Internet e il mestiere di storico.
Riflessioni sulle incertezze di una mutazione

Rolando Minuti

Indice

Premessa

1. La diffusione dell’uso della rete nell’ambito generale degli studi umanistici, e degli studi storici in particolare, costituisce ormai un fenomeno evidente: se pure ancora segnato da profonde differenze e diversi ritmi di sviluppo propri dei diversi contesti nazionali e culturali, rappresenta una realtà che non può essere più valutata come marginale, che investe sempre più direttamente il quadro di riferimento generale della produzione storiografica e della sua ricezione, e che -in quanto strettamente legato ad un’evoluzione tecnologica in rapida evoluzione- è sicuramente destinata ad espandersi.
Se le applicazioni del computer alla ricerca storica costituivano fino ad alcuni anni fa un campo privilegiato di attenzione per ambiti particolari e chiaramente identificabili della ricerca umanistica -dal versante delle applicazioni quantitative alla ricerca storica a quello dell’analisi letteraria e linguistica, per le quali la storia dell’interazione con la tecnologia informatica è più antica-, è a partire dai primi anni ‘90, con la dilatazione di Internet conseguente all’affermazione del web, che l’utilizzazione di tecniche e pratiche di consultazione e di ricerca legate all’uso dei computer e della rete ha assunto connotati fortemente pervasivi, che toccano pressoché ogni aspetto e ogni settore della ricerca storica.
È in altri termini la trasformazione sostanziale delle strategie e delle tecniche comunicative -che deriva dalla natura della rete, sia per l’accesso alla documentazione utile per la ricerca, sia per la comunicazione dei risultati della ricerca stessa, sia, infine, dal punto di vista dello scambio diretto di esperienze e di problemi nell’ambito di una comunità di studiosi, che tende ad assumere caratteri e confini diversi rispetto alla tradizione accademica- ad aver aperto sostanzialmente un nuovo scenario.
La moltiplicazione delle “risorse di rete” per gli studi storici di ogni tipo e livello, la cui rapidità ed il cui disordine è direttamente conseguente alla facilità con cui si può giungere alla pubblicazione in rete, e che già determina seri problemi di orientamento e di organizzazione, ne è forse la testimonianza più evidente. Ma l’affermazione di questo nuovo scenario, accolto da più parti, sin da subito, come l’inizio di una sostanziale rivoluzione rispetto ad una tradizione plurisecolare legata alla cultura del libro, porta con sé una complessità di interrogativi sui processi di trasformazione che la rete implica dal punto di vista delle forme consolidate del mestiere storico, a livello di contenuti, di pratiche e di linguaggi, che meritano di essere evidenziati per cercare di trovare linee di risposta convincenti -evitando i rischi opposti di un entusiasmo tecnologico acritico e di uno scetticismo radicale- ad un ordine di problemi che sta assumendo una rilevanza particolarmente forte.

2. È con l’intento di presentare indicazioni utili ad una maggiore chiarezza su quest’ordine di problemi che è stato realizzato questo lavoro, senza l’ambizione di arrivare a risposte definitive ma con il desiderio di contribuire ad una proposizione corretta dei problemi.
L’autore di queste riflessioni non è un informatico, ma uno storico che si considera molto tradizionale, che abitualmente si muove in quel territorio per molti aspetti di confine tra discipline differenti dato dalla storia delle idee e della cultura, e che ha condotto -e continua a condurre- il proprio lavoro e le proprie ricerche mediante l’analisi ed il commento di testi secondo tecniche e procedure consolidate dalla tradizione filologica e critica. Non appartiene alla più giovane generazione di storici che sono cresciuti con il computer e per i quali l’uso della rete ha costituito sin dall’inizio uno strumento familiare; appartiene piuttosto alla generazione delle schede cartacee e della macchina da scrivere; ha successivamente scoperto, come la maggior parte dei colleghi della sua generazione, l’importanza e l’efficacia del computer come macchina da scrivere e archivio intelligente; ed ha infine sperimentato l’uso della rete come strumento di comunicazione e di accesso a informazioni utili alla ricerca, maturando la convinzione che questo passaggio costituiva l’avvio di una trasformazione rilevante, e ricca di implicazioni, nelle forme consolidate del proprio mestiere.
La ragione di queste riflessioni non deriva dunque da problemi connessi ad un tipo specifico di ricerca per la quale le applicazioni informatiche abbiano avuto una incidenza diretta[1] -ciò che può essere più evidente, ad esempio, nel caso delle ricerche di storia sociale, economica o demografica, o di analisi di tipo linguistico, per le quali le valenze e la rilevanza del trattamento quantitativo dei dati risultano più significative ed evidenti- ma da un ordine più generale di considerazioni che hanno portato chi scrive -al pari di molti altri colleghi in questa fase delicata di problemi che investono globalmente il mestiere di storico- ad interrogarsi sulle implicazioni, le potenzialità e le conseguenze di un’integrazione tra reti e mestiere di storico.

