regime aveva conservato, al riparo del generale asservimento, dei residui
di libertà, senza i quali mai sarebbe stato possibile lo slancio del 1789[59], è naturale che nella rivolta
dei notabili egli veda ora, insieme, una manifestazione, lultima,
di questa libertà di privilegio e una lezione per il paese di resistenza
al dispotismo. Soprattutto, se era intorno ai Parlamenti che negli anni
settanta sera riaccesa in Francia la passione della libertà, come
non vedere nel conflitto che li oppone ora alla Corona la miccia che ha
innescato la deflagrazione rivoluzionaria? È così che lo storico può rappresentare
il moto dopinione del biennio 1787-1788 come il momento di
Montesquieu, che segna, di fatto, la fine dellassolutismo
monarchico. E ciò che lha reso possibile, ai suoi occhi, è che il
comune sentimento antidispotico abbia per un momento unito le classi,
che la monarchia aveva sapientemente lavorato a dividere. Culmine e simbolo
di tale fase è lassemblea di Vizille: «On peut dire que dès ce moment
la révolution avait triomphé, bien quelle neût pas montré
son vrai drapeau [...]»[60].
13. Bisogna soffermarsi per un istante sullaffermazione che precede
(e che, riferita a diversi ma sempre iniziali momenti della vicenda rivoluzionaria,
ritorna spesso in queste pagine[61]).
Ne potrebbe, a prima vista, nascere unobiezione, che sembrerebbe
riportarci alle difficoltà incontrate dallautore: a che scopo infatti
raccontare una rivoluzione che è già compiuta, prima ancora di cominciare?
In realtà, tra i non pochi problemi interpretativi che Tocqueville ci
pone, non direi che sia da annoverare anche questo. Da una parte, sul
piano del linguaggio, si deve ricordare che, come già il termine di democrazia,
anche quello di rivoluzione racchiude per lui molteplici significati,
da quello di mutamento lento e graduale a quello di trasformazione repentina
e violenta[62]. Dallaltra,
sul piano propriamente storiografico, il suo discorso si sviluppa su diversi
livelli interpretativi che presuppongono più dimensioni temporali. Alan
Kahan ha parlato delle due Rivoluzioni di Tocqueville. La prima, di ordine
sociale e politico, è già compiuta prima della riunione degli Stati generali
(è, aggiungo io, la rivoluzione rappresentata nei termini guizotiani del
saggio del 1836). La seconda, che prende forma tra la convocazione degli
Stati generali e la loro elezione, senza essere indipendente dalla prima,
comporta una forte radicalizzazione dello scontro politico e trascina,
come dice Tocqueville, «les idées et les sentiments des Français vers
la subversion totale de la société»[63].
Sempre secondo lanalisi di Kahan, questa seconda rivoluzione è a
sua volta distinta in due fasi, che riprendono lo schema dellAncien
Régime: una rivoluzione della Libertà, che si esaurisce, al più tardi,
con le giornate del 5 e 6 Ottobre; una rivoluzione dellEguaglianza,
che da questa data si estende fino al 18 Brumaio[64].
Il che ci riporta al nostro problema: qual è la natura reale del 1789?
la luce nuova ora proiettata sulla dimensione ideologica ci consentirà
di penetrare più addentro in quel breve periodo di equilibrio tra liberalismo
e democrazia che Tocqueville ha preannunciato, senza spiegarlo, nellAncien
Régime? Lanalisi dei frammenti non dà, a mio avviso, risposte
soddisfacenti a questo proposito. Se si guarda alla prima fase degli eventi,
non si può non restare sorpresi nel vedere quanto distaccato e crudo sia
il giudizio che il nipote di Malesherbes dà della rivolta parlamentare.
Quelle corti giudiziarie che nel 1856 egli aveva presentato come una delle
poche barriere rimaste contro larbitrio regio, come «la seule partie
de léducation dun peuple libre que lancien régime nous
ait donnée»[65], svolgono
ora per lui il ruolo dellapprendista stregone. Con il loro linguaggio
ardito ed eccessivo[66],
che risultava privo di conseguenze finché le antiche istituzioni erano
rimaste salde, forniscono lo strumento per abbattere il potere: ma è solo
per essere abbandonate il giorno dopo la vittoria, da quella vecchia istituzione
«déformée et discréditée»[67]che
in effetti erano. Tra il liberalismo parlamentare e le aspirazioni nuove
dellopinione pubblica, quella che si svolge è insomma una commedia
degli equivoci[68]. Dalluno allaltra
nessun magistero di libertà: giacché, come Tocqueville aveva del resto
detto nellAncien Régime, «si cette sorte de liberté déréglée
et malsaine préparait les Français à renverser le despotisme, elle les
rendait moins propres quaucun autre peuple, peut-être, à fonder
à sa place lempire paisible et libre des lois»[69].
14. Il ciclo 1787-1788 contiene invece, secondo questi frammenti, già tuttintera la sequenza rivoluzione della libertà-rivoluzione delleguaglianza. A partire dalla convocazione degli Stati generali, nel settembre 1788, ad accendere gli animi sono le questioni congiunte del raddoppio del Terzo Stato e del voto in comune degli ordini. Avrebbe potuto una politica meno insipiente da parte della Corona modificare il corso degli eventi? Qui come altrove Tocqueville sinterroga sulla possibilità di un diverso decorso della storia, ipotizzando non una trasformazione pacifica delle antiche istituzioni, alla maniera di Burke, ma piuttosto una loro morte non violenta. La riunione da subito concessa degli ordini in ununica assemblea, come nel Delfinato, sarebbe bastata a scongiurare la deriva della rivoluzione verso il conflitto tra le classi? Forse; ma è unipotesi a cui egli stesso non sembra troppo credere[70]:
Il ne faut pas attribuer à tous ces procédés particuliers de législation trop de puissance. Ce sont les idées et les passions de lhomme et non la mécanique des lois qui font marcher les affaires humaines. Cest toujours au fond des esprits que se trouve lempreinte des faits qui vont se produire au dehors.
Ora, quello che fermenta negli animi, e che si arroventa al fuoco delle lotte politiche che precedono la riunione degli Stati generali, è «la véritable passion mère de la révolution, la passion de classe»[71], che dellevento costituisce, come lo storico non si stanca da questo momento di ripetere, il fondamentale carattere. E le passioni egualitarie si alimentano alla battaglia delle idee[72]:
Au commencement, on ne parle que de mieux pondérer les pouvoirs, de mieux ajuster les rapports des classes; bientôt on marche, on court, on se précipite vers lidée de la pure démocratie. Au début, cest Montesquieu quon cite et quon commente; à la fine, on ne parle plus que de Rousseau. Il est devenu et il va rester le précepteur unique de la Révolution dans son premier âge.
