Internet e il mestiere di storico.
Riflessioni sulle incertezze di una mutazione

Rolando Minuti

Indice

II.1. Le incertezze della pubblicazione in rete


44. Lo sviluppo incessante della rete sta dunque significativamente mutando le modalità di accesso agli strumenti e alla documentazione utili alla ricerca storica, pur con tutti i problemi sui quali abbiamo cercato rapidamente di porre l’accento, e nonostante il fatto che il fronte delle aspettative, in relazione allo sviluppo delle nuove tecnologie e all’insistenza dei mass-media, rimanga ancora assai più ampio rispetto alle realizzazioni concrete.
Non è dunque possibile sostenere, allo stato attuale delle cose, che già la rete rappresenti un contesto realmente sostitutivo delle condizioni di lavoro e degli strumenti tradizionalmente propri della ricerca storica, anche se si può affermare con certezza che già offre aiuti rilevanti, in molti casi più potenti ed efficaci rispetto agli strumenti tradizionali; e che la loro conoscenza ed il loro potenziamento sono di grande importanza perché la mutazione -probabilmente inevitabile- del mestiere dello storico e della pratica storiografica, nel contesto comunicativo regolato dalle reti, avvenga in modo consapevole e responsabile.
Il fatto che la presenza di riferimenti bibliografici a siti web, nelle note e nelle bibliografie degli studi storici pubblicati, sia ancora assai marginale -se non per quei lavori che si muovono entro la cerchia degli studi sui nuovi media e sul rapporto tra Internet e ricerca, o che sono rivolti alla repertoriazione delle risorse web: per tutti quei lavori, insomma, per i quali la rete è comunque un oggetto di riflessione oltre che uno strumento di lavoro- è indicativo. Come potrebbe essere altrimenti, d’altra parte, in una dimensione in cui gli indirizzi web dei documenti citati, per portare un esempio a cui spesso si fa riferimento, sono soggetti a mutamenti che rischiano di farli smarrire completamente, o di consentire il loro recupero solo a costo di tempo e con difficoltà a volte notevoli? Rischio forse ridotto per documenti presenti in siti istituzionali importanti o fortemente accreditati, ma assai forte per i siti più deboli o legati a iniziative individuali, che non necessariamente, tuttavia, meritano per questo di essere esclusi dalla considerazione scientifica.
La comunità scientifica degli storici, complessivamente intesa, continua in altri termini a mantenere un atteggiamento perplesso e incerto nei confronti della rete: non tanto perché non siano chiaramente percepibili -al di là del disordine, dell’eterogeneità, e di certe difficoltà di approccio iniziale- gli aiuti che dalla rete possono derivare alla ricerca; da questo punto di vista, anche assumendo un atteggiamento moderato, riconoscendo che i problemi non sono banali e che molto resta ancora da fare rispetto alle attese, non occorre né particolare competenza informatica né l’assunzione di ipotesi rivoluzionarie legate all’avvento dei new-media per rendersi conto che accedere a cataloghi di biblioteche, indici di archivi, documenti digitalizzati, può costituire un grande aiuto.

