1. E' molto
difficile, in un momento in cui è ancora vivo il sentimento della perdita
improvvisa di un caro amico e di un maestro, separare la riflessione sul
valore di un contributo alla ricerca che si è espresso in una vita di
indagini, di studi e di scritti, dalla folla di ricordi e dalla memoria
dell'esperienza vissuta. Ed inevitabilmente sono questi ultimi aspetti
ad avere ancora la prevalenza, imponendo di rinviare il momento delle
riconsiderazioni storiografiche e delle valutazioni dei meriti scientifici
oggettivi a momenti successivi, più pacati e meno segnati dal sentimento.
Il mio incontro con Salvatore risale alla metà degli anni '70, quando
ero studente all'Università a Pisa, in una realtà ancora fortemente segnata
dalle agitazioni e dalle passioni politiche che avevano profondamente
coinvolto me, al pari di molti altri giovani o giovanissimi della mia
generazione. Salvatore Rotta era in quegli anni docente di Storia Moderna,
ed era giunto alla cattedra pisana nel 1968 tenendo parallelamente ( e
con corsi mantenuti distinti ed autonomi, con un impegno ed una dedizione
che tuttora suscitano impressione in molti dei suoi colleghi di allora
) un insegnamento analogo presso l'Università di Genova. In precedenza,
dopo aver compiuto i primi studi in Sardegna, dove era nato nel 1926,
nella piccola isola de La Maddalena, ed aver frequentato il celebre liceo
"Azuni" di Sassari - prima palestra di formazione di molte generazioni
destinate ad avere un ruolo rilevante nella vita culturale e politica
isolana e nazionale - , aveva compiuto la sua formazione universitaria
laureandosi in filosofia a Genova con una tesi sulla Methodus ad facilem
historiarum cognitionem di Jean Bodin.
Successivamente le varie circostanze della vita non gli avevano consentito
di seguire rapidamente il percorso di una carriera scientifica e accademica
alla quale era evidentemente destinato, a giudizio di tutti coloro che
ebbero modo di cogliere le sue precocissime e per certi aspetti eccezionali
capacità di lavoro, oltre ad un entusiasmo per la ricerca che rimarrà
pressoché intatto fino agli ultimi giorni di vita. Era stato infatti per
molti anni lettore di lingua italiana in Svezia, e di quell'esperienza
aveva sempre conservato, come ebbe spesso modo di esprimerci, non l'impressione
penosa di un'emigrazione forzata, frequente per chi non veda corrispondere
immediatamente i passaggi della carriera all'immagine dei propri meriti
o delle proprie potenzialità, bensì il ricordo di un periodo felicemente
trascorso tra biblioteche ed archivi estrememante forniti e ottimamente
organizzati - dove aveva avviato e condotto importanti ricerche di storia
della scienza nel primo '700 che solo in minima parte si sono tradotte
in pubblicazioni(1) - , di rapporti
umani intensi ed extra-accademici, di curiosità e passioni intellettuali
estremamente diversificate e libere. Le sue curiosità per l'arte, la letteratura
contemporanea, il cinema ed il teatro, insieme ad una capacità di lettura
divorante (che fu sempre ragione di stupore, ed in certo modo di avvilimento,
per tutti coloro che più direttamente lo conoscevano e che erano sistematicamente
costretti a riconoscere le proprie naturali inadeguatezze, ma che proprio
per questo potevano ricavare sempre da lui stimoli ed indicazioni nuove),
erano un tratto distintivo della sua personalità intellettuale.
2. L'università
italiana lo aveva richiamato alla fine degli anni '60, e all'università
di Pisa, dove l'ho conosciuto, sarebbe rimasto per poco più di un decennio,
per poi trasferirsi definitivamente all'università di Genova, dove ha
insegnato fino agli ultimi anni.