Ma, se le considerazioni che seguono non sono il risultato di una pratica di ricerca su un campo specificamente legato all’uso del computer, esse sono comunque il risultato di un’esperienza. Gli interrogativi ai quali si cercherà di dare qualche risposta, frammentaria, provvisoria, nelle pagine che seguono, si sono infatti presentati sin dalle prime manifestazioni della rilevanza del web, e hanno dato vita a un esperimento, che è tuttora in corso.
L’ipotesi di lavoro, assolutamente e volutamente empirica, era che per capire concretamente se e come la rete avrebbe influito sulle forme della ricerca e della comunicazione anche in ambito storico e umanistico, occorreva sperimentare direttamente, provare a costruire oggetti, concretizzare subito ciò che rischiava di essere irretito sin dall’inizio nelle maglie del dibattito sociologico o filosofico sulla comunicazione globale, i nuovi media, l’impatto di Internet sulla società e la cultura della fine del primo millennio. Un dibattito che è immediatamente sorto, e la cui crescita è divenuta ormai incontrollabile; ma che, nonostante i materiali complessi e importanti di riflessione che comporta, non ci sembrava in grado di rispondere in modo diretto ad alcune elementari domande: a cosa può concretamente servire la rete per lo storico attuale? può la rete cambiare, e in che termini, i caratteri tradizionalmente definiti e consolidati del suo mestiere? a quali problemi nuovi lo espone?
Se era vero, come siamo tuttora convinti, che si trattava dell’avvio di un processo di profonda trasformazione destinato ad investire anche i quadri di riferimento degli studi umanistici -e storici in particolare- con effetti ed implicazioni probabilmente più dirompenti rispetto alla rivoluzione tipografica, bisognava innanzitutto ed immediatamente cercare di verificare, cioè usare la rete per produrre oggetti utili alla ricerca e valutarne l’impatto.

3. Da qui nacque, nel lontano 1995, l’idea di una rivista storica esclusivamente elettronica, con una piccola biblioteca di testi ad essa collegata[2]. Un esperimento, coltivato a margine delle normali esperienze di lavoro, da tre amici e colleghi, due storici e un filosofo della scienza; sviluppato autonomamente rispetto alle attività di centri di elaborazione informatica, che erano già presenti e consolidati; con la curiosità ed il piacere di verificare artigianalmente se e come le premesse che erano individuabili dall’affermazione del web potessero tradursi direttamente e rapidamente in realtà concrete[3].
Ed il progetto, maturato nel corso di lunghe discussioni serali, fu l’avvio di riflessioni e considerazioni che si sono sviluppate nel corso degli anni seguenti, e che costituiscono il nucleo di esperienza che sta alla base delle pagine che seguono. Da un lato, infatti, siamo stati in grado di sperimentare la facilità e la rapidità con cui i problemi vecchi e nuovi propri delle pubblicazioni scientifiche periodiche potevano risolversi. Dalla relativa facilità con cui era possibile acquisire le tecniche di costruzione dei documenti per la comunicazione sul web (in un’epoca, peraltro, in cui non erano ancora disponibili gli automatismi che hanno ormai reso la pubblicazione in rete un’operazione quasi banale); all’adesione immediata e incuriosita di personalità rilevanti appartenenti agli ambiti disciplinari investiti dai temi della rivista -che entrarono subito nel comitato scientifico indipendentemente dal loro grado diversissimo di competenze informatiche-; alla riduzione sostanziale dei costi rispetto alla produzione tipografica che costituiscono un dato rilevante e sempre più pesante per la pubblicazione scientifica; alla partecipazione volontaria ed entusiasta (talvolta imbarazzante, per la mancanza di risorse e di sostegni finanziari finalizzati all’iniziativa) di giovani allievi, studenti, dottorandi, tecnici informatici e grafici, che costituiscono tuttora la spina dorsale di questo esperimento in corso, tutto sembrava dimostrare che le premesse di un nuovo scenario della comunicazione anche in ambito umanistico potevano tradursi subito, e senza particolari difficoltà, in realtà.

