Ricerca storica e telematica in Italia. Un bilancio provvisorio

Guido Abbattista (*)

Introduzione

1. Da qualche tempo anche gli studiosi di discipline umanistiche meno affascinati dalle novità tecnologiche hanno dovuto in certa misura ammettere l'esistenza del problema se e in che grado la telematica (1) possa rappresentare per il lavoro di ricerca (e di didattica) uno strumento veramente utile o addirittura irrinunciabile e quali ne siano il significato e le possibilità applicative. Tuttavia, non meno per la telematica che, in precedenza, per l’informatica applicata in generale, non è del tutto chiaro se, nell’ambito della storiografia italiana, si possa parlare dell’emergere di un vero e proprio dibattito capace di investire – come è certamente avvenuto negli Stati Uniti e in ambito britannico – l’insieme della professione storica ai suoi massimi livelli istituzionali. Forse ancora confinato in sedi non di primaria importanza e largamente disertato in una corporazione dove il conservatorismo non è sempre indice di fiducia nelle tradizioni intellettuali, si tratta comunque di un dibattito molto aperto e segnato da una polarizzazione piuttosto netta tra i fautori convinti dell’innovazione e i ‘tecnoscettici’. Non si può peraltro sottacere il fatto che, a dispetto delle prove sempre più consistenti delle potenzialità offerte dalla telematica, sembra ancora impossibile – e non solo in Italia – fare riferimento a un’idea dell’utilità della rete per la ricerca che sia accettata in modo completo e senza riserve. Questa mancanza di consenso pare dipendere da qualcosa di più radicato, e insieme di più rilevante, del misoneismo o dello scetticismo indotto da certi aspetti di futilità certamente propri di molti prodotti esistenti in rete. Si direbbe piuttosto che responsabili ne siano due elementi: 1) uno specifico deficit culturale, ossia la difficoltà a familiarizzare coi prodotti e i metodi nuovi propri dell’era della comunicazione telematica, e 2) un deficit di prospettiva, ossia la difficoltà ad anticipare gli esiti di una rivoluzione come quella telematica, che è tuttora in fase di svolgimento senza che ancora sia possibile stimarne completamente i vantaggi immediati. Si tratta di due elementi che in Italia incidono in modo forse più profondo rispetto ad ambiti nazionali e culturali che si sono mostrati più preparati e aperti di fronte all’innovazione, o che addirittura hanno assunto la guida del processo innovativo, accettando in pieno la sfida telematica. Questo tipo di osservazione si applica anche a quel particolare settore della ricerca che è oggetto del presente contributo e al quale, per comodità e semplicità, ci riferiamo col termine ‘storia’. Così facendo siamo ben consci della genericità di quest’ultimo termine e del fatto che a questa categoria può essere ricondotta una grande varietà di prodotti elettronici multimediali distribuiti col mezzo telematico, molto diversi tra loro e soprattutto da qualsiasi cosa in ambito professionale e accademico si sia disposti a qualificare come ‘storia’ o ‘storiografia’. Proprio a questo sembra in fondo ridursi la discussione: se il giudizio debba fondarsi esclusivamente sulla possibilità di equiparazione degli strumenti e dei prodotti storiografici nati per la telematica con quelli tradizionali, ovvero se la bontà dei primi non consista soltanto nel poter essere ricondotti a standard conosciuti, quanto nel fatto di delineare forme nuove di produzione e di comunicazione dell’informazione storica, nei suoi aspetti documentari e espositivi-narrativi.

2. La domanda su quali cambiamenti per la ricerca storica siano avvenuti nel nostro paese in conseguenza della diffusione delle reti, d’altra parte, non ha a vedere solo con la conoscenza e la valutazione dei prodotti esistenti e raggiungibili in rete. Essa investe in realtà un insieme assai più complesso di questioni di carattere non solo fenomenologico, ma anche, e forse soprattutto, istituzionale e soggettivo. Di conseguenza, si è deciso di affrontare l’argomento distinguendone tre aspetti fondamentali: 1) quali prassi e quali oggetti sono comparsi nella rete telematica tali da mutare o da preparare possibili, futuri mutamenti nei modi della ricerca storiografica, e quali sembrano più suscettibili di successo ?; 2) come si può misurare la risposta delle istituzioni preposte alla ricerca storica di fronte alla diffusione delle tecnologie telematiche ?; 3) quali atteggiamenti soggettivi si possono individuare tra i fattori di diffusione delle nuove tecnologie in ambito storiografico ? Una serie di riflessioni intorno a questi tre interrogativi potrà fornire risposte più interessanti e più articolate che non una semplice descrizione-valutazione delle risorse accessibili in rete, che di per sé poco ci dice circa la disponibilità individuale e istituzionale dei ricercatori ad impiegare o creare ex-novo strumenti e risorse originali di natura telematica, ossia ad assumere su di sé il compito di far progredire l’innovazione.
È forse opportuno chiarire preliminarmente che non è nostra intenzione addentrarci in discussioni di carattere epistemologico intorno a se e come la telematica abbia avviato un mutamento nei modi e nelle forme della conoscenza storica e della comunicazione del sapere storico (2); oppure intorno all’eventualità che la tecnologia possa offrire soluzioni o vie d’uscita alla tanto dibattuta crisi del sapere storico che da ormai da qualche decennio rappresenta la croce (o la delizia) degli addetti alla professione storiografica. Ciò che interessa non sono le dubbie virtù taumaturgiche dell’informatica applicata rispetto ai problemi epistemologici della storiografia – benché si tratti di questioni evidentemente collegate – quanto le tipologie e le direzioni di mutamento rilevabili nella prassi e il loro grado di diffusione e interesse.
Una ulteriore avvertenza è ancora necessaria. Il campo di indagine del presente contributo consiste non in generale nell’IT applicata, ossia ogni tipo di trattamento automatico dei dati per le discipline umanistiche (humanities and computing), né si riferisce agli aspetti legati all’ipermedialità, in particolare con la diffusione dei CD-ROM. Così, non faremo riferimento a progetti e esperienze sicuramente di grande interesse, come quelli per la creazione d database per l’agiografia medievale, per la restituzione di fonti cartografiche e fiscali, per l’analisi della storia urbana bolognese, per l’automazione di sezioni dell’Archivio storico del Comune di Firenze oppure per l'archiviazione delle visite pastorali nella diocesi di Trento tra il 1537 e il 1940 (3). Ci occuperemo invece di forme, progetti e iniziative riconducibili all’uso delle reti telematiche per la creazione di prodotti informatici distribuiti; inoltre, non prenderemo in considerazione problemi legati all’uso di tutti i tipi di reti, locali o geografiche, ma ci concentreremo esclusivamente sulla ‘rete delle reti’ per eccellenza, ossia Internet, con la varietà di servizi e operazioni che la caratterizzano.
Una precisazione metodologica è infine indispensabile per esplicitare quelli che ci sembrano intrinseci, ma inevitabili limiti della presente ricerca. Il quadro informativo e le valutazioni che siamo in grado di offrire sulle risorse telematiche esistenti in un momento dato e che possiamo cercare di descrivere in un testo a stampa è inadeguato rispetto all’evoluzione che inevitabilmente avviene nell’intervallo tra le osservazioni alla base della ricerca in questione e la loro pubblicazione. Più che in altri casi, in presenza di un ritmo velocissimo di innovazione e di modifica dello stato di fatto, è dunque necessario che il lettore sia avvertito in merito alle possibili discrepanze riscontrabili tra dati e giudizi contenuti nelle pagine seguenti e la situazione reale osservabile al momento della loro lettura. Più che per altri oggetti di indagine appare chiaro come il tradizionale medium tipografico comporti lentezze procedurali inadeguate a diffondere i risultati di una ricerca che col mezzo elettronico avrebbero potuto conseguire una più immediata corrispondenza alla realtà.  

1. Tipologie e elementi di valutazione comparativa.

3. Come è cambiata dunque la ricerca storica con il ricorso alla rete ? Nella ancora breve esperienza legata alla diffusione della NIT, non sono mancati tentativi di bilancio basati su diverse metodologie d’indagine: ricordiamo il rapporto del 1997 di Pavliscak, Ross e Henry, IT in Humanitiees Scholarship: Achievements, Prospects and Challenges (4), il primo numero del neonato Journal of the Association for History and Computing (5), dedicato per intero alla riflessione sulle conseguenze della telematica per la ricerca e l’insegnamento della storia, l’indagine promossa dall’American Historical Association e pubblicata su Perspectives nel febbraio 1998 (6), il recentissimo volume Writing, Teaching and Researching History in the Electronic Age (7), nonché numerosi saggi – spesso pubblicati direttamente su riviste elettroniche e accessibili in linea – che continuano ad alimentare le discussioni (8). Per l’Italia in particolare vanno ricordate le due raccolte di atti congressuali Storia e Multimedia (1994) e Storia e computer. Alla ricerca del passato con l’informatica (1996) (9).
Il campo della metodologia della ricerca storica è interessato da un processo innovativo – rispetto al quale già si possono distinguere aree cutural-linguistiche a maggiore o minore intensità di partecipazione – in cui alla sperimentazione di nuove risorse e nuove forme di lavoro si accompagna una intensa discussione su natura, valore, conseguenze, prospettive delle nuove risorse per il futuro della ricerca storica: se al momento attuale assai pallido ne appare il riflesso in Italia, proprio questo è uno dei fenomeni di cui cercheremo di suggerire qualche spiegazione. Rispetto alle considerazioni generiche, di intonazione avveniristica, spesso un poco fatue, talvolta rivelatrici di atteggiamenti catastrofistici oppure di illuminazioni improvvise, che sempre più spesso si incontrano sui giornali, non sorrette da una effettiva conoscenza e da una pratica costante della rete, la nostra riflessione si pone dunque finalità più concrete e pratiche. Ciò che tenteremo di fare nella prima sezione di questo saggio è di identificare le novità che vanno profilandosi nel modo di fare ricerca storica in rete, ossia le modalità di uso della rete più sofisticate e avanzate rispetto alla posta elettronica, alle liste di discussione, e allo scambio personale di informazione e che sembrano implicare un reale salto qualitativo – inventivo, creativo, progettuale – nel modo di sfruttare la telematica per produrre risorse essenzialmente nuove, per utilizzarle nell’ambito di lavoro di sintesi storiografica e per dare vita a forme specifiche di organizzazione e coordinamento della ricerca. Riteniamo dunque che a tre tipi di utilizzi si debba principalmente guardare: 1) progetti di biblioteche elettroniche e database testuali o statistici a carattere tematico o cronologico o di genere; 2) progetti di sintesi storiche ad impostazione ipermediale (inclusi quelli con finalità più specificamente didattiche); 3) iniziative di coordinamento a livello interuniversitario, nazionale o internazionale dei progetti sperimentali o delle azioni finalizzate. È rispetto a queste tipologie già esistenti e pienamente dispiegate che si può pensare di valutare concretamente quanto finora è avvenuto (o non è avvenuto) nel nostro paese. Nella seconda e terza sezione cercheremo invece di rispondere alla domanda su quali ci appaiono essere in Italia la risposta istituzionale e l’atteggiamento individuale di fronte all’innovazione tecnologica in campo telematico. La conclusione riguarderà una serie di indicazioni che ci sembrano scaturire dalle analisi e dalle riflessioni effettuate nel corso dell’indagine.

1.1. Biblioteche elettroniche e databases.

4. Una precisazione terminologica preliminare non è forse superflua. Con espressioni come ‘biblioteche elettroniche’ o ‘digitali’ e biblioteche ‘virtuali’ o telematiche ci riferiamo a collezioni di testi o documenti originariamente stampati (o manoscritti) su supporto cartaceo, trasferiti in formato digitale e accessibili in rete, che possono essere realizzate in base a diversi criteri – linguistico, cronologico, tematico, di genere. Benché spesso nate all’interno di istituzioni bibliotecarie tradizionali, che anzi spesso ne fanno da cornice organizzativa generale, le biblioteche elettroniche non presuppongono necessariamente e non sono il derivato di preesistenti collezioni di libri su supporti tradizionali, né necessitano – nel caso delle biblioteche virtuali propriamente dette – dell’esistenza materiale dei testi che le compongono, ancorché in formato elettronico, che esse possono semplicemente riunire attraverso cataloghi di rinvii ipertestuali. In quest’ultimo caso, la biblioteca telematica o virtuale consiste nella selezione e costruzione di un sistema di collegamenti a materiali esistenti ‘altrove’ nella rete. Esse sono inoltre qualcosa di completamente diverso dalle cosiddette biblioteche ‘in linea’, termine col quale ci si riferisce a quei materiali accessibili in rete che consistono in informazioni, servizi e cataloghi propri delle biblioteche propriamente e fisicamente intese (10). Ovviamente l’accesso tramite rete ai cataloghi delle biblioteche (OPAC) – che in alcuni casi si affianca, senza sostituirli, ai preesistenti cataloghi commerciali su CD-ROM – rappresenta un’innovazione di grande importanza e utilità per il lavoro dello storico. Non ci soffermiamo però su questo punto per due motivi. Innanzitutto le applicazioni telematiche alla biblioteconomia si sono affermate con una certa rapidità anche in Italia, tanto che possiamo dire di disporre di un sistema di accesso in linea ai cataloghi abbastanza soddisfacente, anche se le nostre biblioteche nazionali continuano a presentare notevoli carenze rispetto a quelle straniere sotto il profilo della realizzazione dei cataloghi dei fondi antichi. In secondo luogo, si tratta di un aspetto che, non riguardando selettivamente gli storici, ma i ricercatori di tutte le discipline che utilizzano le risorse bibliotecarie, non ci pare immediatamente pertinente a una riflessione sui concreti mutamenti nel modo e negli strumenti della ricerca in campo storico.
Non c’è dubbio, invece, che la possibilità di accedere tramite la rete e disporre di fonti testuali in formato elettronico, siano esse di genere letterario o documentario, narrativo, poetico, filosofico, storico, politico, religioso, saggistico o quant’altro, abbia comportato una delle novità più visibili e più immediatamente apprezzabili apportate dalla telematica alla ricerca umanistica e storica in particolare. Ma la ricerca storica, oltre ad utilizzare fonti edite di carattere testuale (letterario o documentario), ha a che fare anche con fonti di tipo archivistico e con quei dati quantitativi su cui poggiano le ricostruzioni di storia sociale, economica o comunque di tutti quei fenomeni che possono essere oggetto di studio quantitativo. Si tratta di quel genere di fonti il cui trattamento automatico, una volta che siano state inserite in databases, è particolarmente suscettibile di risultati interessanti. Ora, è evidente che nel caso di fonti del primo e del secondo tipo, affinché, grazie all’elettronica e alle reti telematiche, si determinino le condizioni di un mutamento sostanziale del lavoro di ricerca è necessario che esistano biblioteche elettroniche e databases di ampiezza tale da offrire una massa ‘critica’ di materiali passibili di trattamento da parte del ricercatore professionista. In altre parole, è necessario un accumulo di dati (testuali o quantitativi) il cui valore può incrementare solo col passare del tempo e con la quantità di energie e di risorse impiegate nel trasferimento in formato digitale. A questo proposito è intuitivo come solo grandi progetti capaci di mobilitare risorse umane e finanziarie di ampie dimensioni siano in grado di raggiungere una massa veramente ‘critica’, tale cioè da consentire al ricercatore di effettuare in linea un intero processo di ricerca, localizzazione e accesso diretto alla fonte di cui il suo lavoro necessita.