Lo scontro tra le classi nellaccezione tocquevilliana del termine, che è sempre riferito alla società cetuale di antico regime[73] fornisce anche il criterio di una delle possibili periodizzazioni della Rivoluzione di Tocqueville. Il movimento è cominciato nelle alte classi (nobiltà di spada, nobiltà di roba), che avevano più mezzi per resistere al re e più speranza di condividerne il potere; a loro, nellinverno 1788-1789, è subentrata la borghesia, con il suo odio per il privilegio e il conseguente attacco alla nobiltà; infine, a partire dalla presa della Bastiglia, sè rivelata una potenza nuova, il popolo, destinata a prendere il sopravvento. È però, si badi, nella lotta delle idee che sinfiamma lo scontro sociale; è nel rispecchiarsi reciproco delle classi in immagini alimentate da disprezzo e paura, da invidia e frustrazione, che si apre la micidiale vicenda della rivoluzione servile. Lo storico non tralascia certo di considerare le circostanze economiche in cui essa ha avuto origine (e che aveva già messo in luce nellAncien Régime); e a più riprese sinterroga sul posto da assegnare nella gerarchia delle cause alla crisi industriale o alla rigidezza dellinverno del 1789[74]. Luna e laltro gli appaiono tuttavia come delle cause secondarie, sebbene importanti: ed è allanalisi delle idee che in ultima istanza egli si rivolge per trovare «la racine de tous les faits qui vont suivre»[75].
15. Malgrado uno sguardo ravvicinato gli abbia rivelato quanto precocemente abbia fatto la sua comparsa la rivoluzione delleguaglianza, Tocqueville mantiene però, anche nel nuovo lavoro, lo schema dellAncien Régime e il giudizio ammirato per l89. E di nuovo, come allora, si commuove di fronte allo spettacolo di grandezza dato dai Francesi al mondo, del cui destino, esempio unico nella storia, essi si sentirono investiti[76]. Ma soprattutto ad emozionarlo è lo slancio di concordia che li unisce nellimpresa comune[77]:
A cet instant solennel [riunione dellAssemblea nazionale], chacun sarrêta et considéra la grandeur de lentreprise. [ ] En présence de cet immense objet, il y eut un moment où des milliers dhommes devinrent comme insensibles à leurs intérêts particuliers pour ne songer quà loeuvre commune. Ce ne fut quun moment; mais je doute quil sen soit jamais rencontré de pareil dans la vie daucun peuple.
Questo momento eccezionale ed unico è quello della fraternità. Non è
questo il termine usato da Tocqueville, ma tale è la cosa che egli descrive.
Poiché, comè stato detto, il terzo elemento della triade rivoluzionaria
è «il valore che, nella realtà del tessuto sociale, dovrebbe dare senso
al tutto» attivando i contenuti positivi degli altri due elementi e facendoli
operare insieme[78]: ed è da questo senso di comunanza e partecipazione che viene
la forza che ispira gli atti iniziali dellAssemblea nazionale. Sul
piano dellazione, grazie al circuito virtuoso che in qualche modo
imprecisato esso attiva, il 1789 può davvero apparirci come lanno
mirabile in cui libertà ed eguaglianza hanno proceduto insieme. La fraternità
però, è stato anche detto, è dei tre elementi il più enigmatico: tanto
è oscura la sua origine, così è erratica la sua presenza nella simbologia
rivoluzionaria[79]. Quel che è certo è che nella Rivoluzione di Tocqueville la
sua improvvisa apparizione rappresenta un mistero (un mistero che forse,
come quelli religiosi, non si dovrebbe tentare di comprendere).
Anno dei portenti, il 1789 è però anche «lanno degli inganni»[80]. Come scrive Tocqueville, «au fond on ne sentend
point, mais on cherche à se persuader quon va sentendre; on
se réconcilie sans sêtre expliqué»[81]. Come, daltra parte, potrebbe essere
diversamente? Non ci ha egli già mostrato che il comune procedere dei
Francesi sulla via della libertà e delleguaglianza poggia sul baratro
di unideologia che di fatto, se non in principio, pone in contrasto
tali valori? Le sue note di lettura sul pensiero politico alla vigilia
della Rivoluzione, di cui sè già detto linteresse, non lasciano
in effetti alcun varco alla speranza. Come già gli era accaduto per i
cahiers de doléances[82],
egli scopre ora con terrore la rivoluzione radicale compiuta negli animi,
prima ancora che si alzi il sipario sugli eventi: solo che, mentre allora
era la somma delle riforme parziali sollecitate dal paese a mostrargli
come inevitabile la morte dellancien régime, ora negli scritti
prerivoluzionari di uomini destinati in futuro a un certo ruolo, e che
avanzano nel 1788 programmi tutto sommato moderati, se confrontati al
poi, egli vede già allopera i principi e la forma mentis
della tabula rasa.
16. Non che ci si debba stupire più di tanto se egli classifica uno scritto
di Péthion del 1788, Avis aux Français sur le salut de la patrie,
sotto la rubrica «1792 en 88», e vi vede allopera «lesprit
révolutionnaire proprement dit sans mélange ni contrainte», nel suo disprezzo
per il passato, nellamore per luniformità legislativa, nellinsolenza
della ragione individuale contrapposta ai dati dellesperienza; né
se vi individua, già a questa data precoce, la formula finale della Rivoluzione,
«tâchons dêtre libres en devenant égaux, mais plutôt cent fois cesser
dêtre libre que rester ou devenir inégaux»[83]. Si può certo, con Furet, deplorare che Tocqueville
abbia taciuto sul problema della guerra ideologica e del messianismo giacobino;
si può anche ipotizzare che, se fosse avanzato nellopera, egli non
si sarebbe accontentato di questa pura e semplice riduzione del 92
all88[84]. Tuttavia
dalle note di lettura risulta chiaro come per lui, sul piano della filosofia
politica, sia il 1789 e ancor più ciò che lo precede, la sua maturazione
nelle menti a racchiudere il senso della Rivoluzione.
Risulta altresì che ad interessarlo, più dei futuri convenzionali, sono
gli attori che hanno recitato il primo atto del dramma. È , per esempio,
Sieyès, il cui grido di guerra contro gli ordini privilegiati Quest-ce
que le Tiers État? riempie Tocqueville di attonimento, per
lignoranza che vi si manifesta delle condizioni di un governo libero.
Prima fra queste, la funzione delle élites, che in alcun modo possono
essere sostituite da una maggioranza puramente numerica[85]: ma tale, osserva lo storico, è lo sviamento
degli spiriti, che anche chi intravvede questa nozione capitale non sa
svilupparla in un disegno politico. Così Roederer, che intuisce che «dans
la société actuelle ce ne sont plus les seigneurs mais les riches qui
se trouvent dans tous les ordres qui doivent faire contrepoids au peuple»,
ma che non trae nessuna conseguenza da questa giusta idea e vuole «une
seule assemblée, tout le monde éligible et tout le monde électeur»[86].
E che dire di Rabaut-Saint-Étienne, così moderato nella pratica, ma così
radicale nei principi? Nelle sue Considérations sur les intérêts du
Tiers État, della fine del 1788, mentre si predica la libertà, non
si esprimono che idee proprie a seminare il dispotismo: in particolare,
lidea che i poteri intermediari, anziché essere la salvaguardia
della libertà, siano un mero strumento di privilegio. Quel che Tocqueville
vede così profilarsi è il discorso rivoluzionario per eccellenza, è la
grande tematica rousseauiana della volontà generale[87]:
Cette notion plus profonde et plus vraie quil y a un grand nombre de droit particuliers qui non seulement non sont pas opposés au bien général mais qui, par une action plus ou moins visible et plus ou moins indirecte, le produisent [ ], cette idée est absente.