45. Alla base di scetticismi e perplessità stanno invece quegli aspetti strutturali del documento digitale su cui abbiamo in precedenza fermato l’attenzione. La sua mancanza di stabilità fisica, in particolare, lo rende sospetto o utilizzabile con maggiore difficoltà in un contesto di discorso storico; la maggiore labilità, in altri termini, di quegli elementi capaci di far sì che qualsiasi traccia lasciata dall’esperienza umana mantenga intrinsecamente una propria aderenza ad un tempo e ad uno spazio, ad un contesto che è compito dello storico decifrare con le tecniche di analisi di cui dispone e che consentono di attribuire ad un monumento o ad un documento il valore di fonte storica.
Abbiamo ricordato come per questi problemi possano essere trovate risposte adeguate e convincenti; ma è anche opportuno sottolineare il fatto che tali soluzioni richiedono comunque una forte assunzione di responsabilità nei confronti della documentazione digitale, volontà e strategie concertate a livello internazionale che attualmente non è ancora possibile vedere espresse se non in termini di progetti. Le esperienze si susseguono, i programmi e le iniziative procedono con intensità, secondo un percorso empirico di approssimazione ad una nuova normalità dei quadri di riferimento operativi, per tutte le discipline umanistiche e specificamente per la ricerca storica; ma sarebbe azzardato sostenere che tale percorso si sia già tradotto in una realtà concreta e stabile, pienamente sostitutiva della strumentazione tradizionale.
Se le perplessità stanno comunque progressivamente venendo meno, soprattutto di fronte alla possibilità di utilizzare edizioni digitali di documenti che mantengono comunque una loro realtà fisica in qualche biblioteca o in qualche archivio; e se da questo punto di vista si aprono solo problemi di quantità di documentazione disponibile e di strategie filologico-informatiche di digitalizzazione, la questione fondamentale dell’affidabilità del documento digitale torna con forte evidenza a proposito della pubblicazione dei risultati della ricerca e della possibilità, per gli storici, di passare risolutamente della carta alla rete.
Sin dagli inizi del web, in effetti, la percezione di un orizzonte affascinante di possibilità nuove che si aprivano alla comunicazione, allo scambio di informazioni ed esperienze tra studiosi, alla trasmissione dei risultati della ricerca, è stata chiara, determinando l’avvio di molte iniziative. In realtà si trattava di un orizzonte che ancora prima del web la realtà di Internet aveva aperto, e verso il quale soprattutto il versante delle scienze “dure” (matematiche, fisiche, naturali) aveva investito energie ed interesse. Ma è soprattutto in seguito all’affermazione del web e della dimensione ipertestuale che è il suo connotato distintivo, che anche sul versante delle discipline umanistiche l’attrazione di questa nuova dimensione della comunicazione è stata forte.

46. Le ragioni possono essere richiamate sinteticamente, senza insistere ulteriormente nell’illustrazione di aspetti che sono ampiamente noti e sui quali c’è ormai una letteratura critica fin troppo abbondante[1]. L’uso della rete per la pubblicazione dei risultati della ricerca consente innanzitutto una rapidità incomparabilmente maggiore rispetto ai tempi mediamente lunghi -a volte insopportabilmente lunghi- della pubblicazione cartacea; aspetto delicato, evidentemente, soprattutto per quelle discipline (le scienze del mondo fisico, la medicina etc.) per le quali la rapidità della comunicazione dei risultati della ricerca o delle nuove scoperte risulta fondamentale; e non è un caso che siano questi i settori che per primi e con maggiore decisione si sono mossi nell’utilizzazione sistematica della rete, rispetto alle discipline umanistiche per le quali, in ultima analisi, la rapidità della pubblicazione è meno decisiva. In secondo luogo, per il documento pubblicato in rete si aprono possibilità di diffusione incomparabilmente più ampie rispetto a quanto è possibile per i volumi stampati. Inoltre, attraverso la pubblicazione sul web è consentita un’aggiornabilità e una modificabilità pressoché illimitata dei risultati della ricerca, una loro estensibilità (in termini di aggiornamenti bibliografici, di integrazione con documenti e testi, o con appendici multimediali, che difficilmente possono trovare spazio nelle pubblicazioni cartacee); ed ancora, un’interattività con gli autori, e l’apertura di tribune di discussione e di forum su temi specifici, collegati a particolari contributi. Infine, la pubblicazione sul web consente un contenimento sostanziale dei costi di produzione tipografica e dei costi relativi alla gestione (conservazione e accesso) di libri e riviste cartacee; problemi che, a fronte di una crescita dei costi di abbonamento alle riviste e dei problemi della loro gestione da un punto di vista bibliotecario, trovano sul versante dell’elettronica e della telematica possibilità di soluzione particolarmente efficaci.
Sono aspetti e temi noti, sui quali la discussione è avviata da tempo, e che ormai possono essere considerati come un dato acquisito. Ciononostante la transizione dal cartaceo al digitale per la pubblicazione delle ricerche non è avvenuta in tempi così rapidi come l’evidenza degli elementi sopra richiamati sembrava suggerire; ed ancora ci muoviamo in una fase di transizione, di adattamento e di lento adeguamento verso una dimensione nei confronti della quale l’ambito umanistico continua a nutrire sospetti.
E’ un fatto che la parte assolutamente maggioritaria della storiografia contemporanea, al pari della ricerca storico-letteraria e dell’edizione di testi, continui ad essere prodotta ed utilizzata in base alle forme della pubblicazione proprie dell’universo tipografico. Ed è un fatto che non può non sollevare interrogativi, in parte coincidenti con quanto osservato a proposito delle fonti della ricerca storica riprodotte in rete, in parte diversi, che meritano di essere evidenziati.