Ma dall’altro lato, parallelamente a tutto questo, sono subito emersi anche problemi nuovi: dal riconoscimento accademico dell’equivalenza tra una pubblicazione elettronica e una pubblicazione cartacea; al deposito legale delle pubblicazioni; alla diversa natura della scrittura di un testo destinato alla rete rispetto alla stabilità e alla conservazione dei documenti elettronici; alle potenzialità delle estensioni multimediali e alle implicazioni dei link esterni (che potenzialmente mettevano in crisi l’unità di un oggetto legata al proprio autore); alle citazioni e all’indicizzazione bibliografica dei documenti, che sono stati e sono tuttora oggetto di discussioni e di riflessioni.
La convinzione, formatasi sin dall’inizio, che il nostro esperimento -concepito come laboratorio per comprendere con più precisione la natura di un fenomeno- sarebbe stato presto superato da altre iniziative -più robuste e più ambiziose negli intenti, nell’apparato tecnico e nelle risorse disponibili-, avviando un corso di pubblicazioni periodiche integralmente elettroniche tendenzialmente sostitutivo delle riviste cartacee, non si è in effetti avverata. Ancora restiamo, nel nostro ambito nazionale, una delle rare esperienze; ed anche in ambito internazionale l’affermazione risoluta dell’uso della rete per la comunicazione scientifica in ambito umanistico -nonostante il grande sviluppo delle risorse, tra cui anche i periodici elettronici- non si può dire sia ancora avvenuta in termini netti. Anche per spiegare le ragioni di questo dato le riflessioni che seguono, frutto in massima parte di questa esperienza, intendono offrire qualche elemento utile ad elaborare possibili risposte e soluzioni.

4. All’esperienza legata al progetto di rivista elettronica si è poi unito, nel corso degli ultimi anni, un nuovo e diverso fronte di esperienze. Seminari, workshop, corsi di perfezionamento sulle nuove tecnologie applicate agli studi umanistici, attivati in ambito universitario -soprattutto presso il Dipartimento di studi storici e geografici dell’Università di Firenze-[4], hanno ampliato considerevolmente il quadro delle esperienze e dei confronti su problemi concreti molto più utile, spesso, delle elaborazione puramente teoriche o metodologiche, e hanno determinato maggiore chiarezza nell’individuazione dei problemi, oltre alla possibilità di sviluppare nuovi livelli di riflessione.
Un primo dato è apparso a tutti, promotori e partecipanti, particolarmente significativo. Intorno ai temi di volta in volta proposti alla discussione, nella cornice definita dal problema dell’uso della rete per la ricerca storica, si è andata costituendo una comunità di interessi e di interlocutori sostanzialmente nuova. Intorno ai problemi relativi al reperimento delle risorse in rete, alla loro natura, alla loro classificazione, alla loro conservazione, si è stabilità una circolarità di scambio tra bibliotecari, archivisti, storici di diversa formazione e di diverso ambito di competenza, letterati, linguisti, filosofi, che in precedenza probabilmente non avevano avuto occasioni di ritrovarsi e di confrontarsi con la stessa immediatezza, separati da barriere disciplinari e professionali spesso intese in maniera troppo rigida. Una comunità di confine, dove la centralità del problema del “documento in rete” ha costituito il comune denominatore di una discussione volta alla risoluzione di problemi da tutti riconosciuti come comuni, e dove l’importanza del problema -centrale per uno storico- dell’identificazione e della natura di una fonte, assumeva la funzione d’elemento di raccordo di una molteplicità di contributi.

