Internet e il mestiere di storico.
Riflessioni sulle incertezze di una mutazione

Rolando Minuti

Indice

II.3 Comunità virtuali e insegnamento della storia

66. Intorno al tema dell’uso criticamente responsabile della rete vengono dunque ad addensarsi problemi che, a partire dalle forme della pubblicazione e dai nuovi scenari della scrittura storica e della sua valutazione, si estendono immediatamente all’identificazione della comunità che regola la produzione storiografica, gli orientamenti della ricerca e l’insegnamento delle discipline storiche. Per tradizione tutto questo spetta fondamentalmente alle istituzioni universitarie; e le strutture accademiche sono evidentemente le prime, con vario ritmo e diversi gradi di impegno nei diversi contesti culturali (il primato statunitense anche da questo punto di vista è innegabile), ad essere coinvolte nel processo complesso di adeguamento ai nuovi scenari determinati da Internet; è in ambito universitario che, sistematicamente, le principali iniziative, sperimentazioni, attuazioni di progetti avvengono.
Ma le forme del rapporto tra realtà accademica e nuovi scenari della comunicazione risultano meno lineari e naturali di quanto potrebbe a prima vista apparire, e non solo dal punto di vista, sui cui abbiamo posto l’accento, delle difficoltà ad accettare le nuove dimensioni del rapporto col documento, della pubblicazione, della scrittura storica. Ciò che risulta particolarmente evidente nella diffusione dell’uso di Internet anche in ambito storiografico è infatti l’articolazione, molto più forte rispetto agli strumenti tradizionali, della dimensione partecipativa, dello scambio di esperienze e di informazioni, e della collaborazione di comunità di studiosi a oggetti di ricerca e temi di discussione condivisi. Al di là delle nuove forme di pubblicazione dei risultati della ricerca che la rete rende possibili, e sulle quali ci siamo soffermati, la rete consente forme diverse e molto efficaci di scambio e coordinamento del lavoro, che possono consolidarsi come nuove comunità, parallele, integrate, ma non necessariamente interne o subordinate rispetto ai contesti di appartenenza propri della realtà accademica consolidata[1].

67. Lo sviluppo delle mailing list[2] costituisce da questo punto di vista un fenomeno particolarmente interessante, e l’indice di un processo di evoluzione delle nozioni stesse di comunità scientifica ed di appartenenza disciplinare che meritano di essere colti.
A differenza della libertà cumulativa che caratterizza la crescita delle informazioni disponibili sui newsgroup e che rende maggiori, al di là dell’efficacia che essi possono avere per ambiti specifici di interesse, il disorientamento e l’eterogeneità qualitativa, le mailing list consentono una regìa e una disciplina che possono essere intese come prototipo di una comunità di interessi in grado di evolversi da tribuna di scambio di informazioni a équipe di lavoro, suscettibile (in relazione a finanziamenti, supporti organizzativi pubblici o privati, etc.) di produrre programmi e risultati che tradizionalmente sono propri, o dovrebbero essere propri, di istituti e dipartimenti universitari; e la diffusione dell’uso della posta elettronica in ambito accademico umanistico, che è avvenuta in termini più rapidi e meno problematici rispetto all’accettazione delle nuove forme di pubblicazione elettronica in rete, può far ritenere possibile questa evoluzione.
Ma una diversa forma di comunità di interessi di studio e di ricerca (storica, nel caso specifico), configurata sulla base dell’uso delle risorse telematiche, a forte dilatazione geografica ma anche molto omogenea dal punto di vista degli oggetti e degli obiettivi, determina inevitabilmente anche un diverso ordine di responsabilità interne, una distribuzione di ruoli, nonché criteri di riconoscimento e di valutazione del lavoro dei singoli componenti, significativamente diversi rispetto ai meccanismi e alle liturgie che caratterizzano, un po’ dovunque, la realtà accademica tradizionale. Ed è egualmente chiaro che un’evoluzione seria in questo senso, che stabilisca una consapevole continuità tra linee operative consolidate in ambito accademico, logiche e pratiche di appartenenza tipiche dei diversi contesti disciplinari, e la nuova dimensione reticolare ed internazionale propria del web, rende necessaria una forte assunzione di responsabilità istituzionale e l’avvio di sperimentazioni verso quelli che potranno divenire centri, dipartimenti e istituti virtuali, se si vuole evitare un possibile consolidamento di sfere parallele, e far sì che questo processo produca i risultati complessivamente più efficaci[3].