47. Un peso certamente rilevante, in questo contesto, hanno i problemi che investono il rapporto tra attività scientifica e produzione editoriale, e le difficoltà in gran parte comprensibili che inducono gli editori ad assumere atteggiamenti cauti, se non di vero e proprio freno, nei confronti degli sviluppi sollecitati dalla comunicazione telematica. E’ d’altra parte evidente che il ruolo dell’editore come strumento essenziale della comunicazione culturale nell’era tipografica risulta fortemente ridimensionato nel contesto della comunicazione telematica. In questo contesto infatti non risulta più necessaria una funzione specifica che renda possibile l’incontro tra autori e lettori ( che può avvenire direttamente attraverso la rete ); e diviene pertanto fortemente discutibile l’intera architettura normativa che la regola, e che garantisce agli editori, proprio in virtù di questa funzione -indispensabile nell’era tipografica, non più tale nell’era telematica-, una serie di diritti, giuridici ed economici.
E’ un problema che si presenta non solo per la produzione libraria, ma che investe tutti quegli ambiti per i quali la rete va assumendo il ruolo di canale primario di comunicazione culturale (la produzione musicale per esempio, che è attualmente al centro di polemiche accese) e per il quale la volontà di riprodurre e di riaffermare rigidamente i riferimenti normativi tradizionali non appare convincente, né dal punto di vista della legittimità né dal punto di vista della difendibilità.
Ciò non significa che debbano essere considerati inutili o superati tutti quegli elementi di filtro e di garanzia di qualità che in parte significativa sono sempre stati svolti dagli editori. Ma è anche chiaro che tale funzione potrà essere svolta direttamente, forse in termini più convincenti, dalle comunità scientifiche, dai contesti disciplinari, da nuove espressioni di interessi e di linguaggi che vanno sorgendo nella rete. Ad esse può essere direttamente demandata quella funzione di selezione e di orientamento che senza poter più essere radicalmente penalizzante per gli autori (che potranno sempre trovare il modo di pubblicare il loro lavoro in rete, senza incontrare quegli ostacoli, economici o d’altro tipo, che spesso chiudono la strada della pubblicazione cartacea), potrà tuttavia fornire ai fruitori, attraverso chiare assunzione di responsabilità, uno strumento di orientamento che, come si diceva all’inizio, può risultare di grande importanza per la costruzione ordinata dell’edificio delle risorse presenti sul web.

48. Chi userà la rete potrà sapere in questo modo a quale tipologia di lavori potrà accedere visitando un certo sito, scegliere e valutare di conseguenza. Questa funzione, e la pubblicazione di lavori all’interno di siti selezionati, potranno certamente consentire una transizione delle competenze e del ruolo degli editori tradizionali nel nuovo contesto comunicativo (in un quadro di editoria on-demand, per esempio[2]); ma comporteranno certamente, su questo versante, riassestamenti, riconversioni e trasformazioni di strategie operative rilevanti.
Ma, appunto, non è solo il ruolo dell’editore tradizionale che è posto in discussione, bensì l’intera cornice normativa che regola, sul versante della ricerca umanistica, la pubblicazione e la legittimazione giuridica dell’autorità sui lavori pubblicati. La stessa nozione di copyright risulta difficilmente difendibile, in termini legali ed economici, dove la riproducibilità dell’oggetto digitale ed il suo movimento attraverso la rete costituiscono aspetti intrinseci della comunicazione sul web; assai più difficile da difendere rispetto alla stessa riproduzione fotomeccanica, con la quale gli editori manifestano tuttora chiare difficoltà di convivenza.
Riprodurre per la rete l’identica nozione di copyright propria della realtà tipografica è quasi un nonsense ed è sistematicamente fonte di incongruenze e complicazioni; ma la formulazione di una nozione di copyright adeguata ai caratteri propri della comunicazione in rete, e che consenta una remunerazione del lavoro, dell’investimento di risorse e di energie, e delle funzioni svolte nel processo di produzione e di comunicazione dell’oggetto culturale digitale, non è di semplice soluzione[3]. Analoghe difficoltà valgono per la nozione di diritto d’autore, soprattutto di fronte a opere, com’è il caso dei lavori multimediali, per le quali le diverse componenti operative non sono distinguibili con chiarezza[4].
Ed infine, ciò che risulta più rilevante dal punto di vista delle pubblicazioni accademiche, che esprimono la componente fondamentale della ricerca storica, problemi simili permangono per quanto riguarda la disciplina giuridica del deposito legale.

