Internet e il mestiere di storico.
Riflessioni sulle incertezze di una mutazione

Rolando Minuti

Indice

II.2. Nuovi modelli di scrittura storica

54. Abbiamo richiamato in precedenza le titubanze che permangono nei confronti della pubblicazione elettronica dei risultati della ricerca, con riferimento all’instabilità del documento digitale rispetto al documento cartaceo. Vi è tuttavia un altro versante di dubbi, particolarmente forti sul fronte della tradizione storiografica, che riguarda non tanto la stabilità del documento elettronico quanto l’ipertestualità che è propria della comunicazione sul web, e che investe le possibilità di sviluppo di una storiografia digitale. Ciò che risulta importante, da questo punto di vista, non sono tanto gli aspetti tecnici e normativi che riguardano la sicurezza, la stabilità e la durata nel tempo di un documento, quanto i modi e le forme della costruzione del lavoro storiografico, la scrittura, l’organizzazione dell’argomentazione e lo stile; ed infine la dimensione non necessariamente chiusa, individuale e lineare del discorso storico tradizionalmente inteso, ma potenzialmente aperta, suscettibile di estensioni che possono uscire dal controllo diretto del singolo autore e cedere verso la dimensione del lavoro collettivo e progressivo, in cui l’individualità ed il ruolo dell’autore singolo possono smarrirsi. Sono aspetti tipici del problema dell’ipertestualità applicata alla comunicazione sul web, su cui un’ampia letteratura teorica è ormai disponibile[1]. E sono aspetti che ancora una volta determinano perplessità, in quanto pongono in seria discussione le forme tradizionali della scrittura e della comunicazione del discorso storico, e rivelano la possibilità di una dimensione complessiva della storiografia profondamente diversa dai caratteri che le sono stati propri lungo l’intero arco della cultura moderna.
Il fatto che la maggior parte delle iniziative di editoria elettronica accademica, in ambito umanistico tenda a riprodurre la forma e la struttura tipica dei lavori destinati alla pubblicazione cartacea -nel rapporto tra testo e note, nelle citazioni, nei riferimenti bibliografici, nella presentazione di appendici e apparati- può essere registrato come caratteristico di una fase di transizione e come espressione o di un tentativo di mediare un passaggio che può risultare troppo brusco, o anche come difficoltà di cogliere pienamente le possibilità che la comunicazione telematica offre.

55. La stessa distinzione tra rivista, monografia, libro, consolidata nel contesto dell’edizione cartacea, rischia di risultare forzata se applicata meccanicamente alla pubblicazione in rete. Per rivista, ad esempio, intendiamo comunemente un contenitore periodico di elaborati coerente dal punto di vista tematico o disciplinare ed omogeneo dal punto di vista quantitativo, nel senso che generalmente una rivista include contributi -ricerche, studi, rassegne o interventi critici- più brevi rispetto alla ricerca monografica di un libro, tranne casi eccezionali. Con la rete, se i termini e le esigenze di coerenza contenutistica e disciplinare permangono -e dovrebbero anzi risultare rafforzati-, tutti gli altri vincoli, soprattutto dal punto di vista della cadenza temporale di pubblicazione, delle dimensioni e dell’articolazione interna dei singoli contributi, possono non avere molto senso.
La semplice datazione dei singoli contributi accolti in questo nuovo tipo di contenitore può sostituire la periodicità vincolata alla pubblicazione di un certo numero di volumi per anno, e l’organizzazione interna può strutturarsi secondo aree tematiche suscettibili di variazioni e di crescita diversificate. Aree di discussione aperta, aree di dibattito specialistico legate a specifici contributi, aree di approfondimento tematico (con l’inte-grazione di testi e di documenti) sollecitate dalla particolare rilevanza di alcuni argomenti, sono aspetti che la natura stessa della pubblicazione elettronica sollecita e che possono assumere dimensioni e spessore molto più liberi rispetto ai vincoli stabiliti dall’edizione cartacea; soprattutto, possono costituire ambiti permanenti di approfondimento e di integrazione, da parte dei singoli autori e di coloro che con essi vogliono collaborare o discutere. In altri termini, il termine rivista, applicata alla comunicazione telematica, non costituisce altro che un residuo lessicale, utile forse solo per stabilire un maggiore senso di familiarità con le consuetudini, radicate nella tradizione, della pubblicazione, ma che sostanzialmente non si riferisce ad altro che ad un sito specialistico, la cui ricchezza ed il cui sviluppo dipenderanno dalla capacità di gestione degli organizzatori e dall’interesse mostrato per esso dalla comunità[2].
Se d’altra parte la rivista tradizionalmente intesa si presentava come il luogo privilegiato della presentazione dei nuovi contributi della ricerca e delle discussioni ad essi relative, la rete può evidenziare e rendere molto più incisivo questo carattere, una volta liberatici dall’esigenza di conformità rispetto alla tradizione cartacea.