68. E’ il contesto relazionale proprio del mondo accademico che, in altri termini, risulta suscettibile di trasformazione -al di là del rapporto che può stabilirsi tra discipline umanistiche, singolarmente o complessivamente intese, ed informatica- ad essere ormai entrato nel quadro della programmazione delle attività didattiche universitarie con riferimento, nel caso italiano, al quadro normativo della recente riforma universitaria[4]. Da questo punto di vista, la nozione di R-technologies (tecnologie relazionali), coniata da teorici della new-economy[5] per identificare quel complesso di tecnologie informatiche e telematiche che consentono di controllare e gestire comunità di interessi dal punto di vista economico -prevedendo le modalità più efficaci per il soddisfacimento dei bisogni tipici di una comunità identificata sulla base di interessi e aspettative specifiche- ci sembra ricca di implicazioni interessanti anche per quanto riguarda la vita delle comunità scientifico-accademiche. Anche se è legittimo interrogarsi sugli effetti potenzialmente negativi dell’uso delle “tecnologie relazionali” nel quadro socio-economico che caratterizza l’“era dell’accesso” -dove, come ha illustrato J. Rifkin[6], l’intera esperienza di vita di un individuo è suscettibile di essere trasformata in bene commerciabile-, si può tuttavia ritenere che una gestione delle tecnologie relazionali -orientata verso obiettivi che non siano la parcellizzazione economica delle esperienze di vita ai fini di un loro sfruttamento economico- sia possibile e possa avere esiti positivi, dal punto di vista, per esempio, della costituzione di nuovi vincoli di appartenenza, della valorizzazione di esperienze culturali condivise, del superamento delle emarginazioni e della conservazione della diversità culturale, in generale di una più diffusa consapevolezza civile.
Ancora una volta, proprio sull’uso responsabile delle tecnologie, che investe istituzioni e soggetti individuali nella realtà della comunicazione in rete, occorre porre fortemente l’accento, più che sull’inevitabilità di un percorso regolato in maniera automatica da un’evoluzione tecnica in grado di trascinare valori e principi, regole e idee, e rispetto alla quale le uniche vie possibili sono la resistenza o la rinuncia. Su questa sfida, dunque,  anche la comunità che si riconosce nel quadro generale degli studi umanistici, di cui gli storici costituiscono una parte non minoritaria, è sollecitata a manifestare il proprio ruolo e la propria presenza attiva.

69. A partire dalla logica che sta alla base dell’esperienza delle mailing-list può esser colto in altri termini l’indice di un nuovo possibile orientamento organizzativo della comunicazione scientifica (e della didattica, conseguentemente); ed è intorno a questo diverso modello che l’intera struttura accademica tradizionale è chiamata a confrontarsi e a riconfigurarsi, in maniera più incisiva di quanto non sia dato verificare attualmente. Certamente la gestione ed il controllo informatico dei programmi di ricerca costituiscono un passo avanti significativo in questa direzione, come strumento di verifica degli interessi, della produttività, della complementarietà o della possibile sovrapposizione dei progetti, tradizionalmente fonte di diseconomie e di incerto equilibrio tra finanziamento e risultati concreti; è un inizio, certamente significativo anche perché ormai consolidato, di un processo di piena utilizzazione della rete come contesto normale anche nella gestione dell’attività di ricerca umanistica.
I problemi che caratterizzano la vita e l’evoluzione delle mailing-list, anche relativamente ai circuiti più solidi e affermati come H-NET[7], mostrano bene come non sia facile tradurre immediatamente e spontaneamente le condizioni offerte dallo scambio di informazioni ed esperienze in rete in nuova comunità; l’eterogeneità, che si è riproposta anche a partire da un interesse specifico per gli studi storici, le difficoltà di disciplinamento, ed un eccesso -come in ogni altra esperienza sul web- di oggetti, problemi, modalità di scambio proprie del contesto culturale statunitense, sono caratteristiche anche di questa che è certamente la più significativa esperienza di gestione di mailing list di interesse storico a livello internazionale; ed una sua sostanziale incidenza sulle forme e le pratiche della storiografia tradizionalmente consolidata non si può dire che sia avvenuta in maniera significativa[8], se non per costituire una cospicua base di dati, in crescita, di materiale informativo utile a vari livelli della ricerca. D’altra parte, l’esperienza corrente ci mostra come le mailing list, insieme a notevoli risorse per l’informazione sugli studi correnti, su convegni e seminari, su progetti di ricerca (ancora con una netta prevalenza statunitense, come si accennava) sia spesso fonte di frustrazione; l’eccesso di informazione, il volume di posta che riguarda questioni banali di informazione bibliografica o di aiuto per la conduzione o l’avvio di ricerche, il dislivello qualitativo e in altri termini l’eterogeneità, determinano la necessità di ridurre presto il numero delle sottoscrizioni individuali alle liste di discussione potenzialmente interessanti, per non trovarsi quotidianamente di fronte ad una massa inutilizzabile e illeggibile, di posta, all’ansia del controllo della casella di posta sistematicamente inondata di messaggi dai quali solo una piccola percentuale risulta utile. Ma, anche in questo caso come in altri precedentemente richiamati, non è il mezzo in sé, la rete, a costituire l’ostacolo e l’inevitabile scivolamento verso un rumore informativo incontrollabile e sostanzialmente inutile, ma le sue forme di gestione e di ordinamento, che non possono fare a meno di mettere in primo piano una responsabilità scientifica e culturale non delegabile a strumenti e tecniche puramente automatici.