49. E’ sulla base del deposito legale delle pubblicazioni che si stabilisce, com’è noto, la legittimazione della paternità di un determinato lavoro e la possibilità di utilizzarlo a fini curriculari, concorsuali e professionali. La varietà della disciplina del deposito legale delle pubblicazioni nei diversi Paesi non altera il dato uniforme di una differenza sostanziale, dal punto di vista normativo, tra la pubblicazione elettronica e la pubblicazione cartacea. Ed è certamente la debolezza di un chiaro quadro di riferimento normativo che, dal punto di vista soprattutto dell’editoria accademica umanistica, ostacola la transizione decisa verso la pubblicazione elettronica, anche di fronte alle possibilità assai più ampie e suggestive che l’edizione elettronica può fornire.
Si fa spesso riferimento al problema di una mentalità e di una consuetudine nella pratica della ricerca e della comunicazione storica che fanno fatica ad adeguarsi ai mutamenti che si impongono nella transizione dal cartaceo al digitale; e si tende a vederne la soluzione in un progressivo -più o meno lento a seconda dei contesti, ma comunque inevitabile- processo di adattamento della prassi tradizionale che regola la ricerca e la pubblicazione alle nuove tecnologie; tecnologie la cui evoluzione è certamente rapida, forse troppo rapida, rispetto ai tempi fisiologici di assorbimento, in termini di comportamenti e di attitudini, nel quadro tradizionale delle discipline storiche. Ciò è in parte vero, ma in parte rischia di sottovalutare, proponendo uno scenario di transizione generazionale, quegli aspetti giuridici e normativi che hanno invece una grande rilevanza e sulla base dei quali si vanno sempre componendo i riferimenti generali di una cultura collettiva e di una mentalità. D’altra parte, che non si tratti semplicemente di una questione generazionale lo dimostra il fatto che proprio la generazione più giovane di studiosi diffida della sola pubblicazione elettronica e, di fronte alla possibilità di pubblicare un proprio lavoro nella collana di un editore celebre, accoglie con maggior favore questa prospettiva, che è certamente più remunerativa, allo stato attuale delle cose, in termini di prestigio, di riconoscimento accademico, di carriera.

50. Esistono dunque dei problemi specifici, tecnici e soprattutto normativi che devono essere affrontati e risolti perché il passaggio dal cartaceo al digitale avvenga in modo deciso. Varie soluzioni, da questo punto di vista, possono essere proposte e sono concretamente allo studio in diversi Paesi[5]. E’ possibile pensare, per esempio, all’individuazione di alcuni server istituzionali, attivati presso biblioteche, centri di ricerca o istituzioni universitarie, a cui possa essere attribuita quella funzione tecnica e giuridica di garanzia del deposito legale delle pubblicazioni elettroniche; ciò non impedirà agli autori la modificazione, l’aggiornamento e anche la trasformazione del proprio lavoro -mantenendo per esso quel carattere di cantiere aperto che costituisce una delle peculiarità della comunicazione telematica- ma consentirà di farlo con una datazione esatta degli interventi o una presentazione di versioni diverse, mutate nel tempo, di un testo. Ciò permetterebbe da un lato una migliore salvaguardia del documento, rispetto alla disseminazione incontrollata dei documenti sul web, dall’altro la sua storicizzazione e la sua utilizzabilità ai fini della ricerca, soprattutto in relazione alla verificabilità dei riferimenti e delle citazioni[6] da documenti non più fluttuanti nel web e soggetti a spostamenti incontrollabili. E se questo fosse realizzato seguendo procedure condivise e sulla base di standard, sarebbe un importante passo verso quella memoria collettiva della ricerca, costantemente accessibile sul web, che costituisce una delle prospettive più suggestive per lo sviluppo futuro della pratica storiografica[7].