5. Non si vuol affatto dire, con questo, che iniziative minori di editoria telematica specializzata non possano contribuire all’accrescimento del patrimonio di risorse disponibili in rete. È certamente vero, al contrario, che solo grazie a iniziative di questo genere, spesso nate dallo sforzo volontaristico e dalla fantasia sperimentale di singoli ricercatori e caratterizzate da standard qualitativi di eccellenza sotto il profilo sia filologico (benché la filologia elettronica sia ancora qualcosa di difficile definizione, se non per semplice analogia con la disciplina tradizionale) sia tecnologico, oggi disponiamo di una quantità di materiali accessibili in rete di interesse straordinario per lo storico, il filosofo, lo specialista di pensiero politico e economico, lo studioso di letterature, lingue, religioni, diritto. L’esperienza ha però dimostrato la inevitabile limitatezza di progetti facenti capo a singoli individui o gruppi slegati o scarsamente collegati a un contesto istituzionale e organizzativo; al contempo, essa ha evidenziato la possibilità che attraverso l’iniziativa di grandi istituzioni si costituiscano fondi elettronici accessibili in rete di assoluto riguardo anche sotto il profilo quantitativo. Ebbene, se osserviamo quanto è avvenuto fuori (e solo in piccola parte all’interno) del nostro paese, possiamo notare alcuni esempi notevoli relativi alla casistica che abbiamo appena menzionato: biblioteche elettroniche frutto di iniziative di singoli o di piccoli gruppi, vasti progetti di biblioteche elettroniche di varia natura e contenuto patrocinati da istituzioni bibliotecarie o universitarie, grandi databases di fonti storiche afferenti a progetti interuniversitari e consorzi nazionali. Non sarà inutile ricordare qualche caso particolarmente significativo di esperienze che sono comunque accomunate da una caratteristica: il fatto, cioè, di avvalersi dell’IT per dare vita a qualcosa di distintamente nuovo, qualcosa che senza l’IT non sarebbe stato possibile e che l’IT consente di mettere a disposizione dei ricercatori storici di professione.
Sarebbe troppo lungo e comunque estraneo ai nostri scopi fare una elencazione delle biblioteche elettroniche o virtuali contenenti materiali di rilievo storico che si sono costituite in rete. Interessa piuttosto rammentare alcune iniziative sorte all’interno di grandi istituzioni bibliotecarie nazionali per la costruzione di risorse elettroniche. Benché nate in una tipica prospettiva di ‘conservazione’ dei beni librari o iconografici e non tanto dietro l’impulso di specifiche esigenze di ricerca, da tali iniziative è risultata la disponibilità di materiali di assoluto interesse per lo storico. Ciò ha riguardato, come accennavamo, varie categorie di materiali testuali. Se però in questa sede ci riferiamo solo al tipico libro a stampa e alla letteratura periodica, questo non deve certo indurre a pensare che le risorse accessibili in rete a disposizione dello storico siano esclusivamente di questo genere: basti pensare, per convincersi del contrario, allo straordinario archivio fotografico dell’"Holocaust Museum" di Washington, al quale è possibile accedere in linea, con possibilità di effettuare ricerche con criteri diversificati e visualizzare direttamente le immagini che ne risultano; oppure ai grandiosi piani di digitalizzazione di fondi archivistici elaborati dalla americana "National Archives and Records Administration". Ma per limitarci al settore sul quale abbiamo scelto di concentrarci, tra i più significativi progetti che vale la pena di menzionare vi sono quelli nati da tempo in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti nell’ambito delle maggiori biblioteche. Tra questi v’è il progetto "Arcole" (Accès en Réseaux aux Collections Electroniques), nato nel maggio 1997 presso la Bibliothèque nationale de France per la trasposizione in formato elettronico di quote consistenti dei propri fondi, e dal quale è derivato "Gallica", una già ragguardevole collezione sperimentale di fondi a stampa rappresentativi della cultura storica, politica, sociale, economica, letteraria, giornalistica francofona del sec. XIX. La British Library, da parte sua, ha avviato anch’essa un grande progetto di digitalizzazione di fondi librari – il "Digital Library Programme" – che, benché nato fin dal 1993, è entrato nella fase cruciale di attuazione dall’inizio del 1997: anche da questa iniziativa non è irragionevole attendersi conseguenze di notevole portata per il lavoro di ricerca storica in termini di accesso diretto a materiali remoti. La Library of Congress, infine, ha attivato un importante progetto multimediale intitolato "American Memory: Historical Collections for the National Digital Library". Concepito come parte di un programma di biblioteca digitale nazionale basata sui materiali in possesso della Library of Congress e di altre biblioteche americane, "American Memory" è una biblioteca elettronica multimediale che funge da polo d’attrazione per molteplici progetti che da ogni parte degli Stati Uniti arricchiscono di materiali librari, documentari, iconografici, sonori, fotografici e filmati un già imponente patrimonio di fonti sulla storia americana liberamente accessibile in linea. Analoghe imprese di costruzione di archivi testuali elettronici sono poi quelle avviate da diverse università americane. L’"Electronic Text Center" dell’università della Virginia, il "Center for Electronic Texts in the Humanities" delle università di Rutgers e Princeton, la "Humanities Text Initiative" dell’università del Michigan (Ann Arbor), l’"Historical Text Archive" presso la Mississippi State University sono alcune delle cornici progettuali create all’interno di grandi istituzioni accademiche e alle quali fanno capo raccolte testuali letterarie e documentarie ormai già imponenti e molto articolate sotto il profilo disciplinare, che funzionano sia come biblioteche – permettendo la consultazione di cataloghi e l’accesso diretto ai testi integrali – sia come banche dati testuali – fornendo cioè la tecnologia necessaria ad eseguire ricerche complesse su corpora testuali costituibili a richiesta. L’"Avalon Project" della Yale Law School, il "Making of America Project" dell’università del Michigan, l’"Early America Digital Library", sezione del progetto "Archiving Early America", l’"Arquivo Galicia Medieval" di Santiago de Compostela, per non limitarsi a soli esempi americani, sono altrettante collezioni specializzate nate all’interno di università o centri di ricerca.

6. Se i progetti appena ricordati sono la prova di massicci sforzi organizzativi da parte di grandi istituzioni culturali per la creazione di significative raccolte di fonti storiche, di importanza non certo minore per la ricerca storica è stata una grande quantità di iniziative per la creazione di biblioteche elettroniche specializzate, di dimensioni meno appariscenti, spesso scarsamente dotate dal punto di vista finanziario, ma caratterizzate da specializzazione e da eccellente qualità. Esse si sono dimostrate di assoluto rilievo per il lavoro di ricerca, poiché hanno apportato materiali di prim’ordine – ossia presentati in edizioni elettroniche di elevato valore tecnico e filologico – a quel processo di crescita della biblioteca virtuale globale che la rete rende possibile. Potremmo paragonare il lavoro svolto dai promotori di queste biblioteche elettroniche settoriali a quello di case editrici specializzate operanti su supporto digitale e con distribuzione telematica. Di questo genere sono per esempio la collezione di testi moderni e contemporanei di teoria economica realizzata dal Centre d’Histoire de la Pensée Économique (università di Parigi 1), insieme alla MacMaster University (Canada) e all’università di Bristol; oppure gli "Hume Archives", contenenti opere di e sul filosofo scozzese David Hume, e – finalmente un esempio italiano – la "Electronic Library of Historiography" (=Eliohs), biblioteca specializzata nella storiografia, metodologia e filosofia della storia in epoca moderna e contemporanea.
Una spiegazione, a questo punto, è forse necessaria per alcune mancate citazioni che potrebbero sorprendere chi ha maggiore familiarità coi prodotti telematici e che potrebbero far pensare che la presente ricostruzione sia stata guidata da miope esterofilia. Non si sono menzionati intenzionalmente in questa sede alcun progetti italiani di grande interesse sotto il profilo organizzativo, tecnologico e contenutistico poiché si è ritenuto che, per quanto importanti e significativi, non fossero strettamente pertinenti agli obbiettivi specifici di una riflessione critica consacrata specificamente ai prodotti per la ricerca e lo studio della storia. Il "Project Gutenberg" per esempio, senza dubbio una delle prime e delle più ampie biblioteche elettroniche in rete, è un’impresa che – come vari altri progetti altrettanto importanti e interessanti – ha assunto a proprio obbiettivo programmatico non quello di contribuire secondo un piano specialistico alla produzione di strumenti finalizzati alla ricerca umanistica, bensì quello più generico di accrescere il patrimonio di testi letterari accessibili al grande pubblico per via telematica. Un’impresa, dunque, con molti meriti e di indubbia utilità, ma che, al pari del posteriore e ben più limitato italiano "Progetto Manuzio", ha scelto di rivolgersi non al ristretto pubblico dei ricercatori di professione, ma al lettore generico. Due altri progetti italiani che, pur presentando indubbi elementi di interesse anche per lo storico – specie lo storico delle idee e della cultura, oltre che, evidentemente, della letteratura e della lingua – sono nati al di fuori del campo delle discipline storiche strettamente intese e rispondono ad esigenze differenti rispetto a quelle proprie della ricerca storica sono quelli riconducibili al Crilet (Centro Ricerche Informatica e Letteratura, università di Roma) e al Cibit (Centro interuniversitario per la Biblioteca Telematica italiana, con la partecipazione di 14 università). Si tratta di due realtà che, anche se spetta ad altri effettuarne una valutazione, non si possono non ricordare in questa sede per la loro natura bifronte di iniziative sperimentali nel campo della codifica di testi destinati a biblioteche elettroniche in rete e di database testuali, in particolare nel caso del Cibit, che tramite uno speciale server DBT sfrutta un apposito software di ricerca testuale interamente ideato e realizzato da tecnici italiani. Sarebbe fuorviante, perciò, concludere che in Italia non esistano in campo umanistico iniziative telematiche di assoluto rilievo: ciò che si vuol più semplicemente sottolineare è che si tratta di progetti legati agli ambienti e agli studi linguistico-letterari assai più che alla ricerca storiografica.

7. I databases propriamente detti costituiscono un’altra fondamentale risorsa che ha fatto recentemente la propria comparsa anche in rete, pur avendo alle spalle talvolta decenni di esistenza e sperimentazione come applicazione pionieristica dell’informatica alle discipline umanistiche. In questa categoria di prodotti telematici – alla quale non appartengono dunque i pur importanti e numerosi databases su CD-ROM – dobbiamo distinguere le banche dati testuali, quelle statistico-quantitative e quelle a carattere bibliografico. Tra le prime, che vanno tenute distinte dalle biblioteche elettroniche perché consentono l’effettuazione di ricerche linguistico-testuali complesse, ma raramente e comunque condizionalmente l’accesso ai testi integrali, si possono ricordare l’"Oxford Text Archive" (=OTA), presso la università di Oxford, e "American and French Research on the Treasury of the French Language" (=ARTFL), università di Chicago. Si tratta di risorse d’interesse soprattutto per gli storici della lingua e della letteratura, ma la presenza di testi a carattere storiografico o filosofico-politico ne garantisce l’utilità anche per gli specialisti di storia delle idee e della cultura, soprattutto quelli particolarmente sensibili all’analisi linguistica.
Alcuni databases testuali di eccezionale interesse per il lavoro di ricerca storica sono poi quelli che hanno per oggetto le pubblicazioni periodiche. Tra quelli che racchiudono materiali di letteratura periodica contemporanea va ricordato "JSTOR- Journal Storage. Redefining Access to Scholarly Literature", frutto del lavoro coordinato di Andrew Mellon Foundation, University of Michigan e Princeton University. Si tratta di uno straordinario progetto mirante alla costruzione, sulla base di accordi con gli editori tradizionali, di un grande archivio elettronico di periodici accademici di vari ambiti disciplinari umanistici e non (antropologia, studi asiatici, economia, educazione, filosofia, scienze politiche, sociologia, matematica, finanza, studi demografici), ivi comprese le discipline storiche. Al momento attuale Jstor dà accesso in linea (per ora a sole istituzioni e dietro pagamento di una consistente sottoscrizione) a intere collezioni di periodici di argomento storico dall’inizio della loro pubblicazione fino ad anni molto recenti (1993 o 1995 a seconda dei casi), consentendo la visualizzazione degli indici delle successive annate, l’accesso diretto ai testi, nonché la possibilità di effettuare ricerche per autore, data o parole chiave, la stampa e il salvataggio del materiale visualizzato. Non si rischia di esagerare definendo Jstor uno dei progetti più ambiziosi, innovativi e capaci di dimostrare con eccezionale efficacia le potenzialità dell’IT applicata alla distribuzione e accesso all’informazione scientifica. Anche in questo caso uno degli stimoli principali è provenuto dagli ambienti e dalle esigenze della biblioteconomia e dell’editoria accademica (come nel caso del "Project Muse" (11)) più che dal mondo della ricerca: è ovvio però che siamo di fronte ad una perfetta convergenza tra gli obbiettivi dell’una – risparmiare spazio fisico, migliorare la conservazione, economizzare sui costi di acquisto, completamento e deposito – e quelli dello storico, che ha la possibilità di consultare in linea, secondo le modalità e i limiti sopra specificati, periodici come l’American Historical Review, il Journal of Modern History, il William & Mary Quarterly, il Journal of Economic History, il Journal of American History, Renaissance Quarterly, Speculum: a Journal of Medieval Studies, dall’inizio delle pubblicazioni ad un termine ad quem variabile dal 1992 al 1995.

8. Un altro esempio di banca dati testuale certamente non meno interessante è il progetto inglese denominato "ILEJ, the Internet Library of Early Journals", una collezione digitale di importanti periodici in lingua inglese del ‘700 e dell’800 realizzata da un consorzio interuniversitario (di cui fanno parte le università di Birmingham, Leeds, Manchester and Oxford) nell’ambito del cosiddetto "E-Lib (Electronic Libraries) Programme". Qualsiasi studioso di storia della cultura, della politica, della letteratura, del costume inglesi non potrà che riconoscere l’eccezionale utilità del poter accedere in rete (per ora gratuitamente) alle versioni elettroniche integrali (secondo un programma di acquisizione evidentemente graduale realizzato finora solo in parte) di periodici sette-ottocenteschi assolutamente fondamentali come il Blackwood’s Edinburgh Magazine, il Gentleman’s Magazine, Notes and Queries, le celeberrime Philosophical Transactions of the Royal Society, The Builder e The Annual Register.
Per concludere in materia di banche dati testuali, può essere utile ricordare ancora che per alcuni degli strumenti bibliografici fondamentali della ricerca storica esiste ormai la possibilità di effettuare consultazioni in linea oltre che attraverso le versioni su CD-ROM da tempo disponibili – accanto a quelle a stampa – nelle biblioteche dotate di postazioni computerizzate di consultazione (e anche in Italia sono ormai la maggioranza). Ci riferiamo ai grandi repertori tradizionali come Historical Abstracts, Dissertation Abstracts, Periodical Abstracts, Social Sciences Citation Index, Arts and Humanities Citation Index, che sono raggiungibili a pagamento attraverso il fornitore di servizi Dialog, così come avviene per il database specializzato in studi americani America History & Life. Analoghi strumenti esistono anche fuori del mondo accademico americano: Internationale Bibliographie der Zeitschriftenliteratur è una banca dati bibliografica per la letteratura periodica in lingua tedesca; e Francis (curato dall’Institut de l’Information Scientifique et Technique e raggiungibile attraverso vari fornitori di servizi come Questel, Dialog e Datastar) è un sistema di databases bibliografici di letteratura periodica in lingua francese che copre vari campi della ricerca umanistica, comprese le maggiori aree della ricerca storica. A proposito di questi e degli altri strumenti ricordati in precedenza è necessario sottolineare il fatto che si tratta di risorse con accesso a pagamento: ciò ne rende perlopiù l’utilizzo assai oneroso per il singolo ricercatore e richiede quindi un intervento specifico delle istituzioni accademiche, la cui capacità di risposta di fronte all’esistenza di nuove risorse diventa determinante ai fini della creazione delle condizioni di progresso della ricerca.
Più recente, ma non per questo meno interessante, è infine un servizio interamente telematico e nato espressamente per la rete come "Uncover". Si tratta di una vastissima banca dati bibliografica di letteratura periodica accademica. Basata sull’indicizzazione di 17000 periodici multidisciplinari per periodi retrospettivi di pubblicazione fino a circa quindici anni, "Uncover" fornisce libero accesso in rete alle funzioni di ricerca e generazione di bibliografie tematiche, con possibilità di ottenere il materiale reperito via fax e a pagamento: il fatto di poter ricevere entro poche ore copia di un articolo altrimenti irreperibile rappresenta, com’è logico, un vantaggio non di poco conto per studiosi che lavorano in contesti caratterizzati da fondi bibliotecari decisamente carenti.

9. Per passare invece alle banche dati statistico-quantitative (si ricordi ancora che ci occupiamo di risorse distribuite in rete, non di quelle realizzate su altri supporti elettronici e circolanti attraverso circuiti distributivi tradizionali) numerosi sono i prodotti creati per la rete negli ambiti di ricerca storica più diversi. Ma l’esempio forse più significativo che si possa fare è quello dell’insieme di databases che fanno capo al britannico "Arts and Humanities Data Service" (=AHDS), la cui specifica natura è quella di ‘fornitore di servizi per le discipline umanistiche’. Anche in questo caso sono due i motivi di particolare interesse propri dell’AHDS: si tratta di un esempio di consistente sforzo organizzativo e di coordinamento della ricerca; e di un esempio di trasferimento e distribuzione in rete di risorse elettroniche frutto di progetti esistenti già da tempo e a lungo sviluppatisi in modo indipendente. Torneremo tra poco su gli aspetti complessivi di questo importante servizio. Preme ora sottolineare l’esistenza al suo interno di uno specifico contenitore di database di fonti storiche, l’"History Data Service" (=HDS), che si definisce come lo specifico ‘service provider’ per le discipline storiche nell’ambito dell’AHDS. Sarebbe fuori luogo in questa sede una dettagliata descrizione del contenuto di HDS, che peraltro è facilmente ottenibile sul corrispondente sito web, che si presenta estremamente ben organizzato e generoso di informazioni. Basti dire che presso HDS – che riguarda prevalentemente, ma non esclusivamente la storia moderna e contemporanea delle isole britanniche – sono depositati al momento attuale ben 400 dataset elettronici relativi alla storia anteriore al 1945, mentre altri 7000, relativi al periodo post-bellico e collocati in altri punti della rete, sono raggiungibili tramite le vie d’accesso fornite da questo stesso servizio. Si tratta di collezioni di dati attinenti a temi che rientrano nel campo d’indagine di tutte le discipline storiche che fanno uso di tecniche di quantificazione e serializzazione: solo per fare qualche esempio, vi si trovano banche dati prosopografiche relative a determinate sezioni di classi lavoratrici, istituzioni culturali o associazioni politiche e sindacali in settori, periodi e regioni definiti, altre contenenti dati di carattere fiscale o finanziario, altre ancora contenenti serie di prezzi e salari per l’Irlanda e la Scozia nel corso dell’800, oppure sulla dinamica demografica a Londra tra ‘800 e ‘900, sullo stato delle finanze statali in Europa dal ‘600 in avanti, e, ancora, dati elettorali, demografici, monetari, commerciali, relativi alle parrocchie, alla mendicità, all’assistenza. Dell’HDS fa parte poi un vasto sottoprogetto denominato "Great Britain Historical Database, 1841-1939", che racchiude a sua volta, e relaziona tra loro con tecnologia GIS, undici studi relativi a vari aspetti della storia economica e sociale britannica nel periodo indicato. L’esistenza e l’accessibilità in rete di questo materiale di provenienza e produzione eterogenea certamente non significa di per sé un oggettivo e indiscutibile progresso nelle possibilità offerte alla ricerca. Uno storico economico o sociale sa perfettamente che ogni raccolta di dati si basa su procedure selettive che dipendono dalle finalità che il ricercatore assegna alla propria indagine: è cioè essa stessa parte e momento essenziale della ricerca. Non si può pensare perciò, replicando ingenuamente aspettative di ispirazione positivistica difficilmente compatibili con gli umori della post-modernità, che materiali di questo genere possano contribuire alla costruzione di un apparato globale di fonti primarie e oggettive della ricostruzione storica e pertanto riutilizzabili disinvoltamente in ulteriori sintesi storiografiche. Si è perfino avviato proprio tra gli storici che utilizzano correntemente la rete per la ricerca e la didattica un dibattito sul valore che debba essere attribuito ai lavori basati sulle raccolte di dati quantitativi realizzate da altri ricercatori e ora così facilmente accessibili e manipolabili: e non sono mancate posizioni improntate ad estrema cautela. Questo non toglie, a nostro avviso, che un servizio come HDS renda praticabili un gran numero di procedure di accesso, verifica, controllo incrociato, integrazione del lavoro di ricerca, esplorazione di ipotesi e metodi, i cui costi in termini di tempo e denaro, o anche di semplice possibilità, senza la telematica sarebbero stati insostenibili.