17. Ad attirare lattenzione dello storico è infine soprattutto Mounier, il leader, nell89, del partito anglofilo. «Curieux pour voir les passions et les idées révolutionnaires dans les hommes qui nétaient pas révolutionnaires»: così Tocqueville intitola la scheda di lettura delle sue Nouvelles observations sur les États généraux, scritte nei primi mesi dell89; e a lui già aveva dedicato una lunga nota trattando della prerivoluzione del Delfinato[88]. Ciò che soprattutto gli appare curioso è che, se Mounier vede più giusto di altri sullassetto costituzionale futuro e si dichiara in favore del sistema bicamerale e di un potere monarchico forte, ritiene invece che, nella fase transitoria, sia necessaria unassemblea legislativa unica, in cui sarà preponderante il Terzo stato, per poter abbattere lantica costituzione, tutti i diritti particolari, tutti i privilegi locali. Anchegli mostra così di mancare di ogni sana cognizione politica e di non rendersi conto che
la chose quil voulait arriver à faire avait besoin de plusieurs des choses quil voulait détruire, avant quelle ne se fît: dune société assise, de lexistence dune aristocratie, de la composition des anciennes hautes classes, de la tolérance au moins des anciennes croyances appuis sans lesquels il fallait se réduire à une liberté instable et précaire et souvent à légalité dans la servitude[89].
Mai come in queste note Tocqueville è sembrato incline ad identificare la libertà con la sua forma aristocratica; né mai è parso più vicino alle tematiche del tradizionalismo. Sembrerebbe a tratti di sentir parlare Burke o Taine[90]. Ma troppo acuta è la sua percezione della mobilità delle istituzioni, troppo forte la sua consapevolezza dellirreversibilità dei processi storici, ed altro deve essere il nostro giudizio. Come nella Démocratie en Amérique, lautore, attraverso il modello della società aristocratica, aveva pensato le possibilità della libertà democratica, così ora, in controluce al furore rivoluzionario della tabula rasa, sinterroga sulle possibili modalità di una fine non traumatica del vecchio mondo. Ed è così che, al momento in cui salza il sipario sulla Rivoluzione, più volte egli ritorna sullipotesi del successo che avrebbe potuto avere, solo che gli eventi fossero stati diversi, unevoluzione politica allinglese, in cui le élites tradizionali, integrate nella comunità nazionale, avessero svolto una funzione di guida nel difficile passaggio dallantico regime alla modernità[91]:
Il faut reconnaître avec Mounier et Rabaud que la condition et la constitution des classes en France différaient si profondément de ce quelles étaient en Angleterre, que la division en deux ou trois chambres y rendait le gouvernement presque impossibile chez nous, tandis quelle le favorisait chez les Anglais. Et pourtant je CROIS quà la longue et en y mettant de la patience et un esprit de compromis, on eût fini, par leffet bienfaisant de la liberté, de la publicité, de la discussion commune, par amener peu à peu la noblesse et le clergé à céder la plupart de leurs prérogatives et à se laisser graduellement entraîner vers le tiers état.
Se non che egli stesso riconosce quanto azzardata sia la sua ipotesi; ed egli stesso nellAncien Régime aveva mostrato come, nel vuoto sociale e politico creato dalla monarchia, in Francia non esistessero affatto le condizioni per una transizione di questo tipo. Alle stesse conclusioni lo porta ora il suo esame della cultura politica rivoluzionaria: la cui caratteristica, anche nei politici più moderati, è di essere tutta libresca e maturata nella riflessione solitaria, senza il sostegno dellesperienza pratica che solo libere istituzioni avrebbero potuto dare. Ancora e sempre, il peccato dorigine sta nellassolutismo. La controprova ne è Brissot, futuro girondino e già nell89 ben più audace di altri negli obiettivi di fondo: ma al quale il soggiorno in Inghilterra e negli Stati Uniti aveva insegnato che «il faut procéder avec lenteur» ed instillato «de certaines notions conservatrices» (vedi la preferenza accordata al sistema bicamerale) che non avevano, purtroppo, i suoi compatrioti[92].
18. Alla luce di quanto precede, ci si può allora chiedere su quali fondamenta
poggi il giudizio che, nel suo lavoro incompiuto, Tocqueville continua
a mantenere sull89 come su un momento in cui, sia pure per ragioni
insondabili, si sono felicemente coniugate eguaglianza e libertà[93].
Il carattere meno elaborato che hanno le note relative al periodo della
Costituente, se non consente unanalisi troppo dettagliata, ha però
il pregio di farci cogliere tutti gli andirivieni di un pensiero che si
cerca. Ora, ciò che a me pare è che lo storico ragioni seguendo il filo
di due diverse ipotesi di lavoro. Da una parte egli resta fermo al suo
primitivo giudizio sul momento liberale della Rivoluzione; ed è chiaro
perché non può rinunciarvi. Ad essere in gioco sono i suoi più saldi convincimenti
politici, di liberale di specie nuova che non teme di allearsi
alla democrazia: è la scommessa, che ha ispirato tutta la sua opera, che
sia possibile trovare le condizioni per far vivere leguaglianza
nella libertà, quadratura del cerchio della politica moderna. In questa
prospettiva, l89 ha la sublimità della rivelazione originaria: e
Tocqueville, sinceramente, non ha mai smesso di proclamarlo[94]. È perciò che, nelle note che
ci ha lasciato, egli continua a parlare della grandezza della Costituente
e ad affermare «lunion admirable du goût de la liberté et de légalité»
che vi si è avuta[95]. Se
essa ha alla fine fallito, è stato per inesperienza pratica; o meglio,
è stato perchè una rivoluzione, cominciata con tante buone intenzioni
e passioni così disinteressate nelle classi colte, è finita nelle mani
di un popolo brutale e disperato, che ne ha stravolto il significato[96].
Dallaltra parte, però, con questo discorso ne interferisce continuamente
un altro, che porta a ben diverse conclusioni. Non solo, come aveva mostrato
lAncien Régime, nell89 la libertà era sbocciata come
un fiore misterioso su un terreno non preparato a riceverla; i primi atti
della rivoluzione, come Tocqueville ora li aveva ricostruiti, rivelavano
che, forse, più che di un mistero, sera trattato di un equivoco.
Su questo problema lo storico s è tormentato a lungo, con un impegno
intellettuale pari alla posta che sentiva in gioco. Sè chiesto,
dinanzi allunanimità dell89, se ci si trovi di fronte alla
punta più alta del moto ideale che ha prodotto la Rivoluzione francese,
o non invece a un momento particolare, a «un accident spécial»[97].
Non soddisfatto, pensa di scrivere più avanti un capitolo sulle idee dell89,
per mostrare come, in questi inizi della Rivoluzione, «on voulait faire
une socièté non seulement démocratique, mais libre»[98].