56. Parallelamente, come una rivista è sollecitata dalla rete a trasformarsi in un sito di ricerca e di dibattito -inclusivo di interventi brevi e di ricerche vastissime, per la cui distinzione è sufficiente, se ritenuto necessario, distinguere aree specifiche all’interno del sito-, così gli autori sono fortemente sollecitati a trasformarsi da scrittori di storia in autori di siti storici, pensando ai propri lavori come destinati in primo luogo alla pubblicazione in rete; ciò che comporta strategie di elaborazione e di composizione del tutto diverse da quelle proprie dei lavori destinati alla pubblicazione cartacea. E’ un passaggio che tutti coloro che abbiamo un’esperienza anche minimale con il web in relazione alle proprie ricerche, possono percepire agevolmente. La possibilità, ad esempio, di integrare il proprio testo con documenti, apparati, riferimenti ad altre ricerche, attraverso la tecnica di link che è ormai resa di facilità elementare da tutti i più correnti programmi di elaborazione di testo, si manifesta con evidenza; la possibilità di introdurre estensioni multimediali integrate al documento testuale -immagini, filmati, brani musicali- determinano possibilità impraticabili o solo moderatamente utilizzabili (nel caso delle immagini) nell’ambito dell’editoria tradizionale, ed un’estensione forte della libertà di espressione dello storico. Una massa di documentazione ingestibile dal punto di vista tipografico risulta in questo modo integrata, a livelli di lettura e di consultazione scanditi dall’autore del sito storico, ed è offerta alla conoscenza e all’uso di altri studiosi; e tutto questo, in virtù dei costi contenuti dell’edizione elettronica, apre possibilità di pubblicazione che la realtà editoriale tradizionale deve evidentemente sacrificare. E’ uno scenario certamente suggestivo ed affascinante, che già alcuni storici contemporanei, com’è il caso di Robert Darnton, hanno individuato con chiarezza e proposto alla comunità degli storici accademici[3], ma che, innegabilmente, è anche produttivo di prospettive e di scenari che suscitano inquietudine.

L’equilibrio e l’ordine proprio della scrittura di un saggio storico -gerarchicamente strutturato intorno ad un discorso e ad un’argomentazione che esprimono la posizione dell’autore, e corroborato da elementi di verifica che, soprattutto nelle note e talvolta nelle appendici e negli apparati, danno prova del suo spessore scientifico- tendono sicuramente a disarticolarsi. Intorno all’evoluzione della funzione delle note, per esempio, come ha ben illustrato A.Grafton[4], si è andato costruendo un aspetto importante dello stile storiografico nell’età moderna, e del carattere peculiare della sua scientificità; un aspetto segnato anche da un equilibrio, nella pagina e nel testo, che scandisce diversi gradi di lettura gestiti e regolati dalla volontà dell’autore e dalle sue scelte. Con l’ipertesto, la fine del vincolo spaziale determinato dalla pagina e dal volume, e la stessa libertà di sviluppare sostanzialmente senza limiti precostituiti ogni elemento secondario o accessorio dell’argomentazione, ogni aspetto relativo all’illustrazione delle prove documentarie, allo stato della ricerca in corso, all’indicazione di tracce di indagine subordinate rispetto all’argomento principale -e per questo tradizionalmente ricondotte a cenni e brevi riferimenti, e allo spazio più ridotto della nota- tende potenzialmente a rompere questo equilibrio. Alla gerarchia tende a subentrare un complesso parallelismo di discorsi, il cui sviluppo, data la possibilità di modifica e aggiornamento consentita dalla rete, può non avere termine e non avere limiti; quei limiti che in precedenza erano dettati anche dai caratteri propri della pagina e del libro stampati e dallo stile e dall’ordine argomentativo sviluppatisi intorno ad essi. Le ricerche possono proporsi infine come cantiere di lavoro e restare eternamente aperte, o produrre una stratificazione molto densa di nuove versioni, integrazioni e sviluppi per le quali la chiusura e la conclusione possono eternamente restare sullo sfondo.

