Internet e il mestiere di storico.
Riflessioni sulle incertezze di una mutazione

Rolando Minuti

Indice

I.3. Problemi del documento digitale

35. Se la possibilità di accedere per via telematica ai cataloghi elettronici delle biblioteche o agli indici ed inventari degli archivi costituisce un aiuto importante per la ricerca e offre strumenti di grande efficacia per l’organizzazione del lavoro, la pianificazione delle indagini e l’accesso ai materiali desiderati, ancora più suggestive, come si accennava in precedenza, sono le prospettive connesse allo sviluppo delle biblioteche digitali. La possibilità di disporre sulla scrivania e tramite il monitor di un computer di intere collezioni di testi, talvolta rari e di difficile reperimento nelle biblioteche, ha rappresentato, sin dalla prima diffusione del web, uno degli scenari più affascinanti per il mondo della ricerca umanistica e una prospettiva che ha stimolato una molteplicità di iniziative importanti[1].
Le perplessità iniziali di fronte all’idea di un trasferimento globale della memoria depositata sulla carta in memoria digitale si sono andate progressivamente attenuando di fronte allo sviluppo dei progetti e al forte impegno istituzionale -nell’ambito delle singole realtà nazionali o in forme coordinate e consorziate[2]- che in questa direzione si è manifestato. Un impegno che non deriva in prima istanza dalle esigenze proprie del mondo della ricerca, ma che è l’esito di problemi relativi alla preservazione del patrimonio culturale e della convinzione che la tecnologia digitale possa offrire da questo punto di vista migliori opportunità rispetto ai metodi sinora seguiti, in particolare mediante la riproduzione in microfilms e microfiches. Il progressivo deperimento del patrimonio librario conservato nelle biblioteche è un dato allarmante ma purtroppo accertato, riconducibile alle proprietà fisiche del supporto cartaceo ed alle conseguenze determinate nel lungo periodi da fattori quali l’acidità che, in termini crescenti in relazione all’evoluzione delle tecniche di produzione dalla seconda metà del XVIII secolo in avanti, sta determinando il rapido decadimento e la perdita irrimediabile di quantità imponenti di documentazione[3]. La consapevolezza della gravità di questo problema ha sollecitato l’adozione di strategie coordinate di intervento e lo sviluppo di progetti importanti[4] a livello internazionale.
In altri termini, anche se non ritenessimo indispensabile, ai fini dello studio e della ricerca, la possibilità di disporre di riproduzioni digitali dei documenti che ci interessano, resterebbero comunque esigenze fondamentali di preservazione del patrimonio culturale tali da spingere fortemente in questa direzione; e da allontanare progressivamente, come in parte sta già accadendo in molte biblioteche, l’uso e la manipolazione diretta del libro o del documento cartaceo (a stampa o manoscritto) che ci interessa, a favore della consultazione della sua riproduzione, per ora in maggior parte mediante microfilm, ma progressivamente in formato digitale. E’ un mutamento di scenario di cui occorre tener conto, sia perché comporta nuove tecniche di reperimento e di accesso; sia, soprattutto, perché investe problemi metodologici oltre che tecnici che non è possibile considerare con superficialità, ritirandosi nell’angolo della tradizione e della conservazione di pratiche di lavoro che non saranno più riproponibili alle nuove generazioni in termini identici al passato.