Questo capitolo Tocqueville non è arrivato a scriverlo. Alla luce della
disamina chegli ha fatto delle idee dei suoi protagonisti, cè
però da chiedersi quali avrebbero potuto essere le sue conclusioni. Qualcosa,
almeno, in una delle sue molte note, egli ce ne ha anticipato:
«Ce nest pas le défaut didées arrêtées en fait de réformes
qui a perdu la nation en 89, cest labsence didées arrêtées
justes ou réalisables sans révolution»[99].
19. Su questo scoglio interpretativo sè arenato il progetto di
Tocqueville. Non vè dubbio che, se gli fosse stato concesso di proseguire,
molto egli avrebbe avuto ancora da dirci sul fenomeno rivoluzionario;
ma è anche chiaro che, inoltrandosi nella rivoluzione della sola eguaglianza,
sempre più la sua cifra di lettura sarebbe stata quella della «maladie».
Così la definiva, per esempio, nel maggio 1858 in una lettera allamico
Kergorlay: salvo ad aggiungere che a risultargli incomprensibile era proprio
la natura di tale malattia, del «virus dune espèce nouvelle
et inconnue» che tentava invano di diagnosticare[100].
Connesso a questo problema, si potrebbe anche dire che egli se ne ponesse
un altro, attinente allantropologia storica. Quel che si trattava
per lui di comprendere era una «race nouvelle» di uomini: una tipologia
umana che aveva fatto la sua comparsa nella Rivoluzione francese, e il
cui carattere «immodéré, violent, radical, desespéré, audacieux, presque
fou et pourtant puissant et efficace» gli pareva non aver precedenti al
mondo[101]. Era un problema
che, però, non poteva essere da lui sciolto, come avrebbe fatto nelle
Origines de la France contemporaine Taine (che da Tocqueville,
sia detto di passaggio, ha attinto a piene mani), col ricorso a categorie
di una psicologia fissista, ancorata sul terreno della determinazione
biologica[102]. Se lo storico sè non poche volte soffermato sul carattere
dei Francesi, talora per trarne qualche barlume di ottimismo, più spesso
per disperarne, si è però con estremo vigore battuto contro ogni filosofia
della storia che incatenasse luomo alla fatalità della natura[103]. Comprendere la Rivoluzione
francese è stato per lui un problema di ordine culturale e ideologico:
e dinanzi ad esso egli si è dichiarato alla fine impotente.
Mon esprit egli ha scritto nella lettera sopra citata a Kergorlay[104] sépuise à concevoir une notion nette de cet objet et à chercher les moyens de le bien peindre. Indépendamment de tout ce qui sexplique dans la Révolution française, il y a quelque chose dans son esprit et dans ses actes dinexpliqué. Je sens où est lobjet inconnu, mais jai beau faire, je ne puis lever le voile qui le couvre. Je le tâte comme à travers un corps étranger qui mempêche soit de le bien toucher, soit de le voir.
Questa confessione potrebbe essere accolta come il testamento di Tocqueville, o come il suo epitaffio. Epitaffio ben desolato: perché non solo la storia monarchica della Francia, storia di accentramento, storia di servitù, gli ha confermato la difficoltà, vista fin dai tempi della Démocratie, dintrodurre nel paese una democrazia liberale; e non solo la storia della Rivoluzione gli è apparsa determinata da questo pesante retaggio (e dunque, per questo verso, fin troppo spiegabile). Parlare della natura inesplicabile si vorrebbe dire mostruosa ed aliena dellevento che ha fondato in Francia la modernità politica non equivale forse ad ammettere che i problemi che esso ha posti, nella forma in cui lo ha fatto, siano insolubili? Non equivale in particolare a riconoscere che nei gloriosi principi dell89, così come sono stati formulati, non si trovi la garanzia dellaccordo tra eguaglianza e libertà?
[1]Cfr. soprattutto F. Furet, Critica della Rivoluzione francese (Roma-Bari: Laterza, 1980) [titolo originale Penser la Révolution française (Paris: 1978],148.
[2]Cfr. lettera a Mill del 10 aprile 1836, in A. de Tocqueville, Oeuvres complètes [dora in poi O. C.]. VI, 1. Correspondance anglaise. Correspondance dAlexis de Tocqueville avec Henry Reeve et John Stuart Mill. Texte établi et annoté par J.-P. Mayer et G. Rudler. Introduction par J.-P. Mayer (Paris: Gallimard, 1954), 309.
[3]Comè stato scritto, tutta la riflessione di Guizot è da intendersi sulla base della distinzione tra la rivoluzione-moto della civiltà moderna e la rivoluzione-evento (cfr. P. Rosanvallon, Le Moment Guizot (Paris: Gallimard, 1985, 204 sgg.). Ad interessarlo come storico è unicamente la prima: quanto alla seconda, egli ne ha scritto, proprio nei termini adottati nel 1836 da Tocqueville, come di uninevitabile crisi di adattamento della politica allevoluzione della società e delle idee, in quattro grandi articoli pubblicati nelle «Archives philosophiques, politiques et littéraires» del 1818. E da notare che, in un nesso inscindibile con questinterpretazione, egli ha anche sviluppato una generale riflessione sulla natura delle rivoluzioni, che ha largamente influenzato tutta la generazione di Tocqueville, e che può essere condensata nel seguente passo: «Il faut bien dater les révolutions du jour où elles éclatent; cest la seule époque précise quon puisse leur assigner, mais ce nest pas celle où elles sopèrent. Les secousses quon appelle des révolutions sont bien moins le symptôme de ce qui commence que la déclaration de ce qui sest passé» (F. Guizot, Histoire des origines du gouvernement représentatif en Europe (Paris: Didier, 1851[1820-1822], I, 303; il corsivo è mio).
[4]Tocqueville, État social et politique de la France, in O. C., VI, 1, 65-66.
[5]Ibid., 65. «Depuis trois siècles Guizot aveva detto, riferendosi proprio alla centralizzazione come allasse portante della storia di Francia en France ces pouvoirs [legislativo, esecutivo, giudiziario, amministrativo] vont se centralisant; en sorte que, pour étudier le gouvernement du pays, il est nécessaire de les étudier tous, car il sont tous unis et aboutissent au mêmes mains. Richelieu, Louis XIV, la Révolution, Napoléon, dans des situations différentes, semblent avoir hérité des mêmes projets et marché vers le même but» (Histoire des origines du gouvernement représentatif, II, 54. Cito dalledizione con cui, nel 1851, Guizot ha pubblicato, sottoponendolo a un lavoro di revisione, il suo corso del 1820-1822: ma il passo citato si legge identico, salvo due lievi varianti, nella prima edizione: cfr. F.-P.-G. Guizot, Cours [dhistoire moderne]: Faculté des lettres (Paris: Au bureau du Journal [des cours publics], 1820-1822, II, 49).
[6]O. C., I. De la Démocratie en Amérique. Introduction par J. Laski (Paris: Gallimard, 1951), 1, 5-6.