Quando lo incontrai, ed ebbi modo di seguire le sue prime lezioni, ciò
che immediatamente mi colpì fu la "diversità" dei contenuti
dei suoi corsi rispetto alle tematiche e agli interessi più seguiti, in
quegli anni, in ambito modernistico. Dove prevaleva un interesse per la
storia economico-sociale, le istituzioni e l'amministrazione, Salvatore
Rotta proponeva una storia di confine tra letteratura, filosofia, politica,
in cui la "storia delle idee" acquisiva un ruolo centrale, ben
distinto tuttavia da una tradizionale "storia delle dottrine"
in quanto profondamente ancorato alle esperienze vissute degli uomini,
ai loro progetti, alle loro contraddizioni, ed ai processi collettivi
che questi erano stati in grado di promuovere. Dove prevaleva inoltre
un interesse forte, base di un'importante scuola di ricerca destinata
a dare risultati scientifici rilevanti, per la storia locale, la storia
toscana, Salvatore proponeva un ampliamento di spazi e di interessi poco
rispettoso di periodizzazioni e partizioni disciplinari ed accademiche,
ma che anche per questo risultava, non solo per me, estremamente suggestivo.
Penso sia doveroso mettere in luce il carattere delle sue lezioni, perché
ai corsi universitari Salvatore Rotta dedicò sempre una parte fondamentale
del proprio lavoro, applicando un'idea particolarmente "alta"
del magistero universitario, per la quale ho in mente solo rari altri
esempi, e che forse, con l'attuale sviluppo degli ordinamenti universitari
italiani, appartiene ormai inevitabilmente alla memoria del passato. I
suoi corsi erano sempre ricerche compiute ed originali, interamente scritte;
autentiche monografie su tematiche che di anno in anno erano oggetto di
una scelta attentissima e che tuttavia , secondo un costume proprio di
Salvatore e che molti amici affettuosamente gli rimproveravano, non si
traducevano mai, neppure parzialmente, in pubblicazioni, ma restavano
confinati a voluminosi raccoglitori di appunti, molti di quali andavano
spesso eliminati. La conclusione di un ciclo di lezioni era l'inizio di
una progettazione nuova, e questo era, oggettivamente, il suo primo pensiero,
la sua prima preoccupazione di studioso e di insegnante; l'alto valore
attribuito all'insegnamento ed un rispetto assoluto per gli allievi ne
erano le componenti essenziali.
3. I segni della diversità e dell'originalità, rispetto al carattere più
abituale dei corsi universitari di storia moderna, erano dunque, per i
suoi più giovani allievi, un aspetto caratteristico delle lezioni di Salvatore
Rotta, ed erano al tempo stesso espressione dell'insofferenza - un tratto
distintivo del suo carattere - nei confronti della "normalità"
e del senso comune accademico, che lo spingeva sistematicamente ad una
sorta di provocazione dell'intelligenza, ad una irriverente sollecitazione
del senso critico, allo stimolo a cercare problemi ed aperture tralasciate,
nascoste o dimenticate. Ragione di forte simpatia per alcuni, motivo di
un'evidente assai minore simpatia da parte di altri, per i quali la destabilizzazione
delle liturgie e delle forme accademiche, accentuata da un carattere sempre
fortemente polemico e reattivo, non era sempre ben accetta; ho in mente,
a questo proposito, il ricordo di molti seminari e convegni, che Salvatore
concepiva senza incertezze come laboratorio di discussione - e per i quali
si preparava sempre con cura meticolosa - , nel corso dei quali interveniva
sistematicamente e appassionatamente, interrompendo, polemizzando, e suscitando,
da un lato, apprezzamento e divertimento intellettuale, dall'altro sconcerto
e imbarazzo. Tra coloro che certamente lo apprezzarono, anche per questi
aspetti di entusiasmo genuino per la discussione sui temi della ricerca,
oltre che per gli oggettivi meriti scientifici, certamente ci fu Arnaldo
Momigliano, che non mancava, le rare volte in cui mi era possibile incontrarlo
quando tornava a Pisa per i suoi celeberrimi seminari alla Scuola Normale,
di parlarmene come di un esempio raro di rigore e di metodo; simpatia
ed apprezzamento totalmente ricambiati da parte di Salvatore Rotta, che
con Momigliano, maestro riconosciuto e da lui sempre proposto come esempio,
aveva un elemento di similitudine significativo nella preferenza per il
saggio breve, per la ricerca tradotta in articolo o in contributo rispetto
al libro, per il quale, forse per la sua apparenza di finitezza - incompatibile,
per Salvatore, con la natura stessa della ricerca - non ebbe mai particolare
simpatia.
