Aguet, Jean-Pierre, "Tocqueville: démocratie, armée et guerre", Revue Suisse d'Histoire, n.3, 1995, pp.371-398.

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© Pietro Lazzeri
Università di Firenze

1. Quale ruolo può avere l'esercito in una società democratica? Che rapporto s'instaura tra l'esercito organizzato in maniera autoritaria e gerarchica e la società fondata su principi democratici ed egualitari? In caso di guerra, come si comportano vicendevolmente queste due entità? Come evitare il pericolo che un'eccessiva militarizzazione e centralizzazione dello stato democratico portino verso il dispotismo? A questi fondamentali interrogativi Tocqueville tentò di dare una risposta a partire dall'inizio del 1838; questi scritti finiranno poi nell'edizione di De la Démocratie en Amérique pubblicata nel 1840, e più precisamente nella sua terza parte. In particolare il fulcro della riflessione del pensatore francese è da ricercarsi nei capitoli dedicati alle "passions démocratiques", che vogliono fornire una serie di nozioni preparatorie alla quarta e definitiva parte, quella dedicata ai rischi di una centralizzazione crescente in democrazia ed al conseguente pericolo di un'involuzione assolutistica.
In questo articolo Jean-Pierre Aguet tenta di illustrare in che termini Tocqueville, il cui ruolo come teorico post-rivoluzionario della guerra risulta peraltro secondario, attribuisca un rilievo non trascurabile al problema delle relazioni reciproche tra esercito e società democratica. Tematica quest'ultima suggeritagli ovviamente dall'esperienza americana, ma anche dalla situazione francese, un paese in cui ancora forti erano i segni lasciati dalle guerre rivoluzionarie ed imperiali.
Aguet individua tre temi fondamentali che stanno alla base dell'argomentazione di Tocqueville: l'analisi sociologica dell'esercito democratico (quali "classi" lo compongono), il comportamento di quest'ultimo in guerra e, in terzo luogo, le diverse tipologie di guerra in cui lo stato democratico può trovarsi impegnato.

2. Per quanto riguarda l'esercito democratico, si dimostra innanzitutto come Tocqueville ritenga che il principio dell'eguaglianza delle società democratiche renderà rare sia le rivoluzioni che le guerre. Tuttavia, nonostante lo sviluppo "du principe de l'égalité...en même temps chez plusieurs peuples voisins, ainsi que cela se voit de nos jours en Europe", sarà impossibile avere la certezza che non scoppieranno più guerre. Ve ne saranno meno, dice Tocqueville, ma quando avverranno daranno luogo ad una conflagrazione generale tra i popoli democratici. Proprio per l'incapacità naturale dell'uomo di rinunciare in certi casi alla guerra, Tocqueville - sottolinea Aguet - ritiene indispensabile l'esistenza di un esercito. La creazione di quest'ultimo dovrà rispettare due criteri fondamentali: di numero e di reclutamento. "La raison déterminante de la victoire étant le nombre", occorre costituire un esercito non più fondato su differenze interne, poco compatto e dominato da "specialisti" (come nel passato, in cui la milizia aristocratica dominava su tutte le altre); sarà invece indispensabile, per organizzare efficacemente una grande massa d'uomini, adottare un criterio di parificazione e livellamento. Il reclutamento di quest'esercito sarà obbligatorio e senza eccezioni, poiché, secondo Tocqueville, gli usi democratici porteranno a considerare la carriera militare come poco prestigiosa."Tous les soldats peuvent devenir officiers, ce qui généralise le désir d'avancement et étend les limites de l'ambition militaire presque a l'infini".
Lo studioso elvetico mette in rilevo come Tocqueville ponga il merito, secondo la classica impostazione napoleonica, a governare le dinamiche di carriera all'interno dell'esercito. Tre sono le "classi" presenti nel sistema militare. Ad un primo livello si pongono "les citoyens-soldats", l'elemento più conservatore dell'esercito, legato alle funzioni occupate nella vita civile. Al livello successivo sono individuati "les sous-officiers", l'elemento più turbolento e ambizioso - proprio per la sua collocazione intermedia -, teso a migliorare la propria posizione, bisognoso di una legittimazione militare per riscattare il suo scarso peso sociale. La guerra è per questi uomini un mezzo d'ascesa che altrimenti sarebbe molto difficile. Il vertice della piramide è occupato infine dagli ufficiali, che possono avere un atteggiamento ambivalente: tendenti alla rottura con la società e favorevol alla guerra - come mezzo per l'acquisizione di grandi poteri -, ma poi, una volta raggiunta una posizione di prestigio, pronti a mutarsi in un gruppo chiuso e conservatore.
Ogni ordine militare deve essere basato sulla "raison" e sulla disciplina, perché "le soldat n'est plus un animal très redoutable dressé à la guerre", come nelle "armée aristocratiques".