10. Di nuovo, poi, l’esistenza di una struttura di questo genere produce il beneficio non secondario di offrire un costante punto di riferimento per la discussione e la riflessione metodologica e tecnica intorno alle prospettive di impiego di una tecnologia le cui virtualità possono essere gradualmente sviluppate – in questo come in altri generi di applicazione alla ricerca storica – solo tramite la sperimentazione. Ne è una testimonianza il workshop che HDS ha organizzato nell’aprile 1998 presso l’università dell’Essex e che ha costituito un’occasione preziosissima di confronto tra operatori nel campo della creazione-sfruttamento delle risorse digitali per la ricerca e l’insegnamento della storia. Il rapporto finale (12) prodotto dai partecipanti a questo incontro ha consentito l’individuazione di una serie di problemi e priorità – dall’insufficiente finanziamento, alle resistenze istituzionali e ostilità individuali, dalla perdurante mancanza di riconoscimento a livello di valutazioni accademiche alla necessità di ampie strategie collaborative in luogo di isolate iniziative ad hoc, dal bisogno di assistenza specialistica e di crescenti competenze tecniche nel lavoro di ricerca e di insegnamento alla necessità di innovazioni permanenti nei piani e nei metodi didattici – la cui urgenza si sta facendo sentire in misura crescente all’interno della comunità degli storici coinvolti nel processo di ampliamento del patrimonio di risorse elettroniche distribuite in rete.  

1.2. Prodotti storici multimediali distribuiti in rete.

Ci siamo occupati fin qui di tipologie di risorse che, almeno in parte, consistono nella produzione in formato digitale e nella distribuzione telematica di quelle che per brevità chiamiamo ‘fonti’ della ricerca. Ma novità importanti e opportunità nuove sono emerse grazie alle nuove tecnologie anche per quanto concerne i prodotti della ricerca, ossia ciò che in èra pre-multimediale avremmo definito la scrittura della storia e che oggi, mentre l’ipermedialità in rete offre nuove risorse comunicative esorbitanti il mezzo linguistico, dobbiamo chiamare in modo diverso: articolazione del discorso storico, comunicazione del messaggio storico o costruzione dell’argomento storico. Anche in questo caso, la ragione per parlare degli esempi che seguono sta nel desiderio di mostrare alcune delle varietà di prodotti che sono stati elaborati, i loro motivi specifici di novità e le potenzialità di comunicazione e presentazione che attraverso di essi sono state esplorate. Poiché dunque criterio di selezione è dato da un intento tipologico, che è prevalente su quello analitico, si è scelto di rammentare tre prodotti appartenenti a categorie distinguibili con sufficiente chiarezza: il primo è un autentico e completo prodotto storiografico professionale, frutto di ricerche originali classificabili nel genere della microstoria sociale e basato su un uso della tecnologia multimediale creativamente finalizzato alla presentazione di materiali documentari, testuali e narrativi. Il secondo, che riguarda la didattica più che la ricerca, costituisce tuttavia un esempio sicuramente pionieristico delle possibilità che le tecnologie ipermediali e telematiche offrono sia sul piano della concezione dei prodotti finiti sia su quello della cooperazione orizzontale (interdisciplinare) e verticale (docenti e allievi) all’interno di strutture universitarie. Il riferimento ad applicazioni con finalità didattiche offrirà peraltro lo spunto per una digressione su iniziative analoghe in corso di attuazione in ambito britannico, non destinate alla rete, ma ricche di insegnamenti, soprattutto sul piano organizzativo. Infine, il terzo genere di prodotto delle ricerca storica cui si farà brevemente riferimento sono le riviste accademiche in formato elettronico e telematico.
"The Valley of the Shadow Project. Two Communities in the American Civil War", coordinato da Edward L. Ayers, Anne S. Rubin e William G. Thomas, è il titolo di una ricerca nata all’università della Virginia e che si è tradotta nella creazione di un sito Web di grande ricchezza e interesse. Si tratta, come accennato, di un genere di indagine classificabile come storia di località, ma tendenzialmente à-part-entière per il tipo di interrogativi da cui procede e di fonti di cui si serve. La novità è a nostro avviso di contenuto e metodologica. Obiettivo del progetto è la ricostruzione comparata e interdisciplinare dei caratteri, della vita e dei mutamenti intervenuti, negli anni della guerra di secessione e in quelli immediatamente precedenti, in due contee (Franklin, Pa., e Augusta, Va.) appartenenti agli opposti schieramenti nel conflitto civile. Sul piano del metodo, poi, il progetto rappresenta un deciso passo in avanti in direzione della scrittura della storia attraverso il mezzo telematico. È vero che, nonostante la presenza di sezioni narrative tendenti a fornire un quadro storico generale di riferimento, non ci troviamo di fronte ad un’esposizione compiuta, finita e modellata secondo una logica discorsiva articolata, ma piuttosto ad una raccolta ragionata di fonti testuali, statistiche e iconografiche relative a ogni aspetto documentabile della vita politica, sociale, economica, culturale, religiosa delle comunità prese in esame. Proprio attraverso questa serie di archivi costruiti dagli storici, però, l’utente è in grado sia di afferrare con immediatezza il genere di fondamenti documentari che consentono la ricostruzione storiografica, sia di formulare autonomamente domande e, servendosi delle fonti testuali e delle banche dati interne, trovare risposte e elaborare tavole statistiche. Il procedimento di selezione delle fonti è assolutamente esplicito, verificabile, accessibile e tale da consentire molteplici ricostruzioni e percorsi conoscitivi. Il processo di elaborazione storiografica non è dunque interamente predeterminato: ciò che è percepibile è invece il frutto del lavoro di vaglio compiuto dai ricercatori. Il rapporto tra storia e archivio e la natura non neutrale dell’una e dell’altro appaiono ben esplicitati. Inutile aggiungere che si tratta di un progetto in costante divenire attraverso l’aggiunta di nuovi archivi, nuove categorie di fonti, nuovi contributi. È del tutto evidente che casi di questo genere – dove dominano gli aspetti di cooperazione, documentazione e aggiornamento – configurano un prodotto decisamente diverso dal modello di storiografia a cui siamo abituati e per il quale i futuri studiosi di storia vengono di norma formati: ossia quell’operazione intellettuale mediante cui un singolo ricercatore perviene alla presentazione in forma scritta, compiuta e chiusa di una serie di analisi, considerazioni e conclusioni originali effettuate a partire da una raccolta individuale di fonti motivata da un interrogativo di partenza.

11. Quali che siano gli aspetti discutibili di questo progetto, certo è inoltre che non si tratta dell’iniziativa isolata di un gruppo di   ‘tecnoentusiasti’. Il "Virginia Center For Digital History", la cornice istituzionale e organizzativa a cui esso fa capo, funziona infatti come centro di riferimento propulsore di ulteriori progetti, come "A History of Modern Virginia Project" e "An African American History Project". Ciò dimostra l’esistenza della volontà – sorretta dalla convinzione di poter usare il mezzo telematico per produrre storia in modo utile, serio e attraente – di sviluppare tramite il Web un patrimonio di materiali storici affidabili e di alta qualità a disposizione di ricercatori, biblioteche e istituzioni educative.
"From Revolution to Reconstruction. An Hypertext on American History from the Colonial Period until the Modern Times" è il titolo dell’altro progetto su cui vale la pena brevemente soffermarsi. Fin dal momento della sua nascita, nel 1994, all’interno del dipartimento di studi americani dell’università di Gröningen, questo progetto ha inteso sviluppare e distribuire in rete un insieme organico di materiali primari e secondari sulla storia americana dalle origini alla contemporaneità e molteplici sono i suoi motivi di interesse. Si tratta infatti al tempo stesso di un esempio ragguardevole di collaborazione tra storici e esperti di telematica e di multimedialità; del frutto di cooperazione tra docenti e studenti, quanto alla individuazione, raccolta e elaborazione digitale dei materiali; e infine di un esperimento di convivenza di ricerca e didattica. Il risultato è stato la produzione di un ricco sito web articolato almeno su tre piani: un impianto narrativo di tipo manualistico suddiviso tematicamente (storia generale, politica e istituzioni, geografia, letteratura), un apparato documentario multimediale e una sezione di saggistica monografica originale. Neppure in questo caso si può dire che manchino motivi di critica. In particolare, si può osservare che le parti manualistiche – accantonata evidentemente l’idea di produrne di originali – derivano dalla digitalizzazione dei materiali fuori copyright elaborati dalla governativa "Usia" (=United States Information Agency, ex-Usis) e dei quali è ben nota l’origine ufficiale (se non addirittura apologetica, almeno nelle prime edizioni dell’immediato dopoguerra). Va riconosciuto che la decisione assunta in corso d’opera dai responsabili del progetto di offrire le successive versioni degli Outlines prodotte dal 1949 in poi da un ufficio come l’Usis, specializzato nel propagandare gli elementi essenziali della civiltà e del sistema politico americani rivela una lodevole sensibilità critica che si è andata affinando rispetto all’impianto iniziale del sito. In ogni caso, è sicuramente degno del massimo interesse questo tentativo di utilizzo dello strumento telematico per proporre forme nuove – e tipicamente ‘aperte’ e in divenire – di presentazione storiografica a fini originariamente didattici, ma con un rilievo non trascurabile anche sul piano della ricerca: un modello, inoltre, di come la didattica universitaria possa realmente servirsi di nuovi strumenti ed essere indirizzata verso nuovi obbiettivi.
Del resto, se questo progetto ha avuto il merito indubbio di aver tradotto in pratica per primo una serie di possibilità operative, gli esperimenti di ricorso al mezzo telematico nell’insegnamento, e di cui abbiamo testimonianza attraverso i rapporti pubblicati dai loro coordinatori sono tanto numerosi, specie negli Stati Uniti, da non poter essere ricordati per esteso (13). Se pure l’impressione generale è ancora di trovarsi di fronte ad iniziative isolate nel panorama dell’offerta didattica dei dipartimenti e legate soprattutto all’intraprendenza e alla curiosità di singoli docenti, non si può dire che manchino esempi notevoli di sforzi progettuali tesi ad una sistematica messa in opera delle nuove tecnologie per la produzione di materiali didattici di contenuto storico. È il caso, in Gran Bretagna, dell’"History Courseware Consortium" che, nell’ambito del "Teaching and Learning Technology Programme", ha messo a punto finora un CD-ROM contenente materiali multimediali e interattivi (specie per la possibilità di trattamento dei dati statistici) su dodici temi di maggiore rilevanza nella storia moderna e contemporanea e basati sul concetto – tipicamente reso possibile dallo strumento multimediale – di "lezione arricchita". L’interesse qui è dato non tanto dal mezzo di distribuzione, che è il disco ottico e non (per il momento) la rete, quanto dal fatto che istituzioni pubbliche preposte all’educazione superiore abbiano avvertito il bisogno di destinare risorse, strutture e progetti alla confezione di prodotti basati su tecnologie multimediali e preparati non da editori privati per fini commerciali, ma da alcuni dei più qualificati esponenti della storiografia britannica per la didattica universitaria a livello undergraduate (14).

12. A conclusione di questa breve digressione in materia di didattica, può essere interessante ricordare altre applicazioni della telematica in relazione a questo ambito specifico. Ci riferiamo ad un caso particolare, che è fornito dalla lista di discussione "American Studies", dove recentemente è stata annunciata un’iniziativa degna di attenzione. Si tratta di un forum elettronico – in questo caso la mailing list funziona da semplice cassa di risonanza oltre che da co-organizzatore – sulle modalità di insegnamento nei corsi universitari di "American Studies". Scopo del forum è di coinvolgere membri della comunità degli americanisti nella riflessione intorno ad alcune questioni chiave relative alla preparazione e svolgimento dei corsi introduttivi di "American Studies" sia a livello undergraduate sia a quello graduate. La discussione all’interno del forum, avviata da due interventi introduttivi, dovrebbe riguardare i materiali, i programmi-tipo, le metodologie e le più generali questioni di curriculum, in vista della costruzione di risorse ‘community-based’. Lo svolgimento avviene sottoponendo ad un particolare sito web (15) reazioni e riflessioni ai saggi introduttivi, esempi di programmi annotati e commentati, allo scopo di arricchire una specifica biblioteca di materiali didattici depositata presso il medesimo sito web che ospita il forum, presso Georgetown University (16).
In materia di nuovi prodotti telematici di rilevanza per la ricerca storica non si può infine non fare riferimento ad una delle maggiori novità emerse negli ultimi anni: ci riferiamo alle riviste accademiche in formato elettronico, espressione con cui ci riferiamo in primo luogo alle nuove riviste nate per e distribuite esclusivamente tramite la rete, e solo subordinatamente alle riviste tradizionali che si sono ritagliate una presenza in rete con pagine informative, indici e, più raramente, materiali integrali. Su questo fenomeno, che rappresenta ormai una realtà affermata e in crescita, benché con perduranti motivi di incertezza, sarebbe possibile diffondersi ben al di là dello spazio che abbiamo a disposizione. Né potremmo accontentarci di una semplice elencazione di titoli, che ormai in campo umanistico assommano a diverse decine, tanto da aver generato rapidamente l’apparizione di repertori e stimolato un intenso dibattito metodologico. Certo, però, è che proprio questo genere di iniziative costituisce una delle sfide più interessanti che la telematica consente di porre ai modi tradizionali di produzione e disseminazione dei risultati della ricerca.
Diversi sono i motivi di interesse e di importanza delle riviste elettroniche e più volte sono stati ricapitolati e valutati in ogni loro aspetto: dalla possibilità di aprire nuovi veicoli di distribuzione della ricerca e quindi nuove presenze editoriali in formato elettronico capaci di autonomia rispetto ai centri accademici consolidati e ai nuclei editoriali preesistenti, alla maggiore velocità di presentazione e circolazione dell’informazione interna alle discipline e dei prodotti della ricerca, con possibilità di immediata interazione e di più rapido intervento nel dibattito sui contributi più recenti e meritevoli di attenzione, ai minori costi di produzione, distribuzione e conservazione, alla maggiore elasticità di prodotti suscettibili di assolvere a funzioni differenziate, come luoghi vivi del dibattito e promotori di scambi informativi e iniziative seminariali. La citazione di alcuni esempi, accertati i motivi di importanza di questa categoria di prodotti, servirà solo ad attirare l’attenzione, ancora una volta, sulle netta prevalenza di iniziative nate in ambienti anglo-americani o comunque anglofoni, a testimonianza della maggiore propensione alla sperimentazione dimostrata da questi ambiti culturali, rispetto a qualsiasi altra area linguistico-culturale, compresa quella italiana. Riviste come History Reviews on Line (University of Cincinnati), Reviews in History (Institute of Historical Research, London), Essays in History (University of Virginia), Journal of the Association for History and Computing (American Association ofr History and Computing), Chronicon. An Online Journal of History (University College, Cork, Ireland), Renaissance Forum (University of Hull, UK), Cromohs. Cyber Review of Modern Historiography (università di Firenze e di Trieste), Journal for Multimedia History (State University of New York at Albany) (17) – citiamo solo alcuni dei titoli che sono comparsi per primi – hanno ormai da qualche anno una consolidata presenza in rete come espressione di particolari comunità di studiosi e rappresentano una testimonianza vivente di cambiamenti radicali prodotti dalla telematica nelle modalità tradizionali di svolgimento di determinate fasi e momenti del lavoro di ricerca accademica. Insieme ai siti Web mantenuti a cura dalle associazioni della diverse branche disciplinari della storiografia accademica, che svolgono una funzione organizzativa e di raccordo evidentemente di importanza primaria, questi periodici offrono non soltanto l’esempio più immediato di come la telematica sia in grado di avvicinare i membri delle comunità scientifiche, ma anche la dimostrazione della possibilità di individuare nuovi canali di comunicazione, nuovi modi di scambio delle informazioni, nuove forme di cooperazione.