57. La transizione dalla scrittura testuale, ordinata e gerarchizzata dal punto di vista formale e logico, alla scrittura ipertestuale, come è stato ampiamente illustrato da G. Landow[5] ed altri teorici della letteratura che hanno riflettuto sul problema dell’ipertestualità, non propone una semplice amplificazione di possibilità chiuse o difficilmente attuabili con la scrittura tradizionale (dal punto di vista per esempio dell’integrazione documentaria e della modificabilità), ma una riconfigurazione radicale del ruolo dell’autore e del rapporto di autorità che si pone tra autore e lettore, il quale, in virtù della destrutturazione dell’edificio testuale e del movimento interno attraverso i link, costruisce sistematicamente il proprio testo e partecipa in maniera diretta alla sua definizione.
La convergenza stretta tra le possibilità di costruzione del documento elettronico attraverso l’uso delle nuove tecniche di scrittura e di comunicazione in rete, e le teorie linguistiche e letterarie post-strutturaliste è stata più volte sottolineata; ciò può indurre a ritenere che anche dal punto di vista dell’evoluzione della storiografia questo aspetto rappresenti una sorta di esito inevitabile, e l’affermazione, sancita dalla diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione, della fine dell’autore e dell’autorità con il trionfo di una frammentazione, ricomponibile all’infinito, in base alla quale non si accede più ad un documento, ma semplicemente si entra, attraverso un porta, un link, in un docuverso, plastico ed in perenne trasformazione, dove sovrapposizione, contaminazione e intreccio stabiliscono una logica in cui l’autore non trova più una collocazione definita.

Inevitabilmente, di fronte a questo orizzonte di possibilità, le posizioni tendono fortemente ad irrigidirsi, a manifestare forti imbarazzi, e a non rendere agevole il processo di transizione di pratiche e forme di organizzazione e comunicazione del discorso storico, proprie della comunità degli storici complessivamente intesa, verso una nuova normalità condivisa. L’impressione, non del tutto fondata come vedremo, che l’uso della rete come mezzo fondamentale, sostitutivo della carta, per la conduzione della ricerca e la pubblicazione dei suoi risultati, determini l’adesione necessaria ai postulati delle teorie post-strutturaliste e della cultura che genericamente è identificata come post-modernista, è un esito che per molti storici risulta disturbante e che determina un arretramento complessivo di fronte alla rete e alle nuove tecnologie; e, ancora una volta, scetticismo.

58. Sul versante storiografico -o, più precisamente, sul piano del dibattito relativo a teorie e metodologie della storia- la destabilizzazione post-modernista dell’autorità dello storico, che è andata sviluppandosi con un non casuale parallelismo con lo sviluppo delle reti e della comunicazione sul web, ha fortemente amplificato la riduzione della storiografia alla dimensione linguistica e retorica, con un sostanziale ridimensionamento dei suoi parametri di scientificità, spesso sbrigativamente ricondotti ad una tradizione positivista assunta come sinonimo di una nozione di cultura storica moderna genericamente intesa. Dove la possibilità di giungere a spiegazioni causali del divenire storico si rivela sistematicamente illusoria, dove la realtà risulta un obiettivo sostanzialmente inattingibile, il carattere di costruzione artificiale proprio della rappresentazione storica, ed il suo ancoramento a strumenti lessicali, linguistici e retorici -variabili e mutevoli nel tempo- ne risulta inevitabilmente esaltato[6].
E’ un dibattito complesso, che non intendiamo affatto banalizzare e che merita certamente di essere seguito con attenzione soprattutto per le ricadute che un tale orientamento, diffuso nella cultura collettiva attraverso varie forme di mediazione, può avere sulla consapevolezza dell’importanza di una coscienza critica della realtà, passata e presente, che rischia di risultarne gravemente alterata. Anche se lo sviluppo di questi problemi esce dai limiti di questo intervento e non è possibile seguirlo in modo approfondito, credo che quanto ha scritto L. Stone[7] a proposito del rapporto tra post-modernismo e storiografia, possa essere assunto come un punto di riferimento di grande equilibrio e di grande sensatezza empirica. Come, alla fine degli anni ‘70, Stone era intervenuto, con un saggio divenuto celebre, sulle derive positivistiche legate all’uso dei computer nella storia e sulla quantificazione in storia, riproponendo l’importanza della dimensione narrativa[8]; così, al principio degli anni ‘90, si è trovato ad arginare la riduzione della storiografia al solo racconto, alla sola dimensione narrativa. Soprattutto in un breve saggio del ‘92, insieme al riconoscimento dell’apporto che il linguistic turn può dare per l’affinamento di tecniche e di problemi propri della scrittura storica, Stone ha inteso ribadire, con chiarezza non disgiunta da una punta di ironia, alcuni termini essenziali di un mestiere e di una pratica che è da sempre problematica e che non è riconducibile ai termini di un rude positivismo (come deriva da molte ricostruzioni post-moderniste); ma che ciononostante assume come soglia discriminante il fatto che tra realtà e finzione esiste una differenza sostanziale, e che gli scopi e i problemi della storiografia sono quelli di mantenerla chiara, con tutti i limiti e con tutte le difficoltà proprie di un sapere per il quale non è possibile far riferimento a fenomeni ripetibili[9].