70. Nell’evoluzione delle forme di coordinamento e di collaborazione realizzate intorno ad oggetti di ricerca specifici, consentita dalla comunicazione in rete, è dunque possibile individuare uno sviluppo interessante dell’attuale organizzazione accademica degli studi umanistici, che è attualmente percepibile solo ad un livello molto iniziale.
Più che la tradizionale struttura accademica è probabile, da molti segnali rilevabili nella vita attuale del web, che a percorrere questa nuova strada e a proporre, nella pratica della sperimentazione e della produzione di risultati concreti, soluzioni interessanti siano quelle comunità di interessi costituitesi intorno a tematiche o ad ambiti specifici di ricerca, già da tempo solidamente presenti nella realtà culturale internazionale e che possono avere, rispetto a contesti istituzionali accademici, maggiore flessibilità, libertà e volontà di apertura verso l’innovazione; associazioni culturali, società nazionali e internazionali di studio su determinati temi di storia della cultura e delle idee, gruppi di lavoro sorti intorno a progetti di ricerca specifici e che intendono conservare e rendere stabile, nella rete, una dimensione collaborativa permanente attraverso varie forme di identificazione, costituiscono un territorio di particolare interesse e che già offre esempi significativi. Il caso di C18[9], per portare solo un esempio, di particolare interesse per chi scrive, penso possa essere segnalato come avvio di un progetto che mira a costituire un coordinamento della ricerca su un determinato settore di studi -la storia culturale dell’età dell’Illuminismo- ed, insieme, una banca dati di testi e documenti ed un sito editoriale per la pubblicazione dei risultati della ricerca. Un progetto che si è costituito a partire dalla consapevolezza del ruolo primario assunto dalla rete nella comunicazione e che si presenta conseguentemente come esempio di un orientamento nuovo nell’organizzazione delle attività di studio e di ricerca.

Se il contesto accademico della ricerca è fortemente investito dalle forme di organizzazione della comunità scientifica proposte dalla realtà comunicativa della rete; ed è chiamato a dare su quest’ordine di problemi risposte efficaci e adeguate al suo ruolo istituzionale, non meno rilevante -ed anzi certamente più delicato e carico di implicazioni- è l’ordine dei problemi che riguarda il rapporto tra web e didattica della storia; un ambito di problemi a proposito del quale i fraintendimenti e le approssimazioni, non sempre inintenzionali, ci paiono particolarmente rilevanti.

71. La prima impressione di chi naviga in rete cercando informazioni utili allo studio è certamente di avere a disposizione un contenitore eccezionalmente ricco e facilmente accessibile. Repertori enciclopedici, compendi, sommari, schede cronologiche e biografiche non mancano certamente, e per la maggior parte sono offerti ad una consultazione libera. Principalmente in ambito statunitense, istituti di formazione, collegi e università abbondano di materiale didattico, soprattutto sillabi e schemi di esercitazioni, distribuiti in rete[10]. Tutto ciò costituisce certamente un patrimonio informativo importante, che la rete rende di più facile e immediata consultazione, ma non può non suscitare qualche interrogativo.
Alla radice, le perplessità sono riconducibili, a mio avviso, ad uno slogan pubblicitario che non molto tempo fa era diffuso su giornali e riviste popolari. Si mostrava un adolescente dall’espressione vispa e dinamica correntemente attribuita alla dot.com generation, che si poneva questo interrogativo: la professoressa mi ha dato il compito di svolgere una ricerca sui re di Roma. All’espressione perplessa e visibilmente annoiata alla prospettiva di prendere e consultare libri per svolgere il compito, subentrava l’immediata soddisfazione riassunta nella risposta: mi sono collegato alla banca dati della tale enciclopedia, e con un colpo di mouse ho risolto il problema. In altri termini, questo interessante documento pubblicitario proponeva un’associazione diretta tra rete, accesso all’informazione, rapidità nella risoluzione del problema e riduzione del tempo e della fatica solitamente necessarie, a cui può essere ricondotta un’interpretazione molto diffusa del rapporto tra Internet e didattica storica. Ciò che è assente in questo quadro, e ciò che resta assente o gravemente debole nelle varie proposizioni dell’importanza di Internet diffusa dai mass-media, è la valutazione del contenuto dell’informazione, delle ragioni di una domanda e del valore dei documenti che servono per una risposta.