13. Sarebbe certo ingenuo pensare che l’esistenza di nuovi mezzi da sola sia in grado automaticamente di indurre nuovi comportamenti e di alterare le forme tradizionali delle relazioni accademiche. La crescita delle opportunità tecnologiche si accompagna in realtà all’insorgere di sempre nuovi problemi di non facile soluzione, di cui rammenteremo solo alcuni a titolo di esempio. Tra questi vi sono gli interrogativi legati al mutamento di concetti come ‘pubblicazione’ e ‘periodicità’, alla preoccupazione che il fiorire di nuovi sbocchi per la pubblicazione comporti un abbassamento degli standard qualitativi o si traduca in una relativa perdita di controllo da parte delle comunità finora dominanti, alla necessità di ottenere pieno riconoscimento delle pubblicazioni elettroniche dal punto di vista delle valutazioni accademiche, all’esigenza di stabilire forme di controllo oggettivo sui tempi di apparizione e sull’inalterabilità dei testi editi in formato elettronico. La vivacità stessa del dibattito che sta svolgendosi soprattutto per via telematica e che vede impegnati numerosi gruppi di storici è d’altra parte sintomo dell’importanza che viene attribuita a questo genere di questioni e dell’urgenza con cui sono posti al centro dell’attenzione e della discussione. Ma anche in questo caso non è difficile osservare con quanta lentezza e distrazione, per non dire aperta diffidenza, l’insieme delle prassi e dei dibattiti a cui abbiamo fatto riferimento vengono seguiti nell’ambito della storiografia accademica italiana. Mentre un prestigioso periodico come l’American Historical Review accoglie regolarmente interventi in materia, l’"American Historical Association" promuove seminari, conferenze e pubblicazioni espressamente dedicate alle ripercussioni delle metodologie telematiche sulla ricerca, nessuno dei maggiori periodici italiani ha finora ospitato interventi di qualche rilievo, stimolato dibattiti o dato conto delle sempre più numerose pubblicazioni (elettroniche ma anche cartacee) in materia (il numero monografico di Quaderni storici del 1991 su informatica e fonti storiche non fa eccezione in quanto, ben anteriore allo sviluppo delle reti, non tocca affatto questioni legate alla telematica). Solo poche sono le riviste storiche italiane ad essersi attrezzate per conseguire una presenza telematica di qualche rilievo (Studi storici, Storia della storiografia, più recentemente il Bollettino del XIX secolo (18)) e pochissime le iniziative per dare vita a nuove riviste in formato elettronico: Cromohs per la storia moderna (università di Firenze e di Trieste), Arachnion per l’antichistica (università di Firenze e di Torino), Spolia – più simile ad un bollettino che ad una rivista vera e propria – per la medievistica (università di Roma). Appena meno desolante si rivela il panorama italiano, come si vedrà in una successiva sezione, se consideriamo l’uso della telematica a sostegno delle attività delle associazioni degli storici.
Ma la distanza tende a farsi di nuovo impressionante e a lasciar trasparire con chiarezza la diversità nella capacità di sfruttare e sperimentare le nuove opportunità offerte dalla tecnologia telematica se solo evochiamo un altro degli strumenti tipici di cui le comunità dei ricercatori accademici nel mondo anglofono si sono dotati per disporre di una forma stabile di raccordo telematico, ossia le liste di discussione. A tal proposito, il riferimento è d’obbligo a "H-Net, Humanities & Social Sciences Online" (19): certo non una semplice lista di discussione o una metalista, ma piuttosto una sorta di sottorete (non fisica, ma disciplinare) di Internet, che collega tra loro insiemi di reti di livello sottostante e che funge da vero e proprio centro propulsore per la raccolta e la disseminazione via rete telematica di informazioni, dibattiti, prodotti della ricerca e fonti in formato elettronico, notizie di carattere professionale relativo al mondo della ricerca e della didattica universitaria.
Abbiamo voluto dedicare un certo spazio all’illustrazione di esempi di utilizzo di tecnologie multimediali per la produzione di materiali storici originali distribuiti in rete allo scopo di mostrare alcune delle più significative possibilità di impiego delle risorse tecnologiche attualmente disponibili che sono finora emerse nell’ambio della ricerca accademica e dell’insegnamento universitario e per poter quindi disporre di elementi di valutazione comparativa tali da giustificare una conclusione che appare obbligata: la difficoltà di trovare in ambito nazionale iniziative paragonabili per natura e impegno a quelle straniere sembra dimostrare al di là di ogni possibile dubbio l’indifferenza della ricerca e dell’insegnamento universitario della storia in Italia per il significato e le potenzialità della telematica.

1.3. Esperienze di coordinamento progettuale.

14. Quanto al terzo punto, l’analisi di iniziative nate in paesi stranieri, ma evidentemente appartenenti alla globalità dell’esperienza della NIT, punta anch’essa decisamente verso una conclusione univoca. La concreta possibilità di cambiamenti importanti per il lavoro di ricerca storica dipende immediatamente dall’esistenza di contesti istituzionali e forme di coordinamento e finanziamento che siano in grado di animare progetti di grande respiro, con l’obbiettivo di consentire l’accesso in linea a quantità crescenti di risorse. Il caso della Gran Bretagna è particolarmente istruttivo a questo proposito, benché non certo unico.
La grande iniziativa promossa fin dal 1994 dalle autorità governative inglesi, scozzesi e irlandesi preposte all’istruzione superiore ha consentito di mettere a disposizione delle università e dei centri di ricerca vaste risorse finanziarie destinate a progetti per la conservazione dei patrimoni librari e documentari. Ed è nell’ambito di questa iniziativa che hanno potuto trovare posto progetti per la catalogazione elettronica finalizzata all’accesso in linea di ingenti collezioni di fonti o, in certi casi, addirittura per la loro digitizzazione sistematica. Alla fine del 1997 il rapporto delle attività della "Special Research Collections in the Humanities" ha potuto produrre un impressionante catalogo (A Guide to Specialised Research Collections in the Humanities) di decine e decine di progetti nati in università di ogni parte del Regno Unito e aventi per obbiettivo la creazione di cataloghi in linea di fondi manoscritti, a stampa, iconografici, artistici, musicali destinati evidentemente ad agevolare enormemente il lavoro dei ricercatori sia nella localizzazione delle fonti sia, in casi particolari, nell’accesso diretto alle risorse documentarie.
Altro prodotto della preoccupazione di fornire ai progetti basati sull’IT applicata alle umanità un quadro organizzativo e di coordinamento è il già menzionato AHDS, un servizio nazionale nato per iniziativa della Consiglio britannico per il finanziamento dell’istruzione superiore e che ha per scopo quello di raccogliere, descrivere e conservare le risorse di natura elettronica derivanti dall’attività di ricerca e insegnamento nelle discipline umanistiche. Al momento attuale all’AHDS, che pure è per sua natura una struttura in evoluzione, fanno capo diversi cosiddetti ‘fornitori di servizi’, quali l’"Archeology Data Service", l’"History Data Service", l’"Oxford Text Archive", il "Performing Arts Data Service" e il "Visual Arts Data Service", che a loro volta coordinano numerosi progetti consistenti nella realizzazione di raccolte di dati statistici o testuali in formato elettronico perlopiù accessibili in rete, anche se con politiche di accesso non uniformi. Basta richiamare gli esempi già citati nel paragrafo 1.1 in materia di databases di argomento storico e testuale (il "Great Britain Historical Database, 1841-1939" e l’"OTA") per comprendere l’importanza di un’istituzione il cui fine primario è quello di individuare una politica generale di creazione, conservazione e distribuzione in rete delle risorse digitali. D’altra parte, il ruolo dell’AHDS non è semplicemente organizzativo o di finanziamento, bensì anche di effettivo coordinamento tecnico: è infatti proprio attraverso l’azione dell’AHDS che i singoli databases – spesso prodotto di progetti preesistenti – possono ora essere integrati in un sistema uniforme di accesso, ricerca e distribuzione dati online.

15. È dunque naturale che, dove si assiste, come in Gran Bretagna, alla nascita di molteplici progetti e forme di cooperazione e coordinamento si affermino anche – e raggiungano presto lo status di irrinunciabili appuntamenti periodici per la verifica dei lavori in corso – iniziative di incontro personale (e non virtuale) e di discussione. Di questo genere sono per esempio i convegni intitolati Digital Resources for the Humanities, nati all’interno del già citato AHDS per iniziativa soprattutto dei suoi membri di Oxford, Londra e Glasgow e giunti nel 1998 al terzo evento annuale. Largamente agevolati da anticipazioni, notiziari, calendari, possibilità di iscrizione in linea, benché ancora facenti ricorso alla stampa cartacea dei contributi finali, le conferenze DRH si sono presto affermate come il forum più importante e prestigioso di dibattito su ogni aspetto della IT applicata agli studi umanistici e hanno visto la partecipazione non essenzialmente di specialisti di informatica applicata, ma soprattutto di studiosi tradizionali di discipline umanistiche impegnati nello sviluppo delle applicazioni telematiche provenienti da ogni parte del mondo (20). Non c’è dubbio che simili occasioni abbiano un’estrema utilità nel confrontare tra di loro e favorire la messa a punto di progetti, standard operativi, tecnologie, e soprattutto nel dare ai singoli responsabili la percezione del proprio operare non in un vuoto organizzativo, ma all’interno di una comunità globale in espansione dove interessi, obbiettivi, problemi appaiono largamente condivisi.  

1.4. Conclusioni.

Quanto esposto finora non ha evidentemente la pretesa di offrire un panorama esauriente delle risorse che in quantità crescenti vengono realizzate e rese accessibili in rete e che sono di immediata pertinenza al lavoro di ricerca storica, creando le condizioni per un suo miglioramento qualitativo e quantitativo, specie dal punto di vista dell’accesso a materiali remoti. Né, per motivi di brevità, abbiamo potuto dare il rilievo altrimenti necessario a diversi, tuttora irrisolti aspetti problematici connessi alla produzione di risorse per la ricerca storica: per esempio la notevole disparità nelle modalità di presentazione dei prodotti, nei formati elettronici e nelle modalità di accesso e distribuzione dei materiali, la tuttora incerta e problematica legittimazione dei materiali delle banche dati in linea come fonti originali della ricerca, il pericolo di riproduzione-proliferazione di prodotti testualli difformi, la stentata affermazione di standard editoriali di qualità e quindi la coesistenza di risorse diseguali quanto al loro valore di fonte storica. Si tratta di punti che, insieme a molti altri – la difesa della proprietà intellettuale, il riconoscimento del valore delle edizioni e delle produzioni originali in formato elettronico, la preponderanza di soggetti attivi appartenenti alle aree linguistiche e culturali anglofone, con conseguente, inevitabile sbilanciamento delle politiche editoriali telematiche a favore di queste ultime – meriterebbero un’ampia discussione per la quale non v’è certamente qui lo spazio. Senza voler comunque generare l’impressione che tutto quanto compare in rete contribuisca al medesimo titolo ad un magnifico, progressivo e inarrestabile processo di accrescimento cumulativo, abbiamo semplicemente voluto ricordare per iniziativa di quali agenti, con quali tipologie di prodotto, in quali settori principali e con quali possibili conseguenze si è finora svolta in campo internazionale l’opera di innovazione in termini di creazione di risorse digitali distribuite in rete e rilevanti per la ricerca storica. Resta da vedere quale sia stato lo specifico e originale contributo della ricerca storica italiana a questo ricco e ampio movimento di innovazione e quale ne sia la capacità di apprezzare e sfruttare le novità che si sono prodotte finora e che, soprattutto, promettono di diventare sempre più importanti e determinanti nell’ulteriore diffusione del processo innovativo.  

2. Le istituzioni.

16. Un campo di osservazione che sembra in grado di fornire elementi di risposta alla domanda su cosa è cambiato nella ricerca storica con l’esistenza della telematica è quello rappresentato dalle istituzioni preposte alla ricerca. Con questa espressione intendiamo riferirci a: a) i dipartimenti di storia, b) le forme di cooperazione interuniversitaria finalizzate alla realizzazione di specifici progetti di ricerca anche attraverso la creazione di appositi consorzi, c) le istituzioni di ricerca non universitarie, le associazioni degli storici professionali, le eventuali scuole di specializzazione e i corsi di dottorato che, in quanto momenti formativi dei futuri ricercatori, abbiano come oggetto specifico le applicazioni telematiche alla ricerca storica. L’elemento istituzionale, al quale saranno dedicati i prossimi due paragrafi, riguarda dunque la cornice organizzativa entro la quale si svolge la ricerca più che la prassi individuale del ricercatore, sulla quale ci soffermeremo in un successivo paragrafo. Due interessanti precedenti di indagini di questo genere sono quella effettuata da McMichael sull’impatto del Web sull’attività degli storici e dei dipartimenti storici negli Stati Uniti pubblicata nel febbraio 1998 (21), e quella effettuata nel 1996 da Deborah Lines Andersen con un questionario diffuso tra i ricercatori e l’analisi delle pagine web dei dipartimenti di storia dei quattro campus della State University of New York (Albany, Binghamton, Buffalo e Stony Brook) e i cui risultati sono stati resi noti nel giugno 1998 (22). Può essere interessante anticipare brevemente le conclusioni di queste inchieste, sia per disporre di elementi di raffronto da tenere presente nella lettura dei paragrafi seguenti, sia per la possibilità che esso offre di verificare comportamenti e atteggiamenti di organismi della ricerca storica accademica in un contesto, come quello americano, che presenta sicuramente le esperienze più avanzate di NIT applicata alla ricerca storica.
Lo studio di McMichael è particolarmente interessante perché non è ispirato da alcuna idolatria del mezzo telematico, le cui conseguenze per il lavoro di ricerca storica sono considerate con realistico spirito critico in base ad una semplice premessa: l’accordo apparentemente unanime sui positivi effetti della rivoluzione telematica nasconde una realtà in cui continua a non emergere – neppure in ambito statunitense – un chiaro e definitivo consenso intorno a quale sia l’effettiva, pratica utilità della rete. Ciò è dimostrato dal basso grado di utilizzo da parte di storici professionali di strumenti come le liste di discussione e dal fatto che le grandi differenze rilevabili nei criteri di realizzazione dei siti web dipartimentali, più che creatività, sembrano rispecchiare permanenti incertezza e confusione intorno a scopi e obbiettivi dello strumento telematico.
Le ricerche di Andersen hanno poi messo in luce come la situazione dei ricercatori americani nel 1996 apparisse caratterizzata da un elevato grado di disponibilità delle attrezzature e della tecnologia, da un alto grado di utilizzo di funzioni informatiche elementari (scrittura, modem-fax e posta elettronica) ma da un basso grado di ricorso alle risorse in rete, meno basso per la rete locale universitaria, decisamente più basso per le risorse Internet. Le risposte al questionario, inoltre, hanno permesso di stabilire come la ragione di ciò, nella situazione rilevata nel 1996, non fosse affatto la carenza di fondi per sostenere i costi di accesso alla tecnologia e all’informazione, bensì la mancanza di tempo e di assistenza per l’acquisizione delle competenze necessarie all’uso delle risorse elettroniche e telematiche. Per quanto riguarda le pagine web dei dipartimenti, Andersen ha individuato nel biennio 1996-1998 il periodo cruciale di messa a punto di materiali informativi dipartimentali sul Web. L’osservazione dei difetti di progettazione e di utilizzo di ciascuna di esse ha poi consentito di fissare una serie di 5 ‘fattori critici di successo’, che sono stati tenuti in parte presenti anche nel lavoro di valutazione effettuato nel presente contributo: facilità di accesso, facilità di navigazione, aggiornamento del materiale, continuità nei criteri di gestione dei siti web, partecipazione di tutti i soggetti potenziali destinatari dell’informazione alla definizione dei criteri di accesso e d’uso e dei materiali stessi contenuti nei siti web.

17. Da entrambi questi studi sembra potersi trarre una interessante conclusione: neppure negli Stati Uniti le reazioni degli storici accademici sono state unanimemente favorevoli all’accettazione della telematica. Dubbi, perplessità e perfino resistenze si sono registrati anche in quelli che siamo abituati a considerare come il paese e la cultura per eccellenza all’avanguardia nell’innovazione tecnologica. La specificità della situazione americana con riferimento all’affermazione del mezzo telematico nella storiografia professionale – ma probabilmente anche in altri ambiti disciplinari – pare piuttosto dipendere da tre fattori: 1) nel grande apparato universitario americano, dove le singole componenti sono dotate di larghi margini di autonomia, le inevitabili forme di scetticismo e di tradizionalismo non hanno potuto togliere spazio alla sperimentazione e alla discussione, perfino negli ambienti della storiografia ufficiale; 2) si è comunque verificata e prosegue in sedi specifiche, ma anche in sedi tradizionali, come le riviste e le occasioni congressuali più consolidate, una pronta e approfondita discussione che è riuscita a coinvolgere esponenti di discipline diverse, secondo impostazioni autenticamente cooperative; 3) in presenza di risorse finanziarie consistenti, ma comunque proporzionalmente decrescenti, si è tuttavia assistito a forme di reazione positive, come l’attivo coinvolgimento nella sperimentazione dei grandi centri nazionali di finanziamento (National Endowment for the Humanities), con il sostegno a numerosi progetti di NIT per la ricerca storica, e come lo sforzo cooperativo di storici, informatici e bibliotecari di trovare nell’informatica applicata e nella telematica le risposte ai problemi di natura finanziaria, per esempio con progetti per la creazione di grandi archivi digitali di periodici accademici tali da soddisfare contemporaneamente le esigenze dei ricercatori, dei gestori delle biblioteche e degli amministratori delle università.