Le riflessioni presenti nelle pagine di questo lavoro sono anche il risultato di quell’esperienza, che si integra con i dibattiti attivati nei gruppi di discussione sorti e sviluppatisi in rete, dove il connotato dell’interdisciplinarietà costituisce un tratto distintivo, e dove attorno al nuovo linguaggio della rete tendono ad aggregarsi e ad articolarsi forme di appartenenza e di riconoscimento sostanzialmente diverse rispetto a quelle definite dalla tradizione accademica.
Anche questo costituisce un versante di problemi -che investe l’organizzazione delle strutture di ricerca e, in maniera particolarmente rilevante, della didattica- sui quali è opportuno cercare di offrire qualche contributo utile alla chiarezza dei termini di una discussione che dovrà essere approfondita e che si protrarrà certamente nei prossimi anni. L’inadeguatezza degli attuali percorsi formativi in ambito umanistico -e storico in particolare- di fronte alle nuove tecnologie e all’uso della rete costituisce infatti un dato evidente, non solo tipico del contesto italiano dove peraltro i ritardi e le difficoltà sono forse maggiori che altrove. Perché i problemi, anche per questo aspetto, vengano affrontati e risolti in maniera corretta, e perché non si cada nella tentazione di vedere le soluzioni unicamente nell’adeguamento delle infrastrutture -che pure hanno un peso estremamente rilevante-, occorre una riflessione approfondita sui contenuti, sui metodi, sulle tecniche dell’insegnamento e della ricerca, che ci pare soltanto avviata.

5. Se quest’ordine di considerazioni, risultato di esperienze dirette, ha contribuito in maniera decisiva a mantenere alto il livello di attenzione sul problema del rapporto tra reti e storiografia, nella convinzione che tale rapporto costituirà un elemento importante nella formazione di una nuova generazione di storici e di ricercatori, al tempo stesso è stata fonte di un crescente disagio la constatazione che, intorno a tutto ciò, una forma di separazione andava consolidandosi.
Lo scetticismo, prima nei confronti dei computer e poi della rete, è stato un dato caratteristico dell’evoluzione delle tecnologie informatiche sin dalla loro prima penetrazione nei territori della ricerca umanistica, costituendo da questo punto di vista un versante della più generale critica dell’impatto delle nuove tecnologie informatiche sulla società contemporanea che rappresenta tuttora uno dei temi ricorrenti di una letteratura critica e di una pubblicistica diffusa. Parallelamente è andata immediatamente definendosi una schiera di entusiasti che nella rete ha visto la crisi radicale della vecchia cultura, l’emergere ed il trionfo di forme nuove di identità e di autorità -legate in vario modo al concetto di ipertestualità-, la crisi di tutti i postulati intorno ai quali era andata configurandosi, fino all’avvento della rete, la nozione stessa di cultura; orientamento che ha avuto espressione particolarmente incisiva nelle discussioni sulla morte del libro e sulla fine dell’universo cartaceo come contesto regolativo della comunicazione culturale.

Certamente lo sviluppo forte delle iniziative e delle applicazioni in rete, anche nell’ambito della ricerca umanistica, ha contribuito ad allentare i termini puramente teorici o astratti del dibattito e ad orientare l’attenzione sulla risoluzione di problemi concreti; la contestazione radicale di fronte all’ingresso dei computer nelle sale di consultazione riservata delle biblioteche o all’adeguamento tecnologico di istituti e dipartimenti, fa ormai parte di una passato che ci appare lontanissimo.
Ciononostante le antiche ragioni di perplessità non sono affatto venute meno, anche se meno esplicitamente esposte, forse per un maggiore imbarazzo a manifestarsi di fronte ad un trend delle nuove tecnologie che ha assunto decisamente negli ultimi anni i connotati del “politicamente corretto”. Perplessità sui contenuti, sull’oggetto stesso della rete come strumento autenticamente utile alla ricerca storica, perplessità sulla labilità dell’informazione e della documentazione affidata alla rete, interrogativi sull’eccessiva rapidità della pubblicazione consentita dalla rete, rispetto alla serietà e alle lentezze della ricerca (che dovrebbero essere tanto maggiori quanto più cresce la letteratura critica) e sullo smarrimento della nozione di ricerca di fronte alla dilatazione della scrittura, continuano ad essere vivi, non solo per la generazione meno giovane di studiosi.