36. Il primo, fondamentale problema metodologico che si pone di fronte ad un documento digitale che s’intende utilizzare come fonte per un determinato studio è proprio la sua assenza di fisicità, la sua natura di oggetto virtuale. Senza entrare direttamente nella discussione sulla nozione di virtualità, che affascina teorici della comunicazione e filosofi[5], e limitandoci, come ci siamo ripromessi, al livello empirico del mestiere e della pratica della ricerca storica, un dato emerge con grande immediatezza.
Quando mi trovo di fronte ad un documento cartaceo, a stampa o manoscritto, così come quando mi trovo di fronte ad un monumento, ad una testimonianza materiale di una realtà passata, posso disporre di tecniche e di procedure consolidate da una tradizione filolologica e critica affermatasi a partire dall’Età dell’umanesimo, che mi consentono di contestualizzarlo, di investirlo di storia, di collegarlo ad altri documenti e monumenti egualmente contestualizzati, e di costruire su questa base un discorso storico. La fisicità del documento, la sua inerzialità e stabilità mi consentono di affinare queste tecniche e di convogliarle nel quadro di una procedura scientificamente condotta, anche se qualitativamente diversa rispetto a quanto caratterizza le scienze del mondo fisico, per l’impossibilità evidente e ovvia di riprodurre la realtà passata in termini di esperienza di laboratorio, e per il primato della dimensione argomentativa e discorsiva rispetto al linguaggio formalizzato. La natura specifica del sapere storico; la sua differenza rispetto alle scienze del mondo fisico, verso le quali la tradizione positivista tendeva forzatamente a ricondurlo; il suo stretto legame con la formulazione di problemi che non possono dirsi dati una volta per tutte, ma che mutano insieme al mutare della realtà complessiva nella quale gli uomini vivono -e che producono discorsi storici, narrazioni, concettualizzazioni che progressivamente si trasformano e si rinnovano-, sono elementi caratterizzanti della storiografia e definiscono i caratteri specifici del mestiere di storico e del suo ruolo nella società.
Il ripensamento, la riscrittura, il riesame di problemi che sistematicamente mutano di prospettiva il relazione alle sollecitazioni della contemporaneità, sono pertanto elementi necessari e non marginali, anche rispetto alla scoperta di un nuovo documento -che deve essere collocato su una trama di problemi perché possa produrre nuova storiografia- o al contributo di conoscenza relativo a problemi specifici, che investono direttamente la funzione e la responsabilità dello storico. Ma perché questo procedere del lavoro storiografico mantenga i caratteri propri della verificabilità, dell’eventuale contestabilità ed in ultima analisi della scientificità propria ed originale del sapere storico, occorre che i documenti e le testimonianze che costituiscono la base del suo operare risultino identificabili, stabili e inalterabili, e come tali suscettibili di analisi, di critica e di interpretazione.

37. Un documento, perché possa assumere i caratteri di fonte storica, non deve in altri termini poter mutare, non deve essere soggetto a trasformazioni che non siano documentabili; deve poter essere attribuito ad una persona o ad un’istituzione e soprattutto ad un contesto temporale, ed è su questa base che può divenire materiale utile per un racconto vero; e se questo racconto non può mai aspirare a tradurre in forme verbali la realtà passata, che nella sua integralità e completezza ci rimane inaccessibile, al pari della realtà presente, ciononostante la sua qualità di essere racconto vero e di distinguersi dalla letteratura di fantasia, al di là delle variabili delle interpretazioni e delle concettualizzazioni -caratteri propri e necessari del lavoro storico- si basa fondamentalmente sulla verificabilità dei documenti. Si potrà discutere a lungo sullo stile e sul linguaggio dello storico, e sull’importante questione del rapporto tra narrazione e ricerca storica; ma il riferimento a questa regola di metodo critico, sulla base della quale la nozione stessa di storiografia è andata costituendosi a partire dall’Età dell’umanesimo e dall’incontro fecondo con la cultura classica, non può non rappresentare un punto di orientamento preciso anche in una realtà comunicatica segnata dall’elettronica e dalla telematica[6].
Ora, appunto la natura del documento digitale, quel connotato virtuale proprio di oggetti che perdono la loro fisicità e si traducono in tracce magnetiche costituite, alla radice, da lunghe stringhe di 0 e 1, è quanto pone direttamente problemi ad una loro utilizzazione diretta da parte degli storici.
A differenza dei supporti cartacei o della materialità propria delle testimonianze monumentali, il documento elettronico è, per propria natura, plastico, è soggetto a mutamenti ed alterazioni che possono non lasciare tracce rilevabili. Si può ritenere di poterlo bloccare, di poterlo consolidare ricavandone copie cartacee, ma è una soluzione illusoria in quanto, nella comunicazione telematica, la copia cartacea è elemento subordinato, secondario rispetto alla memoria elettronica, che assume il valore di base documentaria. E, di fronte al primato del documento elettronico sul documento cartaceo, anche gli strumenti tradizionali della filologia e della critica sono sollecitati ad evolversi e a trasformarsi, pur mantenendo fermi alcuni loro fondamentali postulati metodologici. Chi dovrà affrontare problemi di identificazione, di datazione e di contestualizzazione di documenti elettronici, che già possono dirsi parte rilevante della realtà contemporanea, dovrà avvalersi in maniera sempre più forte di strumenti quali l’esame delle tracce lasciate dai protocolli di comunicazione, i frammenti di informazione recuperabili sui web-server e sui mail-server, l’esame dei cookies introdotti su macchine specifiche, per esempio.
L’uso ormai diffuso della posta elettronica, come sostitutivo ambivalente di corrispondenza scritta e comunicazione orale, pone già problemi rilevanti per gli storici contemporanei, di natura radicalmente diversa rispetto a quelli propri delle corrispondenze cartacee, sia dal punto di vista tecnico -dove, come si accennava, il livello della competenza tecnico-informatica assumerà valore crescente rispetto, per esempio, alle tecniche tradizionali di indagine sulla grafia, la natura della carta, le filigrane- sia dal punto di vista giuridico, poiché apre il problema di una riservatezza dei dati che, nonostante forme avanzate di protezione, resta sempre e comunque più debole rispetto al singolo documento manoscritto.