2.1. I dipartimenti universitari

In questo paragrafo vorremmo cercare di offrire un qualche tipo di risposta alla domanda: se e come i dipartimenti di studi storici, quali sedi naturali della ricerca storica accademica, abbiano sviluppato iniziative tese alla ricezione e all’impiego degli strumenti telematici come parte della propria attività operativa, in particolare attraverso la creazione di siti e pagine Web destinate ad accogliere risorse telematiche. Va chiarito con forza che le osservazioni che vengono proposte in questa sezione non possono avere alcun carattere conclusivo, ma derivano dalla fotografia dello stato di cose rilevato in un momento dato, nel caso presente all’inizio dell’estate 1998. Osservazioni effettuate a qualche mese di distanza hanno permesso di evidenziare cambiamenti e spesso progressi non trascurabili, a testimonianza della difficoltà di dare conto con precisione di una situazione in continuo mutamento dietro l’impulso dell’innovazione. Si cercherà di tenere conto di questa dimensione dinamica in un paragrafo dedicato ad illustrare alcune delle linee di tendenza riscontrate.
Abbiamo preso in esame 35 sedi universitarie italiane, contattandole attraverso i rispettivi indirizzi Web, e un totale di 66 dipartimenti di discipline storiche, includendo le discipline storiche in senso lato, quelle storico-politiche, storico-giuridiche, storico-economiche, storico-filosofiche, storico-istituzionali e storico-religiose ma ad esclusione di quelle storico-antiche, storico-artistiche e storico-letterarie (23).

18. La prima osservazione che immediatamente si può proporre, ossia che non esiste ormai dipartimento di studi storici in Italia che non sia presente in rete con un proprio sito web, è sicuramente insufficiente. Il vero problema consiste infatti nell’individuare da un lato la capacità di organizzare l’informazione e di distribuirla mediante il mezzo telematico e in particolare il Web; e dall’altro nel vagliare l’abilità creativa nell’uso del nuovo mezzo per rispondere alle esigenze specifiche della ricerca. In altre parole, come si valutano i siti web e i contenuti che questi offrono (24) ? È necessario individuare una serie di parametri risultanti dalla formalizzazione di elementi forniti dall’osservazione empirica degli oggetti distribuiti in rete. A questo proposito va tenuto presente che i siti dei singoli dipartimenti, e quindi anche quelli dei dipartimenti di storia, hanno fatto la propria comparsa in un tempo generalmente successivo rispetto ai siti generali degli atenei, secondo una scansione temporale che è significativa dal punto di vista del processo di innovazione tecnologica. La successione cronologica infatti può rimandare a differenti configurazioni del rapporto centro/periferia quali agenti di innovazione. Si possono così distinguere quei siti dipartimentali – la maggioranza – che sono nati per impulso centrale (i preesistenti centri di calcolo d’ateneo responsabili del sito generale hanno provveduto anche alla creazione di pagine web dedicate ai singoli dipartimenti, senza coinvolgere direttamente questi ultimi) e quelli invece – in netta minoranza – che sono nati per diretto intervento operativo dei dipartimenti, con personale proprio, espressamente o occasionalmente impiegato a tale scopo, e possono essere sorti anche prima e indipendentemente dal perfezionamento dei siti generali d’ateneo, seguendo comunque logiche di crescita non eterodirette. La distinzione, dicevamo, è fondamentale per il diverso rapporto centro-periferia che si configura nel processo di diffusione dell’innovazione tecnologica: nel primo caso l’operazione risulta affidata ad un centro di irradiazione del sapere tecnologico, attraverso specialisti privi di diretto rapporto con l’istituzione dipartimentale, che segue, si accoda e spesso resta in posizione passiva; nel secondo caso, invece, è l’istituzione di ricerca che svolge una funzione autonoma di ricezione/impiego dell’innovazione e che, con personale sotto il proprio diretto controllo o anche con l’apporto dei medesimi docenti/ricercatori, tende a sviluppare in proprio, e talvolta prima ancora di ricevere impulsi dal centro, un sistema di comunicazione diretto verso l’esterno secondo modalità e finalità che possono più immediatamente dipendere dalle esigenze della ricerca. Ciò può avere diverse conseguenze sulla qualità dell’informazione e sull’omogeneità della sua presentazione. In generale, sembra si possa affermare che quanto più quel rapporto è di diretta dipendenza, tanto maggiore è il grado di omogeneità nella presentazione, a scapito, però, dei contenuti informativi, che risultano più poveri; all’inverso, quanto meno stretta è la dipendenza della periferia dal centro, ossia quanto più i dipartimenti hanno sviluppato in proprio strumenti, forme e mezzi di comunicazione, tanto superiore quest’ultima risulta essere in qualità e quantità, se non in omogeneità formale rispetto al centro.  

2.1.1 Parametri

19. Da questa diversità di rapporto col centro risultano dipendere tutta una serie di caratteristiche che i siti web dipartimentali presentano e che potremmo riassumere nei seguenti parametri (elencati in una successione che coincide con una intensità crescente di contenuto telematico significativo ai fini del lavoro di ricerca): a) sinteticità visiva dell’informazione e immediata comprensibilità dei percorsi per raggiungerla; b) facilità e rapidità di accesso alle singole parti della struttura ipertestuale (questi due primi parametri rimandano ad elementi empirici quali la semplicità e la sobrietà grafica, ovvero la pesantezza e la sovrabbondanza grafica con conseguente lentezza funzionale); c) omogeneità delle parti (presenza o meno dell’effetto radiale di impoverimento); d) attendibilità, ossia capacità di soddisfare le aspettative del visitatore/lettore e di fornire informazioni precise e veritiere; e) grado di ipertestualità o connettività interna (con relativo grado di correttezza dei puntatori); f) connettività esterna (capacità di mettere in relazione con strumenti esterni e quindi di interagire con Internet); g) capacità di sviluppo, ossia evidenza di un processo in atto di potenziamento e crescita del sito; h) interattività, ossia disponibilità al feedback da parte dell’utente e offerta all’utente di strumenti di generazione dell’informazione; i) esposizione alla cosiddetta web peer pressure, ossia capacità di autocorrezione in vista dell’adeguamento agli standard emergenti in rete; l) creatività nella produzione di risorse (presenza o meno dell’effetto rispecchiamento di materiali preesistenti su supporto cartaceo, ovvero uso del mezzo per la produzione di risorse originate per e specificamente destinate alla distribuzione in rete); m) esistenza di personale e attività dipartimentali specializzate in campo telematico (identità del gatekeeper, ossia di quella figura che controlla la tecnologia e fa da intermediario nel consentire l’accesso ad essa da parte dei non-esperti; esistenza di attrezzature laboratoriali e forme interne di didattica e assistenza per docenti/ricercatori e studenti). Un sito dipartimentale che presenti in grado elevato tutte queste caratteristiche risulterà posizionato ad un alto livello di innovazione per quanto riguarda la tecnologia telematica, senza escludere peraltro che ulteriori parametri possano essere individuati.
Naturalmente, come accennato, questi elementi hanno un significato diverso dal punto di vista dei benefici ipotetici che possono derivarne per il lavoro di ricerca. Alcuni, per esempio, rimandano ad un utilizzo semplicemente passivo della rete, ossia alludono ai modi per rendere accessibile dall’esterno informazioni relative al dipartimento che sarebbero comunque (benché meno facilmente e rapidamente) ottenibili in altri modi: riguardano per esempio la reperibilità dei singoli ricercatori o la visibilità delle attività interne ai dipartimenti o dei progetti di ricerca esistenti. Altri elementi forniscono invece indicatori di un utilizzo attivo della rete telematica e testimoniano sia di una capacità di potenziare l’offerta di informazione rispetto a quella che si trarrebbe dalle guide stampate delle facoltà e dei dipartimenti, sia, soprattutto, di interpretare creativamente e interattivamente (dunque con capacità di recepire esempi e impulsi esterni) le opportunità offerte dai nuovi mezzi, sperimentandone le possibilità per l’offerta didattica e per l’offerta di strumenti immediatamente utilizzabili nel lavoro di ricerca. Bisogna infine aggiungere, come si è più volte ripetuto, che qualsiasi valutazione non può che essere provvisoria e deve tenere conto che l’affermazione degli strumenti telematici e quindi anche il grado di familiarizzazione e impiego rappresentano un processo in pieno svolgimento, di cui si può tutt’al più cercare di offrire una descrizione sintetica, ma di valore temporalmente definito, come del resto dimostra l’individuazione di un criterio di valutazione come quello enunciato sopra al punto g).

20. L’insieme di questi criteri ci pare dunque che aiuti a definire una griglia di parametri mediante cui è possibile organizzare un panorama ragionato della situazione italiana, che – si può subito dire – al momento in cui si scrivono queste righe appare non troppo confortante, benché non priva di eccezioni significative.  

2.1.2 Osservazioni

Disomogeneità. Una prima constatazione da fare riguarda la grande varietà di situazioni rilevate, non solo tra dipartimenti di università diverse, ma anche tra dipartimenti di una stessa università che raccolgono discipline similari, ovvero tra dipartimenti di aree disciplinari diverse. Molto frequente è cioè il caso di una stessa università dove esistono ottime pagine web di un dipartimento di chimica o ingegneria e cattive pagine di un dipartimento di studi storici, benché non si possa affatto affermare in generale, che i dipartimenti di discipline scientifiche siano decisamente in anticipo rispetto a quelli di discipline umanistiche: una simile conclusione sarebbe affatto fallace e nasconderebbe una realtà che vede spesso, al contrario, i secondi sopravanzare i primi in capacità di innovazione telematica. Resta il dato della grande difformità di presenza sul Web, a testimonianza che il processo di adeguamento tecnologico avanza in modo diseguale e non per impulsi uniformi provenienti da un unico centro di diffusione. Questa situazione sembra dipendere essenzialmente dal fatto che, mentre i siti d’ateneo dispongono ormai di una fisionomia generalmente definita, un’elevata proporzione di pagine web di facoltà e di dipartimento risulta al momento attuale in fase di allestimento o completamento: ne segue che spesso molti puntatori rimandano a pagine con la dizione ‘lavori in corso’, ‘pagina in costruzione’, oppure richiamano documenti inesistenti. Siamo dunque di fronte ad un processo in pieno corso di attuazione, anche se questo non impedisce affatto di formarsi un’opinione critica sul modo con cui lo strumento telematico e ipermediale viene impiegato.

To be up there’. Una seconda constatazione che può valere nella grande maggioranza dei casi è che l’esistenza dei siti web dipartimentali sembra ancora rispondere più che altro all’imperativo minimalista ‘to be up there’: ciò che conta è avere una presenza, non importa di che genere, qualità e contenuti, ma comunque esserci. Questa situazione sembra accompagnarsi a due circostanze. In primo luogo, è frequente constatare un evidente dislivello qualitativo tra siti generali d’ateneo molto buoni secondo tutti i parametri sopra indicati e pagine web dipartimentali dai contenuti informativi e telematici scarsi o addirittura inesistenti. Abbiamo chiamato questo effetto frequentemente rilevato l’effetto radiale d’impoverimento. Una sua tipica manifestazione è il fenomeno dato dall’esistenza di un’ottimo sito generale d’ateneo, sintetico, funzionale, graficamente efficace e di immediata comprensibilità, dotato di sofisticati motori di ricerca interni, costruito con buona padronanza della tecnologica grafica e telematica, e che pone il visitatore di fronte alla struttura complessiva dell’università nelle sua articolazioni didattiche, di ricerca, amministrative, logistiche, ma senza che i livelli sottostanti contengano effettiva informazione o siano costituiti da un pari grado di ipertestualità. Così, è abbastanza frequente non trovare le pagine dei dipartimenti o le loro rispettive articolazioni per la semplice ragione che ancora non esistono, oppure trovarle, ma con una bassissima qualità dell’informazione e con scarso grado di ipertestualità.

21. È come se l’allontanamento dal centro (dove si concentrano responsabilità, competenze e interessi) producesse un decremento di qualità e contenuti, non bilanciato dal subentrare di competenze, responsabilità e interessi periferici. Si tratta di una situazione caratterizzata dall’assenza di un gatekeeper locale stabile e attivo e dalla comparsa di altri effetti, quali la mancanza di attendibilità e quello che abbiamo definito di rispecchiamento. Chi accede al sito d’ateneo, come si è appena rilevato, è spesso impressionato dall’accattivante struttura ipertestuale e grafica del sito, che sembra promettere ricchezza di informazioni su ogni aspetto della vita interna dell’università e generare una aspettativa che viene invece disattesa dall’accesso ai livelli sottostanti dell’albero ipertestuale. Così i dipartimenti offrono un grado di informazione incomparabilmente minore e di peggior qualità tecnologica e grafico-ipertestuale rispetto ai livelli soprastanti: un’informazione che può andare da scarni dati (per esempio su chi sia il direttore e dove sia localizzato il dipartimento) per i quali non è certo necessario ricorrere allo strumento elettronico, fino all’offerta – nelle ipotesi migliori – dei medesimi contenuti informativi della guida dipartimentale per gli studenti in formato eettronico semplice, ossia senza strumenti ipertestuali, grafici o interattivi. Ciò significa che nel processo di elaborazione telematica, mancando un insieme di interessi, competenze e responsabilità cointeressate alla produzione di informazione di alta qualità relativa alla realtà locale, si è scelto la soluzione minimale, consistente appunto nel realizzare un’edizione elettronica di materiali tradizionali, senza approfondire le possibilità inerenti allo strumento telematico (ad esempio quelle di predisporre motori di ricerca locali per parola chiave, di reperire e mettersi in contatto con le persone oppure di attivare bacheche elettroniche interattive). In generale, ancora, si può constatare come la presenza di pagine web dipartimentali di alta qualità telematica dipenda perlopiù dall’esistenza di un efficiente gatekeeper locale o addirittura di un gruppo di esperti locali (non necessariamente professionisti) dotati di competenze sufficienti ad alimentare un atteggiamento sperimentale verso lo strumento telematico: ma queste due condizioni sono estremamente rare. Sporadica è la presenza di strutture laboratoriali o di personale dipartimentale in grado di curare stabilmente le funzioni telematiche e ancor più rara la presenza di gruppi di lavoro (formati da docenti/ricercatori, o da docenti/tecnici, o misti docenti/tecnici/studenti) capace di sviluppare creativamente risorse telematiche originali. Ne consegue che le pagine dipartimentali sono molto spesso dei semplici cul-de- sac: sequenze testuali senza sbocco, prive di interconnessioni e chiuse verso l’esterno, paragonabili a bacheche tradizionali. Spesso, inoltre, accade che l’effetto rispecchiamento dia luogo alla mera trasposizione elettronica dell’immagine dipartimentale fornita dalle guide a stampa, e nemmeno sia in grado di rappresentare la vita effettiva dei dipartimenti così come questa si viene modificando giorno per giorno: mancano avvisi, variazioni di calendario, annunci, aggiornamenti, convocazioni, ordini del giorno, programmi di seminari, testi di conferenze, in una parola tutti quegli elementi che appartengono al normale funzionamento quotidiano delle strutture dipartimentali e la cui assenza dai siti web induce semplicemente a pensare che lo strumento telematico rientra ancora pochissimo nelle abitudini quotidiane dei membri di una struttura di ricerca come un dipartimento di storia.