59. La corrosione dell’autorità e della linearità del testo, sviluppata sul piano teorico dalle diverse correnti post-strutturaliste, ha pertanto trovato nella teoria e nella pratica degli ipertesti un’espressione diretta, esaltando i termini della frammentazione, dell’incontrollabilità di un ordine argomentativo voluto dall’autore, della funzione del lettore come autore di propri percorsi all’interno di una struttura aperta ed in grado come tale di assumere un’ autorità forte. Tra il linguistic turn derivante dall’approccio analitico di teorici quali White o Ricoeur[10], che tende a ridurre a livello ideologico o retorico l’unità, il senso e la coerenza della narrazione storica; e la natura degli ipertesti, che offre la possibilità concreta di realizzare percorsi non lineari e di ridurre il discorso storico ad un contesto frammentario e liberamente ricomponibile, si stabilisce dunque un nesso forte -che per la maggior parte degli storici di mestiere, legati in vario modo a postulati di scientificità, verificabilità e autorità che definiscono la ragion d’essere del loro sapere, del loro lavoro e della loro funzione civile di intellettuali- costituisce certamente una realtà inquietante.
Sono allora opportune alcune precisazioni che possono contribuire a leggere questo scenario dell’evoluzione del rapporto tra storiografia e reti in termini meno apocalittici di quanto potrebbe a prima vista apparire; e a sollecitare quelle soluzioni empiriche e tecniche in grado di ricondurlo entro una dimensione di responsabilità e di controllabilità che non è automaticamente esclusa dalla natura della rete.

Abbiamo sottolineato più volte, in questi cenni sui nuovi scenari della scrittura storica connessi all’ipertestualità e alla rete, la dimensione della possibilità, perché, è bene rimarcarlo, tutto quanto rientra nell’ampio contesto delle potenzialità non corrisponde affatto o immediatamente ad una necessità imposta dalla rete.
Nella rete lo abbiamo detto, posso essere riprodotte, come nella maggior parte dei casi avviene, forme di organizzazione del discorso storico che sono identiche a quelle proprie della tradizione tipografica; la multimedialità e la presentazione di vasti apparati documentari possono non alterare minimamente la struttura del discorso, ed anche il rapporto tra testo e note, che l’autore intende mantenere. Ed in concreto, la parte assolutamente più rilevante dei contributi di ricerca storica presenti in rete che possono essere considerati qualitativamente significativi non fa altro che riprodurre in forma elettronica testi che hanno un carattere ipertestuale molto debole e che possono essere direttamente stampati riproducendo copie identiche ad una versione tipografica.
Il carattere chiuso e internamente gerarchizzato del discorso storico può rimanere tale, ed avere come tale una stabilità e una permanenza nel tempo mediate dalla strumentazione tecnologica.