La sua attività di ricerca si muoveva su un binario parallelo rispetto
ai corsi universitari, senza che tra i due versanti si potesse individuare
una precisa gerarchia di valori, ma con la volontà evidente di mantenere
separati e autonomi questi due momenti del suo lavoro; e questo in parte
per quell'idea speciale di rispetto dovuto agli allievi a cui abbiamo
fatto cenno, che gli imponeva di riservare loro un'attenzione distinta,
di eguale impegno e di pari valore rispetto alla ricerca scientifica vera
e propria, ma in parte, e più semplicemente, perché Salvatore, come ci
diceva spesso in assoluta sincerità, si "annoiava" a studiare
e ad insegnare argomenti che non mutassero continuamente, che non imponessero
nuove letture e nuove sollecitazioni. E la sensazione della curiosità
febbricitante per la ricerca e lo studio era qualcosa che era in grado
di trasmettere a tutti, al primo impatto.
4. Individuare puntualmente il valore ed i meriti della sua attività di
studioso non è possibile in questa sede, perché inevitabilmente sacrificherebbe
aspetti importanti, e, soprattutto, per un coinvolgimento emotivo che
è ancora forte in chi scrive. Ma è certamente possibile individuare quegli
elementi che, in un arco di ricerche molto diversificato, hanno costituito
motivo di interesse stabile e continuo, e che consentono di cogliere le
linee generali di un metodo.
Al centro sta sicuramente l'attenzione alla storia delle idee come storia
di uomini, di relazioni, di discussioni, di esperienze vissute e pensate.
In altri termini, e più in generale, l'idea che lo studio della storia
non possa mai ridursi alla ricerca sui contesti (economici, politici,
istituzionali) in grado di spiegare ed in certo modo di esaurire l'ambito
dell'esperienza, ma che questa debba essere in ultima analisi letta in
funzione della partecipazione attiva e cosciente di persone che interpretano,
interagiscono e modificano la realtà del loro tempo. Seguire i percorsi
delle biografie intellettuali, leggere i modi in cui gli uomini del passato
hanno interpretato e interagito con la realtà del loro tempo non era solo
espressione di curiosità o manifestazione di un versante particolare dell'interesse
dello storico, ma, nei termini in cui ce li ha proposti Salvatore Rotta,
assumeva il valore di nucleo problemativo forte del mestiere di storico.
L'ancoramento di questo problema al metodo della filologia critica, all'analisi
rigorosa dei testi - elemento essenziale della tradizione italiana di
storia delle idee - era quanto consentiva di dare solidità e forza scientifica
alla ricerca che ne derivava. In una fase, come quella che stiamo vivendo,
in cui la storia è direttamente attaccata nei suoi postulati di scientificità
e di verità da orientamenti variamente collegati all'ideologia del postmodernismo,
un insegnamento come quello di Salvatore Rotta costituisce a mio parere
un importante riferimento che, da un lato, con il richiamo al valore dell'individualità
e dell'esperienza intellettuale personale, consente di non scivolare verso
nozioni di conoscibilità assoluta e definitiva del passato, ma dall'altro
impone di mantenere, con gli strumenti della filologia e della critica,
il valore di conoscenza vera che per l'attività di uno storico
è irrinunciabile. Salvatore Rotta applicò sistematicamente questi principi
di metodo soprattutto allo studio della storia intellettuale italiana
ed europea nella fase che va dalla seconda metà del '600 al '700 maturo
(l'età della "crisi della coscienza europea" e dell'Illuminismo)
dedicando a figure maggiori e minori di intellettuali di questo periodo
studi e ricerche approfondite; da Voltaire(2)
a Geminiano Montanari(3), da Celesia(4)
a Montesquieu(5), da Gibbon(6)
a Paolo Mattia Doria(7), a Cesare
Malanima(8), a De Pauw(9),
a Gråber di Hemso(10), etc.(11)
, Salvatore Rotta andò costruendo, in un'intera vita di studioso, una
galleria vivace ed incisiva di personaggi, temi e dibattiti, il cui valore
è testimoniato, come per tutte le ricerche che lasciano un segno, dalla
loro resistenza al trascorrere del tempo e dal costituire tuttora dei
punti di riferimento informativi e problematici importanti.