22. Dilettantismo. Un effetto paradossale che spesso si accompagna a situazioni in cui le pagine web dei dipartimenti sono lasciate ad uno o più gatekeeper locali è quello di dare luogo ad una pesantezza e macchinosità dell’impianto grafico e del sistema dei rimandi ipertestuali. Ciò avviene di solito quando il gatekeeper non solo non appartiene al centro di calcolo d’ateneo, né agisce sotto il suo controllo, ma non è neppure un tecnico specialista, bensì un semplice membro del dipartimento con particolari passioni o attitudini di tipo telematico e multimediale. Senza bisogno di fare esempi concreti, che pure non mancano, si può osservare a questo proposito che questa è una conseguenza tipica dell’effetto combinato della logica del ‘to be up there’ e della lentezza della reazione istituzionale all’innovazione. Ne deriva l’assunzione spontanea di un ruolo supplente da parte di personale volenteroso, ma con competenze limitate. Si tratta di un effetto in parte inevitabile, poiché – va qui detto una volta per tutte – riguarda un processo di innovazione che è stato spesso guidato dalla pura spinta volontaristica all’adeguamento, da un atteggiamento pionieristico, da spirito d’imitazione, ma da scarsa competenza specifica. Anche se solo in tempi molto recenti ha cominciato ad emergere una professionalità specialistica in campo telematico e multimediale, va sottolineata con forza la necessità che la fase di intraprendenza spontanea venga del tutto superata mediante il ricorso stabile a figure con profili professionali adeguati – con particolare riguardo per le applicazioni bibliografiche e biblioteconomiche – e alle quali siano attribuite mansioni legate alla comunicazione telematica e multimediale e alla gestione dei relativi apparati tecnologici. Se a questo proposito la reazione delle istituzioni universitarie a livello di dipartimenti è stata complessivamente molto lenta (praticamente inesistenti sono al momento attuale situazioni in cui un dipartimento di storia disponga di collaboratori o consulenti assunti o sotto contratto per lo svolgimento di simili mansioni), proprio questo sarà uno degli sviluppi più importanti affinché le istituzioni della ricerca possano sfruttare al meglio le potenzialità della comunicazione telematica e multimediale.
Focus. Una terza osservazione che s’impone riguarda il fatto che il dislivello quantitativo e qualitativo tra le pagine web d’ateneo e quelle dei dipartimenti, ma talvolta anche la natura delle stesse pagine d’ateneo, rivela una tipica mancanza o insufficienza di fuoco nella progettazione delle medesime e una inadeguata risposta alla domanda fondamentale: a cosa e a chi deve servire questo nuovo tipo di comunicazione telematica e ipermediale e a quali obiettivi deve mirare il progetto di comunicazione ? Ne sono testimonianza, di nuovo, situazioni assolutamente paradossali in cui l’informazione, anziché essere rivolta essenzialmente ai soggetti protagonisti (della ricerca e della didattica) e anziché avere come imperativi primari quelli della semplicità, chiarezza e praticità d’uso, è di tipo burocratico e autoreferenziale, ossia si limita a ‘svelare’ il volto burocratico e istituzionale fornendo soltanto testi di documenti come lo statuto d’ateneo e i regolamenti didattici, la composizione degli organi consiliari e direttivi, la struttura amministrativa dell’ateneo, la distribuzione geografica degli uffici e delle strutture didattiche. Fortunatamente, la maggior parte delle università, benché non ancora dei dipartimenti, sembra aver chiarito a sufficienza il problema del focus e aver quindi dato vita ad un sistema informativo in cui risultano precisamente identificati il destinatario dell’informazione e quindi i contenuti di quest’ultima. Se il destinatario è lo studente si dovrà, per esempio, come accade abbastanza regolarmente, informarlo sulla struttura dei corsi di studio, sul calendario di corsi ed esami, sulle biblioteche e sulle altre strutture accessibili, sui professori e sul modo di contattarli; si dovrà dargli un’informazione precisa, corretta e aggiornata; in più si dovrà metterlo in condizione di iscriversi a corsi ed esami compilando moduli telematici (come talvolta già avviene), prenotare appuntamenti coi docenti o semplicemente comunicare con essi per posta elettronica, consultare il catalogo della o delle biblioteche d’ateneo in linea, e magari prenotare o ordinare libri per il prestito o l’acquisto. Si dovrà inoltre guidarlo verso i centri o i laboratori informatici dove possa trovare corsi di avviamento e assistenza nell’uso delle risorse elettroniche. Se il destinatario è il docente/ricercatore, le priorità saranno in parte diverse (migliore accesso a materiali di ricerca) e in parte coincidenti (informare gli studenti di programmi e calendari dei corsi, di variazioni dei medesimi, comunicare con gli studenti per i vari aspetti dell’attività didattica, o coi colleghi per quanto riguarda certe attività di ricerca), ma certo nemmeno in questo caso l’esigenza primaria sarà quella di informare soltanto sugli statuti e gli organi di governo dell’università. Ad una visione burocratica dell’informazione, insomma, è indispensabile che si sostituisca del tutto una visione pratica dettata dalle esigenze del buon uso quotidiano delle strutture.

23. Creatività. Il punto che, però, può far meglio apprezzare il grado reale di penetrazione della tecnologia telematica nell’attività di ricerca storica ci sembra dato dall’esistenza presso i siti dipartimentali di risorse tipicamente telematiche concepite e distribuite appositamente per agevolare il lavoro di ricerca o come prodotto dell’attività di ricerca. Ed è forse proprio a questo proposito che si può rilevare, ancora una volta, il netto ritardo della situazione italiana rispetto a quanto è possibile osservare in ambito internazionale, soprattutto nelle aree anglofone.
Certo, la possibilità di accedere ai cataloghi in linea delle biblioteche è un fatto pressoché generale e rappresenta indubbiamente un notevole passo in avanti e una grande semplificazione nello svolgimento del lavoro di ricerca: ma si tratta di qualcosa che riguarda più l’ateneo o la facoltà che non i singoli dipartimenti. Allo stesso modo, la disponibilità di importanti strumenti bibliografici su CD-ROM consultabili nelle biblioteche o talvolta in rete locale è un altro indubbio elemento di progresso: ma di nuovo, anche in considerazione della spesa elevata per l’acquisto iniziale e per gli aggiornamenti, esso riguarda più la gestione delle biblioteche d’ateneo o di facoltà che non quelle di dipartimento (secondo quella frammentazione delle risorse biblioteconomiche che purtroppo ancora caratterizza in negativo la situazione di tutte le università italiane). A questo proposito c’è semmai da rilevare che se la destinazione delle risorse biblioteconomiche all’acquisto di strumenti elettronici per la consultazione (dai computer ai CD-ROM) è stata abbastanza veloce, di fronte alla diversificazione e all’arricchimento dell’offerta di strumenti distribuiti in rete sarà opportuno che si verifichi una riallocazione che tenga conto dell’esistenza di nuove risorse telematiche accessibili mediante pagamento di sottoscrizioni istituzionali (e generalmente, dato il costo elevato, solo istituzionali), come certe grandi banche dati bibliografiche, testuali o statistico-quantitative, archivi di periodici correnti o cessati, banche dati iconografiche, fotografiche o audiovisive. Qui il ruolo dei dipartimenti come centri autonomi di spesa può essere essenziale e consentire la destinazione di risorse per la ricerca all’attivazione di abbonamenti a seconda del tipo di interessi localmente prevalenti. Ma al momento attuale non sembra che questo sia ancora avvenuto, o quanto meno le pagine web dipartimentali non funzionano da tramite per accedere a questo genere di risorse, neppure in senso meramente informativo.
Ma l’accesso in linea ai cataloghi delle biblioteche è solo un aspetto, per quanto importante, dell’uso attivo della telematica per la ricerca. Altri aspetti vi sono invece che ci appaiono come rivelatori di un atteggiamento creativo e di una interpretazione critica delle possibilità offerte dalla tecnologia. Essi riguardano tre punti fondamentali: a) la costruzione di risorse distribuite in rete come esito delle ricerche e dell’attività editoriale dei membri dei dipartimenti; b) la costruzione di materiali telematici e ipermediali destinati alla didattica e da questa provenienti, anche se il confine tra questi e le risorse al punto a) è certamente molto sottile; c) l’allestimento di una strumentazione che, sotto forma essenzialmente di guide critiche in linea, consenta una buona informazione sulle risorse esistenti, ne consenta un vaglio critico e faciliti la formazione di una consapevolezza metodologica circa il valore, il significato, ma anche l’utilità pratica immediata dei materiali accessibili ai fini della costruzione del discorso storiografico. Un altro importante elemento sarebbe certamente dato dalla capacità di innovare sul piano della didattica, sia con corsi specifici sia con l’arricchimento dei corsi tradizionali attraverso l’impiego di risorse telematiche: ma questo punto esula da una riflessione che intende concentrarsi sull’attività di ricerca.

24. Ebbene, dall’esame delle pagine web dei dipartimenti italiani e con riferimento ai tre punti appena delineati non è difficile concludere che il grado di uso creativo degli strumenti telematici appare estremamente basso. Un solo caso contrario vale la pena citare poiché si tratta appunto di un’eccezione in uno scenario complessivamente deludente: ci riferiamo al dipartimento di Storia dell’università di Firenze, che, al momento di scrivere queste righe, può essere considerato – per chiarezza, rapidità di accesso e reperimento delle informazioni, modo di utilizzo del mezzo telematico per la connessione interna e esterna – come il miglior sito finora messo a punto da un dipartimento italiano di studi storici. Delle componenti che ne fanno parte, una menzione merita sicuramente il "Polo Informatico Medievistico" (PIM), attivato all’inizio del 1998 e in fase di piena espansione (25). Il sito web del PIM si presenta infatti ottimamente organizzato in sezioni intese a rendere accessibili in linea numerose realizzazioni sia di ricerca sia di didattica per settori disciplinari come le antichità e istituzioni medievali, l’archeologia medievale, l’esegesi delle fonti storiche medievali, nonché materiali telematici quali l’edizione in linea dell’Archivio storico italiano e le pagine della Deputazione di Storia Patria per la Toscana. È insomma un prototipo di impiego ad alto livello del mezzo telematico per le finalità della ricerca e dell’insegnamento. Il suo stesso, dichiarato carattere di prodotto in divenire non è certo un paravento che celi scarsa cura o approssimazione: al contrario esso rivela approfondita percezione delle potenzialità della tecnologia disponibile e delle prospettive ch’essa dischiude. Si tratta inoltre di una dimostrazione di come, nell’ambito di un dipartimento universitario, le specifiche competenze di storici di mestiere sensibili al valore della tecnologia informatica, sorrette da adeguata assistenza tecnica, possano essere messe creativamente al servizio dello sviluppo delle risorse telematiche senza dover attendere impulsi dall’esterno, ma con autonoma intraprendenza e con spirito sperimentale.

Linee di tendenza. A correzione di una conclusione in apparenza così scoraggiante bisogna ricordare la sua natura del tutto provvisoria e il fatto che presso diversi siti web d’ateneo o dipartimentali è in atto un intenso processo di adeguamento e miglioramento nelle modalità di presenza in rete, tanto da rendere determinate situazioni locali del tutto irriconoscibili a distanza di pochissimi mesi: ne deriva una ulteriore, energica sottolineatura del carattere provvisorio degli elementi di valutazione qui presentati. Naturalmente non si tratta di un processo innovativo dai modi, contenuti e ritmi uniformi in tutto il sistema universitario italiano. Tra i diversi stati di fatto locali sussistono notevoli disparità, che sembrano destinate ad approfondirsi secondo un effetto moltiplicatore in conseguenza delle diverse disponibilità e decisione con cui localmente si sta procedendo alla messa in opera dello strumento telematico. Ne segue che siti dipartimentali piuttosto scarni, con scarsa interattività, insufficiente aggiornamento tecnologico, basso grado di connettività esterna e di vitalità, e a carattere complessivamente dilettantistico risultino, a breve distanza di tempo, trasformati in siti complessi, ottimamente costruiti, ricchi, dinamici, aperti verso il mondo della rete e capaci di mettere a frutto le risorse tecnologiche disponibili con piena consapevolezza delle esigenze della ricerca: il Dipartimento di scienze storiche dell’università di Bologna sembra da questo punto di vista un caso perfettamente pertinente, alla luce delle successive osservazioni effettuate tra la tarda primavera e la fine dell’estate 1998. Osservazioni analoghe possono valere per il processo che ha portato l’intera area umanistica dell’università di Pisa a ritagliarsi una presenza autonoma in rete, col sito denominato "Humnet. Server delle aree umanistiche dell’università di Pisa" (26), mediante cui è stata conferito alla strumentazione utilizzabile nell’ambito degli studi umanistici visibilità e accessibilità assai maggiori rispetto ad un passato ancora vicino.

25. Una considerazione analoga va fatta, come si vedrà nel prossimo paragrafo, a proposito della capacità di innovazione dell’offerta didattica mediante l’attivazione di iniziative nel campo dell’informatica applicata. Prima di passare a questo punto, tuttavia, un cenno molto rapido merita di essere fatto alla nascita di forme organizzative interuniversitarie aventi per specifico obbiettivo lo sviluppo delle applicazioni elettroniche e telematiche per la ricerca, ivi compresa quella in campo storico, oppure per la realizzazione di specifici progetti. Come si può capire, si tratta di un argomento che interessa solo di riflesso la ricerca storica, in quanto campo disciplinare che, al pari di altri, può beneficiare di iniziative progettuali e organizzative di più ampia portata: per questo motivo ci limiteremo solo a qualche breve considerazione. A questo proposito si può osservare che se in molti paesi, specie dell’area anglofona, istituzioni, organizzazioni e progetti ad hoc sono nati in grande quantità – molti altri potrebbero essere citati accanto a quelli già menzionati nel paragrafo 1.3 –, anche in Italia si è avuta una certa effervescenza in termini di progettazione istituzionale. Va però osservato che la creazione sia di consorzi tra università (come il Centro Regionale Interuniversitario di Studi sulla Comunicazione Informatica e Telematica applicata alla ricerca scientifica e alla didattica [Criscit] (27) in Toscana) sia di centri e di progetti (come i già citati Cibit e Crilet di Roma o il Centro Interdipartimentale Servizi Automazione Discipline Umanistiche [Cisadu] (28), sempre a Roma) ha portato a esiti, o ha comunque dato impulso a iniziative di un certo interesse per la biblioteconomia, l’archeologia o per gli studi linguistico-letterari, ma non sembra aver ancora prodotto, al momento attuale, risultati apprezzabili per quanto riguarda la creazione e distribuzione di risorse per la ricerca storica.

2.2. Società di storici, altre istituzioni di ricerca e nuovi percorsi formativi.

Mentre grandi istituti di ricerca e associazioni professionali all’estero, soprattutto nel mondo anglofono, hanno già decisamente fatta propria l’esigenza di un pieno sfruttamento della telematica, in Italia la Società degli Storici dell’economia sembra l’unico organismo fino a questo momento ad aver preso relativamente sul serio le potenzialità insite nella rete. Il corrispondente sito Web (29) non è una semplice versione elettronica di scarni e aridi notiziari interni, ma appare concepito come uno mezzo adeguatamante provvisto di strumenti specifici per la conoscenza e l’utilizzo delle risorse distribuite in rete ed è evidentemente animato da studiosi che hanno ben compreso la ricchezza e le potenzialità della telematica (30). Un sito web strutturato secondo intenzioni che sembrano promettenti possiede anche l’Associazione Italiana per lo Studio della Santità, dei Culti e dell’Agiografia (AISSCA) (31): è un peccato che aggiornamenti e sviluppo di progetti annunciati appaiano da tempo fermi, poiché si tratta di pagine telematiche strutturate in un modo che presuppone buona intuizione delle possibili direzioni di sviluppo. Non si può dire lo stesso di altre associazioni, come la Società italiane delle Storiche (32), la S.I.D.E.S, Società Italiana di Demografia Storica, la stessa SISSCO, Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (33), o di istituti di ricerca come l’ISIME (Istituto Storico Italiano per il Medioevo) (34). Il caso di quest’ultima istituzione è emblematico. Le corrispondenti pagine Web presentano il progetto "Medioevo Europa" (35) e introducono alla pubblicazione curata dall’Istituto Repertorium Fontium Historiae Medii Aevi (36), ma in entrambi i casi non siamo di fronte ad un uso dinamico e creativo del mezzo elettronico e telematico per accelerare la ricerca e renderne condivisibili strumenti e risultati, ma ad una semplice presentazione di indici e sommari di materiali editi a stampa. Se d’altra parte allarghiamo lo sguardo verso di istituzioni non specificamente universitarie, ma che pure svolgono un ruolo importante nella promozione della ricerca storica, è possibile incontrare esempi piuttosto avanzati di utilizzo di tecnologie telematiche in funzione della ricerca: un caso di rilievo è certamente quello dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze (37), le cui collezioni, biblioteca e attività scientifiche sono accessibili in rete attraverso sistemi di presentazione multimediale che costituiscono un’interessante esperienza sia di sperimentazione di applicazioni telematiche per la museografia sia di cooperazione tra museologia e ricerca storica.
Per la ricerca storica e per la didattica della storia manca tuttora, in ogni caso, un’iniziativa in rete che abbia per obbiettivo quello di porsi come punto di riferimento e di coordinamento per gli studiosi con struttura e secondo finalità paragonabili a quelle che, per fare un altro esempio, vorrebbero caratterizzare il "Sito Web italiano per la filosofia" (38).