60. Il problema non è dunque dato dalla possibilità di conservare, anche nel passaggio alla rete, forma e ordine proprie di un testo e di un’argomentazione lineare tradizionalmente proprie della scrittura storica; ma di capire se e come l’ipertestualità sia gestibile in modo da non produrre frammentazione e disintegrazione dell’autore e del testo: che alcuni intendono come avvio concreto di un processo affascinante di evoluzione verso l’autore collettivo; altri, non a torto, come rischio di alterazione di quei connotati di verificabilità e di aderenza ad una base documentaria gestita dalla responsabilità e della competenza dello storico, che costituiscono il fondamento e la ragione del suo mestiere. Il problema è di capire, in altri termini, se, rinunciando alla semplice riproduzione elettronica dei modelli formali tipografici, che è sempre aperta ma che non consente di sfruttare adeguatamente le potenzialità consentite da un nuovo mezzo -per il quale i termini di pagina, libro, volume, rivista assumono un valore inevitabilmente anacronistico-, sia possibile mantenere l’ordine e la coerenza che consentono di non annegare nel docuverso, di salvare individualità e autorità e di produrre forme di lavoro collettivo che risultino organizzate e strutturate. La domanda, e la risposta possibile, possono risultare ovvie per chi abbia una qualche esperienza di scrittura e di organizzazione di siti, ma possono non risultare tali per molti studiosi che si avvicinano con imbarazzo e perplessità alla realtà della rete.

Un primo fondamentale elemento che occorre richiamare è che la scelta di costruire un ipertesto non costituisce affatto, di per sé, l’abbandono al dominio della casualità e l’attribuzione ad ogni utilizzatore della libertà di operare una costruzione radicalmente libera di propri percorsi e di propri testi. Un ipertesto richiede al contrario una progettualità ed una regia molto più forti, e più complesse, rispetto all’organizzazione di un discorso lineare, di un libro; che si traducono in possibilità di percorsi che risultano molteplici ma preordinate da parte di chi organizza la strategia di consultazione dell’ipertesto e che escludono, a meno che non sia coscientemente voluto dall’autore, la perdita della direzione e del senso, abbandonate alla libertà dell’utilizzatore. Non è affatto vero che da un punto qualsiasi di un CdRom o di un sito, per esempio, si possa arrivare a ricomporre in totale libertà ed immediatezza il proprio percorso di lettura; da questo punto di vista l’operazione di sfogliare le pagine di un libro stampato offre addirittura maggiore rapidità e libertà di ricomposizione di propri percorsi testuali, secondo un procedimento che la critica post-strutturalista ha più volte evidenziato[11] rispetto ad un CdRom, la cui consultazione è vincolata a mappe, collegamenti e indici che costituiscono la parte rigida della sua architettura.

61. Tanto nella costruzione di un CdRom quanto, a maggior ragione, nell’organizzazione di un sito web, la strategia e la logica nell’ordinamento e nell’accesso alle varie sezioni, nei criteri di consultazione e di interrogazione, nei legami interni ed esterni costituiscono un aspetto di grande rilevanza, in cui si esprimono l’ordine e la coerenza pensate dall’autore/regista. Questo certamente richiede una consapevolezza diretta da parte di un autore, che non possono essere immediatamente delegate all’informatico nella stessa misura in cui si affidava il manoscritto o il dattiloscritto al tipografo; richiede un’estensione di quell’alfabetizzazione informatica che, già consolidata con l’uso dei word processor, dovrà estendersi anche ai software di costruzione e gestione degli ipertesti destinati alla rete, perché, senza per questo divenire informatici, si capisca se e come ciò che si intende costruire può essere realizzato in forma di ipertesto. L’evoluzione rapida del software e lo sviluppo di procedure sempre più user friendly renderà certamente questo passaggio sempre più agevole, com’è stato in passato per i word processor o per i database, ma è bene aver chiaro che esso, nel processo di evoluzione dallo storico autore di testi allo storico autore di siti, non è di trascurabile rilevanza se si vuole che la consapevolezza e l’autorità rimangano come elementi qualificanti della comunicazione in rete anche in ambito umanistico.