72. Ad una domanda semplicemente ricevuta, o subita, si offre una risposta semplicemente colta, meglio se con l’ausilio di strumenti automatici, da una repertorio preconfezionato di risposte. Tutto ciò è esattamente il contrario dell’esercizio di quella coscienza critica e dell’affinamento di quella capacità di leggere i documenti per dare risposte a problemi necessariamente mutevoli che rappresenta un nucleo ineludibile dell’esperienza propria della conoscenza storica; al di fuori del quale resta una routine, che finora poteva essere esercizio di memorizzazione acritica, e adesso, in virtù delle risorse di rete, una banale e rapida operazione di assemblaggio di frammenti informativi acriticamente ricomposti. Se l’esito inevitabile della rete fosse solo questa deriva didattica, se l’impegno nell’uso della rete a fini didattici si risolvesse in una prassi di information retrieval; e se in questo si dovesse intendere la natura effettiva dell’insegnamento e dell’apprendimento della storia mediata dalle nuove tecnologie, a patire dai livelli inferiori fino all’università, non si potrebbe non restare fortemente perplessi e mantenere un forte livello di scetticismo. Ma la rete non offre solo questa possibilità e non apre solo questa prospettiva.

Chiunque abbia fatto esperienza didattica, a vari livelli e gradi di insegnamento, ha verificato, indipendentemente da una specifica formazione pedagogica o da approfondimenti di ordine teorico o metodologico, come il momento più gratificante e formativo -riconosciuto come tale da docenti e allievi- sia quello che nella tradizione europea si esprime nel seminario. Ed il valore fondamentale dell’attività seminariale consiste nel superamento di quella dimensione, sostanzialmente passiva, propria della lezione tradizionalmente intesa, che presuppone, da un lato, un fornitore di informazioni, o un propositore di argomentazioni ordinate, e dall’altro un recettore, che sarà portato a riferire nella maniera più precisa possibile su quanto udito, ed eventualmente sviluppato sulla base di letture autonome consigliate; un contesto nel quale, ovviamente, dispense e manuali vengono ad acquisite un ruolo importante.
In un contesto seminariale ciò che risulto esaltato è invece il lavoro collettivo, i cui tempi e le cui forme si plasmano sulla natura, il livello, la sensibilità ai problemi del gruppo di lavoro, che è portato sistematicamente ad interrogarsi e a porre interrogativi sulla natura dei problemi proposti, manifestando in questo modo il proprio ruolo attivo.

73. Dal punto di vista della didattica universitaria in ambito storiografico tutto questo acquisisce un particolare valore, poiché permette -se il lavoro seminariale è correttamente inteso e non proposto come simulazione di un ciclo tradizionale di lezioni- un lavoro diretto sui documenti che stanno alla base della formulazione dei problemi. Un lavoro che consente l’affinamento critico sulla ragione dei problemi (momento essenziale della formazione di uno storico) e sulla natura dei documenti, analizzati con tecniche e procedure di contestualizzazione che risultano direttamente ed immediatamente applicate; e l’obiettivo, l’esito di un buon lavoro seminariale, dovrebbe essere quello di evidenziare tanto la verificabilità della correttezza dei problemi e delle risposte, quanto la loro innegabile relatività, e la suscettibilità, propria di ogni forma di conoscenza storica, di una diversa lettura (confortata da diversi documenti) e di una diversa relazione ad altri problemi.
Tutto questo contribuisce in maniera molto incisiva alla formazione di quell’autonomia nella lettura dei documenti che la realtà, remota o vicina o contemporanea, propone; e che in senso più ampio è esercizio di intelligenza critica ed espressione di una libertà che è ben altro rispetto alla disponibilità di una memoria informativa separata ed interrogabile con tecniche di recupero automatiche. Se, come riteniamo, tra i compiti propri dell’insegnamento della storia, a tutti i livelli, non sta solo l’acquisizione di tecniche o la memorizzazione di schemi di riferimento relativi ad ambiti specifici di conoscenza, ma l’approfondimento di una coscienza critica della realtà, che deve sistematicamente produrre interrogativi su chi, perché e come si produce informazione, o si registrano eventi, o si formulano idee, allora il contesto operativo proprio del seminario è quello che consente i risultati più fruttuosi. Ed è quanto consente, anche in termini strettamente legati ad esperienze specifiche di ricerche, l’avvio di ricerche nuove, la formulazione di problemi nuovi, che non si risolvano nell’esecuzione di compiti assegnati entro sentieri fortemente arginati.