Tutto questo, come abbiamo ricordato in precedenza, non comporta necessariamente la fine del supporto cartaceo e la morte del libro, in quanto la riproducibilità dell’oggetto digitale su supporti di varia natura e formato è una possibilità ovvia, e resa già agevole da una tecnologia di riproduzione meccanica che consente il downloading di testi dalla rete e l’immediata produzione di un volume più o meno elegantemente rilegato[8]. Ciò che invece muta è la gerarchia nella logica della pubblicazione, e l’affermazione della pubblicazione elettronica come forma primaria e fondamentale di pubblicazione, rispetto alla quale quella cartacea viene ad assumere il carattere di semplice derivato, la cui forma e la cui struttura, incluso il fatto di corrispondere all’intero documento o a una sua parte, possono variare in relazione agli interessi di chi intende utilizzarla. Se questo derivato cartaceo sia destinato a rimanere, o se sia presto sostituito da altre forme di supporto portatile, e in che tempi, non è dato dirlo né mi pare costituisca un problema di grande interesse. Attualmente libri e documenti cartacei mantengono una loro indubbia utilità ed una serie di vantaggi che ancora non sono sostituiti dalla tecnologia telematica.
D’altra parte, fino a non molto tempo fa si poteva ancora sostenere che un libro aveva rispetto al computer il vantaggio enorme di essere trasportabile e manipolabile; oggi questa argomentazione è già divenuta debole, di fronte agli e-books[9] e agli orizzonti recenti dalla tecnologia degli schermi che consente spessori che si avvicinano alla carta, per cui il “libro universale”, o il “giornale universale”, aggiornabile con tutte i testi che ci si possono procurare in rete, e trasportabile come un libro tascabile o come un quotidiano, se proprio siamo affezionati a quelle forme, rischia di non costituire più una fantasia.
Se e quando carta e libri scompariranno dall’uso corrente e saranno relegati all’anti-quariato o ai depositi di conservazione e tutela del patrimonio culturale, sarà perché non se ne sentirà più la necessità e perché la cultura collettiva si sarà orientata verso altri strumenti, senza che lamentazioni o rimpianti sul mondo della carta che abbiamo perduto abbiano più grande senso.

51. Se dunque è di una diversa gerarchia nella logica della pubblicazione che si tratta, e se il documento elettronico deve assumere un ruolo primario, ribaltando sostanzialmente la realtà adesso prevalente per cui è il documento elettronico a costituire un’appendice, un derivato, rispetto al documento cartaceo giuridicamente riconosciuto, un passaggio fondamentale è inevitabilmente costituito dalla soluzione di quei problemi normativi ai quali talvolta viene attribuita rilevanza secondaria ma che hanno tuttavia un peso notevole nel mantenere un atteggiamento di distanza e di perplessità verso la pubblicazione elettronica.

Si tratta di un ordine complesso di problemi la cui soluzione non dipenderà solo da una discussione teorica o giuridica ma anche dalla spinta che deriva dalle realizzazioni concrete che, anche sul versante dell’editoria elettronica umanistica, sono già disponibili alla comunità degli studiosi. Soprattutto l’ambito delle riviste è fortemente investito dalle opportunità offerte dalla comunicazione telematica. Problemi di costi di produzione e di gestione bibliotecaria, oltre a potenzialità assai più forti, sul versante telematico, dal punto di vista della ricerca e della comunicazione dei documenti, stanno determinando una forte spinta verso la transizione dal cartaceo al digitale.
Molte sono le riviste puramente elettroniche (senza cioè che abbiano un corrispondente cartaceo) sorte negli ultimi anni[10], ed importanti sono anche gli esempi di edizione parallela, tale cioè da salvare, da un lato, le esigenze proprie dell’editoria tradizionale, ma da consentire dall’altro alla comunità degli studiosi le possibilità di fruizione consentite dalle nuove tecnologie telematiche. L’esempio di JSTOR credo sia, da questo punto di vista, particolarmente significativo[11]. Sulla base di un accordo stipulato con i responsabili delle singole testate, al programma JSTOR è consentita l’archiviazione elettronica di un numero rilevante di importanti riviste umanistiche allo scadere di un termine temporale prefissato (moving wall), definito generalmente in cinque anni. Dopo cinque anni di esistenza cartacea, che salva diritti, interessi, investimenti dell’editoria tradizionale, i numeri delle riviste transitano dunque verso il digitale e consentono ad ogni biblioteca l’accesso full-text alla rivista, risolvendo brillantemente problemi di spazio e di costi nella gestione del materiale librario e consentendo anche a piccole e nuove biblioteche di dotarsi rapidamente di un patrimonio documentario rilevante. La digitalizzazione in formato-testo ed in formato-immagine combinati consente poi l’interrogabilità e l’uso del documento elettronico secondo tutte le potenzialità consentite da tale procedura di archiviazione, e, al tempo stesso, il rispetto dell’integrità formale della pagina, importante per un documento che ha già avuto una prima edizione cartacea. Tutto ciò non è gratuito, naturalmente, ma è legittimo ritenere che l’investimento, da parte di un’istituzione bibliotecaria, per l’accesso ad una banca dati di questo tipo, risulti economicamente e scientificamente più vantaggioso rispetto al possesso di molte decine di metri lineari di volumi cartacei.
E’ un esempio tipico di una realtà di transizione, utile per dimostrare come anche in questa fase, e nonostante tutte le incertezze e le perplessità che caratterizzano il rapporto tra discipline umanistiche e reti, realizzazioni concrete e di utilità indiscutibile possano essere compiute, senza che si debba attendere la risoluzione di tutti i problemi -normativi, tecnici, gestionali- per cominciare a produrre risultati; e ritenendo che proprio dalle realizzazioni concrete possano derivare stimoli importanti e idee utili alla soluzione di problemi più generali. Altre importanti iniziative avviate in questa direzione, anche fuori dall’ambito statunitense, mostrano come quest’ordine di esperienze vada incontro a esigenze concrete e sia destinato a svilupparsi considerevolmente nei prossimi anni[12]; e sarebbe auspicabile che, in questa prospettiva, un’attenzione particolare fosse rivolta al patrimonio meno recente delle riviste storiche, erudite, letterarie, correntemente intese come minori, che più facilmente sfuggono alle principali iniziative di indicizzazione ma che rappresentano per la ricerca storica un ambito di notevole interesse.