L’elemento fondamentale, ed il punto delicato nell’organizzazione di un documento destinato alla rete o di un complesso di documenti (testo di base, commenti, note, materiali vari, bibliografia etc.) organizzati in un sito, è dato dalla natura del link. Come il link rappresenta l’anima dell’ipertestualità del web, così nei criteri di costruzione dei link all’interno di un documento ipertestuale si condensano la maggior parte degli aspetti problematici relativi al suo ordine e alla sua coerenza. Un link può essere semplicemente un rimando interno ad una nota, o ad una parte del testo, o ad un altro documento presente nello stesso sito; ciò esprime quella che possiamo definire un’ ipertestualità debole, che non determina particolari problemi di strategia e di controllo. I problemi nascono invece nel momento in cui si intende attuare un’ipertestualità forte, e rinviare cioè ad altri documenti, o parti di documenti, o siti, presenti sul web. E’ a questo punto, e solo a questo punto, mi pare, che i termini di autorità, individualità, responsabilità vengono messi in discussione.
Con il rinvio, all’interno di un mio testo, ad un altro testo elettronico presente altrove, realizzato e gestito da altri, e sul quale non ho responsabilità né controllo, attuo concretamente quella disarticolazione dell’autorità a cui prima si accennava. Pensiamo ad esempio al caso di una citazione, in nota o nel testo stesso di uno documento, di un passo tratto da un documento elettronico presente altrove. Nel momento in cui decido di non trascrivere il passo ma di rinviare ad esso tramite un puntatore, ho costruito un oggetto che ha due componenti, l’una delle quali non è più inglobata e integrata nel mio testo, ma continua ad avere una vita propria; posso anche pensare che nel corso del tempo si trasformi (che a quello stesso puntatore, che identifica un luogo nel web, corrisponda un altro oggetto), che svanisca, che non corrisponda più in altri termini al contenuto che ho inteso includere nel mio testo, il quale inevitabilmente perde di senso.

62. E’ una possibilità paradossale e “apocalittica” solo fino ad un certo punto. Già adesso molti riferimenti a documenti sul web, presenti in sitografie o nel corpo stesso di documenti, presentano la necessità di aggiornamenti e revisioni continue per non incorrere nella drammatica schermata “document not found” e nella necessità da parte del lettore di affannose ricerche di documenti che si sono persi nella rete, per varie ragioni. E’ certamente un problema per il quale, nello studio in corso sugli standard del linguaggio del web, possono essere intraviste soluzioni; con il passaggio probabile dall’HTML all’XML come linguaggio di comunicazione della rete, la possibilità di seguire gli URL nei loro spostamenti attraverso stili di marcatura di nuova concezione sarà probabilmente possibil[12]; ma al momento in cui queste pagine sono scritte si tratta di sperimentazioni e ricerche che ancora non si sono concretizzate nella corrente realtà del web, sempre solidamente ancorato all’HTML e ai suoi aggiornamenti. E, d’altra parte, anche la possibilità di seguire i documenti nei loro percorsi non rappresenta una sicurezza sulla loro stabilità ed inalterabilità, che sono legate alla natura del documento elettronico, alla sua diversità rispetto alla fissità riproducibile propria dell’universo tipografico, e per la quale valgono le considerazioni e le possibilità di soluzione in precedenza indicate[13].
Quanto maggiore è pertanto il grado di ipertestualità forte propria di un documento destinato alla comunicazione in rete, tanto minore, inevitabilmente, è il suo grado di controllabilità e di mantenimento dell’autorità e dell’individualità di un testo. Finché si organizzano e si strutturano siti anche complessi mediante un reticolo di rimandi interni, e si stabilisce al loro interno un’ipertestualità che esprime la progettualità ed il criterio d’ordine dell’autore o degli autori, non si aprono problemi particolari di controllo al di là di un diverso modo di costruire l’ordine dell’argomentazione e di attuare l’integrazione tra discorso e strumenti di verificabilità; ma nel caso in cui si intenda costruire un ipertesto utilizzando documenti e banche dati variamente dislocate nel web, i problemi che abbiamo ricordato sono destinati a manifestarsi vistosamente.