3. Per quanto riguarda il secondo punto, ossia l'entrata in guerra dell'esercito democratico, Aguet nota come Tocqueville sostenga che la lunga pace, l'inesperienza e l'anzianità dell'esercito possono essere letali per la parte democratica, se questa entrasse in guerra. Il fatto che la gente d'armi goda di poca considerazione nella società può portare ad un progressivo indebolimento della forza militare, destinata a subire inevitabilmente i colpi dell'esercito avversario, nel caso di uno scontro frontale. Il pensatore francese ritiene che un esercito come quello democratico sia più adatto a lunghe e logoranti campagne belliche, in cui sia possibile coinvolgere tutta la macchina statale.

4. L'ultimo punto riferito da Aguet è quello "strategico". L'obbiettivo della guerra per uno stato democratico è essenzialmente politico. La dinamica complessiva delle operazioni militari è distinta da Tocqueville in due fasi: grandi battaglie iniziali con la messa in campo di consistenti risorse e uomini, e slancio verso la conquista del centro nevralgico del nemico, la capitale. In funzione dei questa strategia elementare, Tocqueville propone due diversi sviluppi: il primo è relativo ad una nazione ricca e popolosa, e che sia capace di sostenere gli oneri di una guerra, scenario questo non sviluppato ulteriormente; il secondo considera la possibilità che una nazione sia battuta, che il nemico penetri nel suo territorio e ne minacci l'esistenza conquistandone la capitale. L'autore della Démocratie abbozza in questo caso un tentativo di organizzazione della resistenza: "créer des libertés et, par conséquent, des existences provinciales", e cioè una sorta di potere intermedio, che possa tentare di coordinare gli sforzi della resistenza.

5. In realtà il tema del rapporto tra stato, esercito e guerra, porta Aguet a discutere uno dei problemi più importanti posti in De la Démocratie en Amérique: l'instaurazione di un regime dispotico. Tocqueville punta ripetutamente il dito sulla relazione che nasce tra la guerra e la centralizzazione dell'apparato statale. Nella quarta parte di De la Démocratie en Amérique questo nesso ritorna con forza. Uno dei momenti maggiormente critici per lo stato è il periodo di transizione che segue alle rivoluzioni e ai grandi sconvolgimenti: da queste situazioni potrebbe svilupparsi un nuovo e moderno tipo di dispotismo, diverso da quelli del passato. Aguet ritiene che Tocqueville abbia il grande merito di prefigurare scenari futuri, quasi profetici, soprattutto per quanto riguarda la conquista da parte dello stato di ogni spazio della vita pubblica e per l'annichilimento della società civile. Esercito e amministrazione pubblica si fonderebbero, la nazione verrebbe comandata da una congrega di burocrati, funzionari e militari che, privando il cittadino di qualsiasi sbocco alternativo, affogherebbero la società in un ottuso paternalismo. Giustamente si ravvisa come in Tocqueville, ed in particolare in De la Démocratie en Amérique, vi sia una costante inquietudine nel seguire il cammino democratico di uno stato. Il raggiungimento della libertà non è mai un traguardo definitivo ed acquisito, ed è invece indispensabile che l'educazione del cittadino alla libertà sia continua e che l'insegnamento del rispetto verso le istituzioni sia costante.