38. L’uso dei computer e della rete a fini di indagine sulle attività criminali nella realtà contemporanea offrono già indicazioni interessanti su come il “paradigma indiziario” proprio della ricerca storica si evolva in funzione dell’uso della telematica, e sulla direzione che potranno assumere in maniera sempre più rilevante le tecniche di ricerca e di analisi del documento elettronico in termini direttamente collegati alla storiografia del mondo contemporaneo.

Un problema strettamente connesso alla natura del documento elettronico investe poi la mediazione meccanica ed elettronica di accesso al documento. Di fronte ad un documento scritto o stampato su carta, ad una tavoletta d’argilla o a un’epigrafe, l’unica mediazione che si pone tra me e la testimonianza deriva dalle mie capacità di analisi critica, dalla mia esperienza di ricerca, dal livello generale delle conoscenze che possono consentirmi di decifrarlo, di contestualizzarlo, di interpretarlo; posso utilizzare a questo fine riproduzioni o edizioni, nelle quali può essere visto un livello di mediazione rispetto all’originale che risulta accreditato e riconosciuto dalla comunità scientifica, ma in ultima istanza il rapporto che vengo stabilire con il documento non è mediato dalla tecnologia ma dalla conoscenza e dall’esperienza.
Un documento elettronico ha caratteristiche sostanzialmente diverse perché, per essere accessibile, deve essere tradotto e restituito in forma visibile da una macchina, senza la quale non è niente. Di fronte ad un documento testuale, elaborato, per esempio, con un word processor di una decina di anni fa, sviluppato per un sistema operativo da tempo estinto e registrato su un dischetto da 5 pollici e 1/4, si incontrano già seri problemi di accesso e di lettura. Possiamo immaginarci la sorte di questo stesso documento, mettiamo, tra 500 o 1000 anni ( senza tener conto della deperibilità fisica del supporto, che è ben lontana dal potersi dire garantita per periodi di tale lunghezza ); posto in questa prospettiva, il nostro documento elettronico si mostra assai più debole e fragile non solo rispetto ai documenti cartacei degli ultimi 500 anni (la stabilità e la resistenza di incunaboli e cinquecentine sono noti), ma anche rispetto alle pergamene, ai papiri o alle solidissime tavolette d’argilla.
Non poniamo limiti alle possibilità degli sviluppi futuri della tecnologia, e alla capacità di elaborare sistemi che siano in grado di decodificare tutti i linguaggi e tutte le tracce informatiche del passato; ma il problema attualmente esiste e non può essere sottovalutato. La possibilità di mantenere in vita, e perfettamente funzionanti, elaboratori di più antica generazione e di concezione ormai superata, in grado di leggere e consentire la riconversione di formati elettronici e linguaggi ormai perduti, abbandonati, sperimentali o marginali, appare, allo stato attuale delle cose, come la via più diretta per affrontare un ordine di problemi di non facile soluzione. Si può obiettare che questo scenario fa parte di una preistoria della tecnologia informatica e telematica che è in via di superamento rapido, con l’evoluzione degli standard e l’affermazione di protocolli e di linguaggi condivisi. Ma, allo stesso tempo, si può anche replicare che dove il problema può essere superato con il passaggio dai personal computer e dai loro software al linguaggio universale della rete, esso si ripropone in relazione alla stabilità e alla sicurezza dei server; le conseguenze di un evento catastrofico (guerre, fenomeni naturali etc.) su un deposito unico di documenti elettronici possono essere più drammatiche rispetto alla distruzione di un’intera biblioteca, poiché in quel caso la parte più rilevante della documentazione (a parte i manoscritti, se non ne sono state fatte riproduzioni) può essere reperita altrove.