5. Proprio l'accentuazione del valore della storia delle idee del '700
come storia di uomini coscienti e partecipi alla vita del loro tempo,
che ha evidentemente anche una sua chiara valenza politica, è quanto costituì
un elemento di sintonia forte con il metodo e la lezione di Franco Venturi
e con l'idea di "Settecento riformatore" che Venturi tradusse
in scritti magistrali. Il rimprovero, talvolta affettuosamente rivolto
da Venturi a Salvatore, di non tradurre per scritto tutto l'enorme volume
di conoscenze di cui era in possesso (pensando in particolare alla storia
della società e della cultura genovese nell'età dell'Illuminismo, alla
quale dedicò un'attenzione continua e studi importanti(12)
), era peraltro indicativo di un aspetto ancora una volta caratteristico
del profilo intellettuale di Salvatore Rotta. Il fatto cioè di concepire
lo scrivere, la parola scritta, in termini particolarmente severi, e la
convinzione di non dover scrivere se non quando fosse davvero necessario
per dire qualcosa di oggettivamente nuovo, per portare un contributo autenticamente
originale. Ostile alle riscritture e alle ripetizioni, Salvatore Rotta
tradusse questo metodo in distillati di ricerca, in gemme durissime, che
in altre mani si sarebbero tradotte in molti volumi, spesso (qui il rimprovero
di Venturi, che lo conosceva bene, era più serio) rinunciando a pubblicare
e abbandonando, o affidando ad altri, ricerche che avevano già prodotto
risultati importanti, solo perché la mancanza di un dettaglio, di un elemento
del mosaico non consentiva di completare un quadro perfetto. Molto del
lavoro di scavo compiuto da Salvatore è dunque rimasto incompiuto, e molto
di quello realizzato fu destinato a sedi minori, quasi appartate o lontane
dai punti di riferimento canonici della ricerca internazionale di storia
delle idee, e che lo costringevano spesso, per esigenze editoriali, a
sintesi eccessive rispetto al volume oggettivo della ricerca e alla novità
dei contributi. Un solo esempio, che mi pare significativo tra i molti
che tutti colori che gli furono vicini potrebbero facilmente ricordare,
può essere quello realtivo alla ricerca su Gian Paolo Marana; a questo
autore singolare e in parte trascurato, Salvatore Rotta dedicò ricerche
attentissime e protratte nel tempo, ma di queste ricerche solo un saggio
non particolarmente lungo comparve in un'opera collettiva dedicata alla
storia della letteratura ligure(13),
che è solo una minima testimonianza di un lavoro e di un "amore"
per il personaggio che furono assai più rilevanti di quanto da quella
pubblicazione emerga.
6. La cura
del dato informativo, lo scrupolo nel dettaglio, sono aspetti che costituiscono
un elemento caratterizzante del lavoro di ricerca di Salvatore Rotta -
testimonianza di un'attenzione che potremmo definire bayliana per la correttezza
dell'informazione, la verifica e la verità fondata sul documento - e che
trovarono una forma di espressione tipica nel modo di elaborare le note.
Concepite in termini estesi, come autentiche integrazioni di ricerca,
le note di Salvatore Rotta sono uno degli aspetti più affascinanti della
sua produzione di studioso; note che diventano esse stesse occasioni per
introdurre nuovi spunti di ricerca, che si abbandonano a percorrere fili
laterali o nascosti, che aprono scenari nuovi e introducono suggestioni
inattese.
Da questo punto di vista il commento e l'edizione dei testi costituiva
per lui un terreno di applicazione privilegiato, ed il lavoro di annotazione
dello Spicilège di Montesquieu, a cui si è dedicato negli ultimi
anni di vita, rappresentava forse la dimensione che più si confaceva al
suo modo di intendere la ricerca(14).
All'autore che aveva da sempre costituito motivo di attrazione e di interesse
per Salvatore (per quella complessità reale che si cela dietro una linearità
apparente dell'argomentazione, per la forza delle idee e la loro penetrazione
profonda nella cultura europea, per l'estensione degli interessi e dell'informazione)
gli era infatti possibile dedicarsi sviluppando quel metodo di ricerca
che più gli era congeniale: l'indagine sui percorsi del lavoro intellettuale,
sui materiali che ne costituivano la base, sulle articolazioni dei riferimenti
per una loro corretta ricomposizione nel reticolo di idee proprio di un
intellettuale particolarmente complesso come Montesquieu. E a questo lavoro
si era dedicato con un impegno ed una serietà totali, producendo un risultato
di dimensioni imponenti, che altri giudicheranno e che purtroppo la sorte
non gli ha consentito di vedere pubblicato.