[7]Cfr. C. Lefort, De légalité à la liberté. Fragments dinterprétation de De la Démocratie en Amérique, in Essais sur le politique. XIXe-XXe siècles (Paris: Éd. du Seuil), 1986, 217-247. Il saggio era uscito su Libre, 3, 1978.
[8]Cfr. su questo punto F. Furet, Tocqueville, in F. Chatelet- O. Duhamel- E. Pisier, Dictionnaire des oeuvres politiques (Paris: PUF, 1986), 1068-1073.
[9]O. C., I, 2, 103 . Tutto il capitolo primo della Parte II, dal titolo Pourquoi les peuples démocratiques montrent un amour plus ardent et durable pour légalité que pour la liberté, è fondamentale per il discorso che qui Tocqueville avvia e che condurrà più tardi sulla Rivoluzione francese.
[10]Ibid., 104.
[11]O. C, XII. Souvenirs. Texte établi, annoté et préfacé par L. Monnier (Paris: Gallimard, 1964), 87.
[12]Cfr. la prefazione a A. de Tocqueville, LAncien Régime et la Révolution. Préface, notes, bibliographie, chronologie par F. Mélonio (Paris: Flammarion, 1988). Sulla preparazione dellopera è da vedere anche R. Herr, Tocqueville and the Old Regime, Princeton, N. J.: Princeton University Press, 1962.
[13]Intitolati rispettivamente «Comment la République était prête à recevoir un maître» e «Comment la nation en cessant dêtre républicaine était restée révolutionnaire», tali capitoli si possono leggere in O. C., II, 2, 269 sgg.; per il progetto di Sorrento vedi ibid., 301 sgg.
[14]Cfr. O. C., XIII. Correspondance dAlexis de Tocqueville et de Louis de Kergorlay. Texte établi par A. Jardin.Introduction et notes par J.-A. Lesourd (Paris: Gallimard, 1977), 2, 229 sgg. (lettera da Sorrento del 15 dicembre 1850).
[15]Fondamentale risulta il saggio, scritto a quattro mani con Françoise Mélonio, in cui François Furet, poco prima della sua scomparsa, ha ripreso ed arricchito linterpretazione che dellopera storica di Tocqueville aveva dato in Penser la Révolution (cit. alla n.1): cfr. F. Mélonio F. Furet, The Genesis of «The Old Regime and the Revolution». Introduction, in A. de Tocqueville, The Old Regime and the Revolution. Translated by A. S. Kahan (Chicago and London: The University of Chicago Press, I, 1998), 1-79. Particolarmente suggestivi per il mio discorso sono stati anche gli interventi di J.-C. Lamberti, Introduction à LAncien Régime et la Révolution, in A. de Tocqueville, De la Démocratie en Amérique. Souvenirs. LAncien Régime et la Révolution (Paris: Robert Laffont, 1986), 895-920. (ma dello stesso va anche menzionato il volume su Tocqueville et les deux Démocraties (Paris: PUF, 1983) e di L. Cafagna, Tocqueville dalla democrazia in America allaristocrazia in Francia. Introduzione, in A. de Tocqueville, LAntico regime e la Rivoluzione, tr. it. (Torino: Einaudi, 1989), VII-XLII; assai utile è stato anche Herr, Tocqueville and the Old Regime, citato. Tra i titoli più recenti, anche se meno direttamente attinenti alla mia problematica, sono da ricordare come particolarmente suggestivi: L. Orr, «Tocqueville et lhistoire incompréhensible. LAncien Régime et la Révolution», Poétique, 49, 1982, 51-70; D. Winthrop, Tocquevilles Old regime: Political History, in P. A. Lawler, Tocquevilles Political Science: Classic Essays (New York: Garland,1992), 335-359; H. Mitchell, Alexis de Tocqueville and the Legacy of the French Revolution, ibid., 379-404.
[16]Sulla ricezione dellopera di Tocqueville è da vedere F. Mélonio, Tocqueville et les Français (Paris: Aubier, 1993): lavoro appassionante che, attraverso questo tema, ricostruisce una più ampia vicenda di storia intellettuale e politica.
[17]Cfr. O. C., I, 1, 447-448. A sostegno di quanto già allora avanzava, ossia che «le goût de la centralisation et la manie réglementaire» risalivano in Francia a ben prima della Rivoluzione, Tocqueville invocava la rimostranza che Malesherbes, a nome della Cour des aides, aveva nel 1775 presentato a Luigi XVI; e ne citava un lungo passo che così concludeva: «Voilà, Sire, par quels moyens on a travaillé à étouffer en France tout esprit municipal, à éteindre, si on le pouvait, jusquaux sentiments de citoyens; on a pour ainsi dire interdit la nation entière, et on lui a donné des tuteurs» (corsivo dellautore). Cfr. su questo punto Mélonio Furet, The Genesis,1-2.
[18]Riprendo la formula felice di Cafagna, Tocqueville, XXX.
[19]In realtà, sebbene Tocqueville dati linizio dellopera di accentramento da Filippo il Bello, il processo che descrive e che chiama «antico regime» riguarda gli ultimi due secoli della monarchia, e, per quel che attiene allanalisi delle pratiche amministrative (che è indubbiamente uno degli aspetti più innovativi della sua indagine), essenzialmente il secolo XVIII.
[20]O. C., II, 1, 249.
[21]Ibid., 250.
[22]Furet, Critica della Rivoluzione francese, 178 sgg.
[23]Lamberti, Introduction, 919-920; A. Kahan, «Tocquevilles Two Revolutions», Journal of the History of Ideas, 46, 4 (1985): 585-596.
[24]Mélonio Furet, The Genesis, passim. Il sospetto che coglie chi legge è che la finezza interpretativa di Furet sia anche qui, come già nel saggio del 1978, piegata al suo proprio discorso: se le due ipotesi attribuite a Tocqueville erano nel primo caso funzionali alla proposta revisionista di Penser la Révolution française, la più recente lettura è frutto dellinteresse che Furet è venuto sempre più maturando per la natura prettamente ideologica della Rivoluzione.
[25]O. C., II, 1, 89.
[26]Cfr. O. C., VIII. Correspondance dAlexis de Tocqueville et de Gustave de Beaumont. Texte établi, annoté et préfacé par André Jardin (Paris: Gallimard, 1967), 3, 394 (lettera del 24 aprile 1856).
[27]«En même temps egli aveva scritto (O. C., I, 1, 306) que la loi permet au peuple américain de tout faire, la religion lempêche de tout concevoir et lui défend de tout oser.»
[28]O. C., II, 1, 208.
[29]O. C., II, 2, 176. Su questo punto è da ricordare linteressante osservazione di Cafagna, Tocqueville, XXXVI: è lo scarto tra lillusione donnipotenza e limpotenza degli attori ciò che rende la (e) rivoluzione (i) un processo per natura non governabile.
[30]O. C., II, 2, 255 (corsivo dellautore).
[31]Ibid., 209.
[32]O. C., II, 1, 72 e 247-248.