39. Come rendere stabile dunque un materiale documentario che per sua natura tende alla variabilità e al movimento? Come rendere affidabile la rete come deposito di documenti utili (di fonti) al lavoro storico, e mettere al sicuro il patrimonio documentario mantenuto su un server e reso accessibile tramite Internet, da alterazioni, manipolazioni, distruzioni accidentali o volute? Qual’è il modo migliore, se esiste un “modo migliore” inteso in senso generale, per convertire il patrimonio documentario cartaceo in formato digitale e renderlo accessibile tramite Internet, o per garantire la permanenza e la stabilità di un documento che è elettronico allo stato nativo e per il quale la versione cartacea costituisce una delle tante forme possibili, e variabili, di riproduzione? Un fronte complesso di problemi si apre, dietro lo scenario affascinante di un intero universo documentario che può comparire sullo schermo del computer attraverso le reti di comunicazione.

Al problema della stabilità e della preservazione del documento elettronico, per il quale si stanno già impegnando energie e sono state avviate iniziative che meritano di essere seguite[7], non credo sia possibile dare risposte in termini puramente tecnici. L’evoluzione della sicurezza dei server, l’adozione di tecniche di mirroring, lo sviluppo degli standard di comunicazione sul web ed il perfezionamento delle tecnologie di accesso alla documentazione tramite crittografia, costituiscono senz’altro un aspetto fondamentale per la proposta di soluzioni al problema. Certamente l’uso sempre più consistente di Internet per i rapporti tra amministrazione pubblica e cittadino e l’introduzione di servizi innovativi che consentono di compiere con la rete operazioni delicate quali l’autocertificazione fiscale, di accedere alla documentazione bancaria, di ottenere certificati e attestati e, in un prossimo futuro, di registrare legalmente transazioni di proprietà tra privati, ha fortemente sollecitato la ricerca di soluzioni tecniche adeguate alla salvaguardia della riservatezza dei dati e alla preservazione della documentazione. Tutto questo ha evidentemente ricadute dirette ed importanti sul problema tecnico della conservazione della memoria digitale, che costituisce la principale preoccupazione degli storici.

Ma ciò che risulta egualmente essenziale per quanto riguarda i depositi di memoria storica digitale è l’adozione di regole accettate a livello internazionale, e l’assunzione di responsabilità da parte di autorità riconosciute che possano assumere funzioni di garanzia del deposito della documentazione e curarne in maniera coerente la salvaguardia, l’intangibilità e la comunicabilità mediante l’adeguamento a nuovi standard.
Per la memoria digitale dovrebbero in altri termini essere adottati criteri uniformi e condivisi a livello internazionale che consentano di poter difendere l’intero patrimonio depositato da ogni possibile alterazione, volontaria o meno, e di accedere ad esso indipendentemente da variazioni di ordine politico nazionale, da conflitti, da catastrofi naturali. Sono dunque quelle caratteristiche di difesa e di protezione che erano proprie delle esigenze militari e strategiche da cui, com’è noto, Internet è derivata[8] che, tradotte in termini di strategia internazionale di salvaguardia del patrimonio culturale digitale, dovrebbero stabilire la condivisione, la stabilità e la permanenza della memoria elettronica dell’umanità indipendentemente dalla perdita di uno o più poli del sistema.

40.Tutto ciò richiede evidentemente un forte impegno dal punto di vista tecnico (in termini di attrezzature, di memorie di massa, di sviluppo di tecnologie informatiche), ma soprattutto un forte impegno e precise volontà politiche a livello internazionale. Una “memoria del mondo”[9] digitale, distribuita nei vari contesti nazionali ed in più punti degli stessi contesti, ed in grado di mantenersi integra indipendentemente dalle alterazioni o dalle catastrofi eventuali di ogni singola unità collegata, è quanto costituisce probabilmente la speranza massima, e forse la via d’uscita definitiva al problema delle incertezze sulla stabilità del documento digitale. E’ una soluzione che è ancora ben lungi dal potersi dire realizzata o anche delineata in termini globali e strategici, e che rimane per ora sullo sfondo delle suggestioni alimentate dallo sviluppo delle reti. Nella realtà, la risposta a quest’ordine di problemi deve far riferimento ad iniziative più settoriali e circoscritte, all’esistenza di organismi consorziati che svolgono funzioni di mirroring o a istituzioni bibliotecarie e archivistiche che intendono lodevolmente assolvere questa nuova funzione, traducendo i compiti tradizionalmente legati alla conservazione e alla tutela del patrimonio documentario cartaceo nei termini propri delle esigenze nuove di salvaguardia e comunicazione del documento digitale.