63. Essere consapevoli di questo fatto -oltre ad attendere, dall’evoluzione della tecnologia informatica e dall’adozione di norme giuridiche sul deposito dei documenti elettronici, soluzioni convincenti e stabili- non significa dover arretrare di fronte alle possibilità offerte dall’ipertestualità e riprodurre meccanicamente e un po’ ottusamente le forme della pubblicazione cartacea, ma semplicemente essere indotti alla cautela. Già quella che abbiamo definito ipertestualità debole apre in maniera molto ampia l’ambito delle possibilità praticabili senza particolari problemi in ambito storiografico; e già essa consente la sperimentazione di forme di argomentazione e di strutturazione del discorso (nel rapporto tra testo, note, apparati documentari, per esempio) che determinano un stile ed un ordine diversi rispetto alle forme tradizionali di storiografia. Le possibilità e gli arricchimenti possono essere numerosi, e variamenti intesi dai diversi contesti disciplinari umanistici, ed il fatto che siano ancora limitatamente praticati e che siano ancora lontani dal costituire una nuova normalità della comunicazione può certamente derivare dal fatto che ad essere percepiti immediatamente siano solo i rischi di quell’ipertestualità forte cui abbiamo fatto cenno, che invece può essere contenuta e controllata, rinviando una sua più sistematica applicazione al momento in cui i quadri di riferimento, tecnologici e normativi, della comunicazione scientifica sul web appaiano più certi. La distinzione tra aree dell’ipertesto vincolate ad una rete di relazioni interne ed aree aperte all’esterno, alla dimensione collaborativa e interattiva di lettori e commentatori (mediante tribune di discussione collegate o connessioni a mailing-list o newsgroup esterni), alla modificabilità e allo sviluppo dei percorsi di lettura e di consultazione non più ricondotti ad una responsabilità e ad una decisione, fa parte della tecnica e della logica di costruzione di un ipertesto, che spettano all’autore e non sono inevitabilmente perduti nel momento in cui intende passare da un testo destinato alla pubblicazione cartacea ad un ipertesto destinato alla rete.


64. Lo stesso vale per la possibilità di coordinamento e di organizzazione di un lavoro di équipe intorno ad oggetti di ricerca traducibili in formato ipertestuale[14]. La specializzazione della storiografia contemporanea e la moltiplicazione dei contributi su aspetti e temi che fino a non molti anni fa costituivano ambiti estremamente specialistici di attenzione, è un fatto noto, che determina non solo problemi di controllo seri relativi a quello che una volta era definito “lo stato della questione”, all’evoluzione della ricerca e alla bibliografia, ma anche una nuova e più urgente necessità di coordinamento e di informazione. La dilatazione del discorso storico in ambito accademico e le difficoltà di controllo che ne derivano hanno alimentato fortemente l’accentuazione dei termini di indeterminatezza e di frammentazione che costituiscono uno dei punti rilevanti dell’approccio post-modernista alla storiografia. Da questo punto di vista la rete può apparire, con la facilità di pubblicazione che consente, niente più che la manifestazione clamorosa di un’incontrollabilità del discorso, anche in ambito storiografico, che si presenta come inevitabile e che rende concrete le ipotesi e le teorie variamente collegate all’approccio post-modernista, inducendo gli storici più legati alla tradizione del mestiere alla rassegnazione, al ritiro in una sorta di riserva indiana fatta di antiche pratiche e linguaggi collaudati, e sostanzialmente alla chiusura. La stessa maggiore facilità dell’accesso all’informazione, unita alle tecniche di composizione dei testi propri dei word processor o degli editor per i testi destinati al web, è spesso evidenziato, paradossalmente, come indice di una dimensione in cui la produzione testuale si riduce a niente più che ad un processo, ancorché evoluto, di cut and paste, di assemblaggio rapido di elementi sui quali la possibilità di verifica diviene impraticabile, e, in ultima analisi, neppure richiesta; come se al superamento degli ostacoli tecnici nella comunicazione e nella scrittura a cui le nuove tecnologie hanno contribuito, ed alla stessa maggiore libertà ed efficacia nell’organizzazione e nello svolgimento del lavoro da esse consentite, fossero imputabili le responsabilità di una cattiva qualità e di un basso livello che proprio la costrizione ai tempi lunghi, alle stesure ripetute, alle difficoltà di accesso ai materiali avrebbero scongiurato. E’ una contestazione che anche all’inizio della diffusione di fotocopie e microfilm fu manifestata e che ora è ripresa con vigore a proposito della comunicazione elettronica.