6. Interrogativi seri, che se si traducono spesso in una sorta di tolleranza verso un mondo ed un corso delle cose ormai impossibile a governare o indirizzare, parallelamente tendono fortemente a conservare, a distinguere e salvaguardare, i caratteri tradizionali della ricerca ed i suoi esiti, inclusa la pubblicazione cartacea. In altri termini è come se, esplicitamente o meno, si tendesse a stabilire come condizione di partenza indiscutibile il fatto che, se il rapporto tra storiografia e reti rappresenta un aspetto delle contemporaneità che non è possibile ignorare o marginalizzare, tutto ciò costituisce pur sempre un settore, un versante, che può anche essere affidato a competenti o appassionati, in genere giovani ambiziosi di trovarsi nuovi spazi all’interno del contesto accademico tradizionale, ma che la ricerca e l’insegnamento della storia veri si fanno altrove, con altri mezzi e con le tecniche collaudate.
E, d’altra parte, che la ricerca storica continui a seguire in massima parte le pratiche e le ritualità della tradizione può essere dimostrato dal fatto che nei riferimenti bibliografici dei libri di storia importanti attualmente prodotti, il riferimento alle “risorse di rete” è ancora limitatissimo, se non del tutto assente; e parallelamente va crescendo e articolandosi una circolarità interna della discussione in rete da parte di chi usa la rete, e soprattutto sui temi legati all’uso della rete, che tende a confermare l’emergenza ed il consolidarsi di una nuova specie di sotto-disciplina nel quadro tradizionale.

Ebbene, se l’esito di questo processo dovesse essere la codificazione di mondi separati all’interno della comunità che globalmente si riconosce nei metodi e negli obiettivi della ricerca storica, di entità diverse e sospettose della propria autonomia, e parallelamente convinte del proprio primato, credo che avremmo perso una grande occasione di riflessione e di crescita; e soprattutto non saremmo riusciti a tradurre le potenzialità concrete della rete in un contesto diverso, e qualitativamente migliore, per lo studio, la ricerca e la comunicazione storiografica.
Forse proprio l’appartenenza, da parte di chi scrive, ad una generazione più anziana rispetto alla generazione emergente di cyber-storici, lo mette nella condizione di comprendere meglio -e non di liquidare come residuato generazionale destinato più o meno rapidamente al superamento- le ragioni e la serietà di certe obiezioni, e di formulare su queste alcune considerazioni che possono risultare utili alla costituzione di un terreno di dialogo comune e più produttivo di risultati.
È nell’intento principale di tradurre lo scetticismo ancora diffuso in un nuovo livello di consapevolezza critica, utile parallelamente a temperare l’impazienza rivoluzionaria -e talora la superficialità- di molti cavalieri delle nuove tecnologie, che ci si è decisi a svolgere queste riflessioni.

7. Il problema delicato infatti -se riconosciamo il fatto che la rete non costituisce un’appendice tecnologica capace solo di incidere su alcuni aspetti di un mestiere codificato e stabile, ma che al contrario determina un nuovo contesto e nuove forme dell’accesso all’informazione, della ricerca e dell’insegnamento- è di far sì che il risultato dell’incontro fra le tradizioni disciplinari, i problemi di metodo e di legittimazione scientifica dell’attività dello storico e le nuove tecnologie della comunicazione in rete, si traduca in uno scenario di normalità in cui possano ritrovarsi complessivamente la tradizione e l’innovazione.
Ed è evidente che perché cio avvenga, e si prenda piena coscienza di un processo di mutazione che non deve essere necessariamente una frattura col passato -complemento inevitabile della “fine della storia” e della crisi dell’identità di storia e di mestiere di storico nell’età contemporanea- è necessario liberarsi dalla sindrome dell’adeguamento, che tende a spostare l’intero asse del problema sul versante dell’adattamento tecnologico, ed assumere una chiara responsabilità critica e una funzione di guida culturale rispetto alle nuove tecnologie.