52. Non è questa la sede per offrire indicazioni sul tipo di strategia che sarebbe opportuno seguire per arrivare alla realizzazione di progetti che richiedono certamente un notevole investimento di lavoro, ma dai quali è anche possibile -considerando l’esempio di JSTOR- avere un ritorno economico interessante, che può consentire (ad un ente pubblico, per esempio) di consolidare, ampliare e potenziare il quadro progettuale iniziale. Sta di fatto che, per uno studioso, poter accedere direttamente, tramite un terminale della rete universitaria o tramite Internet, alla collezione degli articoli di un centinaio di riviste umanistiche integralmente digitalizzate, come consente il progetto MUSE della Johns Hopkins University[13]; e poter operare sull’intero corpus testuale con diverse modalità di interrogazione, rappresenta un’opportunità di fronte alla quale scetticismi e perplessità sono destinati a svanire immediatamente.
L’ utilizzazione in rete delle banche dati testuali pubblicate su CDRom, sulla base di contratti e modalità di abbonamento diversificate; e la possibilità di accedervi all’interno delle diverse sedi universitarie e da postazioni autonome, costituiscono una linea operativa già ben avviate in moltissime istituzioni universitarie europee (oltre ad essere già solidamente consolidata negli Stati Uniti), sulla cui utilità non ci sono molte ragioni di dubitare.
Più rari sono gli esempi di un’editoria elettronica orientata alle monografie e a quegli studi che tradizionalmente si traducono in libri. Anche su questo versante, tuttavia, alcune iniziative già avviate e una serie di progetti[14] mostrano che, nonostante le difficoltà e le incertezze normative che permangono, una forte spinta all’evoluzione dell’editoria accademica in questa direzione esiste.
Soprattutto l’incremento dei costi delle pubblicazioni tradizionali, insieme alla necessità, particolarmente pressante in sistemi accademici come quello statunitense, di pubblicare per poter coltivare aspirazioni di stabilità professionale e di carriera, ha indotto anche autorevoli rappresentanti della cultura storica statunitense a sostenere con vigore la strategia dell’editoria elettronica[15]. Penso che anche in altri contesti istituzionali e culturali la scelta di avviare programmi sistematici di editoria elettronica fruibile in rete, una volta affrontati e risolti quei problemi normativi che rischiano di costituire uno scoglio su cui sono destinati ad infrangersi progetti importanti ed energie brillanti, dovrebbe essere seguita con decisione.