In una situazione ancora caratterizzata da una forte variabilità e da un marcato squilibrio qualitativo, dalla compresenza di iniziative individuali o volontarie -talvolta eccellenti, talvolta discutibili- e di grandi iniziative sostenute da una consistente base di risorse, la biblioteca digitale presente su Internet è andata comunque crescendo in maniera rilevante nel corso degli ultimi anni[10]. Fino a che punto si può dire, indipendente-mente dalle questioni tecniche relative alla sicurezza e alla permanenza nel tempo dei documenti digitali a cui abbiamo fatto cenno, che essa costituisca uno strumento utile e affidabile per gli storici?
Direi che, se ci limitiamo ai termini della riproduzione fotografica in formato digitale delle pagine di un libro o di un manoscritto, i problemi metodologici e le perplessità si riducono al minimo o svaniscono interamente. La corrispondenza tra riproduzione digitale e documento originale è in questo caso stabilita con chiarezza evidente, al pari di un microfilm; ma con il vantaggio di una riproducibilità pressoché infinita e senza rischio di alterazione nell’immagine, e soprattutto di una comunicabilità in rete che le riproduzioni su pellicola non consentono.
E’ anche la soluzione che più va incontro ad esigenze di ricerca specialistica degli studiosi, consentendo l’osservazione diretta di aspetti -caratteri, segni tipografici, elementi grafici inseriti nel testo- che possono risultare importanti. Resta sempre, peraltro, la soglia dell’esame materiale del documento, della carta con cui è stato prodotto; è un esame che risulta importante per determinati studi sui documenti a stampa -la storia dell’editoria, del rapporto tra produzione cartacea e produzione editoriale, etc.- e che è sempre fondamentale per i manoscritti (in questo caso l’esame materiale non vale solo per la carta, ma anche per altri elementi, quali ad esempio l’inchiostro utilizzato per la scrittura, etc.).

41. Per queste esigenze le risorse dell’informatica a molti non appaiono in grado di dare risposte equivalenti all’esperienza diretta; in realtà esse potrebbero fare anche di più, consentendo un’analisi del materiale in grado di evidenziare filigrana, diversità di spessore e altre caratteristiche, ma a costi assai più rilevanti rispetto alla consultazione diretta dell’originale, non proponibili se non per documenti di eccezionale importanza e non traducibili nelle tecniche correnti di riproduzione digitale per la comunicazione in rete. Si tratta peraltro di esigenze che si pongono ad un livello molto avanzato e specialistico di analisi del documento, e che non possono far venir meno la grande utilità di poter disporre, da ogni terminale collegato alla rete, di riproduzioni fotografiche di documenti originali, consentendone al tempo stesso una loro più efficace salvaguardia dai rischi della manipolazione.
La via della riproduzione fotografica digitale è di fatto seguita da molte iniziative[11], soprattutto perché consente una maggiore rapidità nell’operazione di riproduzione del documento -permettendo quindi di affrontare con ritmo più accelerato il problema della salvaguardia e della conservazione prima richiamato- ed un lavoro molto ridotto rispetto alla traduzione in formato elettronico realizzata mediante l’uso di linguaggi di marcatura. La possibilità di seguire questo percorso è inoltre agevolata, per i documenti testuali, dalla possibilità di utilizzare compressioni grafiche più forti rispetto a quelle consentite da documenti non testuali (cartografia, stampe, fotografie, etc.) per i quali il problema del colore e della definizione, e la necessità di mediare tra chiarezza dell’immagine e velocità di comunicazione in rete, sono certamente più spinosi.
Ma si tratta anche di una soluzione che, rispetto alle possibilità offerte dall’informatica e dalla telematica, comporta importanti sacrifici. Il movimento interno ad un testo riprodotto in formato grafico può risultare, dati i limiti tecnici attuali della comunicazione sul web, molto più penoso rispetto alla consultazione di un documento cartaceo. E’ possibile ovviamente superare l’ostacolo dedicando il tempo, a volte lungo, necessario al downloading del testo dal server su cui è depositato, per poi stamparlo ed ottenere così una copia identica all’originale; e ciò costituisce comunque un vantaggio notevole per lo studio e la ricerca, soprattutto in considerazione di documenti rari o difficilmente accessibili.
La presenza in rete di collezioni di riproduzioni digitali d testi e documenti ad accesso libero è di per sé, anche considerando la semplice riproduzione in formato immagine, uno scenario affascinante per ogni studioso, di fronte ai costosi volumi di reprint attualmente disponibili sul mercato.