Lo smarrimento di un’identità chiara e condivisa -rispetto al moltiplicarsi delle risorse della rete, alla dilatazione di un mare informativo eterogeneo e indistinto, ad orientamenti che esaltano, confortati proprio dalla realtà di Internet, la natura puramente discorsiva, rappresentativa ed effimera della conoscenza storica- rischia altrimenti di costituire un esito reale. Ma tutto ciò non sarà causato dalla natura di Internet e dalla forza incontrollabile della tecnologia, ma dalla scarsa responsabilità di coloro, storici compresi, che semplicemente ne accettano la presenza come fenomeno da tollerare, ignorandone o fingendo di ignorarne la ricaduta fortissima sul piano della cultura e dell’identità civile collettiva, per continuare a coltivare forme tranquillizzanti, accademiche, e sostanzialmente aristocratiche di sapere.
Non ci pare che questo processo di costituzione di una nuova normalità dell’operare dello storico in un contesto regolato dalla rete sia ancora avviato in maniera chiara. Forse l’osservatorio da cui ci muoviamo, quello italiano, presenta maggiori elementi di ritardo, dal punto di vista infrastrutturale, rispetto ad altri contesti; ma, se ciò è vero, è ragione di un ulteriore elemento di riflessione.

Se lo sviluppo della rete, in quanto legato al possesso di tecnologie e di risorse, è in grado di produrre nuove forme di primato culturale che hanno conseguenze dirette sulla conservazione, l’utilizzazione e la diffusione della memoria storica, questo può risultare profondamente contraddittorio rispetto alle valenze egualitarie, alla riduzione delle barriere di accesso all’informazione, all’annullamento delle gerarchie tra centri e periferie culturali, che la rete propone. Oggi forse solo il versante statunitense offre possibilità concrete di “fare storia” (anche se per lo più ad un livello divulgativo) utilizzando in maniera rilevante, per non dire esclusivamente, risorse di rete[5]; mentre, sul versante opposto, aree enormi della società mondiale sono ancora escluse dall’ “accesso”[6]. È possibile ritenere, ed è auspicabile, che questo squilibrio vada progressivamente attenuandosi; ma è anche legittimo temere il contrario, e vedere l’approfondirsi di primati culturali nella rete, coerenti con primati e gerarchie di potere politico ed economico. Sono problemi che vanno molto oltre l’ambito specifico del rapporto tra storiografia e reti; ma, poiché investono direttamente il problema della gestione e dell’uso della memoria storica, toccano in maniera molto diretta il mestiere di storico e la sua responsabilità.

8. Poiché queste riflessioni hanno inteso affrontare tematiche molto generali che riguardano il rapporto tra storiografia e reti, e poiché il loro intento prioritario è, come si diceva, quello di avvicinare sponde che tendono ad allontanarsi in modo preoccupante, e ad attribuire al problema della rete un’importanza complessiva ed un rilievo di contesto globale nel mestiere di storico, abbiamo volutamente evitato i tecnicismi e la selva irritante delle sigle e degli acronimi (che continua a dare della rete -soprattutto ai non-entusiasti, che in ambito umanistico sono ancora una parte maggioritaria- l’immagine di uno spazio iniziatico ed esoterico).
Abbiamo inoltre evitato le lunghe elencazioni o la repertoriazione delle “risorse utili”, limitandoci a pochi riferimenti, in nota e in bibliografia, che non hanno alcuna pretesa né di esaurire l’ambito della letteratura utile né di selezionare quella oggettivamente più importante, ma solo di segnalare alcuni termini del percorso di riflessione che chi scrive ha seguito. Di “guide alle risorse utili” per gli storici -o di metarisorse che dir si voglia- sempre più voluminose e sempre più in difficoltà di fronte al compito di censire un volume informativo che si fa ogni giorno più ricco, e che risulta spesso drammaticamente instabile, vi è ormai ampia disponibilità (in rete e su carta); basta accedere ad uno dei portali dedicati alle risorse di rete per la storia, e si è immessi in un circuito di liste di risorse, di elenchi più o meno ragionati, di repertori che rinviano ad altri repertori[7].
L’abbondanza e la crescita quantitativa di repertori, di indirizzi e di guide alle risorse sono piuttosto rivelatori di un altro problema, su cui varrà la pena di spendere qualche parola nelle pagine che seguono, ossia la difficoltà crescente di arrivare efficacemente a risposte precise, sensate e non fuorvianti rispetto ai problemi che ci poniamo; e soprattutto -ciò che è ancora più difficile perché legato a variabili individuali non facilmente traducibili anche dalle tecnologie più sofisticate della ricerca- di individuare e di selezionare la qualità della “risorsa” cercata. Ciò che la rete sembra offrire immediatamente (rapidità e facilità di accesso a ciò che si vuole) si rivela assai meno corrispondente alla realtà di quanto, sulla spinta di un senso comune acritico favorito dai mass media, si possa ritenere; ed anche questo è fonte di frustrazioni e di scetticismo.