[33]Per la metafora del viaggio cfr. Furet, Critica della Rivoluzione francese, 147 e Cafagna, Tocqueville, VII.
[34] O. C., II, 1, 72 e 247-248. Sul programma liberale dell89 cfr. anche ibid., II, 2, 133.
[35]Ibid., II, 1, 215.
[36]Ibid., 216 (corsivo mio). «In fondo commentano Furet e Mélonio (The Genesis, 50, corsivo degli autori) quello che Tocqueville immagina [ ] è unaltra storia della Rivoluzione, che avrebbe inizio con Bonaparte e finirebbe con lAssemblea Costituente!»
[37]«Je me suis souvent demandé egli ha scritto (O. C., II, 1, 217) où est la source de cette passion de la liberté politique qui, dans tous les temps, a fait faire aux hommes les plus grandes choses que lhumanité ait accomplies, dans quels sentiments elle senracine et se nourrit. [ ] Ce qui, dans tous les temps, lui a attaché si fortement le coeur de certains hommes, ce sont ces attraits mêmes, son charme propre, indépendant de ses bienfaits; cest le plaisir de pouvoir parler, agir, respirer sans contrainte, sous le seul gouvernement de Dieu et des lois. Qui cherche dans la liberté autre chose quelle-même est fait pour servir.»
[38]Cfr. Kahan, «Tocquevilles Two Revolutions», 592 e F. Furet,Tocqueville, in Dizionario critico della Rivoluzione francese (tr. it., Milano: Bompiani, 1988) [Paris,1988], 984-994: ho preso di qui lespressione «mistero della libertà» che ho usato nel testo.
[39]O. C. VI, 1, 161.
[40]O. C., XIV. Correspondance familiale. Éditée et établie par J.-L. Benoît et A. Jardin. Préface de J.-L. Benoît (Paris: Gallimard, 1998), 637-638 (la lettera, senza data, è datata dagli editori 18 aprile 1858).
[41]Unampia selezione ragionata di questo materiale è stata pubblicata nellEdizione nazionale dellOpus tocquevilliano (tomo II, 2: LAncien Régime et la Révolution. Fragments et notes inédites sur la Révolution) da André Jardin, che lo ha disposto secondo la cronologia degli eventi e vi ha premesso unintroduzione, che ne illustra i diversi stadi di elaborazione. Parte dello stesso materiale aveva già trovato collocazione nelledizione in nove volumi delle Oeuvres complètes di Tocqueville realizzata nel 1864-1866 da Gustave de Beaumont, il quale, però, aveva compiuto pesanti interventi sui manoscritti (cfr. A. Jardin, Note critique, in O. C., II, 2, 8-9). Nuovo materiale è stato portato di recente alla luce nel secondo volume delledizione critica dellAncien Régime pubblicata negli Stati Uniti a cura di Furet e Mélonio (v. n. 16): cfr. A. de Tocqueville, The Old Regime and the Revolution, II. Notes on the French Revolution and Napoleon. Translated by A. S. Kahan (Chicago and London: The University Chicago Press, 2001). Mentre è attesa la pubblicazione, presso Gallimard, delloriginale francese di tale lavoro, ho potuto utilizzarne il testo, grazie alla cortesia di Françoise Mélonio che lo ha messo a mia disposizione: è quindi da qui che attingo i passi citati, per i quali dò comunque anche il riferimento di pagina delledizione americana.
[42]«Je ne ferais plus, à proprement parler, lhistoire de lempire [il riferimento è allopera di Thiers], egli aveva scritto a Kergorlay (O. C., XIII, 2, 232-233) mais un ensemble de réflexions et de jugements sur cette histoire. Jindiquerais les faits sans doute et jen suivrais le fil; mais ma principale affaire ne serait pas de les raconter; jaurais, surtout, à faire comprendre les principaux, à faire voir les causes diverses qui ont produit ceux-ci et les conséquences qui en sont sorties [ ] Mais les difficultés sont immenses. Lune de celles qui me trouble le plus lesprit, vient du mélange de lhistoire proprement dite avec la philosophie historique. Je naperçois pas encore comment mêler les choses (et il faut pourtant quelles le soient; car on pourrait dire que la première est la toile et la seconde la couleur et quil est nécessaire davoir à la fois les deux pour faire le tableau), je crains que lune ne nuise à lautre et que je ne manque de lart infini qui serait nécessaire pour bien choisir les faits qui doivent pour ainsi dire soutenir les idées; en raconter assez pour que le lecteur soit conduit naturellement dune réflexion à une autre par lintérêt du récit et nen pas trop dir afin que le caractère de louvrage demeure visible.»
[43]Furet e Mélonio hanno, anzi, giustamente insistito sul fatto che, allorigine di questoperazione demistificatrice, cè proprio labbandono deliberato da parte di Tocqueville della narrazione, e dellillusione esplicativa che ne consegue (cfr. Introduction, in Tocqueville, The Old Regime and the Revolution, I, passim).
[44]Così, verso la fine dottobre del 1857, quando comincia a redigere il Libro primo, egli pensa di poter procedere: «Je ne dirai point comment des embarras financiers portèrent en 1787 le roi Louis XIV à réunir près de lui, dans une assemblée, des membres de la noblesse, du clergé et de la haute bourgeosie et à soumettre à cette assemblée de notables la situation des affaires. Je parle sur lhistoire et ne la raconte pas » (O. C., II, 2, 48: corsivo mio. Cfr. Jardin, Note critique, ibidem, 22-23). Un po più avanti, a proposito del conflitto tra potere regio e Parlamento di Parigi nel 1787, annota però: «La difficulté et le danger de ce que je fais là est que je ne puis entrer assez dans le récit des événements pour intéresser le lecteur aux faits et que cependant le peu que jy entre retarde la marche de lidée» (ibid., 62: corsivo mio).
[45]«Pour arriver au bout de ma tâche, scrive il 13 ottobre allabate Maury, vice bibliotecario dellInstitut, che lo aiuta a procurarsi la documentazione di cui ha bisogno je suis obligé de la diviser en époques» (lettera inedita, citata in Tocqueville, The Old Regime and the Revolution, II, 6).
[46]O. C., I, 2, 89 sgg.
[47]Su questo problema è di particolare interesse H. Mitchell, Individual Choice and the Structures of History. Alexis de Tocqueville as Historian Reappraised (Cambridge: Cambridge University Press, 1996) (e del medesimo il saggio Alexis de Tocqueville and the Legacy of the French Revolution, sopra citato). Sarà anche da vedere R. von Thadden, Le problème du processus de lhistoire dans la pensée dAlexis de Tocqueville, in Histoire sociale: Sensibilités collectives et mentalités (Paris: PUF, 1985), 371-381.
[48]O. C., I, 2, 339
[49]O. C., II, 2, 176 e 72.
[50]Ibid., 173.
[51]O. C., II, 1, 179.