Ci si può allora domandare se questa funzione, esaltata nella dimensione partecipativa che può essere individuata in un contesto seminariale (o in altre forme variamente definibili ma corrispondenti allo stesso contenuto operativo) possa essere inevitabilmente ridimensionata, o addirittura annullata, dall’impatto delle nuove tecnologie e di Internet alla didattica. Ci si può domandare se la funzione docente, che in un contesto partecipativo seminariale non si presenta come autorità indiscussa ma come livello di esperienza più avanzato, venga sostanzialmente a ridursi di valore e di significato, e se la diffusione di Internet determini inevitabilmente la sostituzione della funzione positiva del docente con sistemi automatici di controllo e di verifica di apprendimento.
Direi, al contrario, che proprio individuando il valore autentico dell’insegnamento nella dimensione partecipativa che abbiamo richiamato, la rete offre opportunità particolarmente rilevanti. Pensare alla rete come ad un semplice contenitore di dispense, manuali e guide, se concretamente agevola l’accesso a questo tipo di materiali rispetto alla circolazione cartacea, mediata da editori, tipografie o copisterie, non esprime neppure in minima parte il valore potenziale della comunicazione telematica a fini didattici.

74. E’ invece intorno all’interattività, resa possibile dall’evoluzione dei sistemi di corrispondenza elettronica, dalla costituzione di servizi integrati in cui siano compresenti documenti e materiali insieme a forme di scambio diretto tra docenti e allievi -comprese aree di discussione in tempo reale-, che è possibile scorgere uno scenario nuovo della didattica distribuita, in cui la funzione del docente non solo non risulta ridimensionata, ma è chiamata al contrario (come accade nel lavoro seminariale) ad un’opera più incisiva ed assidua rispetto al quadro di riferimento tradizionale. Proprio la dimensione del lavoro seminariale, in cui ci pare di individuare la forma qualitativamente più elevata dell’insegnamento della storia, e non la riproduzione del modello tradizionale della lezione, penso possa trovare nella rete la sua più forte possibilità di applicazione ed estensione.

L’impegno che comporta il mantenimento di uno scambio diretto con tutti i partecipanti ad un gruppo di lavoro seminariale mediante lo strumento della posta elettronica, la necessità di una maggiore disponibilità di tempo che questo comporta e che tutti coloro che hanno familiarità con la posta elettronica hanno sperimentato, possono risultare certamente assai più onerosi rispetto agli orari comunemente propri dell’attività accademica; ma tutto questo, se comporta un quadro organizzativo nuovo, che richiede un preciso impegno istituzionale oltre che un necessario adeguamento tecnico di infrastrutture, apre concretamente scenari interessanti, che in ambito umanistico, e storico in particolare, devono ancora essere sperimentati in maniera incisiva. Ed è importante, da questo punto di vista, sottolineare la forte rilevanza civile che questo scenario può assumere, contribuendo in maniera concreta a colmare il dislivello tra centri e periferie nell’accesso alla formazione e a risolvere i problemi di una distanza dai centri tradizionale di formazione che si traduce spesso in forti penalizzazioni ed in sostanziali condizioni di ineguaglianza.
La sperimentazione sulla teleformazione è avviata in molti Paesi, mostra che proprio le realtà che maggiormente soffrono dal punto di vista delle distanze fisiche tra centri di formazione e periferie possono avvalersi in maniera particolarmente efficace di questa risorsa[11].