53. Se pensiamo al fatto che una parte ingentissima dei finanziamenti per la ricerca in ambito umanistico è obbligata a seguire il percorso che porta alla pubblicazione cartacea; e se pensiamo ad una dotazione per la ricerca che spesso non è adeguata ad un suo soddisfacente sviluppo, possiamo facilmente cogliere molti dei vantaggi che potrebbero derivare da un’editoria accademica elettronica intesa come autentico sostitutivo dell’editoria cartacea. Molte risorse sarebbero in questo modo dirottate dal percorso editoriale tradizionale -che l’editoria elettronica potrebbe sostituire con un contenimento rilevante dei costi- all’incremento di finanziamento per lo sviluppo concreto delle ricerche e per il sostegno di nuove generazioni di studiosi. Meno volumi cartacei, in altri termini, e più borse e assegni di ricerca, più laboratori e maggiori disponibilità finanziarie per lo svolgimento dei progetti; ma anche una maggiore possibilità di divulgazione di lavori (tesi di laurea e di dottorato, per esempio) per i quali la pubblicazione cartacea risulta spesso difficilmente sostenibile finanziariamente, ma che non infrequentemente (soprattutto nella tradizione universitaria italiana) presentano aspetti di notevolmente interessanti e talora importanti (per la trascrizione di inediti, per esempio, o per l’illustrazione di fonti poco note) e che non meritano pertanto di essere abbandonati negli armadi polverosi di istituti e dipartimenti, destinandoli all’oblio.
Una collezione digitale di tesi non è un obiettivo impossibile (gli stessi candidati potrebbero essere sollecitati a trasmettere un loro testo elettronico oltre che uno stampato) e richiede solo una definizione di regole, di sistemi di sicurezza, e di tecniche di conservazione e di gestione, a fronte di vantaggi indiscutibili. Anche su questo versante sono già disponibili progetti ed esempi interessanti[16], ma sarebbe certamente importante -e probabilmente è indispensabile- che su questo obiettivo si sviluppassero a livello nazionale programmi solidi e coordinati, sia per l’avvio di una prassi di deposito elettronico di tesi e dissertazioni, sia per il recupero del più antico patrimonio documentario, spesso dimenticato ma talvolta di non trascurabile interesse.

[1] Per un aggiornamento bibliografico sui problemi dell'editoria elettronica scientifica, vedi in particolare Bailey, C.W., Jr., 1996-2000. Un accurato repertorio di risorse è presente nello stesso sito curato da Bailey, < http://info.lib.uh.edu/sepb/sepr.htm >. Vedi anche, tra le numerose riviste che si occupano dell'argomento JEP - The Journal of Electronic Publishing, < http://www.press.umich.edu/jep > e D-Lib Magazine, < http://www.dlib.org/dlib/september00/09contents.html > collegata a D-Lib Forum, < http://www.dlib.org/ >.

[2] Vedi, per esempio, il servizio Books on demand della società Bell & Howell, < http://wwwlib.umi.com/bod >. Vedi anche Universal Publishers, < http://www.upublish.com/upb01a.htm > e DocuNetworks, < http://www.docunetworks.com/ >. Vedi, anche, con riferimento all'esperienza e ai progetti delle edizioni Bibliopolis, Sakoun, 1999.

[3] Per un aggiornamento sui problemi relativi al copyright, vedi il sito dell' European Copyright User Platform, < http://www.eblida.org/ecup/ >. Vedi anche il repertorio di siti curato da AIB. Il mondo delle biblioteche in rete. Copyright, < http://www.aib.it/aib/lis/lpi08.htm > e, ivi, De Robbio e Brancatisano.

[4] Vedi Liscia, 1998 [1 e 2].

[5] Vedi The Legal Deposit of Electronic Publications, 1997; Oppenheim, 1997; Bergamin, 1999. Per un quadro dei progetti in corso, vedi PADI, Preserving Acces to Digital Information, < http://www.nla.gov.au/padi/ >, le iniziative della British Library < http://www.bl.uk/diglib/dlp/overview.html >, e, per l'Italia, il progetto EDEN della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, < http://www.bncf.firenze.sbn.it/progetti/Eden/home.htm >, che ha l'obiettivo di "produrre una sezione apposita della Bibliografia Nazionale Italiana denominata «BNI-Documenti elettronici»". La legge italiana non include ancora le publicazioni on-line nella cornice del deposito legale ( vedi, a questo proposito, < http://www.aib.it/aib/cen/dl3610.htm >); ciononostante un'iniziative recente, promossa dalla Firenze University Press < http://epress.unifi.it/ > e dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, definisce i termini di un accordo per il "deposito legale volontario delle pubblicazioni elettroniche edite dalla Firenze University Press" < http://epress.unifi.it/accordo.htm > e costituisce pertanto un significativo passo avanti rispetto ai termini della legislazione vigente.