42. Ciononostante, come dicevamo, si tratta di uno sfruttamento ancora molto parziale delle risorse rese attualmente disponibili dalla tecnologia informatica. Di fronte ad un testo riprodotto in formato fotografico non sono possibili tutte quelle operazioni di interrogazione, di utilizzazione di sue parti all’interno di word processor, di manipolazione, in una parola, del materiale testuale , che risultano di grande importanza per diversi aspetti e livelli di ricerca.
Per tutto questo è indispensabile una traduzione del documento testuale nei formati e con i sistemi di marcatura adeguati alla comunicazione sul web. Ma a questo punto interviene un passaggio delicato dal punto di vista metodologico, in quanto la corrispondenza esatta con l’originale, garantita dall’immagine fotografica della pagina, si perde, e si deve ricorrere ad un’edizione; essa può essere più o meno raffinata o complessa, può limitarsi alla semplice riproduzione del testo (in ascii puro o in html con un minimo apporto di formattazione), o presentare una ricco apparato di codici di marcatura che consentano di interrogare il documento secondo strategie avanzate, com’è dato in particolare dall’applicazione della sintassi sgml ai documenti sviluppata dalla TEI[12]; ma sempre di edizione si tratta, in quanto comporta il trasferimento di un documento verso un’altra forma di rappresentazione ed in un altro linguaggio, con l’intento, innanzitutto, di perdere il minor quantitativo possibile di informazione propria dell’originale, e in secondo luogo, di consentire più efficaci possibilità di utilizzazione.
Di fronte ad un’edizione, allora, non sono solo gli aspetti tecnico-informatici ma soprattutto le questioni di ordine scientifico e filologico a risultare centrali. Un’edizione elettronica si qualifica in primo luogo, in altri termini, per la corrispondenza all’originale fondata su criteri e metodiche che sono andate definendosi e consolidandosi nella storia della cultura moderna, e che devono essere tradotte nei termini propri della comunicazione telematica. In questo caso non è l’apparato tecnologico o informatico che risulta qualificante e garante della qualità dell’oggetto, ma l’editore (il quale deve necessariamente avere competenze informatiche adeguate) e la sua responsabilità, nella stessa misura che è propria delle edizioni a stampa. Sia che si tratti di un semplice copista o di un informatico-umanista in grado di allestire un apparato di marcatura complesso e tale da soddisfare le esigenze di linguisti, storici della lingua, lessicologi etc., la natura critica e non puramente meccanica dell’edizione elettronica -pur con gradazioni diverse di qualità e di impegno, relative agli obiettivi che ci si propongono- è un elemento che deve essere sottolineato. In particolare, la scelta delle strategie di marcatura “semantica” di un testo destinato alla comunicazione in rete e l’adozione di tecniche efficaci di presentazione delle varianti -insieme ad un apparato informativo o di commento non vincolato ai limiti spaziali propri delle edizioni a stampa, ma molto più libero ed estensibile-, fanno dell’edizione critica elettronica una delle prospettive più interessanti in assoluto nel panorama attuale degli studi umanistici[13].

43. La realizzazione di un’edizione elettronica dipende sostanzialmente dagli obiettivi che ci si propongono nella sua realizzazione, che possono essere molto variabili e diversamente impegnativi; l’affidabilità di un documento elettronico e di una biblioteca digitale non dipende comunque dalla natura specifica di tali obiettivi, ma dalla chiarezza con cui tali obiettivi sono dichiarati, e dal loro rispetto, a partire dalla minore perdita possibile di informazione rispetto al documento originale.
Tra le risorse offerte dalle biblioteche di riproduzioni fotografiche digitali di documenti, di testi presentati in formato html o codificati con altri linguaggi, dire quale sia la più utile ai fini di una ricerca storica dipende inevitabilmente dal tipo di interrogazione e dal problema che si intende affrontare. Non sempre, ad esempio, avrò bisogno di una marcatura TEI per poter utilizzare un documento che mi interessa, e mi sarà sufficiente applicare un motore di ricerca testuale per html per ottenere i risultati che mi servono; talvolta, come nel caso di importanti dizionari, l’utilizzazione di sistemi di marcatura più avanzati o l’organizzazione del materiale documentario in forma di database risulteranno più efficaci[14]; talvolta,soprattutto di fronte a documenti rari, sarò ben grato al curatore di una biblioteca digitale se mi consentirà di avere sulla scrivania, riprodotti in formato fotografico, un testo o un manoscritto che si trovano in luoghi difficilmente accessibili e che non mi sarebbe agevole procurarmi in altro modo; in altri casi infine, la possibilità di avere la versione elettronica del testo ma di mantenere l’integrità dell’impostazione grafica dell’originale, consentita da formati quali PDF, risulterà particolarmente gradita.
In tutti i casi, ferme restando quelle esigenze di affidabilità che dovranno essere inevitabilmente affrontate caso per caso -chiamando in causa non la rete ma i responsabili e gli autori dei singoli progetti-, difficilmente, se mi sarà possibile giungere al documento che mi interessa, potrò dire di aver perso tempo.