75. Ma anche in questo caso, come per la conversione digitale della memoria storica e per l’accesso al patrimonio informativo che la rete offre, un forte squilibrio tra aree tecnologicamente avanzate ed aree in ritardo è quanto attualmente costituisce lo scenario attuale del web. Se le perplessità e gli scetticismi propri della tradizione disciplinare caratterizzano una fase di mutazione comunque avviata in contesti che in vario grado partecipano direttamente al processo di sviluppo delle nuove tecnologie, importanti aree del mondo ne sono ancora escluse; e questo può contribuire alla proposizione di modelli e di primati (incluse le forme ed i caratteri propri della ricerca e della didattica storica di determinate aree culturali attualmente dominanti) che la natura stessa della rete e la sua gestione, la sua direzione strategica e tecnica, può tradurre in nuove forme di imposizione. Evitare che ciò accada, e smentire le profezie negative che sono spesso riproposte sul dominio della rete e sui suoi esiti in termini di omologazione e riduzione della diversità culturale ad un modello uniforme, non è un problema tecnologico -in quanto proprio la tecnologia telematica offre condizioni di riequilibrio impensabili anche in un recente passato- ma politico; esso comporta assunzioni di responsabilità politica nazionali e soprattutto internazionali, traducibili in programmi, progetti e risorse.

Non è compito di chi scrive queste pagine affrontarlo direttamente e proporre soluzioni; ma è certamente un problema che l’intera comunità degli storici, come espressione non solo di un mestiere ma di una consapevolezza civile che la coscienza critica dello storico consente di mantenere solidamente, dovrà certamente assumere come oggetto di riflessione costante negli anni a venire, per poter offrire quel contributo di esperienza e di responsabilità attiva che è proprio della sua identità.

[1] Vedi Reinghold, 1992 e 1993.

[2] Vedi CataList, the Official Catalog of Listserv Lists , < http://www.lsoft.com/catalist.html >.

[3] Vedi i contributi ed i riferimenti bibliografici presenti in Calvani, 2001, e, sull'uso di internet nei programmi formativi, Calvani e Rotta, 2000. Vedi inoltre il progetto EuroPace. A Virtual University for Europe < http://www.europace.be/ > (in particolare il programma EPYC.The EuroPACE Learning Support Service < http://www.epyc.be/ > ) ed il repertorio Web Based Learning Resources Library (Univ. of Tennesee), < http://www.outreach.utk.edu/weblearning/ >.

[4] Vedi la Classe delle lauree specialistica n.24/S, "Informatica per le discipline umanistiche", che consente al suo interno anche l'attivazione di curricula di indirizzo storico, nell'elenco delle nuove classi di laurea specialistica ( < http://www.murst.it/atti/2000/dm001128all16_30.pdf > ) che saranno attive nell'Università italiana a partire dall' A.A. 2001-2.

[5] Vedi Bressand e Distler,1995.

[6] Vedi Rifkin, 2000.

[7] Vedi H-Net. Humanities and Social Sciences on-line, < http://h-net2.msu.edu/ >.

[8] Vedi a questo proposito Andreucci, 1999.

[9] Vedi C18 < http://www.c18.org/ >.

[10] Vedi, per esempio, The History Guide, < http://www.pagesz.net/~stevek/index.html >. Per una lista di risorse dedicate alla didattica della storia, vedi History/Social Studies Web Site for K-12 Educators , < http://execpc.com/~dboals/boals.html >. Per una valutazione sull'uso delle nuove tecnologie per la didattica vedi Cremascoli e Gualdoni, 2000; vedi inoltre Maragliano, 2000.

[11] Per un repertorio di risorse che riguardano la teledidattica in ambito storico, vedi < http://www.ukans.edu/history/VL/instruction/distance.html >. Vedi inoltre, tra le numerose esperienze avviate, i percorsi di distance learning proposti da MindEdge < http://www.mindedge-inc.com/ >; Virtual University < http://www.vu.org/ >; CyberED < http://cybered.umassd.edu/ > ; The American Memory Learning Page < http://memory.loc.gov/ammem/ndlpedu/index.html >; University College History Courses (Univ. of Minnesota) < http://www.cee.umn.edu/extc/bulletin/active/HIST.shtml > ; CyberU, < http://www.cyberu.com/home.asp > ; University of London. Distance Learning < http://www.lon.ac.uk/external/ > ; TeleEducation NB < http://teleeducation.nb.ca/ >. In Italia l'esperienza più consolidata di teledidattica universitaria è legata alle attività del Consorzio Nettuno < http://www.uninettuno.it/ >.