[52]Melvin Richter ritiene che Tocqueville, nel corso della sua opera, abbia oscillato nella scelta di quale fattore, tra idee, interessi, passioni, faccia principalmente agire gli uomini, per arrivare nel 1856 ad uno schema sofisticato che li include tutti e che dà luogo ad una vera e propria sociologia politica (cfr. M. Richter, «Tocquevilles Contributions to the Theory of Revolution», Nomos. VIII. Revolution, ed. by C. J. Friedrich, New York: Atherton Press, 1966, 75-121). Considerazioni analoghe si trovano in P. Ansart, «Alexis de Tocqueville. Une sociologie des idées politiques», Revue française dHistoire des idées politiques, 1995, 2, 257-273. Per una posizione molto equilibrata su questo punto si rinvia a Cafagna, Tocqueville, XXX-XXXI.
[53]Pratiche che, per il periodo rivoluzionario ora indagato, sembrano allo storico prive dinteresse, come mostra una nota del 1853, citata da Jardin, (Note critique, cit., 15; corsivo mio): «A partir de cette époque [1787], lancienne constitution administrative se modifie profondément et on entre dans lépoque transitoire et assez peu intéressante qui sépare lancien régime administratif du système dadministration créé au Consulat et qui nous régit encore». «Frase a dir poco portentosa commenta Furet (Critica della Rivoluzione francese, 178), a proposito dellespressione che ho messo in corsivo da parte di un uomo che vuol scrivere una storia della Rivoluzione.»
[54]Cfr. su questo punto O. C., II, 2, 293 sgg.: Tocqueville sinterroga su quali fonti cercare e consulta, come ha fatto altre volte, testimoni ancora viventi.
[55]Cit. da Jardin, Note critique, cit., 21: la lettera, in data 6 ottobre 1856, si legge nella raccolta delle Oeuvres complètes di Beaumont (VII, 406 sgg.); quasi negli stessi termini egli sesprime nella lettera del 16 maggio 1858 a Kergorlay (O. C., XIII, 2, 337). Il nuovo tipo di fonti di cui ha bisogno, e che può consultare a domicilio, grazie alla liberalità della Bibliothèque impériale e della Biblioteca dellInstitut, spiega come lo storico abbia potuto lavorare restando quasi sempre nel suo castello normanno, salvo brevi soggiorni a Parigi e un soggiorno a Londra per consultare fonti archivistiche. Una ricostruzione particolareggiata del lavoro di Tocqueville in questi anni si deve, oltre che alla Note critique già citata di Jardin, allintroduzione di Furet e Mélonio, dal titolo Tocquevilles Workshop, a Tocqueville, The Old Regime and the Revolution, II, 1-21. Lo storico consulta, tra laltro, la collezione degli Atti delle assemblee rivoluzionarie e centinaia di brochures, che sono oggi raggruppate nella serie Lb della Biblioteca nazionale, ma che allora non erano ancora inventariate, avvalendosi della competenza del conservatore Bordier, che nel 1855 ne aveva pubblicato un primo catalogo e che gli fornisce il seguito non ancora edito del suo lavoro. Alle Archives nationales di Parigi consulta, tra laprile e il giugno del 1857, la corrispondenza della Maison du roi e i documenti relativi alla seconda assemblea dei notabili, alle assemblee elettorali del 1789 e alla prerivoluzione del Delfinato. A Londra, dove si reca dal 19 giugno al 24 luglio 1857, non può utilizzare la collezione di brochures rivoluzionarie del British Museum, per mancanza dinventario, e ripiega sulla corrispondenza diplomatica del 1789-1793 del Foreign Office, ancora vietata al pubblico, ma a cui può accedere grazie al ministro degli Esteri, Lord Clarendon.
[56]Cfr. O. C., II, 2, 446 sgg. e Tocqueville, The Old regime and Revolution, II, 69 sgg. e 81 sgg. (la recente edizione americana si segnala per aver molto ampliato, con documentazione inedita, questa sezione dei frammenti).
[57]E da ricordare quanto ha osservato Georges Lefebvre (per altro piuttosto ingeneroso nella sua valutazione), introducendo LAncien Régime per ledizione nazionale delle opere tocquevilliane: se lo storico avesse scritto il secondo volume che preparava, la sua prima parte avrebbe potuto intitolarsi La Rivoluzione aristocratica, ed avrebbe mostrato che «la Révolution française clôt [ ] lhistoire de lancienne France comme ensuite elle engendre la nouvelle» (O. C., II, 1, 26).
[58]E un punto che è stato ben colto da Herr, Tocqueville and the Old regime, 100-101.
[59]Cfr. O. C., II, 1, 168 sgg.
[60]O. C., II, 2, 76.
[61]Ibid., II, 2, 67,108, 117, 173.
[62]Cfr. su questo punto, tra gli altri, Richter, «Tocquevilles Contributions», cit., 79-80 e R. Boesche, Why Did Tocqueville Think a Successful Revolution Was Impossible?, in Liberty, Equality, Democracy, ed. by E. Nolla, New York and London: New York University Press, 1992, 165-185. (in particolare 168). Per questa caratteristica del linguaggio tocquevilliano, Cafagna ha parlato di polisemia (cfr. Tocqueville, XXII).
[63]O. C., II, 2, 106.
[64]Cfr. Kahan, «Tocquevilles Two Revolutions», 585 sgg.
[65]O. C., II, 1, 175.
[66]Tocqueville ne dà unanalisi suggestiva, vedendovi un precedente della lingua rivoluzionaria. «La boursuflure des sentiments, leggiamo per esempio (O. C., II, 2, 80-81) lexagération des mots, lincohérence et le déguingandé des images, les citations de lantiquité qui ont formé le caractère de la langue révolutionnaire, étaient déjà dans les habitudes de parler de la nation. Il nétait permis davoir des sentiments tranquilles sur rien. La passion seule qui était au fond des coeurs, était de plus dans tous les cas, même ceux où on ne la ressentait point, un lieu commun nécessaire et, de même, il nétait permis de parler de rien simplement; il fallait que lexpression débordât toujours de beaucoup lidée ou le sentiment à exprimer ».
[67]Ibid., 97.
[68]Qui come altrove, Tocqueville ricorre volentieri alla metafora del teatro. Il ruolo di opposizione che i parlamenti serano dati nellantico regime, egli scrive, «cétait une sorte de comédie grave qui se jouait dans le pays. Mais cette fois la pièce était changé et lauditoire différent» (ibid., 56-57). E per rappresentare lo sconcerto ed incomprensione di questi organi per la parte che si trovano a recitare, lo storico sinterroga perfino come ottenere, nella scrittura, un effetto di comico (cfr. ibid., 94). Si ricordi che di risoluzione ironica di un plot tragico ha parlato, a proposito dellAncien Régime tocquevilliano, Hayden White (cfr. H. White, Retorica e storia (Napoli: Guida, 1978 [Baltimore-London, 1973], 257 sgg.)
[69]O. C., II. 1, 177.
[70]O. C., II, 2, 114-115.
[71]Ibid., 100; cfr. anche 104, 135, 139, 160.
[72]Ibid., 106-107.
[73]«Cest lancien régime scrive Raymond Aron (cfr. «La définition libérale de la liberté», Archives européennes de sociologie, 5, 1964, 159-189: cfr.167) plutôt que la société moderne qui apparaît à Tocqueville divisé en classes». Su questo punto vedi anche Richter, «Tocquevilles Contributions»,102 sgg.