26. Nuovi percorsi formativi. La presente riflessione sui mutamenti intervenuti o annunciati nella ricerca storica in Italia non sarebbe completa se non dedicassimo una breve considerazione ad un ambito particolare nel quale stanno registrandosi innovazioni tali da poter certamente dare in futuro frutti di qualche rilievo per la storiografia professionale e accademica. Ci riferiamo ad alcune esperienze di tipo didattico e formativo che sono state avviate in diverse sedi universitarie, dietro l’evidente convinzione della necessità sia di integrazione di curricula tradizionali sia di individuazione di possibili, nuovi percorsi formativi specialistici in grado di aprire la via alla collaborazione tra discipline storiche, tecnologie informatiche e telematica. Non si tratta qui di analizzare in profondità singole esperienze, ma solo di registrarne l’esistenza come segno degli effetti sull’organizzazione di corsi di avviamento alla ricerca storica dovuti alla diffusione della telematica e del fatto che quest’ultima – ma più in generale all’IT applicata alle discipline umanistiche – ha avuto come conseguenza quella di contribuire al rinnovamento di un’offerta didattica spesso invecchiata o da tempo immobilizzata in formule che per motivi più generali stavano rivelando la propria inadeguatezza. In tal senso, la telematica sta costituendo un’occasione e offrendo un’opportunità preziosa affinché l’inevitabile svecchiamento dei curricula possa avvenire inglobando contenuti e obbiettivi dettati dalle nuove tecnologie di comunicazione.
Le problematiche legate alla ricerca storica, alla produzione storiografica e alla circolazione dell’informazione storica in relazione alle tecnologie informatiche e alla telematica sono per esempio oggetto di corsi di dottorato di recente istituzione, come quelli di Bologna ("Storia e informatica"), di Milano ("Elaborazione Multimediale per le Discipline Storiche") e di Trieste ("Forme di comunicazione del sapere storico"). "Scienze umane e nuove tecnologie" è il titolo di un corso di perfezionamento che dal 1996 si tiene presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università di Napoli. Particolarmente importante da ricordare è poi quello che sembra essere stato il primo esempio di insegnamento ufficiale inserito nelle tabelle di corsi di laurea umanistici, ossia il corso di "Informatica Applicata alle Scienze Umane" istituito presso l’università La Sapienza di Roma. Benché legato soprattutto ad interessi di analisi letteraria e critica del testo, si tratta di un corso certamente rilevante anche per le applicazioni finalizzate agli studi storici, in quanto tra i suoi obbiettivi principali vi sono quelli di fornire le principali nozioni teoriche e pratiche riguardanti le applicazioni dell’informatica nel campo delle discipline umanistiche, di illustrare i metodi e le tecniche propri di tali applicazioni, di mostrare le soluzioni informatiche di problemi caratteristici delle discipline umanistiche e di fornire le competenze di base relative all’utilizzazione del computer, con particolare riferimento al trattamento dei testi con linguaggi di descrizione (SGML, TEI), all’uso delle reti telematiche, alle banche dati su CD-Rom e in linea, all’uso dei pacchetti statistici, ai metodi di pubblicazione elettronica, alle tecniche di impaginazione e di stampa.
Un bilancio di queste esperienze in termini sia di elaborazione di prodotti condivisibili sia di nuovi profili professionali e sbocchi occupazionali, è certamente ancora prematuro. Ma ciò che di simile è già avvenuto nel contesto internazionale pare legittimare la conclusione che il futuro dell’innovazione tecnologica per le discipline storiche dipenderà comunque dalla capacità di individuare e mantenere aperte nuove strade della didattica interdisciplinare, intese non solo come itinerari della formazione individuale, ma anche come possibili cantieri di progetti complessi.  

3. Un questionario rivolto agli storici.

27.  La valutazione dei mutamenti indotti nella prassi della ricerca storica dalla diffusione delle reti deve necessariamente passare attraverso un tentativo di analisi dell’atteggiamento e delle reazioni individuali dei singoli storici accademici di fronte a questo specifico genere di innovazione tecnologica. A questo scopo, uno strumento come il questionario è parso particolarmente adatto (39). Non si tratta naturalmente di un esperimento senza precedenti in indagini su questo argomento: un primo tentativo avente per oggetto i dipartimenti di discipline storiche italiani risale al 1996 (De Rosas, 1996) e un secondo è quello, già citato, effettuato da Andersen con riferimento al personale appartenente al sistema della State University di New York. Mentre questo secondo esperimento ha molti punti di vicinanza con quello elaborato da chi scrive, il primo si è invece riferito al problema più generale dell’impatto dell’informatica sulla ricerca, piuttosto che a quello più limitato e circoscritto relativo alla reti telematiche.
Per esplorare il lato soggettivo del problema abbiamo perciò messo a punto un questionario, le cui caratteristiche di progettazione e distribuzione vanno brevemente illustrate. Si tratta innanzitutto di un questionario in formato sia telematico sia cartaceo, benché la sua distribuzione sia avvenuta esclusivamente attraverso il mezzo telematico, e precisamente via posta elettronica (per avvertire della sua esistenza e delle modalità di accesso in linea, e per distribuirne copia in file Word allegato, da stampare, compilare manualmente e spedire per posta ordinaria) e mediante una versione in linea, compilata in Javascript e resa accessibile, compilabile e inviabile su due siti Web (quello della rivista Storia della storiografia, presso il Cisi di Torino, che ha fornito anche la consulenza informatica; e quello della rivista e biblioteca elettronica Cromohs, presso il Cesit di Firenze). Si è trattato naturalmente di una duplice forma di distribuzione, diretta e indiretta, ossia mediante segnalazione ad personam e mediante libero accesso da parte del visitatore occasionale dei due siti Web citati. Naturalmente, la particolare forma di redazione e distribuzione del questionario ha per molti versi influenzato la formazione del campione: su questi fattori distorsivi è necessario soffermarsi brevemente.
 Innanzitutto è chiaro che la modalità stessa di distribuzione presupponeva nei destinatari una elevata familiarità pregressa col mezzo telematico (posta elettronica e uso del Web), generando così un effetto automatico di selezione del campione. Difficilmente uno strumento simile avrebbe potuto raggiungere e quindi registrare le opinioni contrarie, scettiche o totalmente aliene dall’uso delle risorse telematiche, mentre avrebbe verosimilmente prodotto una alta concentrazione di risposte caratterizzata dalla comune accettazione di alcuni presupposti favorevoli all’impiego delle risorse telematiche. Inoltre, il campione potenziale di risposte poteva essere determinato da fattori relativamente casuali, ossia dalla disponibilità/volontà/interesse da parte del visitatore occasionale a far pervenire le proprie risposte. Proprio per diminuire questo elemento di casualità e poter meglio controllare il campione, si è fatto ricorso a metodi di propaganda selettiva, mediante a) un testo di presentazione inteso a specificare a quale pubblico il questionario intendeva rivolgersi (italiani, storici di professione appartenenti all’università e studenti di discipline storiche a livello di diploma, laurea e dottorato); e b) mediante l’invio a mezzo posta elettronica di segnalazioni e inviti a compilare il questionario direttamente al personale docente e ricercatore universitario dei dipartimenti di studi storici che disponesse di indirizzi di posta elettronica. Per l’esattezza sono stati selezionati circa 500 indirizzi di posta elettronica di storici universitari, prelevandoli sistematicamente dai siti dei dipartimenti storici o delle facoltà (Lettere, Lingue, Scienze Politiche, Scienze della Formazione, talvolta Giurisprudenza) presenti sul Web, ivi compresi gli indirizzi delle segreterie dei dipartimenti, che sono state invitate a collaborare con la diffusione della notizia dell’esistenza del questionario e con la eventuale stampa e distribuzione della versione cartacea. Se praticamente tutti i dipartimenti di studi storici e le facoltà umanistiche in Italia dispongono oggi di un sito web, va però precisato – come si è già avuto modo di mostrare – che non tutti consentono di raggiungere facilmente docenti e ricercatori mediante indirizzi di posta elettronica; e che, comunque, solo una frazione variabile di docenti possiede e usa effettivamente un account di posta elettronica. Di qui un ulteriore, inevitabile fattore distorsivo, nel senso che con questa metodologia distributiva il campione ha teso ad includere figure appartenenti a contesti istituzionali nei quali il processo di telematizzazione avesse già compiuto significativi progressi, grazie all’esistenza di siti ufficiali dipartimentali contenenti informazioni su come contattare il personale docente e ricercatore. Di più: esso è pervenuto all’attenzione di persone già abituate all’impiego regolare della posta elettronica e quindi probabilmente orientate a rispondere in modo positivo a parte delle domande proposte dal questionario. Con queste premesse, è chiaro che il campione di risposte avrebbe potuto risultare altamente inclusivo di opinioni pregiudizialmente favorevoli all’uso delle reti e, specularmente, poco rappresentativo di opinioni contrarie o indifferenti e delle rispettive motivazioni.

28. Questi problemi sono risultati ulteriormente complicati dal fatto che la ricerca ha dato comunque un esito relativamente poco soddisfacente, a causa innanzitutto del numero di risposte pervenute, la cui imprevedibile esiguità trova peraltro alcune spiegazioni che rinviano a loro volta a diversi interrogativi e contengono alcuni interessanti indizi. Si possono scartare spiegazioni basate sulla lunghezza o poca chiarezza del questionario, che prevedeva sole 16 domande con risposte a scelta multipla e che non richiedeva alcuna lunga e fastidiosa applicazione da parte del lettore. Un fattore che, invece, ha probabilmente ostacolato la procedura di compilazione è di natura tecnica e consiste, con ogni probabilità, nella difficoltà incontrate da quegli utenti che usano browser in versioni sprovviste di interprete Javascript, il linguaggio in cui il questionario medesimo è stato predisposto. Se, come sembra, questo elemento spiega le ragioni dei problemi registrati soprattutto in fase di spedizione finale da molti di coloro che hanno avuto accesso al questionario, c’è da concludere: 1) che un buon numero di persone usa software non aggiornato e non tale da rispondere alle esigenze poste dagli sviluppi della tecnologia telematica; 2) che quelle persone non sono in grado di affrontare e risolvere un problema del genere; 3) che esse non hanno accesso a personale competente in grado di assisterle nella soluzione del problema tecnico; 4) che nella maggior parte dei casi non posseggono buona disposizione nell’affrontare un problema tecnico posto dall’uso della rete: una conclusione, questa, autorizzata dalla constatazione che è stato invece possibile registrare da parte di alcuni utenti un atteggiamento opposto, ossia la disposizione a reiterare i tentativi fino all’individuazione della soluzione del problema. Siamo, come si vede, di fronte ad altrettanti comportamenti significativi dal punto di vista della valutazione della reazione soggettiva di fronte all’innovazione tecnologica e dei fattori ambientali che la condizionano.
In assenza di una quantità critica di dati, tale da potersi considerare statisticamente rilevante, resta al ricercatore il dubbio su cosa sia possibile fare con il piccolo numero di risposte ottenute (inferiore al 10% dei destinatari). L’esiguità dei dati raccolti, sommata all’esistenza dei fattori distorsivi messi in luce in precedenza, fa sì che il valore statistico del questionario sia basso dal punto di vista di una statistica sperimentale, ma possieda comunque un qualche interesse ‘osservazionale’ e autorizzi qualche tentativo di inferenza, con l’avvertimento che di considerazioni provvisorie e fallibili si tratta e non di conclusioni sperimentali. Il campione ottenuto, per quanto ben assortito dal punto di vista geografico, anagrafico e della posizione professionale (meno da quello del genere, data la netta prevalenza di reazioni maschili), è evidentemente troppo ristretto per qualsiasi generalizzazione, ma contiene ugualmente alcune informazioni sulle quali vale la pena soffermarsi. Va detto anzitutto che le domande erano formulate in modo da far emergere l’atteggiamento personale di fronte all’impiego delle risorse telematiche per la ricerca storica e ad accertare, in relazione a queste ultime, elementi quali conoscenza, uso abituale, capacità di aggiornamento, capacità critica, disposizione soggettiva all’impiego creativo, giudizio complessivo sulle conseguenze in termini di offerta istituzionale per la ricerca e la didattica. Ebbene, le opinioni espresse hanno manifestato un consenso generale e unanime a favore dell’importanza delle risorse telematiche in ogni loro manifestazione tipologica, connesso ad un uso personale ampio (per la posta elettronica), abbastanza diversificato e soddisfacente (comunicazione di files e iscrizione a mailing lists) e non scalfito dalla constatazione, anch’essa largamente condivisa, del fatto che gli strumenti telematici non abbiano ancora modificato in modo sostanziale quell’aspetto particolare del lavoro di ricerca rappresentato dalle opportunità di collaborazione. Unanime è apparso il riconoscimento dell’importanza prioritaria dello strumento telematico per quanto riguarda l’accesso e l’uso dei cataloghi di biblioteche in linea. Le preferenze sono andate poi, nell’ordine, alle riviste elettroniche, alle biblioteche di testi elettronici e alle banche dati e infine alla possibilità di accesso ai siti delle riviste tradizionali. Questo dato è stato confermato dalla valutazione espressa a proposito dei cambiamenti effettivi nel modo pratico di fare ricerca, che secondo i più sono già sufficientemente apprezzabili e che riguardano proprio la possibilità di accedere a informazioni bibliografiche e di far circolare e rendere disponibili per la discussione i risultati della ricerca (anche attraverso le mailing list). Il campione si divide abbastanza equamente tra coloro che si dichiarano disponibili ad un uso creativo della rete, mediante l’apprendimento delle tecniche per produrre personalmente materiali destinati alla distribuzione telematica, coloro che ritengono necessario e auspicabile che siano attivate forme di sottoscrizione a banche dati in linea e coloro che vorrebbero avere nel proprio dipartimento tecnici specializzati in grado di assisterli in modo continuativo, con alcuni casi di soggetti che ritengono importanti tutte e tre queste attività.

29. Nonostante meno della metà delle risposte attesti abitudini di costante indagine e monitoraggio della rete alla ricerca di nuove risorse, laddove la maggioranza dichiara di dedicarsi solo sporadicamente a questa attività, risulta abbastanza nettamente confermata la propensione ad un ricorso alla rete selettivo e criticamente vigile (la maggioranza è in grado di indicare un sito web di argomento storico di propria preferenza) e tendenzialmente creativo (come dimostra la consapevolezza dei vantaggi che, soprattutto per la didattica, possono derivare da un uso esteso della tecnologia telematica come specifico campo d’azione istituzionale dei dipartimenti). Che di fronte alla tecnologia telematica prevalga un atteggiamento creativo e non solo da fruitore passivo di processi produttivi che non riguardano il soggetto rispondente, risulta corroborato dalle indicazioni unanimi a favore dell’introduzione nei curricula storici di insegnamenti specifici che affrontino i problemi nuovi di metodo e di contenuto posti dalla diffusione delle reti e a favore della sperimentazione sotto forma di creazione di risorse originali per la didattica (dispense, materiali vari di studio) e per la ricerca (raccolte di fonti in formato digitale), magari con il diretto coinvolgimento degli studenti.
Sembra perciò possibile concludere che la maggioranza delle risposte vede nella diffusione della telematica una opportunità di grande importanza, grazie alla quale il modo di fare ricerca sta cambiando ed è destinato a subire cambiamenti ancora più rilevanti il futuro: una opportunità che spinge in direzione di mutamenti auspicabili dell’organizzazione dipartimentale e della prassi della didattica. La conoscenza diretta della tipologia di risorse esistenti è piuttosto superficiale, dato il poco tempo che viene generalmente dedicato alla esplorazione sistematica della rete. In questo senso pare giustificabile parlare di una inadeguata conoscenza diretta della varietà tipologica delle risorse telematiche, che si traduce in scarsa capacità critica e in una insufficiente consapevolezza dei problemi posti dalla telematica con riguardo al metodo di produzione-comunicazione di dati e discorsi storici. Nessun tipo di riserva sostanziale pare tuttavia essere emersa, se non per quanto si riferisce ad una constatazione largamente diffusa: l’ambiente istituzionale sembra ai più ancora insufficientemente propenso a seguire con decisione la strada dell’innovazione, di fronte alla quale l’atteggiamento della maggior parte dei colleghi di dipartimento viene descritto come uno di scetticismo e disinformazione, mentre solo una piccola minoranza di risposte testimonia l’esistenza di un atteggiamento di disponibilità e curiosità. Il profilo medio di coloro che hanno espresso questi giudizi corrisponde ad una figura di ricercatore universitario di ruolo di sesso maschile, quarantenne, abituato ad accedere alla rete da casa propria oltre che dal posto di lavoro, dove possiede comunque un computer personale collegato in rete. La sua disponibilità all’approfondimento delle possibilità d’impiego delle risorse telematiche resta ancora un fatto largamente individuale, non ancora capace di tradursi in impulsi favorevoli all’innovazione tali da mutare il funzionamento delle strutture di ricerca e didattiche di appartenenza.  

Conclusioni.

30. L’intero percorso che ci ha condotto fin qui, durante il quale abbiamo cercato di indagare i diversi aspetti in cui ci sembra articolarsi a livello internazionale l’opera di sperimentazione delle applicazioni informatiche e telematiche per la ricerca storica e di valutarne l’impatto in ambito italiano, sembra convergere verso una conclusione univoca. Il momento attuale vede emergere nel nostro paese un netto divario tra dominio del potenziale e dominio del reale. A fronte di crescenti e ampiamente distribuite possibilità di accesso, di uso, di creazione di risorse corrisponde nell’ambito della ricerca storiografica italiana una realtà assai modesta di utenza, di capacità progettuale, di inventiva e perfino di semplice conoscenza dell’esistente. Si è cercato di mettere nella luce dovuta alcune esperienze di punta, che però non possono mutare una situazione complessiva ancora attardata su posizioni di attesa, di diffidenza o di ripulsa. Le citate esperienze di insegnamento e di ricerca che vanno affermandosi nel contesto di studi universitari o post-universitari e di specializzazione continuano ad essere fatti isolati, legati perlopiù ad iniziative locali e all’opera di singoli ricercatori con capacità progettuali e una certa dose di coraggio. Non si tratta però di trarne conclusioni pessimistiche. Dall’analisi dello stato di fatto e delle linee di tendenza a livello internazionale ci sembra che possano scaturire alcune indicazioni in merito agli ostacoli che sarebbe opportuno rimuovere in vista di un utilizzo sempre più efficace e creativo delle applicazioni telematiche. Si tratta di punti già emersi nel corso della nostra esposizione: ma una loro breve ricapitolazione può non essere inutile a conclusione del presente contributo. Possiamo ricondurle a quattro temi principali tra loro strettamente correlati e interdipendenti: 1) risorse umane e percorsi formativi, 2) sperimentazione, 3) strategie di accesso e finanziamento, 4) strategie di coordinamento a molteplici livelli (interdisciplinare, interdipartimentale, interuniversitario, nazionale).