Per me, che ho avuto la fortuna di essergli a fianco in questo suo lavoro,
imparando sempre moltissimo, resta forte l'impressione di giornate trascorse
in biblioteca alla ricerca di riferimenti apparentemente indecifrabili,
nell'agitazione talora frenetica e nella gioia che derivava da una traccia
misteriosa finalmente smascherata, da un'allusione ricondotta al suo esatto
riferimento, da un tassello di un mosaico che poteva trovare una sua giusta
collocazione. Ed è questa l'ultima immagine che voglio conservare di uno
studioso eccezionale, di un uomo inquieto e generosissimo, coltissimo
e ingenuo, che sapeva trasmettere la passione e l'entusiasmo per la ricerca,
di un amico la cui perdita improvvisa ha lasciato un vuoto incolmabile.
(1) Vedi in particolare, a questo proposito, "L'accademia fisico-matematica ciampiniana: un'iniziativa di Cristina?", in Cristina di Svezia. Scienza ed alchimia nella Roma barocca, Bari, Dedalo, 1990, pp.99-186; vedi anche "Borri, Francesco Giuseppe", in Dizionario Biografico degli Italiani, vol 13, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1971, pp.4-13.
(2) "Una lettera inedita di Domenico Passionei a Voltaire", Rassegna della letteratura italiana, s.VII, a.63, n.2, maggio-agosto 1959, pp.264-74; "Giuseppe Maria Galanti e Voltaire", Rassegna della letteratura italiana, s.VII, a.66, n.1, gennaio-aprile 1962, pp.100-19; "Voltaire in Italia. Note sulle traduzioni settecentesche delle opere voltairiane", Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, vol. XXXIX, 1970, fasc.III-IV, pp.387-444.
(3) "Scienza e "pubblica felicità" in Geminiano Montanari", Miscellanea Seicento, vol.II, Firenze, Le Monnier, 1971, pp.63-207.
(4) "L'Illuminismo a Genova: lettere di P.P.Celesia a F.Galiani", vol.I, Miscellanea storica ligure, III, n.s., 1971, n.2; vol. II, ivi, V, n.s., 1973, n.1 ; "Celesia, Pietro Paolo", Dizionario Biografico degli Italiani, vol 23, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1979, pp.380-86.
(5) "Idee di riforma nella Genova settecentesca e la diffusione del pensiero di Montesquieu", Movimento operaio e socialista in Liguria, VII, n.3-4, luglio-dicembre 1961, pp.205-84; "Montesquieu nel Settecento italiano: note e ricerche", Materiali per una storia della cultura giuridica I, 1971, pp.55-210 ; Il pensiero politico francese da Bayle a Montesquieu, Pisa, Pacini, 1974; "Quattro temi dell' Esprit des Lois", Miscellanea storica ligure, a.XX, 1988, n.1, pp.1347-1407; "Economia e società in Montesquieu", Studi settecenteschi, v.13, 1992-93, (Antropologia Storia Politica. Scritti in memoria di Giuliano Gliozzi), pp.149-64; "Montesquieu et le paganisme ancien", dans Lectures de Montesquieu. Actes du colloque de Wolfenbüttel (26-28 octobre 1989), textes réunis par É.Mass et A.Postigliola, Napoli, Liguori, 1993, pp.151-75; "L'Homère de Montesquieu", dans Homère en France après la Querelle (1715-1900), Actes du Colloque de Grenoble ( 23-25 octobre 1995), édités par F.Létoublon et C.Volpilhac-Auger, Paris, Champion, 1999, pp.141-148; "Montesquieu", in Andreatta, A., Baldini, A.E., Dolcini, C., Pasquino, G., a cura di, Il pensiero politico. Idee, teorie, dottrine, Torino, UTET, 1999, vol.II, Età Moderna, pp.341-368, e vol. IV, t.I, con una scelta di testi; "Montesquieu, la Repubblica di Genova e la Corsica", in Felice, D., a cura di, Poteri, democrazia, virtù. Montesquieu nei movimenti repubblicani all'epoca della Rivoluzione francese, Milano, Franco Angeli, 2000, pp.147-159.