65. In realtà tutto questo non costituisce affatto un esito inevitabile, né imputabile alle tecniche di costruzione e di comunicazione dei risultati della ricerca consentite dagli strumenti elettronici e dalla rete. Rispetto alla sovrabbondanza reale della letteratura storiografica contemporanea la rete offre al contrario strumenti di controllo e di verifica che, se adeguatamente utilizzati, si rivelano assai più efficaci -lo abbiamo accennato a proposito di bibliografie e cataloghi- rispetto agli strumenti tradizionali; strumenti che consentono di rispondere all’esigenza di distinguere ciò che è qualitativamente significativo per la ricerca da ciò che è ripetitivo o ridondante. Che non sia più possibile, ormai, distinguere tra questi due ordini di valori, e che la rilevanza del discorso storiografico in ambito contemporaneo sia riducibile ai livelli della persuasione, della diffusione, della retorica letteraria, non è affatto confermato o accentuato dalla natura della rete.
Certamente i problemi della specializzazione della ricerca e della dilatazione della letteratura storiografica permarranno; non solo, ed è un fatto noto, è pressoché impossibile per ogni storico contemporaneo, anche per i maggiori, spaziare dai problemi relativi al mondo antico alla contemporaneità con l’ambizione di fornire contributi di ricerca e di riflessione originali -come poteva avvenire ancora intorno alla metà del secolo scorso-, ma anche nell’ambito di periodizzazioni più circoscritte la delimitazione degli ambiti di ricerca si rivela ormai inevitabile. Ma anche in questa dimensione necessariamente più specialistica rispetto al passato, le possibilità di valutazione e di controllo non risultano affatto sfumate, ma al contrario troveranno nella rete importanti, forse indispensabili, possibilità di potenziamento.
La rete si rivela da questo punto di vista esser proprio la dimensione che consente di superare il disorientamento di fronte all’apparente incontrollabilità, e di ricomporre -in uno scenario necessariamente riconfigurato- i termini di una coerenza del discorso storico che non è altro, in ultima analisi, che approccio critico, basato su materiali identificabili e verificabili, alla realtà. Che la realtà sia, in termini assoluti, inattingibile; e che la verità dello storico sia sempre una verità parziale e discutibile, è un fatto innegabile, ed è quanto costituisce la problematicità ed il fascino del mestiere; ma che tale problematicità non determini necessariamente un esito scettico, e che la rete non lo favorisca inevitabilmente, mi pare un dato altrettanto chiaro.

[1] Un riferimento "classico", a questo proposito, è Landow, 1997. Per un panorama bibliografico sull'argomento, vedi Hypertext Resources, < http://www.eastgate.com/Hypertext.html >, in particolare Hypertext Resources in Print, < http://www.eastgate.com/hypertext/Sources.html >.

[2] Vedi, a proposito di questo processo di transizione, l'esempio particolarmente interessante di Reti medievali, < http://www.retimedievali.it/ >.

[3] Robert Darnton ha offerto un esempio interessante di un nuovo modo di scrivere storia con la versione ipertestuale e multimediale del saggio "An Early Information Society: News and the Media in Eighteenth-Century Paris"; vedi Darnton, 2000. Per seguire gli sviluppi delle applicazioni multimediali alla storia, vedi The Journal for MultiMedia history, < http://www.albany.edu/jmmh/ >.

[4] Vedi Grafton, 1997.

[5] Vedi Landow, 1997.

[6] Per una rassegna dei diversi contributi al dibattito, vedi Jenkins, 1997.

[7] Vedi Stone, 1991 e 1992.

[8] Vedi Stone, 1979.

[9] "My only objection is when they declare not that truth is unknowable, but that there is no reality out there which is anything but a subjective creation of the historian; in other words that it is language that creates meaning which in turn creates our image of the real. This destroys the difference between fact and fiction", etc. (Stone, 1992, p.194). Vedi anche, a questo proposito, Zagorin, 1990 e 1999. La linea post-modernista è sostenuta con particolare vigore da F.R.Ankersmit (vedi Ankersmit, 1989, 1990 e Ankersmit et Kellner, 1995). I documenti principali del dibattito sono raccolti in Jenkins, 1997.

[10] Vedi Ricoeur, 1983-85; White, 1973 e 1986.

[11] Vedi Barthes, 1970.

[12] Per gli sviluppi di XML vedi < http://www.w3.org/XML >. Sulla base di questo linguaggio vanno definendosi ulteriori specifiche; in particolare, per quanto riguarda lo sviluppo di un nuovo standard relativo ai links ipertestuali, ossia l' Extensible Linking Language (XLL), e le due parti fondamentali di cui si compone (Xlink e Xpointer), vedi < http://www.w3.org./TR/xlink > e < http://www.w3.org/TR/WD-xptr >.

[13] Vedi I.3.

[14] Vedi, a questo proposito, l'interessante progetto HyperNietzsche, in D'Iorio, 2000.