Sperimentazione. Il punto precedente appare d’importanza vitale se si concorda sul fatto che le grandi opportunità della telematica per la ricerca possono essere esplorate e accresciute solo attraverso la sperimentazione, ossia attraverso l’avvio di singoli progetti destinati a produrre nuove risorse riutilizzabili.

Strategie di accesso e di finanziamento. La realizzabilità di progetti legati alla telematica e comunque l’estensione dell’uso dello strumento telematico nella prassi della ricerca dipende dall’adeguamento delle strategie messe a punto a livello dipartimentale e concertate con le strutture soprastanti (facoltà, ateneo) o collaterali (biblioteche, altri dipartimenti). Solo così sarà possibile facilitare l’accesso e generalizzare l’uso di risorse e servizi a pagamento il cui costo non può essere sopportato dal singolo ricercatore, ma che dovrebbero essere resi disponibili tramite le istituzioni. In particolare, è indispensabile che tra ricercatori, dipartimenti e biblioteche avvenga una concertazione tale agevolare l’accesso a servizi di nuovo genere, come le banche dati bibliografiche e di fonti. Agli esempi di questo tipo già fatti in precedenza possiamo aggiungere quello di "OCLC, Online Computer Library Center", un fornitore di accesso a banche dati tramite il quale è possibile sottoscrivere a servizi come "Electronic Collections Online" e avere così accesso a edizioni elettroniche (anziché cartacee) di periodici accademici in lingua inglese (per le discipline storiche sono disponibili in edizione elettronica riviste come History, History and Theory, Journal of Interdisciplinary History, Journal of the History of Ideas, Diplomatic History, Journal of Religious History, per non citare che alcuni dei più noti).

31. Strategie di coordinamento. Ovunque nel mondo l’esperienza mostra che anche per la telematica applicata alla ricerca storica concreti passi in avanti sono stati possibili solo nel contesto di forme di coordinamento progettuale e di finanziamento a livelli superiori che non a quello di singolo dipartimento o gruppo di ricerca. Esiste certamente a questo proposito il problema della costruzione intellettuale e gerarchica del cyberspace (40), che sempre più s’impone man mano che la presenza in rete tende a perdere il carattere di una libera, anzi, anarchica sperimentazione di individui e che la "wilderness" della rete comincia a conoscere frontiere interne e a darsi norme e procedure. Si tratta di una perdita in termini di spontanea, democratica creatività o di un inevitabile e necessario processo di regolamentazione e di istituzionalizzazione ? Chi dominerà in futuro il cyberspace, o meglio, le sue sempre più ricche articolazioni e suddivisioni interne ? Sebbene non si possa accantonare con una semplice alzata di spalle il problema delle conseguenze della fine della frontiera nello spazio telematico a favore di legge e ordine, sembra al tempo stesso difficile pensare ad un pieno sfruttamento delle potenzialità pratiche delle reti in assenza di ampie pianificazioni e progettazioni che inevitabilmente portano con sé gerarchie, autorità, piramidi funzionali e di rango tendenti ad allontanare i processi decisionali dal controllo dei singoli.
In attesa di poter valutare i prossimi sviluppi, la parola d’ordine che sembra più convenire al momento presente è: sperimentare. Sempre maggiore deve essere la consapevolezza che, in una fase di profondo cambiamento per lo status della ricerca storica, di continuo interrogarsi sui compiti, il senso, i modi, le ragioni della ricerca, non è certo il caso di arginarsi in una diffidente ritrosia davanti ai nuovi mezzi di comunicazione ed elaborazione del prodotto storico, ma che è necessario interrogarsi a fondo intorno alle loro potenzialità. Certo che resta ancora senza risposta chiara la domanda su cosa significhi l’onda dell’innovazione tecnologica per la pratica storiografica (41). Ma la possibilità di avvicinarsi ad tale risposta non può prescindere dalla diretta, personale esperienza di conoscenza e valutazione da parte di ciascun ricercatore di ciò che le nuove tecnologie offrono. Non lamentarsi, non mettere il lutto per una pretesa débacle della storia, ma organizzarsi, è un suggerimento senz’altro da accogliere. Questo è vero per una semplice ragione. Finché l’uso del computer poteva essere paragonato con qualche ragione all’uso della macchina da scrivere e a questo sostanzialmente si limitava, si poteva pensare che fosse solo questione di soggettivamente desiderare o meno di padroneggiare una abilità tecnica data. Con la grande diversificazione degli strumenti oggi accessibili attraverso il computer, non ultime proprio le tecnologie legate alle reti telematiche, siamo invece di fronte a forme e modi di lavoro infinitamente espandibili e mutevoli, a prodotti che si arricchiscono di continuo, a risorse di generi radicalmente nuovi e continuamente tendenti a diversificarsi. Si può anche ritenere con piena legittimità che tutto questo non riguardi il proprio personale lavoro. Meno giustificabile sembra essere l’atteggiamento di chi voglia ignorare l’esistenza di processi di cambiamento nel modo di produrre, conservare e comunicare l’informazione storica, la cui comprensione impone maggiore apertura e disponibilità. Certo, la diffusione di questo atteggiamento implica una serie di sfide, sia soggettive sia istituzionali, innanzitutto sul piano dell’alfabetizzazione informatica. Si tratta di un problema di rilievo centrale sia per gli studenti (studi recenti relativi agli Stati Uniti mostrano come anche in quel particolare contesto la dimestichezza con il computer tra gli studenti è bassa (42)) sia, soprattutto, tra i docenti-ricercatori, dei quali le indagini svolte finora mostrano una sorprendente sordità al richiamo dell’innovazione e un radicatissimo sospetto verso quanto, senza alcun fondamento empirico, viene percepito come uno sconvolgimento di abitudini tradizionali, considerate acriticamente come l’ultimo e insostituibile approdo della metodologia.

(*) Guido Abbattista è professore associato di Storia moderna al Dipartimento di Storia dell’Università di Trieste, dove tiene anche un corso di Metodologia della ricerca storica. È stato Wolfson Fellow della British Academy (London-Oxford), Visiting Fellow al Department of History, Johns Hopkins University, Baltimore ed è membro dell’European Enlightenment Project dell’università di Edinburgo. Il suo campo di ricerca è costituito dalla storia della cultura politica e storiografica nell’età dell’Illuminismo, con particolare riferimento al mondo anglofono. Da tempo si occupa dei problemi connessi all’uso delle risorse telematiche per la ricerca storica. Questo tipo di interessi si è concretato nella fondazione di Cromohs, la prima rivista e biblioteca storica italiana di natura interamente elettronica e distribuita in rete (http://www.unifi.it/riviste/cromohs/), di cui è attualmente condirettore assieme a Rolando Minuti, dell'Università di Firenze. Tra i suoi più recenti contributi editi su questi argomenti: "The Cromohs’ experience: problems and perspectives of an electronic journal and textual library of historiographical resources", in The Digital Demotic. A Selection of Papers from Digital Resources in the Humanities 1997, ed. by Lou Burnard, Marilyn Deegan and Harold Short, London, Office for Humanities Communication Publication n. 10, 1998, pp. 99-110 (in collaborazione con Rolando Minuti), e "Dalla tipologia alla gerarchia. Idee per una valutazione delle risorse telematiche per gli studi storici", in Cultura-Comunicazione-Tecnologia. Atti del Convegno Internazionale di Trieste, 16 ottobre 1997 (Commissione Europea. Direzione Generale X. Hochschule für Musik und darstellende Kunst in Wien, Comune di Trieste, Civico Museo Teatrale C. Schmidt, Associazione per la Ricerca delle Fonti Musicali nel Friuli Venezia Giulia), a cura di Federica Vetta, Trieste, 1998, pp. 19-34. Il presente scritto è nato come contributo ad un volume in corso di pubblicazione sul tema Come cambia la ricerca in Italia con la telematica, a cura di Bruno Boniolo e con introduzione di Luciano Gallino. Si ringrazia il curatore del volume per aver gentilmente autorizzato la sua apparizione in anteprima su Cromohs.

(1) Useremo nel testo la sigla di uso corrente IT=Information technology, e un’altra sigla da noi introdotta, NIT=Network Information Technology, per indicare le applicazioni informatiche distribuite in rete.

(2) Una recente riflessione in materia è quella di Timothy Messer-Kruse, "Participatory Historical Writing on the Net: Notes and Observations from Recent Experience", in Writing, Teaching and Researching History in the Electronic Age, a cura di Dennis A. Trinkle, New York, M. E. Sharpe,1998, pp. 37-46

(3) Illustrazioni di questi progetti sono contenute nel volume Storia e Computer. Alla ricerca del passato con l’informatica, a cura di S. Soldani e L. Tomassini, Milano, B. Mondadori, 1996, pp. 182-259. L'ultimo riferimento è a Per una banca dati delle visite pastorali italiane. Le visite pastorali della diocesi di Trento (1537-1940), a cura di Cecilia Nubola, Bologna, Il Mulino, 1998

(4) American Council of the Learned Societies, Occasional Paper n. 37, 1997

(5) http://ssd1.cas.pacificu.edu/history/jahc/jahcindex.htm

(6) http://chnm.gmu.edu/aha/persp/

(7) a cura di Dennis A. Trinkle, New York, M. E. Sharpe,1998

(8) Cfr. tra l’altro Michelangelo Vasta, Storia di Internet. Internet per la storia. La rete e le risorse per lo storico economico, "Archivi e imprese", n. 17, gennaio/giugno 1998, pp. 109-146

(9) Storia e Multimedia, a cura di F. Bocchi e P. Denley, Atti del VII Congresso Internazionale dell’Association for History and Computing, Bologna, 1994, e Storia e computer, cit. alla nota 2.

(10) Cfr. R. Ridi, Internet in biblioteca, Milano, Editrice Bibliografica, 1996, pp. 163 sgg. Cfr. anche R. Ridi, F. Metitieri, Ricerche bibliografiche in Internet, Milano, Apogeo, 1998.

(11) Su cui v. Ellen Meserow Sauer, "Scholarly Publication in the Electronic Age", in Writing, Teaching and Researching History in the Electronic Age, pp. 47-53.

(12) Cressida Chappell and Astrid Wissenburg, "Scholarly Exploitation of Digital Resources: a Workshop for Historians. Workshop Report". http://hds.essex.ac.uk/reports/user_needs/final_report01.stm, versione 15 luglio 1998.

(13) Cfr. per esempio Winslow, Wiggins and Carpio, in Trinkle et al. 1998, 129 sgg.

(14) Per l’esattezza Il CD-ROM "Core Resources for Historians" prodotto dal TLTP-History è articolato in tre sezioni storiche ( "The Pre-Modern Period", "The Industrial Revolution and Post-Industrialization" e "The Coming of Mass Politics"). I titoli per la terza sezione, per esempio, sono: W. Doyle, "The French Revolution: the People enter Politics", J. Breuilly, "Mass Politics and the Revolutions of 1848", R. J. Aldous e S. J. Ball, "The Great Powers and the Divsion of Europe, 1945-1949", J. F. McMillan "Enfranchsing Women: the Politics of Women’s Suffrage in Europe, 1789-1945" e H. Meller, J. Rendall, J. Hannam e P. Summerfield, "Major Themes in Women’s History: from the Enlightenment to 2nd World War". "Core Resources for Historians" è stato pensato per il sistema educativo britannico superiore e ha distribuzione esclusiva all’interno delle università britanniche, anche se pare siano allo studio metodi di commercializzazione anche all’estero. Chi scrive desidera ringraziare il direttore del progetto, Donald Spaeth dell’università di Glasgow, e Geraldine McCullagh, direttore commerciale, dai quali ha avuto la possibilità di visionare in esclusiva il materiale. Per maggiori informazioni si può contattare per posta elettronica: tltphist@arts.gla.ac.uk

(15) http://www.georgetown.edu/crossroads/expo/introcourse.html

(16) Informazioni tratte da una post della mailing list H-AMSTDY del 16 maggio 1998

(17) Nell’ordine:http://www.depauw.edu/~dtrinkle/hrol.html; http://ihr.sas.ac.uk/ihr/reviews/reviews.mnu.html;http://etext.virginia.edu/journals/EH/; http://ssd1.cas.pacificu.edu/history/jahc/jahcindex.htm; http://www.ucc.ie:80/chronicon/; http://www.hull.ac.uk:80/Hull/EL_Web/renforum/; http://www.unifi.it/riviste/cromohs/;http://www.albany.edu/jmmh

(18) http://www.unina.it/serverWWW/DiDiSt/somm.html

(19) http://www.h-net.msu.edu/

(20) Cfr. la raccolta dei contributi presentati all’edizione 1997 edita a stampa col titolo The Digital Demotic. A Selection of Papers from Digital Resources in the Humanities 1997, ed. by Lou Burnard, Marilyn Deegan and Harold Short, London, Office for Humanities Communication Publication n. 10, 1998.

(21) Andrew McMichael, "The Historian, the Internet and the Web: A Reassessment", Perspectives, Febbraio 1998 http://chnm.gmu.edu/aha/persp/ column.taf?function=detail&Layout1_uid1=112

(22) Deborah Lines Andersen, "Academic Historians, Electronic Information Access Techonologies and the World Wide Web: A Longitudinal Study of Factors Affecting Use and Barriers to that Use", The Journal of the Association for History and Computing, I, n. 1, June 1998, http://ssd1.cas.pacificu.edu/history/jahc/Anderson.html.

(23) Un precedente specifico di questo genere di indagine è quello, molto più vasto e tecnologicamente raffinato, rappresentato da "History Departments around the World", la ricerca condotta da Andrew McMichael nell’ambito del "Center for History and New Media" della George Mason University e sfociata nella creazione di un database (nel quale dei dipartimenti italiani figurano quelli dell’università della Calabria, di Firenze, Genova, Lecce, Milano, Parma, Pisa [storia antica e storia medievale], Roma La Sapienza, Roma Tor Vergata, Siena, Urbino, Venezia, Verona) accessibile all’indirizzo http://chnm.gmu.edu/history/depts>.

(24) Si tratta di un problema di strumenti e criteri di valutazione che è già stato oggetto di specifiche riflessioni, tra le quali abbiamo tenuto presenti quella già citata di Andrew McMichael, "The Historian, the Internet, and the Web: A Reassessment", e quelle di Esther Grassian, "Thinking Critically about Discipline-Based World Wide Web Resources" (Nov. 1997) http://www.library.ucla.edu/libraries/college/instruct/discp.htm, e "Thinking Critically About World Wide Web Resources" (May 1998) http://www.library.ucla.edu/libraries/college/instruct/critical.htm.

(25) http://www.storia.unifi.it/PIM/default.htm

(26) http://www.humnet.unipi.it/

(27) http://www.unifi.it/istituzioni/criscit/

(28) http://rmcisadu.let.uniroma1.it/

(29) http://www.unifi.it/centri/sise/welcome.htm

(30) V. infatti l’ampia rassegna di M. Vasta, Storia di Internet. Internet per la storia, cit.

(31) http://www.unifi.it/unifi/storia/aissca/aissca.htm

(32) http://www.idg.fi.cnr.it/wwwdonna/storiche.htm

(33) http://www.iue.it/LIB/SISSCO/Welcome2.html

(34) http://rmcisadu.let.uniroma1.it/isime/

(35) http://rmcisadu.let.unirom1.it/isime/medeur.html

(36) http://rmcisadu.let.uniroma1.it/isime/repert.htm

(37) http://galileo.imss.firenze.it/indice.html

(38) http://lgxserver.uniba.it/lei/swif.htm

(39) Esempi precedenti di impiego di un simile strumento di analisi nel contesto problematico qui affrontato sono il "Survey Questionnaire" (http://pads.ahds.ac.uk/forms/survey.html) proposto nel 1997 da AHDS ai ricercatori universitari britannici; e il recentissimo questionario "History and Computer Technology: A Survey for the Profession" diffuso nell’agosto 1998 attraverso la lista H-AHC, coordinata dalla American Association for History and Computing.

(40) Philip E. Agre, "Yesterday’s Tomorrow. The Advance of Law and Order into the Utopian Wilderness of Cyberspace", Times Literary Supplement, n. 4970, 3 July 1998, pp. 3-4

(41) Philip E. Agre, "Yesterday’s Tomorrow. The Advance of Law and Order into the Utopian Wilderness of Cyberspace", Times Literary Supplement, n. 4970, 3 July 1998, pp. 3-4

(42) Charles T. Evans & Robert Brown, "Teaching the History Survey Course using Multimedia Techniques", Perspectives, February 1998.