[6] Vedi in particolare Basic Columbia Guide of OnLine Style (CGOS), < http://www.columbia.edu/cu/cup/cgos/idx_basic.html > > e H-Net. A brief citation guide for internet sources in history and the humanities, < http://www2.h-net.msu.edu/about/citation >. Per una lista di risorse utili vedi Indispensable Writing Resources. A Complete Collection of Writing Essentials, < http://www.quintcareers.com/writing/writeref.html > e IFLANET, Citation Guides for Electronic Documents, < http://www.ifla.org/I/training/citation/citing.htm >. Vedi inoltre Ridi, 1995.

[7] Alla problema della definizione di standard di accesso all'informazione digitale è rivolta l'attenzione della recente Open Archives Initiative, < http://www.openarchives.org/ >.

[8] Vedi per esempio il sito della InstaBook Corporation, < http://instabook-corporation.com/ >.

[9] Con il termine e-book si fa riferimento ad un particolare formato del documento elettronico che consente la lettura, la scrittura (la possibilità per esempio di inserire appunti e annotazioni) e soprattutto la trasportabilità su dispositivi hardware leggeri e di piccolo formato. L'utilizzazione dei documenti offerti come e-books è possibile mediante software specifici, quali MS Reader (distribuito gratuitamente). Vedi in particolare, su questa tematica, l' Open eBook Forum < http://www.openebook.com/ >, che ha definito le specifiche di codifica per il formato elettronico degli e-books , basate su HTML e XML, < http://www.openebook.com/specification.htm >; la definizione di questo formato come standard per gli e-books è tuttora contesa, in particolare, dal formato PDF della Adobe. Per una valutazione attenta di questa problematica vedi il capitolo "E-Book" ini Calvo, Ciotti, Roncaglia, Zela, 2001. Per un esempio interessante, in ambito italiano, dell'evoluzione delle esperienze relative agli e-books vedi Evolutionbook < http://www.evolutionbook.com/ > . Nello stesso sito è presente un repertorio di indirizzi utili per seguire l'evoluzione degli e-books < http://www.evolutionbook.com/Links/Siti_ebook.htm>.

[10] Vedi Bailey, 1996-2000.

[11] Vedi JSTOR, Journal Storage, < http://www.jstor.org/ >.

[12] Vedi in particolare, sul versante europeo, Ingenta.com. The Global Research Gateway, < http://www.ingenta.com/ >, una delle più importanti iniziative di diffusione elettronica di letteratura periodica.

[13] Vedi Project MUSE, < http://muse.jhu.edu/muse.html >.

[14] Vedi The History E-Book Project, diretto dalla American Council for Learned Societies, < http://www.historyebook.org/ >. Tra le iniziative di edizione elettronica on-line di ricerche storiche recenti, relativamente ad un'ambito specifico di interesse, vedi il progetto LIBRO, The Library of Iberian Resources OnLine, < http://libro.uca.edu/ >.

[15] Vedi Darnton, 1999.

[16] Vedi in particolare il progetto NDLDT, Networked Digital Library of Theses and Dissertations, < http://www.ndltd.org/ >, ricco di informazioni e links utili su tesi e dissertazioni on-line, collegato alla ETD, Electronic Thesis and Dissertation Initiative, < http://etd.vt.edu/ >; dal sito della NDLDT esso è possibile accedere anche ai progetti universitari europei in questo ambito e ad altre iniziative editoriali collegate, quali Academic Dissertation Publishers,< http://www.dissertation.com/ > e Diplomarbeiten Agentur, < http://www.diplomica.com/welcome.html >. Molte istituzioni collegate al progetto NDLDT hanno già aderito alla Open Archives Initiative. Vedi anche il Workshop on an international project of electronic dissemination of thesis and dissertations, (UNESCO, Paris 27- 28 September 1999), < http://firewall.unesco.org/webworld/etd/index.html > Per un quadro relativo alla situazione francese, ed un panormana delle altre iniziative nazionali, vedi Lapeutrec, 1999; per la Gran Bretagna, vedi University Theses On-line Group (UTOG) < http://www.cranfield.ac.uk/cils/library/utog/ >.