Piuttosto rimarrà forte, ancora una volta, l’impressione di un gigantesco lavoro da fare, e di una distanza notevole tra le aspettative che possono essere riposte nella rete e la quantità effettiva dei materiali, qualitativamente significativi, che vi si possono trovare. E’ pur vero che ormai i testi digitalizzati presenti in reti sono diverse decine di migliaia, ma se li confrontiamo con il patrimonio documentario di una biblioteca di medie dimensioni si tratta ancora di poca cosa. Siamo ancora ben lungi, in altri termini, dal poter dire che la rete è in grado di sostituire la biblioteca, anche per settori molto limitati e settoriali di ricerca. Perché ciò possa avvenire un concorso di energie e un impegno organizzativo, finanziario e scientifico risulterà indispensabile; in particolare, l’interesse ancora prevalente per i classici e i grandi nomi delle letterature nazionali dovrà ampliarsi considerevolmente agli autori e alle riviste minori, a tutto quel patrimonio di cultura ed erudizione locale, per esempio, che non potrà non essere cura delle specifiche realtà territoriali tradurre in formato elettronico, come parte importante della propria eredità culturale.
Lo scetticismo e la perplessità di fronte alla rete, quando non si trovano i testi e i documenti che si spera di trovare, non dovrebbero dunque rivolgersi alla sua natura e alle sue possibilità, puntando il dito sul suo inevitabile disordine, sulla sua irrimediabile assenza di qualità e, alla fine, sulla sua sostanziale inutilità come deposito di documenti utili al lavoro dello storic; ma tradursi piuttosto in impegno più preciso e sistematico per riempirla di contenuti e per gestirli in modo responsabile.

[1] Per un aggiornamento sui progetti e le iniziative in corso vedi il repertorio des Bibliothèques Numeriques du site du Ministère de la Culture e de la Communication français, < http://www.culture.gouv.fr/culture/autserv/biblionum.htm >; la lista curata dal Berkeley Digital Library SunSITE, < http://sunsite.berkeley.edu/Collections/othertext.html >; la bibliografia presente in IFLANET. Digital Libraries. Resources and Projects, < http://www.ifla.org/II/diglib.htm >; il repertorio Digital Initiative Database della Association for Research Libraries (ARL) statunitense < http://www.arl.org/did/resources.html >; il repertorio curato dalla University of Texas at Austin, Books on the Internet. Library onLine, < http://www.lib.utexas.edu/Libs/PCL/Etext.html >. Per le iniziative specificamente accademiche vedi Directory of Electronic Text Centers del Center for Electronic Texts in the Humanities (CETH), < http://scc01.rutgers.edu/ceth/infosrv/ectrdir.html >. Un utile repertorio di biblioteche digitali è present al sito del progetto ATHENA, < http://un2sg4.unige.ch/athena/html/booksite.html >. Vedi anche Klemperer, K. and Chapman, S., 1997 e DigitalLibrary.net, < http://www.digitallibrary.net/ >. La rivista Ariadne, < http://www.ariadne.ac.uk/ > , costituisce uno strumento informativo importante anche per seguire gli sviluppi delle biblioteche digitali.

[2] Vedi in particolare, a questo proposito, il progetto Bibliotheca Universalis, < http://www.kb.nl/gabriel/bibliotheca-universalis/index.htm >.

[3] Vedi Gregory e Morelli, 1997; in particolare i contributi di Rütimann, Dalhø, Flieder, ivi.

[4] Vedi il Memory of the World Programme. Preserving Documentary Heritage, < < http://www.unesco.org/webworld/mdm/index_2.html >. Un elenco dei programmi avviati è consultabile al sito < http://thoth.bl.uk/ddc/index.html >.

[5] Vedi Levy, 1995 e 1997.

[6] Vedi Momigliano, 1984.