[74]«Je nai jamais pu tirer un parti possible scrive per esempio (O. C., II, 2, 123) de lhiver de 1789 et cependant cet accident de la nature fut un grand événement politique».
[75]Ibid., 107.
[76]Ibid., 132.
[77]Ibid., 130, 132.
[78]Cfr. Cafagna, Tocqueville, XXXIV-XXXV.
[79]Per unanalisi della sua storia e della sua valenza si veda M. Ozouf, Fraternité, in Dizionario critico della Rivoluzione francese, 657-666. E di Cafagna (vedi nota precedente) laggettivo enigmatico riferito alla fraternità.
[80]Così Furet, Critica della Rivoluzione francese, 176.
[81]O. C., II, 2, 133.
[82] Cfr.O. C., II, 1, 197
[83]Ibid., 164 sgg.
[84]Cfr. Furet, Critica della Rivoluzione francese, 178-179, e Furet e Mélonio,Tocquevilles Workshop, 10.
[85]In Sieyès, osserva Tocqueville, si vede allopera «la force rigoureuse du raisonnement mathématique qui va jusquau bout de ses conséquences». Quello che egli dice sullinutilità della nobiltà, divenuta una casta priva di funzione, è vero; il falso consiste nel non vedere «que si la caste était en effet une institution mauvaise en soi et de plus inutile, le système de la majoritè purement numérique ne létait pas moins. Quune certaine influence des traditions, des principes, quun élément aristocratique en un mot, était un élément très nécessaire dans un gouvernement libre, surtout dans un gouvernement libre inexpérimenté, et que cette caste, ramenée peu à peu à nêtre quen partie laristocratie, était pour la France une ressource précieuse quil était très facheux de détruire» (O. C., II, 2, 139 sgg.: il corsivo è mio).
[86]Cfr. Tocqueville, The Old Regime and the Revolution, II, 82. Scheda di lettura di Roederer, De la députation aux États généraux, novembre 1788.
[87]O. C., II, 2, 158 sgg.
[88]Cfr. rispettivamente Ibid.,147 sgg. e Tocqueville, The Old Regime and the Revolution, II, 79-80. Ledizione americana contiene unappendice documentaria, di grande interesse, sugli avvenimenti del Delfinato (cfr. ibid., 69 sgg.), che non era stata pubblicata da Jardin.
[89]O. C., II, 2: il passo citato si legge a p. 151.
[90]«Lidée scrive per esempio, sempre a proposito di Mounier (Ibid., 149-150: il corsivo è mio) quil y a tout un passé qui a ses droits, de certaines habitudes politiques, de certaines coutumes qui sont de véritables lois, bien que non écrites, à quoi on ne doit toucher quavec précaution, qui ont créé de véritables droits qui doivent être ménagés, quil ne faut changer que peu à peu, sans faire de brisement complet entre ce qui a été e ce quon veut quil soit, cette idée qui est la notion même de la liberté politique pratique et régulière est aussi absente de lesprit de Mounier que de celui des révolutionnaires les plus violents qui allaient bientôt paraître». Sul problema delle inflessioni tradizionalistiche del pensiero tocquevilliano, cfr. P. Moreau, Tocqueville pour et contre le traditionalisme, in Alexis de Tocqueville. Livre du centenaire. 1859-1959 (Paris: Éditions du CNRS, 1960), 133-143.
[92]Ibid., 155 sgg. Tocqueville analizza lo scritto di Brissot Plan de conduite pour les députés du peuple aux États généraux de 1789, dellaprile 1789.
[93]Così, per esempio, in un piano per un capitolo che dovrebbe abbracciare il periodo dal 14 luglio alla fine della Costituente, si legge: «examen de tout le système de lois de la Constituante, en faisant ressortir ce double caractère: libéralisme, démocratie». «Ce qui aggiunge Tocqueville me ramène amèrement sur le présent» (cfr. ibid., 195: il piano è datato dicembre 1857).
[94]Cfr. su questo punto R. Aron, Les Étapes de la pensée sociologique (Paris: Gallimard, 1967, 248-249. Sulla dimensione liberale della Rivoluzione francese Tocqueville si era soffermato nel discorso del 12 settembre 1848 allAssemblea nazionale, pronunciato per combattere lintroduzione nella costituzione del diritto al lavoro (cfr. O. C. III. Écrits et discours politiques. Texte introduit, établie et annoté par A. Jardin (Paris: Gallimard, 1990, 3, 167 sgg.). E vero che tale giudizio potrebbe essere strumentale; ma è innegabile che negli ultimi anni della monarchia di Luglio, Tocqueville, come mostrano i suoi discorsi politici, e in funzione del suo liberalesimo di nuova specie, era venuto sempre più idealizzando lazione liberatrice della Rivoluzione (cfr. su questo punto Lamberti, Introduction, 898 sgg.).
[95]O. C., II, 2, 194.
[96]Così, per esempio, ibid., 208 sgg. Lo storico riprende qui quella che, nellAncien Régime, aveva già avanzata come spiegazione secondaria ed accessoria, se si può dire, della deriva rivoluzionaria (O. C., II, 1, 246).
[97] O. C., II, 2, 131.
[98] Ibid.,199-200 (corsivo mio). E da segnalare, in relazione al testo appena citato, la nota che leditore dei Frammenti ha pubblicato in questa stessa pagina, sotto la rubrica di «Démocratie Institutions démocratiques. Divers sens de ces mots. Confusion qui en résulte», e che è uno dei pochi luoghi dellopera storica (sia dellAncien Régime che del seguito) in cui compare tale termine. Tocqueville se la prende con luso indifferenziato che se ne fa, per concludere chesso non può voler dire che una cosa, «un gouvernement où le peuple prend une part plus ou moins grande au gouvernement» e che «son sens est intimement lié à lidée de la liberté politique». E ben chiara la presa di posizione contro il regime del Secondo Impero: ma che dire delluso chegli stesso aveva fatto del termine? e della distinzione che ancora adesso poneva tra democrazia e libertà?
[99] Ibid., 198 (corsivo mio).
[100] O. C., XIII, 2, 336 sgg.
[101] Ibid., 337.
[102] Su questo punto mi permetto di rinviare al mio Hippolyte Taine, Scienze umane e politica nellOttocento, (Venezia: Marsilio, 1993, cfr.soprattutto 97 sgg. e 285 sgg.).
[103] Di estremo interesse su questo problema la discussione che egli ha intrecciato con Gobineau, al momento della pubblicazione, da parte di questi, nel 1853 dellEssai sur linégalité des races humaines (cfr. soprattutto le lettere dell11 ottobre, 17 novembre e 20 dicembre 1853, in O. C. IX. Correspondance dAlexis de Tocqueville et dArthur de Gobineau. Texte établi et annoté par M. Degros. Introduction par J.-J. Chevalier (Paris: Gallimard, 1959, 199 sgg.).
[104] O. C., XIII, 2, 338.