I colleghi e gli amici che dividono con me l’avventura dell’incontro con le nuove tecnologie della comunicazione in rete spero perdoneranno il tono volutamente discorsivo e intenzionalmente tendente ad evitare l’approfondimento su aspetti specifici o tecnici di una realtà che offre ogni nuovo giorno motivi di nuove considerazioni, di riflessione su nuove possibilità e nuovi scenari potenziali; queste pagine non hanno lo scopo né di aggiornarli né di guidarli, ma mirano piuttosto ad essere lette da chi -studiosi anziani o meno, e giovani che si avviano alla pratica della ricerca- segue con minore assiduità e pazienza tale evoluzione e da essa ricava soprattutto impressioni di disorientamento e di incertezza.

Più in generale, si è inteso illustrare e chiarire i termini entro i quali sia possibile, con i molti problemi che si cercherà di mettere in luce, la ricomposizione di una nuova comunità di storici nel contesto regolato dalla rete, e nel riconoscimento dell’identità forte e condivisa di una metodologia fondata sul rapporto critico con le fonti al fine della costruzione di discorsi veri; e come questa possibilità -risultato, come si diceva, di una mutazione più che di una rivoluzione- costituisca un obiettivo che tutti coloro che operano nell’ambito della ricerca e dell’insegnamento della storia dovrebbero responsabilmente ed attivamente perseguire.

[1] Il problema del rapporto tra computer e storia è oggetto da anni di analisi articolate, legate anche ad iniziative di studio e di coordinamento internazionali quali l’ Association for History and Computing (AHC) e le sue varie ramificazioni nazionali. Il sito web dell’AHC < http://grid.let.rug.nl/ahc/ > e la rivista ufficiale dell’associazione, il Journal of the Association for History and Computing < http://mcel.pacificu.edu/JAHC/JAHCindex.HTM > costituiscono due punti di riferimento di particolare importanza per quest’ordine di problemi. Per altri riferimenti vedi la bibliografia del presente volume.

[2] Vedi Abbattista, G., Minuti, R., 1998, con riferimento a Cromohs (Cyber Review of Modern Historiography),< http://www.cromohs.unifi.it >.

[3] Agli amici Guido Abbattista e Alberto Mura, che hanno condiviso con chi scrive questa esperienza, desidero dedicare queste pagine.

[4] Vedi le iniziative coordinate da A.Zorzi e da chi scrive, al sito <http://www.storia.unifi.it/_storinforma>.

[5] Vedi, tra gli esempi più rilevanti da questo punto di vista, il progetto MOA (Making of America), volto alla digitalizzazione di fonti primarie per la storia americana e gestito da un consorzio di istituzioni bibliotecarie e universitarie statunitensi, < http://www.umdl.umich.edu/moa/ >. Vedi anche il progetto NINCH (National Initiative for a Networked Cultural Heritage), < http://www-ninch.cni.org/ >.

[6]Per un quadro generale dei problemi dell’ accesso nella realtà contemporanea, vedi Rifkin, 2000.

[7] Per le guide cartaceee vedi soprattutto Trinkle et Merriman, 2000. Tra i numerosi metasiti, vedi in particolare la guida della AHC, History Links: WWW pages for Historians < http://grid.let.rug.nl/ahc/histlink/welcome.html >, The Horus History Links < http://www.ucr.edu/h-gig/ > e WWW-VL History < http://www.ukans.edu/history/VL >.