[7] Per un utile repertorio delle iniziative e dei progetti avviati per la preservazione del patrimonio culturale in relazione alle nuove tecnologie, vedi la pagina Conservation - restauration su site du Ministère de la Culture e de la Communication, < http://www.culture.gouv.fr/culture/autserv/conservation.htm >. Vedi anche Preserving Digital Information. Report of the Task Force on Archiving of Digital Information in < http://www.rlg.org/ArchTF/tfadi.index.htm >.

[8] Un repertorio di risorse per la storia di internet è accessibile presso il sito della Internet Society < http://www.isoc.org/internet/history/ >. Vedi anche, nella ormai vastissima letteratura sull'argomento, gli aggiornamenti dello Hobbes' Internet Timeline, < http://info.isoc.org/guest/zakon/Internet/History/HIT.html >.

[9] Memory of the World è il titolo di un programma organico di intervento promosso dall'UNESCO; vedi qui n.4.

[10] Per una repertoriazione delle iniziative è indispensabile far riferimento a guide e liste quali qulle citate sopra, n.56. Tra i grandi progetti curati da istituzioni bibliotecarie, possono comunque essere segnalati la Digital Libraries Initiative (DLI) statunitense, < http://dli.grainger.uiuc.edu/national.htm > a cui è collegata la rivista D-Lib Magazine, < http://www.dlib.org/ >, il progetto britannico eLib, < http://www.ukoln.ac.uk/services/elib >, ed il progetto Gallica della Bibliothèque Nationale de France, < http://gallica.bnf.fr/ >. Tra gli altri progetti, sorti in ambito accademico, meritano particolare attenzione l' Oxford Text Archive (OTA), < http://ota.ahds.ac.uk/ >; il Center for Electronic Texts in the Humanities (CETH), < http://www.ceth.rutgers.edu/ >; Frantext, < http://zeus.inalf.cnrs.fr/frantext.htm >, a cui è collegato il Project for American and French Research on the Treasury of French Language (ARTFL), < http://humanities.uchicago.edu/ARTFL/ARTFL.html > ; il Women Writers Project, < http://www.wwp.brown.edu/ >; l'italiano CIBIT (Centro Interuniversitario per la Biblioteca Italiana Telematica), < http://cibit.humnet.unipi.it/ >. Ma l'ambito delle biblioteche digitali comprende anche progetti non direttamente legati a istituzioni universitarie, quali il progetto Gutenberg, < http://www.gutenberg.net/ >, l' ABU (Association des Bibliophiles Universels), < http://cedric.cnam.fr/abu/ >, LiberLiber < http://www.liberliber.it/ >, che documentano la serietà e l'utilità di iniziative legate al principio del volontariato.

[11] La più importante raccolta di testi digitalizzati in formato immagine è certamente quella messa a disposizione sul server Gallica della Bibliothèque Nationale de France, < http://gallica.bnf.fr/ >. Vedi anche l'importante collezione digitale i documenti relativi alla storia canadese realizzata dal progetto ECO (Early Canadiana On-line), < http://www.canadiana.org/ >. Un progetto interessante, anche se non completato, è la Internet Library of Early Journals (ILEJ), archivio elettronico in formato immagine di giornali inglesi del XVII e XVIII sec., < http://www.bodley.ox.ac.uk/ilej/ >.

[12] TEI è l'acronimo di Text Encoding Initiative, un progetto volto allo sviluppo di un'applicazione (o DTD, Document Type Definition ) della sintassi SGML sviluppata specificamente per l'edizione di documenti letterari; vedi < http://www.uic.edu/orgs/tei/ >.

[13] Un punto di riferimento importante per seguire l'evoluzione delle discussioni sui progetti e sui problemi che riguardano l'edizione elettronica di testi e documenti è la conferenza annuale Digital Resources for the Humanities (DRH), < http://www.drh.org.uk/ >.

[14] Vedi per esempio l'edizione elettronica on-line dell' Encyclopédie di Diderot e d'Alembert, curata da M.Olsen nell'ambito del Project for American and French Research on the Treasury of the French Language (ARTFL), < http://www.lib.uchicago.edu/efts/ARTFL/projects/encyc/ >. Vedi, nel quadro dello stesso progetto, Dictionnaires d'autrefois. French Dictionaries of the 16th, 17th, 18th et 19th centuries, (tra questi, il Dictionnaire historique et critique de Pierre Bayle), < http://www.lib.uchicago.edu/efts/ARTFL/projects/dicos/ >.