(6)
"Il viaggio di Gibbon in Italia", Rivista storica italiana,
vol. LXXIV, fasc.II, giugno 1962, pp.324-55.
(7)
"Paolo Mattia Doria", in La letteratura italiana. Storia
e testi, vol.44, Dal Muratori al Cesarotti, t.V., Politici
ed economisti del primo Settecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978,
pp.837-968; "Paolo Mattia Doria rivisitato", Studi settecenteschi,
vol. 3-4, 1982-83, pp.45-88.
(8)
"Un avversario della pena di morte: Cesare Malanima (1786)",
in Studi in memoria di Giovanni Tarello, Milano, Giuffré, 1990,
vol.I, pp.467-540.
(9)
"Egiziani e cinesi a confronto. Intorno alle Recherches philosophiques
sur les Egyptiens et les Chinois di Cornelius de Pauw (1773)", in
La geografia dei saperi. Scritti in memoria di Dino Pastine, a
cura di D.Ferraro e G. Gigliotti, Firenze, Le Lettere 2000, pp. 241-267.
(10)
"Gråberg arabista", Medioevo e Rinascimento. Annuario del
Dipartimento di Studi sul Medioevo e Rinascimento dell'Università di Firenze,
X, n.s., VII, 1996, pp.361-398.
(11) Una più estesa "Bibliografia degli scritti di Salvatore Rotta (1945-1997)" è stata pubblicata, nella miscellanea di studi in suo onore, su Studi settecenteschi, 17, 1997 (Per Salvatore Rotta), pp.11-20.
(12) Vedi in particolare, a questo proposito, oltre all'importante edizione dell'epistolario di Celesia cit., l'edizione dell'epistolario Lomellini-Frisi in "Documenti per la storia dell'Illuminismo a Genova: lettere di A.Lomellini a P.Frisi", Miscellanea storica ligure, I, 1958, pp.191-329. Vedi inoltre "La corrispondenza di Giuseppe Ravara, console generale della Repubblica di Genova presso gli Stati Uniti (1791-1797), in Italia e America dal Settecento all'età dell'imperialismo, Venezia, Marsilio, 1976, pp.169-217; "Il bombardamento di Genova del 1684", in Atti della giornata di studio nel Terzo centenario (Genova 21 giugno 1984), Genova, La Quercia Edizioni, 1988, pp.9-19; "Stefano Rivarola (1755-1827)", in Le società economiche alla prova della storia (secoli XVIII-XIX), Atti del Convegno internazionale di studi (Chiavari, 16-18 maggio 1991), Chiavari, Società Economica [1996], pp.293-99"; "Della favolosa antichità dell'Università di Genova", in L'archivio storico dell'Università di Genova, a cura di R. Savelli, Genova, Società ligure di Storia Patria, 1993, pp.XLI-LIII; "Il padre Antero ovverosia "il rasoio della peste"", in Gli Agostiniani a Genova e in Liguria tra medioevo ed età moderna, Atti del convegno ionternazionale di studi (Genova 9-11 dicembre 1993), a cura di C.Paolocci, (Quaderni Franzoniani, VII, 1994, n.2) , t.II, pp.289-312; "Genova e il Marocco nel secolo XVIII", in Studi di filologia e letteratura offerti a Franco Croce, Roma, Bulzoni, 1997, pp.249-282; ""Une aussi perfide nation". La Relation de l'Etat de Gênes di Jacques de Campredon (1737)", in Genova 1746 una città di antico regime tra guerra e rivolta ( Quaderni Franzoniani, a.XI, n.2, Luglio-dicembre 1998), pp.609-708.
(13) "Gian Paolo Marana", in La letteratura ligure. La Repubblica aristocratica (1528-1797), vol.II, Genova, Costa & Nolan, 1992, pp.153-187.
(14) Montesquieu, Spicilège, édité par R.Minuti et annoté par S.Rotta, Oeuvres complètes de Montesquieu, n.13, Oxford, The Voltaire Foundation, in corso di pubblicazione. L'introduzione al testo è stata parzialmente anticipata nel saggio "Autour du Spicilège", in Postigliola, A., a cura di, Éditer Montesquieu. Pubblicare Montesquieu, Atti del seminari internazionale (Napoli, 7-8 dicembre 1995), Napoli, Liguori, 1998 (Quaderni del Dipartimento di Filosofia Politica, 18), pp.119-160.